Traguardo storico a Roma. Dopo ben 5 anni di inattività, la Raggi mette in funzione le famosissime spazzatrici di Ama.

Views: 2

sabato 22 aprile 2017

https://www.facebook.com/plugins/video.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fmontanaripinuccia%2Fvideos%2F1300013356729968%2F&show_text=0&width=560


I mezzi, costati oltre un milione e mezzo, erano fuori uso e fermi nel terminal Gianicolo (60 mila euro al mese d’affitto) dal 2012. L’assessora: «Le avete conosciute quando erano incomprensibilmente abbandonate. Ora in funzione 5, presto le altre 6»

Finalmente sono operative – spazzano, strofinano, ingoiano cartacce – cinque anni dopo la presentazione in pompa magna in Campidoglio, quand’era sindaco Gianni Alemanno. Sono i tempi della capitale, ma tant’è. L’11 febbraio 2017, nella storia minore dell’Ama, la municipalizzata rifiuti al centro di un permanente tourbillon di scandali, sarà ricordato come un giorno speciale. Di festa. Sono infatti entrate in funzione – dopo uno spreco nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro – le spazzatrici elettriche nuove di zecca acquistate nel 2011 per pulire il centro storico e da allora custodite in garage, inattive. I 12 mezzi, agili e silenziosi, perfetti per infilarsi nei vicoli, erano costati 130 mila euro ciascuno, per un totale di un milione 560 mila euro, e oltre che il rispetto dell’ambiente garantivano un miglioramento della produttività, essendo previsto l’impiego di un singolo operatore. Peccato che, per la mancanza di uno «spinotto» adeguato, tale da garantire un’efficiente ricarica, finirono subito nel terminal Gianicolo (come denunciato nella recente inchiesta del Corriere) e lì siano rimaste per quasi un lustro. Ebbene, in queste ore i romani stanno vivendo il privilegio di rivederle in funzione. Dal vivo e sul web.

fonte; http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_febbraio_11/ama-spazzatrici-elettriche-azione-5-anni-raggi-posta-video-727be256-f06e-11e6-811e-b69571ccd9d9.shtml

Photo by fabiolopiccolo:

Lavoro: la rivincita dei geometri, più pagati degli architetti

Views: 1

Più attività e differenziate: oltre al catasto pratiche fiscali, certificati energetici, rilievi acustici e architettonici. Ora fatturano il 15 % in più del Pil medio pro capite

di CORRADO ZUNINO22 Aprile 2017ROMA. La crisi dei sette anni, 2008-2014, è passata lasciando in piedi, probabilmente più robusto, un mestiere conosciuto, tra i più interpretati al cinema e fino a ieri più snobbati in classe: il geometra. Non è lontana la fine del percorso parlamentare che porterà in Italia la laurea unica (triennale) per diventare geometra, come l’Europa ci chiede entro il 2020. E l’ultima ricerca dell’Università di Genova ora evidenzia come in un decennio il fatturato medio di un geometra si sia attestato a 31.832 euro lordi l’anno (sfiorando 35mila euro nel 2008 e scendendo sotto i 28mila nel 2015). Oltre quindici punti percentuali, comunque, sopra il Pil medio pro capite. Le previsioni degli intervistati dai ricercatori nel 60 per cento dei casi prevedono un reddito “almeno pari” nel 2016, da poco chiuso. In dieci anni i professionisti in Italia sono lievemente cresciuti: da 105mila a 107mila anche se coloro che possono pagarsi la previdenza sono calati da 92mila a 82mila.


Questi numeri raccontano una professione che ha tenuto. All’interno di un panorama di riferimento – quello edilizio – che ha visto sparire mezzo milione di addetti. Per fare un confronto utile, si può usare l’osservatorio del Cresme.

