Il tempo non sana l’abuso edilizio

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Nessuna sanatoria se l’immobile con l’abuso viene venduto e passa di proprietà: anche dopo molti anni l’ordine di demolizione non va motivato.

Hai fatto una piccola modifica al giardino, costruendo una tettoia per riparare le auto dalla pioggia, ma non hai mai chiesto il permesso di costruire al Comune. Una parte del terrazzo è stata coperta per ricavarne una piccola veranda ma senza alcuna licenza edilizia. In casa c’è un soppalco adibito a salottino, anch’esso abusivo. Sono passati molti anni da quando le modifiche sono state effettuate e nessuno ti ha mai detto nulla, né è arrivata la polizia per i controlli. Peraltro, a eseguire alcune di queste opere sono stati i precedenti proprietari di casa e tu non ne hai alcuna colpa; anzi, avendo acquistato l’appartamento in queste condizioni, ritieni che ormai siano state tacitamente sanate. È davvero così? La risposta è negativa ed a darla è stata una recente sentenza del Consiglio di Stato in seduta plenaria [1]. Secondo i giudici amministrativi il tempo non sana l’abuso edilizio. Ma procediamo con ordine e vediamo meglio cosa significa.

Bisogna tenere distinto il reato di abuso edilizio e le pene che dalla condanna derivano dalle sanzioni di carattere amministrativo che esso comporta, sanzioni consistenti nell’ordine di demolizione. Tanto il processo penale, tanto la demolizione si salvano solo se viene richiesta la sanatoria (l’istanza va presentata prima, ovviamente, dell’avvio delle indagini). La sanatoria può essere concessa solo se la costruzione è conforme al piano regolatore in vigore al momento dell’esecuzione dei lavori e (se nel frattempo modificato) della presentazione della domanda. Sul punto leggi Come sanare immobile abusivo.

In assenza di sanatoria, il reato di abuso edilizio si prescrive dopo quattro anni (cinque se interviene un rinvio a giudizio). Ciò che invece non cade mai in prescrizione è l’ordine di demolizione. Questo può essere impartito anche a distanza di numerosi anni. Secondo infatti il Consiglio di Stato, il lungo tempo trascorso dalla commissione dell’illecito non esclude la repressione dell’illecito. Non conta se, nel frattempo, il proprietario abbia confidato nel perdono. Quindi è legittima un’ordinanza di demolizione anche dopo 30 anni dalla realizzazione della costruzione abusiva (tale è stato il caso deciso nella sentenza in commento).

Non è tutto. L’ordine di demolizione dell’abuso edilizio non deve essere necessariamente motivato, neanche se la costruzione irregolare risale a parecchio tempo prima. Anche se alcune pronunce hanno sposato in passato l’interpretazione opposta (secondo cui il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione ingenera una posizione di affidamento nel privato che obbliga la Pa a spiegare perché il pubblico interesse giustifica il sacrificio del contrapposto interesse privato) si tratta di una tesi minoritaria. La tesi prevalente – sposata ora dalla Seduta Plenaria del Consiglio di Stato – è di opposto avviso. Non è, quindi, in alcun modo concepibile l’idea stessa di collegare una tacita e automatica sanatoria nell’ordine di demolizione al trascorrere del tempo e all’inerzia dell’amministrazione. Ciò legittimerebbe i comportamenti abusivi dei privati che, quindi, confidando magari nella non visibilità dell’abuso o nell’assenza di controlli, potrebbero essere indotti a commettere illeciti edilizi. Invece, non vi sono termini per tutelare il paesaggio e il territorio, trattandosi di un bene comune il cui interesse “non cade mai in prescrizione”.

Risultato: anche se l’abuso edilizio è stato realizzato molti anni prima da un diverso proprietario dell’immobile, se anche il nuovo non subisce alcuna responsabilità di carattere penale (un po’ perché il reato è stato commesso dall’autore dell’illecito, un po’ perché il tempo lo ha fatto cadere in prescrizione) resta comunque tenuto alla demolizione. Salvo che, nel frattempo, non abbia chiesto ed ottenuto la sanatoria.

note

[1] Const. Stato sent. n. 9 del 17.10.2017.

