Tirare sassi contro le auto non è più reato

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Esclusa l’ipotesi del danneggiamento aggravato se il proprietario è vicino all’auto mentre il vandalo la danneggia.

Le applicazioni del diritto a volte possono dare luogo a risultati aberranti. Come in questo caso. Tirare tassi contro un’auto non è reato se il proprietario è nelle dirette vicinanze del mezzo. Si tratta infatti di un danneggiamento che rientra tra le condotte di recente depenalizzate. È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza di ieri [1]. Cerchiamo di capire sulla base di quali principi la Corte è giunta a questo principio e cosa rischieranno, da oggi in poi, i proprietari di macchine lasciate parcheggiate sulla strada o sul cortile del condominio.

Il danneggiamento non è più reato

Dall’anno scorso il danneggiamento non è più reato. Rientra infatti tra quelle fattispecie che la legge [2] ha depenalizzato. Al posto del processo e delle conseguenti pene ci sono solo sanzioni amministrative di tipo pecuniario: da euro 100 a euro 8mila.

Il danneggiamento resta però reato se “aggravato”. L’aggravante scatta quando il bene viene «esposto alla pubblica fede» ossia quando l’oggetto è lasciato senza una custodia continua, come nel caso in cui l’auto sia stata parcheggiata sul ciglio della strada pubblica. Si punisce il fatto di aver violato una consuetudine sociale: quella di far affidamento nel rispetto dei beni altrui. Pertanto l’atto vandalico compiuto ai danni di un’automobile parcheggiata a bordo del marciapiedi (o in un’area di sosta pubblica) continua a rimanere punito penalmente (si pensi al caso di chi riga lo sportello con una chiave o buca le ruote).

Se il proprietario è nei paraggi o dentro l’auto

Secondo il ragionamento della Cassazione, quando il proprietario dell’auto è nei paraggi o dentro l’abitacolo, il bene non può più dirsi «esposto alla pubblica fede»; al contrario esso rimane sotto la custodia del titolare. Non scatta quindi l’aggravante e il comportamento rientra nelle ipotesi depenalizzate.

In altre parole, la possibilità di esercitare un controllo sulla propria macchina fa sì che chi tira sassi contro l’auto in presenza proprietario non commette reato, ma solo un illecito amministrativo.

A tirarsi la zappata sul piede è proprio il danneggiato che, nel denunciare alla polizia l’episodio, dichiara di aver visto il gesto. Ciò significa, osservano i giudici della Cassazione, che questi «era presente al momento dei fatti, avendo in custodia la propria automobile ». Viene meno, di conseguenza, l’ipotesi della «maggiore tutela accordata alle cose esposte alla pubblica fede», come le automobili.

Una volta escluso questo elemento, può essere applicata la depenalizzazione e il colpevole non subisce alcun processo né può essere denunciato.

Ricordiamo che in passato la Cassazione ha detto che l’aggravante è configurabile anche in caso di sorveglianza saltuaria (si pensi al caso del proprietario del negozio fronte strada che, di tanto in tanto, controlla che nessuno tocchi la propria auto.

note

[1] Cass. sent. n. 46585/17 dell’11.10.2017.

[2] D.lgs. n. 7/2016.

Permesso retribuito dal lavoro per curare il cane o il gatto

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Il lavoratore ha diritto a prendere un permesso retribuito per portare l’animale dal veterinario.

Gli animali non hanno meno diritto dell’uomo ad essere curati. Anzi, così come  con i minori e gli incapaci, chi è tenuto a prendersene cura è responsabile penalmente se li lascia in condizioni di abbandono. Ecco perché chi vive da solo deve avere la possibilità di prendersi un permesso retribuito dal lavoro per curare il cane o il gatto, ossia per portarlo dal veterinario e apprestargli i dovuti soccorsi medici.

Una affermazione del genere farà sicuramente storcere il naso: quand’è stata l’ultima volta in cui hai preso un giorno di malattia e, oltre a inviare il certificato medico, sei stato sottoposto alla visita fiscale, per poi tornare, al lavoro, con una mola di arretrato da smaltire? I controlli del datore di lavoro sono spesso oppressivi e denotano completa sfiducia. Figuriamoci se il giorno di assenza, per giunta a spese dell’azienda, dovesse essere chiesto per le cure di un animale domestico. Eppure è così: al dipendente va riconosciuto il permesso retribuito per per curare il cane o il gatto. È già successo a Roma, dove una dipendente dell’Università La Sapienza, che viveva da sola, ha ottenuto di assentarsi dal lavoro per due giorni perchè l’animale domestico necessitava di un intervento medico veterinario urgente e indifferibile alla laringe e poi andava accudito.

Chi non cura l’animale domestico ne risponde penalmente

I contratti collettivi, in questo, sono elastici e offrono un appiglio interpretativo: laddove consentono la possibilità di assentarsi per «grave motivo familiare e personale» di fatto estendono il diritto a tutta una serie di ipotesi che, seppur non elencate in modo esplicito, consentono di collegare il permesso anche a situazioni come quella dell’assistenza all’animale malato.

Bisognerà però dimostrare, con carte alla mano, che il lavoratore vive da solo e, quindi, non ha possibilità di delegare l’incombenza ad altri familiari; dall’altro lato servirà il certificato veterinario che dichiari la malattia dell’animale, certificato che, eventualmente, può anche essere presentato dopo la visita.

È la stessa Cassazione, del resto, a stabilire che «la non cura di un animale di proprietà integra, secondo la Cassazione, il reato di maltrattamento degli animali previsto dal codice penale». C’è poi il reato di abbandono di animale, come previsto sempre dal codice penale, spiega una nota della Lav. «È evidente, quindi, che non poter prestare, far prestare da un medico veterinario cure o accertamenti indifferibili all’animale, come in questo caso, rappresentava chiaramente un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora vive da sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane».

Sulle pagine del Sole 24Ore, il Presidente della Lav ha così dichiarato: «D’ora in avanti, con le dovute certificazioni medico-veterinarie, chi si troverà nella stessa situazione potrà citare questo importante precedente. Un altro significativo passo in avanti che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia».

Chissà ora se l’Inps, attrezzandosi alla mutata sensibilità sociale, si doterà anche di veterinari per fare la visita fiscale al cane o al gatto…

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