Il centro ricerche del mercato dell’edilizia ha rilevato tra il 2008 e il 2015 una riduzione del reddito annuo degli architetti, professione parente e avversaria, pari al 41 per cento. Un tracollo. Nello stesso periodo i geometri hanno perso solo il 7 per cento. Di più, nel 2015 il numero degli architetti con reddito inferiore ai 9mila euro è cresciuto a quota 34 per cento mentre quelli che guadagnano più di 30mila euro sono soltanto il 17 per cento. In un paragone più allargato, lo stipendio di un geometra è definito “più alto di quello di un impiegato”. Non è un caso che oggi i giovani contabili di catasto siano relativamente autonomi. Iniziano a guadagnare dopo un corso di sei mesi post-diploma (o un tirocinio di diciotto mesi in uno studio), quindi tra i venti e i ventidue anni. Bene, la metà di loro ha lasciato la famiglia d’origine prima dei 35 anni: il 10,6 per cento oggi è single, il 39 per cento ha costruito un nuovo nucleo familiare. In Italia, in media, solo un terzo degli under 35 è indipendente.

La risposta positiva della professione alla doppia crisi (generale e poi edilizia) è arrivata con l’allargamento del campo d’azione. I nuovi geometri hanno preso quote ai mestieri “affini e laureati” (architetti e ingegneri, a cui a volte tolgono la “direzione dei lavori”) e ad altri apparentemente lontani (commercialisti e notai). Oggi solo il tre per cento dei geometri – rivela ancora la ricerca – ha la laurea, ma tutti hanno diversificato gli interventi. Le pratiche catastali e i rilievi topografici restano dominanti (il 45,6 per cento dei lavori fatti), ma scendono di tre punti rispetto a dieci anni fa. Nello stesso periodo si sono moltiplicate per quattro le certificazioni energetiche. E in generale si richiede l’intervento della figura per i test acustici, i rilievi architettonici, le dichiarazioni di successione, le pratiche fiscali e quelle burocratiche, la digitalizzazione delle procedure professionali. L’interlocutore non è più solo il Comune o la Regione, ma sempre più i condomìni, le imprese, l’autorità giudiziaria. Sono geometri sette consulenti dei tribunali su dieci.

“Il conto alla crisi lo abbiamo pagato anche noi”, dice Fausto Amadasi, presidente della Cassa di previdenza, “ma di fronte al crollo dell’edilizia siamo stati capaci di far crescere settori prima marginali. In Piemonte quasi tutti gli amministratori di condominio sono nostri e con l’esplosione delle sofferenze sui mutui ci siamo specializzati anche su questa questione”. Gli istituti tecnici formativi “restano troppo teorici, generalisti” e così i diplomati hanno bisogno di un tirocinio sul campo maggiore, “ma la laurea unica ci darà formazione e status”.

Resta, come in ogni dossier italiano, il profondo rosso del Sud: un geometra di Vicenza guadagna in media 35mila euro l’anno, uno di Catanzaro 16mila.