Beppe Grillo scrive agli italiani: “Non abbiamo più tempo, dobbiamo mandarli a casa”

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“L’Italia deve diventare una comunità, nessuno deve essere lasciato indietro.
E’ intollerabile, inumano, vedere le file di esodati, sfrattati, disoccupati alle mense della Caritas mentre chi ha sprofondato il Paese nella miseria si muove con la scorta, l’auto blu, senza alcuna preoccupazione economica. I partiti sono i primi responsabili di questa situazione, hanno occupato lo Stato, lo hanno svenduto, spolpato da dentro. Ora, queste persone si presentano, grazie ai giornali e alle televisioni che controllano, come i salvatori della patria, proprio loro che l’hanno affossata, usata per i loro interessi.
L’Italia ha le tasse tra le più alte del mondo, uno dei maggiori debiti pubblici, un tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, che ha fatto emigrare in pochi anni un milione e mezzo di ragazzi italiani, diplomati, laureati con il sacrificio dei loro genitori.
E’ ora di dire basta, questa commedia deve finire o finirà il Paese. Non abbiamo più tempo, dobbiamo mandarli tutti a casa. Tutti coloro che fanno parte di questo marcio sistema, devono andarsene, sparire, ma prima devono giustificare il loro eventuale arricchimento. Io non chiedo il tuo voto, non mi interessa il tuo voto senza la tua partecipazione alla cosa pubblica, il tuo coinvolgimento diretto, se il tuo voto per il M5S è una semplice delega a qualcuno che decida al tuo posto, non votarci. Questo Paese lo possiamo cambiare solo insieme, non c’è alternativa. Usciamo dal buio e torniamo a rivedere le stelle. Lo Stato deve proteggere i cittadini o non è uno Stato, per questo va istituito il reddito di cittadinanza. Io sono Stato, tu sei Stato, noi siamo Stato. Riprendiamoci l’Italia.”Beppe Grillo
20 punti per uscire dal buio:
    1. Reddito di cittadinanza
    2. Misure immediate per il rilancio della piccola e media impresa
    3. Legge anticorruzione
    4. Informatizzazione e semplificazione dello Stato
    5. Abolizione dei contributi pubblici ai partiti
    6. Istituzione di un “politometro” per verificare arricchimenti illeciti dei politici negli ultimi 20 anni
    7. Referendum propositivo e senza quorum
    8. Referendum sulla permanenza nell’euro
    9. Obbligo di discussione di ogni legge di iniziativa popolare in Parlamento con voto palese
    10. Una sola rete televisiva pubblica,senza pubblicità, indipendente dai partiti
    11. Elezione diretta dei parlamentari alla Camera e al Senato
    12. Massimo di due mandati elettivi
    13. Legge sul conflitto di interessi
    14. Ripristino dei fondi tagliati alla Sanità e alla Scuola pubblica
    15. Abolizione dei finanziamenti diretti e indiretti ai giornali
    16. Accesso gratuito alla Rete per cittadinanza
    17. Abolizione dell’IMU sulla prima casa
    18. Non pignorabilità della prima casa
    19. Eliminazione delle province
    20. Abolizione di Equitalia

Il governo salva nominati e corrotti del fisco

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di Riccardo Fraccaro

Ciao a tutti. Vi chiedo un minuto del vostro tempo. Dovete sapere quello che sta accadendo in Parlamento perché riguarda le vostre tasche. I vostri soldi. Vi faccio una domanda: chi è che controlla le vostre dichiarazioni dei redditi? Chi è che vi può mandare un accertamento o una cartella esattoriale? Semplice, l’agenzia delle entrate.
Ebbene, nelle agenzie fiscali (cioè dogane ed agenzia delle entrate) ci sono circa 800 dirigenti illegittimi, ex funzionari che non hanno vinto un concorso per entrare nella dirigenza come prevede la costituzione ma sono stati nominati. Così i partiti hanno creato un sistema di clientele e di favoritismi.
Nel 2015 però la corte costituzionale ha stabilito l’illegittimità di queste nomine e l’obbligo di fare dei concorsi pubblici e questo è un problema per i partiti ci governano e ci hanno governato perché perdono il loro potere di ricatto su noi cittadini.

Ma non è finita: grazie al MoVimento si è scoperto che nelle agenzie fiscali ci sono 340 indagati per vari reati, principalmente contro il patrimonio (furto, rapina, estorsione ecc.) Quindi abbiamo dirigenti delle agenzie delle entrate nominati dai partiti e indagati per gravi reati come la corruzione (e poi ci chiediamo perché sono sempre i soliti a pagare le tasse).

