Autovelox, multe e segnaletica: novità

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Distanza del cartello con l’avviso preventivo, segnaletica stradale, obbligo di taratura e di visibilità della postazione della polizia: come cambia l’autovelox dopo la direttiva Minniti.

Autovelox, multe e segnaletica: novità

Stai percorrendo la strada statale quando d’un tratto ti accorgi che, sul ciglio della strada, c’è una pattuglia della polizia con l’autovelox. D’improvviso freni e rallenti, ma non sei sicuro di aver fatto in tempo per evitare lo scatto della fotografia. Ti sorge peraltro il sospetto che l’autovelox non fosse segnalato dal preventivo cartello con la segnaletica che avvisa gli automobilisti del possibile «controllo elettronico della velocità». Non in ultimo ti chiedi se, pur avendo evitato l’autovelox, l’improvvisa frenata possa essere, da un lato, un comportamento sanzionabile e, dall’altro, la dimostrazione che, prima dell’apparecchio, avessi superato i limiti della velocità. Insomma, tutte queste cose non ti fanno vivere bene il resto del viaggio. Ad alcune di queste domande, però, ha dato di recente risposta la Cassazione con una serie di sentenze che si occupano, proprio, dell’autovelox, multe e segnaletica. Cerchiamo dunque di dare una risposta alle domande più frequenti tenendo conto delle ultime novità.

 

Autovelox: il cartello con l’avviso ci deve sempre essere?

Come imposto questa estate dalla direttiva Minniti, l’autovelox deve essere sempre previamente segnalato.

Nel caso di autovelox montato sulle auto della polizia (cosiddetto Scout Speed) vi sono sentenze di segno contrastante: alcune sostengono che anche l’autovelox in movimento debba essere presegnalato; altre invece ritengono il contrario.

In passato la Cassazione ha detto [1] che è necessario ripetere la segnalazione con l’avviso dell’autovelox a beneficio di chi, da una strada secondaria, si immette su una principale se il cartello era prima dell’intersezione. Oggi la Corte ha parzialmente rivisto l’interpretazione [2 3]: non assume alcun rilevo la mancata ripetizione della segnalazione di divieto dopo ciascuna intersezione per gli automobilisti che proseguono lungo la medesima strada.

Nel caso in cui l’autovelox non viene impiegato stabilmente sul tratto di strada in questione, oltre alla segnaletica fissa, la polizia deve predisporre anche un ulteriore segnale mobile, con il simbolo della polizia o equivalente, per segnalare la presenza del controllo elettronico della velocità. Infatti, secondo la direttiva Minniti, vanno smontati dai lati della strada tutti quei cartelli di preavviso autovelox, peraltro spesso vecchi e con caratteristiche grafiche non regolamentari, in luoghi dove in realtà non vengono effettuati controlli.

Quanti chilometri dopo il cartello deve trovarsi l’autovelox?

La Cassazione ha risposto in modo diverso a seconda che si tratti della distanza minima e massima.

Distanza minima tra autovelox e cartello

Non esiste una distanza minima prestabilita tra il cartello con l’avviso preventivo dell’autovelox e la postazione. La Cassazione ha stabilito [3] solo l’obbligo della loro istallazione con «adeguato anticipo» rispetto al luogo del rilevamento della velocità, in modo da garantirne il tempestivo avvistamento; ne consegue che la distanza tra segnali stradali o dispositivi luminosi e la postazione di rilevamento deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi.

Distanza massima tra autovelox e cartello

L’autovelox non deve trovarsi oltre 4 km dal cartello [2]. Superato tale limite il cartello va ripetuto.

Come deve essere l’autovelox a norma?

Come confermato questa estate dalla direttiva Minniti, l’autovelox deve essere omologato e tarato. L’omologazione avviene all’atto del rilascio dell’apparecchio ed è eseguita una sola volta. La taratura invece deve essere effettuata almeno una volta all’anno (o a distanza superiore se previsto nel libretto di istruzioni dell’apparecchio).

Alla taratura segue la verifica di funzionalità (integrità e buon funzionamento dell’apparecchio), che poi va eseguita anche dall’organo di polizia prima dell’uso su strada e quasi sempre si limita a un’autodiagnosi dello strumento, che se rileva problemi li segnala o si mette automaticamente fuori servizio. Il poliziotto non è tenuto a redigere un verbale prima dell’inizio delle operazioni, ma se lo fa deve riportare sulla multa di aver preliminarmente eseguito il controllo del funzionamento dell’autovelox.

Gli autovelox che fotografano le auto in entrambe le corsie della strada, devono essere segnalati in tutte le direzioni di marcia.

Autovelox poco visibile: che succede?

Secondo la direttiva Minniti, le postazioni con autovelox automatici, senza cioè la presenza dell’agente, devono essere rese ben visibili con la collocazione su di esse, o nelle immediate vicinanze, di un segnale di indicazione riportante il simbolo dell’organo di polizia o una breve iscrizione del corpo o servizio di polizia operante se non riconoscibile con uno specifico simbolo.