sabato 22 aprile 2017 , Gabanelli choc: vi racconto gli sprechi e le ruberie della Rai. Ecco dove finisco i nostri soldi del canoneMilena Gabanelli: “Rai, ecco la lista degli sprechi. Basta lottizzazione, o non ci avvicineremo mai alla Bbc”“Per tornare efficiente e competitiva, la Rai andrebbe ‘snellita’, ma modifiche radicali saranno possibili solo se si interviene sulla riforma del 1975, meglio nota come lottizzazione”. Lo scrive in un lungo editoriale sul Corriere della Sera Milena Gabanelli, in cui fa la lista degli sprechi del servizio pubblico. Troppi telegiornali, reti e strutture inventate solo per accontentare politici, assessori e governatori di turno. Troppi incarichi dirigenziali e una proliferazione incredibile di sedi e strutture regionali. Nulla di più lontano dalla Bbc, “il miglior servizio pubblico al mondo” di cui tanto si parla ma che mai sarà avvicinato se non si mettono “competenza” e “merito” come criteri essenziali per la nomina della governance.In seguito alla lottizzazione, scrive la giornalista, “ogni partito si è preso un canale, e poi ci ha infilato i suoi uomini scegliendo come unico criterio la ‘fedeltà’, non all’azienda ma al partito. Risultato: proliferazione di strutture e incarichi dirigenziali che negli anni si sono stratificati”. Per questo la Rai è imparagonabile a ogni altro servizio pubblico del mondo:“Non esiste nessuna tv pubblica al mondo dentro la quale convivono 3 telegiornali che hanno come referenti 3 diverse aree politiche; ognuno ha una sua struttura autonoma, i suoi direttori, i suoi inviati, il suo apparato tecnico, i suoi studi, il suo budget. Poi c’è Rai news 24, che non si può dire sia seguitissima, e le 26 sedi per l’informazione regionale. Bisogna ‘ottimizzare’ si dice, ma da dove cominci se non metti mano al contratto di servizio con lo Stato? Le sedi regionali sono nate in funzione dei rapporti con le istituzioni locali. Un modello in crisi poiché le Regioni non rappresentano più il territorio, quindi bisognerà cambiare completamente la prospettiva in funzione delle macroaree. Si prende spesso a modello il miglior servizio pubblico al mondo, ovvero la Bbc, dove però i canali generalisti nazionali sono sostenuti solo dal canone: 174 euro, contro i nostri 113. Se tuttavia il modello a cui ispirarsi è Bbc, confrontiamoci. Le stazioni televisive locali inglesi sono 15, che interagiscono con quelle radiofoniche. I dipendenti sono circa 1.500 contro i nostri quasi 2.000. Le sedi occupano mediamente 2 piani (con una postazione fissa per il giornalista che si connette), la maggior parte sono in affitto. Noi occupiamo edifici giganteschi, quasi tutti di proprietà, con insostenibile spreco di spazi e costi. La loro sede più piccola è quella delle Channel Island: 2 dipendenti; da noi a Campobasso sono in 70. Nella sede di Cosenza lavorano 95 persone, ma il palazzo sembra quello di Viale Mazzini. Tutti i servizi finiscono dentro a Bbc One (la nostra Rai 1), con 4 brevi collegamenti al giorno. Inutile ribadire che la produzione locale del nostro servizio pubblico è perlopiù asservita ad assessori e governatori, che in caso di smantellamento di qualche sede si incateneranno pur di non vedere sottratta una telecamera a loro uso e consumo”.Gabanelli fa poi tre esempi di strutture create e poi mantenute solo per non turbare la sensibilità di nessun ‘potente’: Rai Vaticano, Rai Expo e Rai Quirinale.“Emblematica la genesi di Rai Vaticano. Nel ‘97 una decina di dipendenti occupavano due stanze per preparare gli eventi di Giubileo 2000. Senza budget, il team si relazionava con la Santa Sede per agevolare le reti nella produzione di programmi da trasmettere e vendere in tutto il mondo, e doveva essere operativo per 2 anni. Il Giubileo è finito da tempo, ma la piccola squadra si è trasformata in una struttura con i suoi funzionari e dirigenti per continuare a fare le stesse cose. Rai Expo è l’ultima creatura: una dirigenza, 45 dipendenti, una sede a Milano e una a Roma. Ma per raccontare il grande evento dell’alimentazione mondiale non bastano le sedi regionali e i programmi delle reti? A Expo finita (ottobre 2015) siamo sicuri che quella struttura non diventerà permanente? Anche Rai Quirinale, da postazione informativa è diventata nel tempo un elefantino, con un direttore e 35 dipendenti. Per fare cosa? Trasmettere il messaggio del presidente della Repubblica di fine anno e la cerimonia del 2 giugno”.Secondo Gabanelli, per rinascere è inevitabile “eliminare sedi e strutture che non hanno nessun senso, ma non mandando a casa qualche migliaio di persone che hanno famiglia! L’azienda avrebbe bisogno di tutto il suo personale se venisse organizzata in modo produttivo; è pur sempre la più grande industria culturale del Paese! Ricordiamo inoltre che non ha ammortizzatori sociali, e sarebbe paradossale creare disoccupati per dare 80 euro in più a chi uno stipendio (anche se magro) ce l’ha. Certo occorrerà poi liberarsi dai burocrati e intervenire sui contratti collettivi di lavoro”. Un cambiamento di questa portata – sostiene ancora la giornalista – non può essere realizzato da un direttore generale da solo, ma ha bisogno dell’aiuto del governo. Come? Appunto dando la priorità a “merito” e “competenza” come unici criteri per la scelta dei vertici. Come fa la Bbc, dove “quando un dirigente sbaglia, va a casa senza tante storie”. 

