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DOSSIER – Sponsor arbitri stessa proprietà della Juve! Ecco tutti gli errori a favore dei bianconeri nel campionato 2016-17

L’edizione del 12 MARZO 2017   del Mattino dedica un lungo approfondimento ai “regali” arbitrali alla Juventus, elencando tutti gli episodi nel dossier: “Tutto sommato non è un male e nemmeno un caso che a lamentarsi non sia soltanto una squadra. O non soltanto il Napoli. Milano rossonera è insorta contro Massa, la Juve e quello che definisce il furto dell’ anno ma spulciando bene non è l’ unico favore arbitrale che in questa stagione ha spinto Buffon e soci ben oltre la propria forza e i propri meriti. Dal Torino al Chievo, dalla Roma al Sassuolo, è lunga la casistica dei cadeau distrattamente o gentilmente elargiti alla vecchia signora. La quale, come al solito fa spallucce riconducendo tutto alla solita nenia con la particolarità, però, che mai come oggi è mezza serie A ad alzare la voce contro il potere esercitato dal club bianconero.

Gli arbitri, ovviamente, sono i principali protagonisti. E sul capo dei fischietti nostrani pende sempre questa fastidiosa spada di Damocle dello sponsor: la classe arbitrale italiana, infatti, sulle proprie maglie (esattamente su entrambe le maniche) pubblicizza il marchio Eurovita assicurazioni, grazie a un accordo commerciale sottoscritto con l’ Aia e che scadrà nel 2019. Questa società è di proprietà della JC Flowers che, secondo autorevoli fonti giornalistiche di settore (Reuters ad esempio), nel diabolico labirinto dei fondi d’ investimento si sarebbe imparentata strettamente con la Exor, ovvero la finanziaria della famiglia Agnelli, nonché principale azionista della Juventus.

Di fatto la storia dei regali alla Juventus inizia già alla terza giornata, quando contro i potenti e protetti bianconeri si trova il malcapitato Sassuolo. Mani netto di Chiellini in area ma niente penalty agli emiliani, Di Bello sorvola perché non vede (solo lui) volontarietà nel gesto scomposto del difensore. Saltiamo dieci domeniche oltre, siamo alla tredicesima tornata. Il Chievo ospita a Verona i campioni d’ Italia, che sono in vantaggio. Nel convulso finale, con i padroni di casa all’ attacco alla ricerca disperata del pareggio, Benatia affossa Spolli. Valeri fa proseguire ma il fallo del marocchino è netto oltre che sciocco.

Una bella botta di vita la dà Rocchi, spesso nell’ occhio del ciclone quando di mezzo c’ è la formazione di Allegri. A urlare è la Torino granata, incavolata nera per due episodi che a fine match peseranno sull’ economia del risultato. Decisioni entrambe a favore dei cugini: c’ è Lichtsteiner che affossa in area Castan, senza incorrere nella punizione dell’ arbitro. Il quale in precedenza non espelle Rugani per fallo da ultimo uomo su Belotti lanciato a rete.
Sconfitta che brucia alla luce di quanto accaduto nel derby di un anno fa, quello diretto da Rizzoli, che si fece rifilare una testata da Bonucci, annullò un gol regolare a Maxi Lopez e non espulse Alex Sandro.

Il turno successivo a quello del derby torinese mette di fronte Juventus e Roma. Fischia Orsato che al momento giusto trattiene il respiro: Chiellini contrasta pesantemente e irregolarmente Dzeko. Ci sarebbe penalty a favore del centravanti bosniaco, non così per il direttore di gara. Allegri vincerà lo scontro diretto e inizierà ad allungare in classifica su Napoli e giallorossi. Dito puntato e ambiente caldissimo alla quarta di ritorno durante il derby d’ Italia con l’ Inter, spesso macchiato da forti contestazioni. Gli juventini stentano, trovano il gol con Cuadrado e poi difendono. Più con le cattive che con le buone. Chiellini strattona Icardi. Pare rigore solare, come pure il contrasto tra Lichtsteiner e D’ Ambrosio. La chicca di Rizzoli è quella del passaggio involontario di Chiellini a Icardi, che fila tutto solo verso Buffon.