Ora cosa sta facendo il governo? Due cose: una peggiore dell’altra

Con un decreto interministeriale firmato da Padoan e Madia, scoperto dal MoVimento, si consente di aprire i nuovi concorsi per la dirigenza di questi enti strategici a:

“coloro che abbiano riportato sentenze penali di condanna ancorché non passate in giudicato o di patteggiamento … e a dare un punteggio maggiore a chi è già in carica magari proprio perché nominato”.

Uno scandalo. Ma questa vergogna non sarebbe legittima nella pubblica amministrazione e allora ecco il secondo passaggio. Al senato stanno approvando la riforma degli enti fiscali, con la quale i partiti sostanzialmente vogliono tirar fuori l’agenzia delle entrate e delle dogane dal perimetro della pubblica amministrazione. Che oggi li obbligherebbe a reclutare la dirigenza con concorsi fatti per bene. Cercheremo di bloccare questo schifo ma vi chiediamo una mano condividete queste informazioni. Fate sentire la vostra voce
altrimenti avremo un fisco che anziché punire i veri evasori continuerà a tartassare i normali cittadini e a insabbiare le cartelle degli amici, magari di quelli che gli finanziano la campagna elettorale.

http://www.ilblogdellestelle.it/il_governo_salva_nominati_e_corrotti_del_fisco.html?utm_medium=push_notification&utm_source=rss&utm_campaign=rss_pushcrew

 

Autovelox, multe e segnaletica: novità

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Distanza del cartello con l’avviso preventivo, segnaletica stradale, obbligo di taratura e di visibilità della postazione della polizia: come cambia l’autovelox dopo la direttiva Minniti.

Autovelox, multe e segnaletica: novità

Stai percorrendo la strada statale quando d’un tratto ti accorgi che, sul ciglio della strada, c’è una pattuglia della polizia con l’autovelox. D’improvviso freni e rallenti, ma non sei sicuro di aver fatto in tempo per evitare lo scatto della fotografia. Ti sorge peraltro il sospetto che l’autovelox non fosse segnalato dal preventivo cartello con la segnaletica che avvisa gli automobilisti del possibile «controllo elettronico della velocità». Non in ultimo ti chiedi se, pur avendo evitato l’autovelox, l’improvvisa frenata possa essere, da un lato, un comportamento sanzionabile e, dall’altro, la dimostrazione che, prima dell’apparecchio, avessi superato i limiti della velocità. Insomma, tutte queste cose non ti fanno vivere bene il resto del viaggio. Ad alcune di queste domande, però, ha dato di recente risposta la Cassazione con una serie di sentenze che si occupano, proprio, dell’autovelox, multe e segnaletica. Cerchiamo dunque di dare una risposta alle domande più frequenti tenendo conto delle ultime novità.

 

Autovelox: il cartello con l’avviso ci deve sempre essere?

Come imposto questa estate dalla direttiva Minniti, l’autovelox deve essere sempre previamente segnalato.

Nel caso di autovelox montato sulle auto della polizia (cosiddetto Scout Speed) vi sono sentenze di segno contrastante: alcune sostengono che anche l’autovelox in movimento debba essere presegnalato; altre invece ritengono il contrario.

In passato la Cassazione ha detto [1] che è necessario ripetere la segnalazione con l’avviso dell’autovelox a beneficio di chi, da una strada secondaria, si immette su una principale se il cartello era prima dell’intersezione. Oggi la Corte ha parzialmente rivisto l’interpretazione [2 3]: non assume alcun rilevo la mancata ripetizione della segnalazione di divieto dopo ciascuna intersezione per gli automobilisti che proseguono lungo la medesima strada.

Nel caso in cui l’autovelox non viene impiegato stabilmente sul tratto di strada in questione, oltre alla segnaletica fissa, la polizia deve predisporre anche un ulteriore segnale mobile, con il simbolo della polizia o equivalente, per segnalare la presenza del controllo elettronico della velocità. Infatti, secondo la direttiva Minniti, vanno smontati dai lati della strada tutti quei cartelli di preavviso autovelox, peraltro spesso vecchi e con caratteristiche grafiche non regolamentari, in luoghi dove in realtà non vengono effettuati controlli.

Quanti chilometri dopo il cartello deve trovarsi l’autovelox?

La Cassazione ha risposto in modo diverso a seconda che si tratti della distanza minima e massima.