Views: 0

sabato 22 aprile 2017

“Per tornare efficiente e competitiva, la Rai andrebbe ‘snellita’, ma modifiche radicali saranno possibili solo se si interviene sulla riforma del 1975, meglio nota come lottizzazione”. Lo scrive in un lungo editoriale sul Corriere della Sera Milena Gabanelli, in cui fa la lista degli sprechi del servizio pubblico. Troppi telegiornali, reti e strutture inventate solo per accontentare politici, assessori e governatori di turno. Troppi incarichi dirigenziali e una proliferazione incredibile di sedi e strutture regionali. Nulla di più lontano dalla Bbc, “il miglior servizio pubblico al mondo” di cui tanto si parla ma che mai sarà avvicinato se non si mettono “competenza” e “merito” come criteri essenziali per la nomina della governance.

In seguito alla lottizzazione, scrive la giornalista, “ogni partito si è preso un canale, e poi ci ha infilato i suoi uomini scegliendo come unico criterio la ‘fedeltà’, non all’azienda ma al partito. Risultato: proliferazione di strutture e incarichi dirigenziali che negli anni si sono stratificati”. Per questo la Rai è imparagonabile a ogni altro servizio pubblico del mondo:

“Non esiste nessuna tv pubblica al mondo dentro la quale convivono 3 telegiornali che hanno come referenti 3 diverse aree politiche; ognuno ha una sua struttura autonoma, i suoi direttori, i suoi inviati, il suo apparato tecnico, i suoi studi, il suo budget. Poi c’è Rai news 24, che non si può dire sia seguitissima, e le 26 sedi per l’informazione regionale. Bisogna ‘ottimizzare’ si dice, ma da dove cominci se non metti mano al contratto di servizio con lo Stato? Le sedi regionali sono nate in funzione dei rapporti con le istituzioni locali. Un modello in crisi poiché le Regioni non rappresentano più il territorio, quindi bisognerà cambiare completamente la prospettiva in funzione delle macroaree. Si prende spesso a modello il miglior servizio pubblico al mondo, ovvero la Bbc, dove però i canali generalisti nazionali sono sostenuti solo dal canone: 174 euro, contro i nostri 113. Se tuttavia il modello a cui ispirarsi è Bbc, confrontiamoci. Le stazioni televisive locali inglesi sono 15, che interagiscono con quelle radiofoniche. I dipendenti sono circa 1.500 contro i nostri quasi 2.000. Le sedi occupano mediamente 2 piani (con una postazione fissa per il giornalista che si connette), la maggior parte sono in affitto. Noi occupiamo edifici giganteschi, quasi tutti di proprietà, con insostenibile spreco di spazi e costi. La loro sede più piccola è quella delle Channel Island: 2 dipendenti; da noi a Campobasso sono in 70. Nella sede di Cosenza lavorano 95 persone, ma il palazzo sembra quello di Viale Mazzini. Tutti i servizi finiscono dentro a Bbc One (la nostra Rai 1), con 4 brevi collegamenti al giorno. Inutile ribadire che la produzione locale del nostro servizio pubblico è perlopiù asservita ad assessori e governatori, che in caso di smantellamento di qualche sede si incateneranno pur di non vedere sottratta una telecamera a loro uso e consumo”.
Gabanelli fa poi tre esempi di strutture create e poi mantenute solo per non turbare la sensibilità di nessun ‘potente’: Rai Vaticano, Rai Expo e Rai Quirinale.