Il bolognese ferma l’ azione inventandosi una palla in movimento. Alla fine, proprio lui che in passato si era beccato i vaffa di Totti e la testata di Bonucci senza battere ciglio, espelle Icardi che calcia da venti metri il pallone contro la terna arbitrale. Singolare poi è il fatto che, in regime di silenzio stampa assoluto per gli arbitri, il solo Rizzoli abbia derogato due volte: la prima volta precisando di essere stato lui a mettere la testa contro Bonucci e la seconda pochi giorni fa, quando ha sottolineato la eccessive lamentele degli interisti.

La settimana dopo il teatro è sempre lo Stadium torinese, in coppa Italia Rizzoli passa il testimone a Valeri. Paga dazio il Napoli, colpito e affondato due volte dagli undici metri. C’ è massima punizione per un contatto Dybala-Koulibaly a palla lontana, niente invece quando Pjanic aggancia Albiol in area, con Valeri a cinque metri. Sugli sviluppi Reina in uscita prende palla su Cuadrado che gli va contro, Valeri è a cinquanta metri ma vede e provvede a modo suo.

Prima del rigore di venerdì sera ottenuto contro il Milan, dubbio e a tempo scaduto, la Juve aveva pareggiato a Udine l’ unica partita della stagione: era però inesistente la punizione fischiata da Damato che aveva portato al pareggio di Bonucci. Il cerchio (per ora) si chiude qui, in un’ ipotetica classifica redatta in base ai torti e ai favori subìti, la capolista oggi beneficia di almeno cinque punti in più. La morale è semplice, o ha ragione Sarri: «Forse siamo tutti pazzi». Oppure aveva visto giusto il brasiliano Dunga quando militava nel nostro campionato: «Giocare a Torino è come andare nella foresta e incontrare il leone. Ma almeno il leone ti mangia, non ti truffa»”.

Quanto costa mantenere una famiglia: i figli hanno un prezzo?

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Ma per farli diventare grandi i genitori devono sborsare un sacco di soldi. Allora è importante conoscere, anche in modo approssimativo, di quanti soldi parliamo. Consapevoli o meno, l’idea che se ne ha spesso incide nella scelta di avere (o non avere) dei figli. Non solo, serve anche per valutare l’incidenza in caso di emergenze come malattia, morte, licenziamento di uno dei genitori e/o di separazione/divorzio del nucleo familiare. Una serie di mutamenti che quasi sempre portano alla medesima conseguenza: il drastico impoverimento del nucleo familiare.

Ma i costi di un figlio dipendono dalla sua età, dal reddito dei genitori e dal loro patrimonio, dalla composizione familiare, dalla città di residenza, dagli stili di vita, dal sistema di welfare pubblico…. Come è possibile avere degli importi verosimili?

Federconsumatori periodicamente pubblica uno studio piuttosto attendibile dal titolo “I costi per crescere un figlio/a da 0 a 18 anni” (l’ultimo è del 2016). Vengono prese in considerazione le spese per un figlio di una famiglia bi-genitoriale, che abita in una grande città del centro‐nord, in un’abitazione di circa 100 mq con mutuo o affitto da pagare.

I tipi di costo attribuiti al figlio sono:

  • casa: che comprende la quota parte dei costi di affitto o mutuo, arredamento, tasse, bollette, ecc.;
  • alimentazione: le spese per pasti, spuntini, mense e ristoranti;
  • trasporti e comunicazioni: che comprende la quota di ammortamento per l’acquisto dell’auto, carburante, manutenzione, assicurazione, trasporti pubblici, telefonia fissa e mobile e connessione internet;
  • abbigliamento: acquisto, pulitura e riparazione di scarpe e vestiario;
  • salute: i costi non coperti dal servizio pubblico (es. dentista, fisioterapia, psicologo, ecc.);
  • educazione e cura: spese per baby-sitter, tasse scolastiche, libri, ripetizioni, doposcuola, viaggi di studio, computer;
  • varie: spese per cura personale, paghetta, sport, intrattenimento, viaggi, regali.