Distanza minima tra autovelox e cartello

Non esiste una distanza minima prestabilita tra il cartello con l’avviso preventivo dell’autovelox e la postazione. La Cassazione ha stabilito [3] solo l’obbligo della loro istallazione con «adeguato anticipo» rispetto al luogo del rilevamento della velocità, in modo da garantirne il tempestivo avvistamento; ne consegue che la distanza tra segnali stradali o dispositivi luminosi e la postazione di rilevamento deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi.

Distanza massima tra autovelox e cartello

L’autovelox non deve trovarsi oltre 4 km dal cartello [2]. Superato tale limite il cartello va ripetuto.

Come deve essere l’autovelox a norma?

Come confermato questa estate dalla direttiva Minniti, l’autovelox deve essere omologato e tarato. L’omologazione avviene all’atto del rilascio dell’apparecchio ed è eseguita una sola volta. La taratura invece deve essere effettuata almeno una volta all’anno (o a distanza superiore se previsto nel libretto di istruzioni dell’apparecchio).

Alla taratura segue la verifica di funzionalità (integrità e buon funzionamento dell’apparecchio), che poi va eseguita anche dall’organo di polizia prima dell’uso su strada e quasi sempre si limita a un’autodiagnosi dello strumento, che se rileva problemi li segnala o si mette automaticamente fuori servizio. Il poliziotto non è tenuto a redigere un verbale prima dell’inizio delle operazioni, ma se lo fa deve riportare sulla multa di aver preliminarmente eseguito il controllo del funzionamento dell’autovelox.

Gli autovelox che fotografano le auto in entrambe le corsie della strada, devono essere segnalati in tutte le direzioni di marcia.

Autovelox poco visibile: che succede?

Secondo la direttiva Minniti, le postazioni con autovelox automatici, senza cioè la presenza dell’agente, devono essere rese ben visibili con la collocazione su di esse, o nelle immediate vicinanze, di un segnale di indicazione riportante il simbolo dell’organo di polizia o una breve iscrizione del corpo o servizio di polizia operante se non riconoscibile con uno specifico simbolo.

Invece, le postazioni di controllo temporanee con la presenza della polizia, devono essere rese ben visibili grazie alla presenza di personale in uniforme o ricorrendo, ove possibile, all’impiego di auto della polizia di servizio con colori istituzionali o con l’utilizzo di un segnale di indicazione riportante il simbolo dell’organo.

Spetta all’automobilista dimostrare che l’autovelox non era visibile o che non era visibile il cartello con l’avviso del controllo elettronico della velocità [4].

A che velocità scatta l’autovelox?

Per legge l’autovelox deve considerare sempre una tolleranza del 5% rispetto al limite di velocità, approssimato per eccesso. La tolleranza non può scendere mai al di sotto comunque di 5 km/h. Pertanto

  • se in una strada vi è un limite di velocità di 110 km/h, l’autovelox può scattare la foto solo nel momento in cui l’automobile supera 117 km/h (ossia 110 km + 5%= 115,5%, approssimato per eccesso 116 km/h);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 50 km/h, l’autovelox può scattare la foto solo nel momento in cui l’automobilista supera 55 km/h: in questo caso, infatti, poiché il 5% di 50 è 2,5, si applica la seconda regola (sopra richiamata) secondo cui la tolleranza non può mai scendere al di sotto di 5 km/h);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 90 km/h, l’autovelox scatta al superamento di 95 km/h (anche in questo caso, infatti, il 5% di 90 è inferire a 5, essendo pari infatti a 4,5);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 100 km/h, l’autovelox scatta da 105 km/h in su (ossia 100 + 5%);
  • se in una strada vi è un limite di velocità di 130 km/h, l’autovelox scatta a partire da 138 km/h (ossia 130 + 5%= 136,5 che, approssimato per eccesso, fa 137 km/h).

Che succede se freno improvvisamente prima dell’autovelox?

La polizia può sanzionare le auto per eccesso di velocità non solo in base alle foto dell’autovelox ma anche sulla scorta di proprie valutazioni personali come, ad esempio, un’improvvisa frenata. Peraltro la frenata brusca può essere considerata una «guida pericolosa», passibile di per sé di contravvenzione. Quindi, il fatto di bloccare all’improvviso l’auto per evitare la fotografia dell’autovelox non mette il conducente al riparo dalla multa.

note

[1] Cass. sent. n. 680/2011.