“Emblematica la genesi di Rai Vaticano. Nel ‘97 una decina di dipendenti occupavano due stanze per preparare gli eventi di Giubileo 2000. Senza budget, il team si relazionava con la Santa Sede per agevolare le reti nella produzione di programmi da trasmettere e vendere in tutto il mondo, e doveva essere operativo per 2 anni. Il Giubileo è finito da tempo, ma la piccola squadra si è trasformata in una struttura con i suoi funzionari e dirigenti per continuare a fare le stesse cose. Rai Expo è l’ultima creatura: una dirigenza, 45 dipendenti, una sede a Milano e una a Roma. Ma per raccontare il grande evento dell’alimentazione mondiale non bastano le sedi regionali e i programmi delle reti? A Expo finita (ottobre 2015) siamo sicuri che quella struttura non diventerà permanente? Anche Rai Quirinale, da postazione informativa è diventata nel tempo un elefantino, con un direttore e 35 dipendenti. Per fare cosa? Trasmettere il messaggio del presidente della Repubblica di fine anno e la cerimonia del 2 giugno”.
Secondo Gabanelli, per rinascere è inevitabile “eliminare sedi e strutture che non hanno nessun senso, ma non mandando a casa qualche migliaio di persone che hanno famiglia! L’azienda avrebbe bisogno di tutto il suo personale se venisse organizzata in modo produttivo; è pur sempre la più grande industria culturale del Paese! Ricordiamo inoltre che non ha ammortizzatori sociali, e sarebbe paradossale creare disoccupati per dare 80 euro in più a chi uno stipendio (anche se magro) ce l’ha. Certo occorrerà poi liberarsi dai burocrati e intervenire sui contratti collettivi di lavoro”. Un cambiamento di questa portata – sostiene ancora la giornalista – non può essere realizzato da un direttore generale da solo, ma ha bisogno dell’aiuto del governo. Come? Appunto dando la priorità a “merito” e “competenza” come unici criteri per la scelta dei vertici. Come fa la Bbc, dove “quando un dirigente sbaglia, va a casa senza tante storie”.

Photo by fabiolopiccolo:

IL MISTERO DELLA VILLA DI RENZI: LA FINANZA NON TROVA LE FATTURE. CHI L’HA PAGATA?

Views: 6

mercoledì 19 aprile 2017

I pm indagano sulle ricevute dei lavori di ristrutturazione fatti dall’amico Andrea Bacci, già vittima di un agguato

Nei giorni scorsi qualcuno aveva esploso dei colpi di pistola contro la Mercedes di Andrea Bacci, l’imprenditore fiorentino amico dell’ex premier Matteo Renzi, indagato peraltro dalla Guardia di Finanza per una questione legata al ricorso abusivo al credito.

Uno dei proiettili era rimbalzato e aveva infranto il vetro di una finestra della sua ditta di pelletteria, non procurando fortunatamente alcun ferito. Ora la storia si fa più intricata, perché gli inquirenti avrebbero messo sotto la lente di ingrandimento proprio i rapporti tra l’uomo e l’ex capo del governo.

L’attenzione sarebbe puntata in modo particolare sulla ristrutturazione alla villa di Renzi, di cui proprio Bacci si occupò nel 2004. Che fine hanno fatto le fatture relative ai lavori? Fonti vicine a chi indaga fanno sapere che non si troverebbero. Il dubbio è quindi lecito: sono semplicemente sfuggite a un occhio attento o l’imprenditore ha fatto le manutenzioni alla casa dell’amico gratis o al nero? C’è chi in passato ha avuto guai per essersi fatto installare una parabola senza pagare la manodopera, figuriamoci se si parla della ristrutturazione di un’intera villa. Peraltro, sono anche al vaglio i legami di Bacci con ambienti connessi con la malavita locale. Quegli spari prima alla sua auto, poi a un cartello della Ab Florence, azienda di pelletteria da 130 dipendenti di proprietà dell’uomo, fanno sorgere molti dubbi.

Negli ambienti dell’imprenditoria toscana si vocifera che l’amico di Renzi abbia contratto numerosi debiti e sia stato costretto a chiedere dei soldi agli strozzini. La mancata restituzione avrebbe fatto irritare i creditori. Ecco perché Bacci è attualmente sotto scorta, su decisione della Procura. La notizia, comunque, è passata quasi sotto silenzio ed è stata riportata da pochi quotidiani, per lo più locali. Se fosse accaduto in Sicilia o in Calabria, con ogni probabilità, sarebbero partite indagini della Dia, ma nel Granducato, terra comunque in cui le infiltrazioni di cosche mafiose sono comprovate, l’attenzione è rimasta puntata solo sugli spari.

