Si possono fotografare le vetrine dei negozi?

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Scattare foto, con il cellulare o altro mezzo, in un ristorante, un bar o un negozio integra reato; non però se la foto viene scattata alla vetrina.

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Un negozio ha messo in vetrina un capo di abbigliamento che ti piace: lo vorresti far vedere alle tue amiche in modo da avere il loro consiglio e decidere se comprarlo o meno. Così prendi il cellulare e ti posizioni in modo da scattare una bella foto. L’immagine, peraltro, ti servirà anche per confrontare il vestito e il prezzo praticato dal commerciante con gli altri negozi che hai intenzione di perlustrare in giornata, in modo da fare una scelta assennata. Senonché dall’emporio esce un tale con la faccia seccata che ti blocca: «È vietato fotografare la vetrina del negozio» ti dice. La cosa ti sembra però assurda. A te sembra proprio il contrario: ciò che è esposto al pubblico non può essere sottoposto a restrizioni o a privacy visto che è già alla mercé di tutti, al pari delle facciate dei palazzi. Sempre col cellulare in mano, passi dall’app delle foto al browser di internet e cerchi su Google: si possono fotografare le vetrine dei negozi? Il motore di ricerca ti ha così portato a questo articolo. Nel volerti dare una risposta pratica in tempi brevi e con semplicità, cerchiamo di vedere cosa prevede la legge in proposito. Il muro perimetrale di un edificio è infatti esposto al pubblico e non può certo essere coperto dalla privacy proprio perché fa parte del contesto urbano e da esso è ineliminabile. Sarebbe assurdo fare una foto al centro storico di una città eliminando però tutti gli edifici privati. Chiaramente la foto non potrà contenere riferimenti a persone o alla loro vita privata; si immagini il caso di un condomino che, in quel momento, si trova affacciato dal balcone in pigiama.

La questione se sia possibile fotografare le vetrine dei negozi può essere affrontata non solo sotto il profilo della tutela della riservatezza – tutela che, come abbiamo appena visto, non può essere invocata dal commerciante – ma anche dal punto di vista del diritto d’autore. La creazione di una vetrina è spesso una composizione artistica, creata da tecnici specializzati in allestimento dei negozi, marketing e comunicazione al pubblico. Anche in questo caso, però, la legge non prevede alcuna tutela per le vetrine e, quindi, non c’è alcun divieto di fotografarle.

L’unico caso in cui fotografare una vetrina può essere vietato è quando l’immagine viene utilizzata per scopi illeciti come nel caso di concorrenza sleale: si pensi al rivale del negozio accanto che tenta di copiare la vetrina altrui o a chi pubblica lo scatto sul proprio sito internet di e-commerce facendo credere che si tratti del proprio punto vendita.

Diverso è il discorso in cui la fotografia viene scattata all’interno del negozio. Qui siamo già nell’ambito della proprietà privata e il titolare è ben libero di imporre le proprie regole cui i clienti dovranno attenersi. Secondo la Cassazione, scattare foto a una persona all’interno di un negozio integra reato [1].

Il dubbio potrebbe porsi, infine, per un centro commerciale chiuso. La struttura è privata, ma all’interno di essa, vi sono le vetrine. A dover imporre il divieto di fotografare i negozi è quindi non già il commerciante, ma il titolare del centro commerciale, imponendo appositi divieti con cartelli ben in mostra.

note

[1] Cass. sent. n. 10444/2005.