[2] Cass. sent. n. 7949/2017

[3] Cass. sent. n. 9770/2016.

[4] Cass. sent. n. 23566/2017.

Bonus verde per balconi, giardini e terrazzi: come funziona

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Per chi ama piante e fiori, il 2018 è l’anno del pollice verde. Il giardinaggio viene infatti incentivato grazie al nuovo «bonus verde per giardini e terrazzi privati». Bonus verde per balconi, giardini e terrazzi: come funziona A prevederlo è la legge di bilancio 2018. Si tratta, in pratica, di una detrazione fiscale per le spese eseguite in favore del verde urbano. Per l’operazione, lo Stato ha accantonato ben 600 milioni di euro. A beneficiarne non saranno solo i proprietari di ville e villette con un giardino, ma anche i normali condomini che intendono trasformare balconi e terrazzi in piccoli angoli di natura. Vediamo dunque come funziona il bonus verde per balconi, giardini e terrazzi privati.

Bonus giardini e terrazzi privati

Come avevamo già spiegato nell’articolo Arriva il bonus per giardini e terrazzi privati, la legge di Bilancio prevede una detrazione del 36% sulle spese dedicate a giardini, terrazzi, balconi. Gli interventi riguarderanno soprattutto ville, villini e palazzi di pregio ma anche normali condomini. L’importo massimo di spesa consentito in un anno per usufruire del bonus è di 5mila euro. Pertanto, tutte le spese superiori a tale soglia, non godranno del bonus. Il che significa che lo sconto massimo sulle tasse consentito dalla norma sarà di 1.800 euro. Tanto per fare un esempio, su una spesa di 3mila euro la detrazione è pari a 1.080 euro (36% di 3mila) mentre su una spesa di 5mila o più, il vantaggio resta fermo a 1.800 euro. Il limite di 5mila euro però non è calcolato sulla persona del contribuente ma sull’immobile. Quindi una persona con due case potrà usufruire due volte del bonus per un totale di spesa di 10mila euro e quindi una detrazione di 3.600 euro complessivi tra i due immobili.

Le spese dovranno ovviamente essere documentate e dovranno passare da “bonifici speciali”. La detrazione viene ripartita in 10 quote annuali.

Il nuovo bonus verde per balconi, giardini e terrazzi va ad integrare le detrazioni attualmente esistenti (50% e 65%) le quali coprono solo gli interventi sugli edifici ma non il verde urbano. Ecco perché il nuovo sconto viene destinato anche alla sistemazione a verde «di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni»: si tratta, in particolare, di terrazzibalconi e giardini condominiali. Ma anche giardini pensili e coperture, messa a dimora di piante e arbusti.

La detrazione spetterà anche per le spese condominiali: anche in questo caso si applica il tetto massimo di 5mila euro per unità.

Il bonus copre anche le spese di progettazione e manutenzione connesse all’esecuzione degli interventi.

Ecobonus del 65%

La legge di Bilancio 2018 conferma l’ecobonus. La detrazione resta ferma al 65% e viene prorogata fino al 31 dicembre del 2018 comprendendo gli investimenti di efficientamento energetico di singole unità immobiliari. Resta ferma anche la detrazione del 50% per le ristrutturazioni. Ci sarà una revisione della struttura delle aliquote. Alcune tipologie di investimento, cioè, transitano dal 65 al 50%: sostituzione di infissi e schermature, ma anche caldaie a condensazione e a biomasse.

Pagamento pensione inps in caso di decesso

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Sebbene la morte di una persona sia un evento sempre doloroso, soprattutto quando si tratti di un membro della propria famiglia, è opportuno occuparsi di una serie di vicende giuridiche che seguono al decesso. Tra le principali vi sono quelle inerenti alla pensione che, in vita, veniva percepita. Approfondiamo l’argomento, soffermandoci sul pagamento della pensione Inps in caso di decesso.

La pensione Inps

In caso di morte del pensionato, occorre dare notizia dell’evento all’ente previdenziale: in questo caso, all’Inps. Normalmente, la comunicazione è telematica e viene fatta direttamente dal medico che ha accertato il decesso; in caso contrario, è opportuno che siano i familiari ad inoltrare un avviso all’ente. L’Inps provvederà ad interrompere l’erogazione della prestazione, salvo il diritto alla pensione di reversibilità.