Bacci, che è anche patron della Lucchese calcio, risulta indagato con altre sei persone, proprio per l’emissione di fatture false e ricorso abusivo al credito, quale amministratore della Coam, una società che si occupa di edilizia che ha sede, guarda caso, a Rignano sull’Arno, paese di Renzi, attualmente in regime fallimentare.

L’amicizia con l’ex premier risale ai tempi in cui lo stesso era presidente della Provincia e, quindi, sindaco. Bacci deteneva, infatti, una quota della Nikila invest, che possedeva il 40 per cento della Party, società al cui vertice c’era Tiziano Renzi, padre del politico, al quale lo stesso prestò 75mila euro, assieme ad altre persone, per riscattare l’ipoteca sulla casa. Fu proprio Matteo Renzi a nominare l’imprenditore nel cda della Centrale del latte di Firenze, la Mukki e in altre partecipate. «Ancora una volta – spiega il capogruppo in consiglio regionale di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli – diventa più urgente e necessario che si chiarisca chi ha sparato a Bacci e quali sono i motivi. I suoi strettissimi legami con il capo del partito di governo in Italia costringono gli italiani a chiedere trasparenza completa sulle persone frequentate e i rapporti tra eventuali personaggi malavitosi e Bacci».

FONTE

IL GIORNALE

Photo by fabiolopiccolo:

“SOLDI IN CAMBIO DI LEGGI”: FINI TREMA, PER LUI STANNO PER ARRIVARE LE MANETTE. ANCHE SE CON 7 COLPEVOLI ANNI DI RITARDO

Views: 1

mercoledì 19 aprile 2017

L’ex vicepremier e i decreti sui giochi nel mirino Il gip: favori a Corallo e grandi flussi di denaro

Il timore di Gianfranco Fini, mentre i fantasmi della casa di Montecarlo tornano nottetempo a bussare alla sua finestra, è che qualcuno, soprattutto in procura, possa non ritenerlo un «coglione».

La colorita autodefinizione più va avanti la storia, più sembra strategicamente sensata. Sacrifica l’immagine di colui che fu la terza carica dello Stato. Ferisce il suo amor proprio. Ma ne salvaguarda la fedina penale, raccontando di un big della politica che non si accorgeva degli affari strani di parenti e congiunti. Ma non è detto che basti.

L’ordinanza con cui la procura ha sequestrato preventivamente una manciata di milioni di euro in cash e case ai Tullianos, infatti, si sofferma intorno al ruolo dell’ex presidente della Camera. Fini per gli inquirenti è il trait d’union tra il capo del colosso del gioco Atlantis, Francesco Corallo, e la sua nuova famiglia, quella portatagli in dote da Elisabetta Tulliani. È lui, Fini, che per primo lega con quell’imprenditore considerato da sempre vicino ad An, durante un viaggio a Saint Marteen, quartier generale caraibico di Corallo, nel 2004. È lui, stando all’interrogatorio di Amedeo Laboccetta, che dopo quel viaggio, nel 2005 aiuta Atlantis a dirimere controversie con i monopoli. E sempre Fini – siamo nel 2007 – avrebbe cercato di spingere il «cognato» Giancarlo, provando a fargli fare da intermediario per un affare immobiliare con Corallo, affare così discutibile che lo stesso Laboccetta boicotta il progetto. E una volta di più è lui che a dicembre 2008, in occasione del primo compleanno di Carolina, figlia sua e di Elisabetta, invita Corallo nella foresteria di Montecitorio. Sono passati pochi mesi dalla celebre cessione della casa di Montecarlo da An alla Printemps ltd, la società offshore dietro alla quale si celava Tulliani, perfezionata per una cifra buona solo per l’acquirente, tanto che gli inquirenti hanno accertato che a pagare non furono i Tullianos ma proprio Corallo, che aveva già provveduto a mettere a disposizione del delfino della family e di Lady Fini i suoi consulenti della Corpag – Walfenzao&co – per costruire la rete di off-shore e preparare il colpaccio immobiliare nel Principato.