Invece, le postazioni di controllo temporanee con la presenza della polizia, devono essere rese ben visibili grazie alla presenza di personale in uniforme o ricorrendo, ove possibile, all’impiego di auto della polizia di servizio con colori istituzionali o con l’utilizzo di un segnale di indicazione riportante il simbolo dell’organo.

Spetta all’automobilista dimostrare che l’autovelox non era visibile o che non era visibile il cartello con l’avviso del controllo elettronico della velocità [4].

A che velocità scatta l’autovelox?

Per legge l’autovelox deve considerare sempre una tolleranza del 5% rispetto al limite di velocità, approssimato per eccesso. La tolleranza non può scendere mai al di sotto comunque di 5 km/h. Pertanto

  • se in una strada vi è un limite di velocità di 110 km/h, l’autovelox può scattare la foto solo nel momento in cui l’automobile supera 117 km/h (ossia 110 km + 5%= 115,5%, approssimato per eccesso 116 km/h);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 50 km/h, l’autovelox può scattare la foto solo nel momento in cui l’automobilista supera 55 km/h: in questo caso, infatti, poiché il 5% di 50 è 2,5, si applica la seconda regola (sopra richiamata) secondo cui la tolleranza non può mai scendere al di sotto di 5 km/h);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 90 km/h, l’autovelox scatta al superamento di 95 km/h (anche in questo caso, infatti, il 5% di 90 è inferire a 5, essendo pari infatti a 4,5);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 100 km/h, l’autovelox scatta da 105 km/h in su (ossia 100 + 5%);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 130 km/h, l’autovelox scatta a partire da 138 km/h (ossia 130 + 5%= 136,5 che, approssimato per eccesso, fa 137 km/h).

Che succede se freno improvvisamente prima dell’autovelox?

La polizia può sanzionare le auto per eccesso di velocità non solo in base alle foto dell’autovelox ma anche sulla scorta di proprie valutazioni personali come, ad esempio, un’improvvisa frenata. Peraltro la frenata brusca può essere considerata una «guida pericolosa», passibile di per sé di contravvenzione. Quindi, il fatto di bloccare all’improvviso l’auto per evitare la fotografia dell’autovelox non mette il conducente al riparo dalla multa.

note

[1] Cass. sent. n. 680/2011.

[2] Cass. sent. n. 7949/2017

[3] Cass. sent. n. 9770/2016.

[4] Cass. sent. n. 23566/2017.

Bonus verde per balconi, giardini e terrazzi: come funziona

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Per chi ama piante e fiori, il 2018 è l’anno del pollice verde. Il giardinaggio viene infatti incentivato grazie al nuovo «bonus verde per giardini e terrazzi privati». Bonus verde per balconi, giardini e terrazzi: come funziona A prevederlo è la legge di bilancio 2018. Si tratta, in pratica, di una detrazione fiscale per le spese eseguite in favore del verde urbano. Per l’operazione, lo Stato ha accantonato ben 600 milioni di euro. A beneficiarne non saranno solo i proprietari di ville e villette con un giardino, ma anche i normali condomini che intendono trasformare balconi e terrazzi in piccoli angoli di natura. Vediamo dunque come funziona il bonus verde per balconi, giardini e terrazzi privati.

Bonus giardini e terrazzi privati

Come avevamo già spiegato nell’articolo Arriva il bonus per giardini e terrazzi privati, la legge di Bilancio prevede una detrazione del 36% sulle spese dedicate a giardini, terrazzi, balconi. Gli interventi riguarderanno soprattutto ville, villini e palazzi di pregio ma anche normali condomini. L’importo massimo di spesa consentito in un anno per usufruire del bonus è di 5mila euro. Pertanto, tutte le spese superiori a tale soglia, non godranno del bonus. Il che significa che lo sconto massimo sulle tasse consentito dalla norma sarà di 1.800 euro. Tanto per fare un esempio, su una spesa di 3mila euro la detrazione è pari a 1.080 euro (36% di 3mila) mentre su una spesa di 5mila o più, il vantaggio resta fermo a 1.800 euro. Il limite di 5mila euro però non è calcolato sulla persona del contribuente ma sull’immobile. Quindi una persona con due case potrà usufruire due volte del bonus per un totale di spesa di 10mila euro e quindi una detrazione di 3.600 euro complessivi tra i due immobili.

Le spese dovranno ovviamente essere documentate e dovranno passare da “bonifici speciali”. La detrazione viene ripartita in 10 quote annuali.

Il nuovo bonus verde per balconi, giardini e terrazzi va ad integrare le detrazioni attualmente esistenti (50% e 65%) le quali coprono solo gli interventi sugli edifici ma non il verde urbano. Ecco perché il nuovo sconto viene destinato anche alla sistemazione a verde «di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni»: si tratta, in particolare, di terrazzibalconi e giardini condominiali. Ma anche giardini pensili e coperture, messa a dimora di piante e arbusti.

La detrazione spetterà anche per le spese condominiali: anche in questo caso si applica il tetto massimo di 5mila euro per unità.

Il bonus copre anche le spese di progettazione e manutenzione connesse all’esecuzione degli interventi.