La pensione di reversibilità

È una prestazione che spetta ai familiari del pensionato (o del lavoratore) deceduto. Essa tocca innanzitutto al coniuge o all’ex coniuge, in quest’ultimo caso purché il defunto risulti iscritto all’Inps prima della sentenza di separazione; se il coniuge è separato con addebito, spetta solamente se dalla sentenza di separazione risulti beneficiario di assegno alimentare. La pensione di reversibilità compete altresì al coniuge divorziato, se è titolare di assegno di divorzio e non ha contratto nuovo matrimonio, purché il defunto risulti iscritto all’Ente previdenziale prima della sentenza di divorzio. Nel caso in cui il coniuge deceduto abbia contratto un nuovo matrimonio, la percentuale di ripartizione dell’ unica quota di reversibilità tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato è stabilita dall’autorità giudiziaria con sentenza. Normalmente il giudice tiene conto della rispettiva durata dei matrimoni per determinarsi a riguardo. In subordine, cioè quando non vi sia il coniuge, la pensione di reversibilità spetta: ai figli che non hanno ancora raggiunto la maggiore età oppure a quelli che ancora studiano ma non hanno più di 26 anni, oppure a quelli inabili, ovvero con disabilità fisiche o mentali; ainipoti a carico del nonno defunto; ai fratelli e alle sorelle celibi/nubili e inabili, sempre se erano a carico della persona defunta.

L’importo della pensione di reversibilità non è identico a quello della pensione percepita in vita dall’originario titolare. Nel caso del coniuge, spetta un  importo in misura pari al 60% dell’assegno che percepiva il pensionato; se il beneficiario è il figlio, la misura è del 70%;  se è il coniuge con un figlio a carico oppure sono due figli senza coniuge è dell’80%; è del 100% per il coniuge con 2 figli o più a carico. La pensione verrà erogata a partire dal primo giorno del mese successivo al decesso del pensionato.

Si badi che gli assegni concessi a titolo d’invalidità civile non sono reversibili ai superstiti, poiché si tratta di prestazioni assistenziali. Lo stesso dicasi per l’indennità di accompagnamento. Gli eredi hanno diritto solamente alle quote già maturate in vita dal beneficiario ma non ancora elargite.

Gli arretrati

Ogni arretrato spettante al defunto deve essere liquidato agli eredi; ciò vale anche per le prestazioni erogate dall’Inps. Nelle ipotesi di ratei arretrati di pensioni dirette, come quella di vecchiaia, di anzianità o anticipata, la liquidazione viene fatta dall’Inps, in favore del coniuge o dei figli, senza necessità che sia presentata la dichiarazione di successione. Gli altri eredi, invece, hanno diritto agli arretrati in virtù della successione, poiché facenti parte del patrimonio del defunto; in questo caso dovranno presentare un’apposita domanda, in quanto non esiste, per loro, la previsione della liquidazione automatica da parte dell’Inps.

Chi incassa la pensione del defunto commette reato

Come detto nel primo paragrafo, il decesso del pensionato va comunicato immediatamente all’Inps. Nel caso in cui l’ente non ne abbia avuto conoscenza (ad esempio, per dimenticanza del medico che ha accertato il decesso), colui che continua ad incassare la pensione del defunto incorre nel reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato [1]. Secondo la Corte di Cassazione [2], integra la fattispecie criminosa di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato il comportamento di chi incassa la pensione di pertinenza di soggetto deceduto, conseguita dal cointestatario del medesimo conto corrente su cui confluivano i ratei della pensione, che ometta di comunicare all’Ente previdenziale il decesso del pensionato.

note

[1] Art. 316-ter cod. pen.

[2] Cass. sent. n. 48820/2013.

Strade ed aree aperte al pubblico: i doveri della P.A. tra proprietà ed uso

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La tipicità dei doveri connessi alla titolarità della proprietà delle strade in capo agli Enti Locali, nonché al più generale interesse pubblico negli ambiti della sicurezza e viabilità, si rinveniva già all’art. 28 dell’Allegato F della Legge n. 2248/1865 e nel successivo R.D. 2056/1923, recanti le disposizioni per la classificazione e manutenzione delle strade pubbliche, che trovano oggi compiuta regolamentazione nell’attuale testo del Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992).