Fini, dunque, per la procura è l’anello di congiunzione tra Corallo e i suoi parenti acquisiti. Ma gli inquirenti ritengono che il suo ruolo non si limiti a questo. Il rilievo delle sue cariche istituzionali – prima vicepremier, poi presidente della Camera – fa di lui il vero «obiettivo» delle attenzioni rivolte ai Tullianos da Corallo, e il gip lo lascia desumere in maniera esplicita: «Che l’obbiettivo di Corallo fosse altro dai Tulliani – scrive – si desume per tabulas: Corallo è il titolare di un’impresa colossale, i Tulliani una famiglia della piccolissima borghesia romana». Fini invece, «all’epoca», era una «figura istituzionale di elevato rilievo», e dunque gli intrecci tra questi tre poli innescano interessi di «estrema delicatezza», anche perché le tracce di dazioni di denaro, osserva il gip, vengono lasciate «in occasione dell’adozione di provvedimenti di legge di estremo favore per Corallo». Non un solo decreto ma almeno due, il 39/2009 e il 78/2009. La storia mette in fila anomalie di ogni genere, dalle «gravissime interferenze» sui Monopoli alle «inverosimili sottrazioni» alle casse dello Stato, fino alle norme pro-Atlantis approvate, «sintomatiche di condizionamento della vita parlamentare in ragione di flussi di denaro di grande consistenza». Una storia dalle «implicazioni inquietanti», e che al giudice sembra sia stata svelata solo in minima parte, potendo riservare «imprevisti» e sviluppi «piuttosto tumultuosi». Quanto basta per togliere la decantata «serenità» all’ex leader, già scottato nell’amor proprio, ora anche indagato. E sempre più nel fuoco della procura.

FONTE

IL GIORNALE

Photo by fabiolopiccolo:

La Raggi ha decretato guerra al malaffare. Ecco la decisione che manda in tilt i corrotti di Roma

Views: 1

mercoledì 19 aprile 2017

Atac licenzia gli assunti di Parentopoli. Dopo anni di opacità riportiamo la legalità.

Torna la legalità in Atac. Con il licenziamento di chi è stato assunto in modo illegittimo e senza che fosse rispettato alcun criterio di merito, mettiamo fine alla stagione di Parentopoli. E questo è un ulteriore segnale della direzione in cui stiamo andando.

Abbiamo voltato pagina da quel passato in cui dominavano logiche clientelari, illeciti e politiche che premiavano solo gli amici degli amici. Lo abbiamo sempre detto e lo ribadiamo ancora una volta oggi: non accetteremo nessun compromesso con l’illegalità.

Photo by fabiolopiccolo:

MAI VISTO UN DI MAIO COSÌ – Si è scatenato! Guardate cosa ha fatto in diretta..

Views: 1

mercoledì 19 aprile 2017

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=KXG45Z4FTho] 



Le parole di Luigi Di Maio:

Sulla sanità mentono dicendo la verità. La popolazione italiana invecchia: l’indagine conoscitiva della Camera ci dice che nella sanità italiana servono il 2% di risorse in più ogni anno solo per andare in pari. L’anno scorso per la sanità sono stati stanziati 112 miliardi di euro. A luglio il Governo ne ha tagliati 2,3 miliardi. Il 2% di 112 è 2,2 miliardi + i 2,3 tagliati a luglio fanno 4,9 miliardi. Significa che quest’anno Renzi avrebbe dovuto stanziate 4,9 miliardi solo per andare in pari con l’anno scorso. Invece ne ha stanziato solo 1. Mancano 3,9 miliardi all’appello. Esattamente la cifra che gli servirà per eliminare la parola Tasi ma non la tassa, che i cittadini italiani pagheranno l’anno prossimo in sanità privata, quelli che se lo potranno permettere. Chi vuole può continuare a votare questi prestigiatori. Ma io la mia gente non la faccio morire sulle barelle in un corridoio dell’ospedale pubblico, perché questo signore ha fatto così tanti compromessi con chi prende i vitalizi, con chi si nutre delle società partecipate inutili, con chi vende caccia bombardieri e con chi deve estrarre petrolio, che alla fine gli unici tagli che ha la libertà di fare, sono quelli sulla pelle della povera gente. L’Italia si merita un Governo libero. Che taglia le tasse, tagliando i privilegi dei potenti. 

Photo by fabiolopiccolo:

Facebook2k
585
X (Twitter)5k
Visit Us
Follow Me