Ecobonus del 65%

La legge di Bilancio 2018 conferma l’ecobonus. La detrazione resta ferma al 65% e viene prorogata fino al 31 dicembre del 2018 comprendendo gli investimenti di efficientamento energetico di singole unità immobiliari. Resta ferma anche la detrazione del 50% per le ristrutturazioni. Ci sarà una revisione della struttura delle aliquote. Alcune tipologie di investimento, cioè, transitano dal 65 al 50%: sostituzione di infissi e schermature, ma anche caldaie a condensazione e a biomasse.

Pagamento pensione inps in caso di decesso

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Sebbene la morte di una persona sia un evento sempre doloroso, soprattutto quando si tratti di un membro della propria famiglia, è opportuno occuparsi di una serie di vicende giuridiche che seguono al decesso. Tra le principali vi sono quelle inerenti alla pensione che, in vita, veniva percepita. Approfondiamo l’argomento, soffermandoci sul pagamento della pensione Inps in caso di decesso.

La pensione Inps

In caso di morte del pensionato, occorre dare notizia dell’evento all’ente previdenziale: in questo caso, all’Inps. Normalmente, la comunicazione è telematica e viene fatta direttamente dal medico che ha accertato il decesso; in caso contrario, è opportuno che siano i familiari ad inoltrare un avviso all’ente. L’Inps provvederà ad interrompere l’erogazione della prestazione, salvo il diritto alla pensione di reversibilità.

La pensione di reversibilità

È una prestazione che spetta ai familiari del pensionato (o del lavoratore) deceduto. Essa tocca innanzitutto al coniuge o all’ex coniuge, in quest’ultimo caso purché il defunto risulti iscritto all’Inps prima della sentenza di separazione; se il coniuge è separato con addebito, spetta solamente se dalla sentenza di separazione risulti beneficiario di assegno alimentare. La pensione di reversibilità compete altresì al coniuge divorziato, se è titolare di assegno di divorzio e non ha contratto nuovo matrimonio, purché il defunto risulti iscritto all’Ente previdenziale prima della sentenza di divorzio. Nel caso in cui il coniuge deceduto abbia contratto un nuovo matrimonio, la percentuale di ripartizione dell’ unica quota di reversibilità tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato è stabilita dall’autorità giudiziaria con sentenza. Normalmente il giudice tiene conto della rispettiva durata dei matrimoni per determinarsi a riguardo. In subordine, cioè quando non vi sia il coniuge, la pensione di reversibilità spetta: ai figli che non hanno ancora raggiunto la maggiore età oppure a quelli che ancora studiano ma non hanno più di 26 anni, oppure a quelli inabili, ovvero con disabilità fisiche o mentali; ainipoti a carico del nonno defunto; ai fratelli e alle sorelle celibi/nubili e inabili, sempre se erano a carico della persona defunta.

L’importo della pensione di reversibilità non è identico a quello della pensione percepita in vita dall’originario titolare. Nel caso del coniuge, spetta un  importo in misura pari al 60% dell’assegno che percepiva il pensionato; se il beneficiario è il figlio, la misura è del 70%;  se è il coniuge con un figlio a carico oppure sono due figli senza coniuge è dell’80%; è del 100% per il coniuge con 2 figli o più a carico. La pensione verrà erogata a partire dal primo giorno del mese successivo al decesso del pensionato.

Si badi che gli assegni concessi a titolo d’invalidità civile non sono reversibili ai superstiti, poiché si tratta di prestazioni assistenziali. Lo stesso dicasi per l’indennità di accompagnamento. Gli eredi hanno diritto solamente alle quote già maturate in vita dal beneficiario ma non ancora elargite.

Gli arretrati

Ogni arretrato spettante al defunto deve essere liquidato agli eredi; ciò vale anche per le prestazioni erogate dall’Inps. Nelle ipotesi di ratei arretrati di pensioni dirette, come quella di vecchiaia, di anzianità o anticipata, la liquidazione viene fatta dall’Inps, in favore del coniuge o dei figli, senza necessità che sia presentata la dichiarazione di successione. Gli altri eredi, invece, hanno diritto agli arretrati in virtù della successione, poiché facenti parte del patrimonio del defunto; in questo caso dovranno presentare un’apposita domanda, in quanto non esiste, per loro, la previsione della liquidazione automatica da parte dell’Inps.

Chi incassa la pensione del defunto commette reato

Come detto nel primo paragrafo, il decesso del pensionato va comunicato immediatamente all’Inps. Nel caso in cui l’ente non ne abbia avuto conoscenza (ad esempio, per dimenticanza del medico che ha accertato il decesso), colui che continua ad incassare la pensione del defunto incorre nel reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato [1]. Secondo la Corte di Cassazione [2], integra la fattispecie criminosa di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato il comportamento di chi incassa la pensione di pertinenza di soggetto deceduto, conseguita dal cointestatario del medesimo conto corrente su cui confluivano i ratei della pensione, che ometta di comunicare all’Ente previdenziale il decesso del pensionato.

note

[1] Art. 316-ter cod. pen.

[2] Cass. sent. n. 48820/2013.

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