Sul tema in prima istanza occorre rilevare che, mentre il diritto di uso pubblico può esser fatto valere da ciascun residente, affinchè una strada possa ritenersi di proprietà della P.A. è necessario rinvenire un atto (convenzione o provvedimento ablatorio) o un fatto (usucapione) che ne abbia trasferito il dominio all’amministrazione: non è infatti di per sé sufficiente che la strada sia destinata all’uso pubblico (Cass. 8204/2006 che richiama una costante linea interpretativa).

Tanto premesso, all’art. 14 il Codice della Strada stabilisce che “gli enti  proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della  circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”.  Significativamente nello stesso articolo si ritrova la disposizione per la quale i poteri dell’ente proprietario devono essere esercitati dal Comune per le strade vicinali di cui al precedente art. 2 comma 7. Il richiamo letterale dell’elenco vale per le strade urbane di quartiere, le strade locali e le strade comunque opportunamente sistemate per essere destinate alla circolazione di pedoni, veicoli e animali non facenti parte delle altre tipologie citate.

Per quanto riguarda la destinazione, giova peraltro ricordare che il Codice sottopone all’applicazione delle proprie previsioni tutte le “aree” a uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali. Conseguentemente, ai fini della corretta interpretazione normativa, la sede stradale risulta essere costituita tanto dalla superficie esistente entro i confini viari, quanto dalla carreggiata e dalle relative fasce di pertinenza: talché, nel concetto di area stradale vengono ricompresi banchine, golfi di fermata, isole di canalizzazione, fasce di sosta laterale, marciapiedi, parcheggi, piazzole di sosta e piste ciclabili, così come ogni altra qualsivoglia pertinenza di esercizio o di servizio, come previsto all’art. 24 del Codice.

Per quanto riguarda l’apertura all’uso pubblico in assenza di una specifica previsione o di un titolo facente capo all’ente pubblico, così come per l’eventuale mancato inserimento delle aree negli elenchi delle pubbliche vie, secondo giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (tra le tante si veda la sentenza n. 1624/2010 Sezioni Unite) e del Consiglio di Stato (sentenza n. 1240/2011), sono quattro gli elementi atti a caratterizzare, in ogni caso, la sussistenza della destinazione di uso pubblico. Innanzitutto le condizioni effettive della via ovvero il passaggio o il transito esercitato da una collettività indeterminata di persone. Inoltre la concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze di interesse generale attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, la presenza di pubblici esercizi e strutture pubbliche, nonché la sussistenza di fatti o atti giuridici idonei a fondare il diritto di uso da parte della collettività.

Tali elementi sono peraltro agevolmente identificabili, in primo luogo, proprio nell’attinenza delle caratteristiche dell’area stradale con la sopradetta classificazione di cui all’art. 2 del Codice della Strada, mentre secondo la giurisprudenza l’affermazione del diritto di uso pubblico sulle aree private (e conseguentemente non solo del diritto di transito ma anche del diritto reale minore di sosta da parte di una collettività territoriale distinta dai proprietari, a maggior ragione nel caso di pertinenze della sede stradale a uso pubblico) trova valido titolo anche nella mera protrazione dell’uso, consentito dall’ente proprietario, “da tempo immemorabile” o per il tempo sufficiente all’usucapione dello stesso.

Anche su questo punto si sono univocamente espressi Cassazione e Consiglio di Stato, nel senso di ritenere che la così detta dicatio ad patriam, consistente nel comportamento del proprietario del bene che denoti in modo univoco e continuativo la volontà di mettere l’area privata a disposizione di una comunità indeterminata di persone per soddisfarne le esigenze uti cives, sostanzi modalità concreta di costituzione dei diritti e delle servitù di pubblico uso: potendosi escludere la mera tolleranza dominicale proprio in virtù della protrazione nel tempo dell’uso, fattore che sarebbe di per sé antitetico e confliggente con l’assenza a monte di una volontà concessoria del pubblico uso (si vedano, tra le tante, Sezioni Unite Civili sentenza n. 1072/1988 e Cass. Civ. Sez. II  sentenza n. 6401/2005, Consiglio di Stato sentenza n. 3316/2007 e n. 728/2012).

Ad abbondanza, sul tema si è pronunciata anche Cassazione Penale: “le norme sulla disciplina della circolazione stradale devono trovare piena applicazione anche su strada o spiazzo privato frequentati da un numero indistinto e più o meno rilevante di persone, concretandosi in tal caso una situazione di fatto del tutto corrispondente all’uso pubblico che diventa preminente rispetto alla natura privata dello spiazzo” (Sez. IV sentenza n. 7671/1983).