Cartelle esattoriali: il Governo resuscita i debiti estinti

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Sembra un incubo quello che sta per abbattersi su gran parte dei contribuenti e, in particolar modo, su quelli che hanno ricevuto, negli anni passati, almeno una cartella esattoriale di Equitalia. Nella bozza della legge di bilancio, in via di approvazione, è contenuta una norma volta a resuscitare tutti i debiti con l’Agente della Riscossione benché ormai prescritti e, quindi, estinti. In buona sostanza, la nuova disposizione ridefinisce, in via retroattiva, la prescrizione di tutte le cartelle di pagamento, elevandola sempre a dieci anni, anche per i tributi che, per legge, hanno un termine di scadenza più breve. In questo modo i termini di prescrizione delle cartelle relative a multe stradali, Imu, Tasi, bollo auto, contributi Inps e Inail, imposta sui rifiuti vengono tutti raddoppiati (per il bollo auto il termine è addirittura triplicato). Il tutto per concedere l’ulteriore privilegio al nuovo esattore in fase di riscossione: pignoramenti, ipoteche e fermi auto potranno estendersi anche ai debiti che ormai i contribuenti avevano ritenuto morti e sepolti. Il paradosso è che, se la norma non verrà modificata, chi non ha fatto richiesta di rottamazione delle vecchie cartelle perché le riteneva ormai prescritte, e quindi non dovute, si vedrà ora pignorare ugualmente la casa, lo stipendio o la pensione posto che quel debito verrà automaticamente resuscitato. Cerchiamo di capire meglio cosa sta succedendo e perché la disposizione è da considerare un vero e proprio attacco alla democrazia.

Chi credeva di non dover più nulla allo Stato si sbagliava…

Per diversi anni, Equitalia ha sostenuto, nelle proprie difese in tribunale, una tesi ritenuta però errata da gran parte dei giudici. Secondo l’ex esattore, le cartelle di pagamento, se non contestate nei 60 giorni dalla notifica, sarebbero da considerarsi al pari di sentenze definitive. Ebbene, per le sentenze «passate in giudicato» (questo il termine tecnico) la prescrizione è sempre di 10 anni; quindi tale sarebbe anche la prescrizione per le cartelle non impugnate. In verità la Cassazione, da ultimo con una sentenza delle Sezioni Unite di novembre scorso [1], ha detto l’esatto contrario: le cartelle, anche se non più contestabili (per decorso dei 60 giorni), restano atti amministrativi e la prescrizione è quella tipica del tributo stabilita dalla legge speciale. Ad esempio, per le cartelle del bollo auto la prescrizione è di 3 anni, quelle per Imu, Tasi, multe stradali, contributi Inps e Inail di 5 anni; Iva e Irpef di 10 anni.

Ora però nella legge di Bilancio è stata inserita una norma “di interpretazione autentica” che ha effetti retroattivi. Secondo il testo (che riportiamo qui in nota [2]), la cartella di pagamento non contestata si prescrive sempre in 10 anni a prescindere dal tipo di importo richiesto. Questo per i ruoli fino al 31 dicembre 2017; invece per quelli a partire dal 1° gennaio 2018 varrà di nuovo la sentenza delle Sezioni Unite e quindi la prescrizione torna ad essere quella tipica di ciascun tributo. Con buona pace di quanto hanno detto le Sezioni Unite della Cassazione.

Qual è l’incredibile conseguenza di tale disposizione? Che chi riteneva di essere ormai libero dai debiti per intervenuta prescrizione – e magari proprio per questo non ha presentato domanda di rottamazione – si troverà invece di nuovo lo spettro del pignoramento. Né ci sarà per lui la possibilità di chiedere la rimessione in termini nell’istanza di definizione agevolata dei ruoli, essendo ormai scaduti i termini. Insomma, il Governo vuol far tornare debitori migliaia di italiani.

note

[1] Cass. S.U. sent. n. 23395/16.

[2] Alla pag. 22 della bozza della finanziaria c’è testualmente scritto: «6. Gli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si interpretano nel senso che il diritto alla riscossione dei carichi affidati all’agente della riscossione si prescrive con il decorso di dieci anni, quando riguardo ad essi è stata notificata e non opposta nei termini la cartella di pagamento ovvero uno degli atti di cui agli articoli 29, comma 1, lettera a), e 30, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e all’articolo 9, comma 3-bis, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44.

7. Per i titoli resi esecutivi dal 1° gennaio 2018 il diritto alla riscossione di cui al comma 6 si prescrive con il decorso del termine stabilito dalla legge per la prescrizione di ciascuno dei relativi diritti di credito. …».

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