In conclusione, non è tanto la proprietà della strada quella conta, quanto l’uso effettivo della stessa (Cass. Civ. Sez. IV sentenza n. 23733/2012) e sul punto vale solo la pena ricordare che sebbene le servitù di uso pubblico sottopongano i beni che ne sono gravati ai poteri di regolazione spettanti all’autorità amministrativa, tali poteri restano limitati a quelli intesi a garantire l’uso del bene da parte della collettività in conformità ai dettami del pubblico interesse. L’Amministrazione non può, invece, disporre del bene ed esercitare su di esso i poteri che le competerebbero se questo appartenesse al proprio demanio (T.A.R. Lombardia Sez. III sentenza n. 466/2011).

(Altalex, 17 settembre 2014. Articolo di Francesca Pietropaolo)

Come cercare una persona su Internet

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I classici motori di ricerca consentono di trovare informazioni su qualsiasi cosa. Proprio per questo, se vogliamo trovare informazioni specifiche su una persona non sono la soluzione ideale. Spulciare tra i tantissimi risultati può diventare un’operazione lunga e complicata e difficilmente poi si riesce a trovare quello che serve.

Ci sono però diversi siti che ci possono aiutare a cercare una persona su Internet in modo molto più semplice e veloce. Innanzitutto vanno presi in considerazione FacebookLinkedIn. Questi due social network sono alcune delle più grandi banche dati su persone. Se poi si imposta Facebook nella lingua inglese, il motore di ricerca interno diventa molto più potente.

Ma Facebook e LinkedIn non sono gli unici. Di seguito, quindi, abbiamo raccolto alcuni dei migliori motori di ricerca per trovare una persona online.

Pipl

È uno dei più grandi motori di ricerca per persone. Ha un’interfaccia semplice e moderna. Basta inserire nome, email, username o numero di telefono e avviare la ricerca. Si possono poi filtrare i risultati in base a una serie di parametri come ad esempio il paese o l’età.

PeopleSeeking

PeopleSeeking è un motore di ricerca di persone che raccoglie le informazioni pubbliche dei profili presenti sulle varie piattaforme sociali come Google+. Utile per trovare e conoscere in sicurezza le persone.

WebMii

Non è solo utile a trovare informazioni su altre persone, ma questo servizio può aiutarci anche a scoprire le informazioni che abbiamo lasciato in giro pubblicamente. Possiamo così eventualmente correggere le impostazioni sulla privacy di Facebook e così via. WebMii assegna inoltre un punteggio che misura il grado di visibilità di una persona su Internet.

Behind

Questo motore di ricercar consente di trovare qualcuno attraverso il suo indirizzo di posta elettronica. Recupera le informazioni consultato gli archivi pubblici di oltre 50 piattaforme sociali. Purtroppo per avere i risultati completi chiede il pagamento di $0,49.

Zabasearch

È un motore di ricerca per trovare persone negli Stati Uniti. Si può fare una ricerca inserendo il nome della persona interessata o anche il suo numero di telefono. Può essere utile a chi vuole avere maggiori informazioni su qualcuno con cui è entrato in contatto per lavoro o che magari ha conosciuto in qualche social network. Internet abbatte le distanze e quindi è molto probabile che si conoscano persone che si trovano dall’altra parte dell’oceano.

BeenVerified

Anche in questo caso si tratta di un motore di ricerca per persone che abitano negli Stati Uniti. Si può trovare la persona attraverso il nome, il numero di telefono, l’email o l’indirizzo di residenza.

ThatsThem

Questo sito aiuta a scovare informazioni su qualsiasi persona utilizzando nome, indirizzo, numero di telefono o email.  Anche in questo caso, però, specifico per persone che abitano negli USA.

PeekYou

Consente di trovare persone non solo negli Stati Uniti ma in tutti il mondo. Si può effettuare una ricerca utilizzando il nome completo, una username o anche il numero di telefono. PeekYou raccoglie e mette insieme contenuti presi da social network, fonti di notizie, home page e piattaforme di blog.

PagineBianche

Non poteva mancare questo sito tutto italiano che consente di trovare indirizzi e numeri di telefono come il vecchio elenco telefonico. Il vantaggio e che si può fare anche una ricerca inversa, ovvero risalire al nome di una persona inserendo il suo numero di telefono o l’indirizzo.

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