Figlio: più cresce, più costa

E dunque?

E dunque per crescere un figlio da 0 a 18 anni servono 113 mila euro alle famiglie che hanno un reddito basso (fino a un reddito di 22.100 euro annui), 171 mila euro alle famiglie con un reddito medio (37.500€/anno), 271 mila per quelle con un reddito alto (sopra i 68.000€/anno).

Nella tabella qui sotto è possibile vedere questi costi divisi per fasce di età:

Reddito medio

  
Età del figlio

Reddito basso

fino a

22.100 €/anno

Reddito Medio

 

37.500 €/anno

Reddito Alto

oltre

68.000 €/anno

0‐3 anni 5.850€/anno 8.400€/anno 13.800€/anno
3‐5 “ 5.950€/anno 8.680€/anno 14.250€/anno
6‐8 “ 6.100€/anno 9.100€/anno 14.700€/anno
9‐11 “ 6.300€/anno 9.450€/anno 15.400€/anno
12‐14 “ 6.600€/anno 9.950€/anno 15.800€/anno
15‐18 “ 7.100€/anno 11.400€/anno 16.500€/anno

Spesa totale a 18

anni

113.700 €

170.940 €

271.350 €

I totali implicano nei 18 anni una spesa annuale media pari a 6.300 euro (525 euro al mese) per le famiglie con reddito basso, 9.500 euro (790 euro al mese) per le famiglie con reddito medio e 15.050 euro ( 1.255 euro al mese) per le famiglie a reddito alto. In pratica crescere un figlio fino a 18 anni comporta tra il 25% e il 35% di spese del totale del reddito.

Nella tabella qui sotto invece i costi di un figlio (fascia di età 15-18 anni) per tipologia di costo.

Reddito medio

  
Categoria di spesa

Reddito basso

fino a

22.100 €/anno

Reddito

Medio

37.500 €/anno

Reddito Alto

oltre

68.000 €/anno

Abitazione 1.880 3.275 4.450
Alimenti e bevande 1.280 1.865 2.470
Trasporti e comunicazione 1.145 1.780 2.575
Abbigliamento 655 980 1.485
Salute 380 650 1.050
Cura & 780 1.365 2.150
Varie 980 1.450 2.320

Totale annuale

7.100 €

11.365 €

16.500 €

Totale mensile

591 €

947 €

1.375 €

Il luogo dove si cresce un figlio ha ovviamente un’incidenza importante sui costi per cui, tenendo come riferimento le spese di un reddito medio, si ottengono le seguenti differenze territoriali (la fascia di età presa in considerazione è sempre 15-18 anni).

 

Nord Ovest

Nord est

Centro

Sud e Isole

Area urbana 11.365€ 12.325€ 10.420€ 8.930€
Media città 9.735€ 11.215€ 8.940€ 7.545€
Area rurale 7.678€ 8.180€ 7.440€ 6.290€

Mantenere una famiglia: meno male che ci sono i nonni

Undicimila euro all’anno, praticamente quanto un affitto o un mutuo a Roma o a Milano.

E non è finita. Se si lavora, serve qualcuno che si prenda cura del figlio e spesso la madre è costretta a rinunciare al proprio lavoro, dopo anni (e soldi) di formazione e ricerca. Per chi invece continua a lavorare full time, la scelta è fra girare l’intero stipendio alla babysitter o contare su un’alternativa. L’indagine Eurispes del Rapporto Italia 2017 lo mostra, spiegando che il 23% delle giovani famiglie consegna direttamente i propri figli ai nonni.

Ma oggi i genitori vogliono lavorare entrambi, i nonni in genere sono lontani e quindi si fanno sempre meno figli. Giusto?

I dati elaborati da Banca d’Italia nell’ultima “Indagine sui bilanci delle famiglie” (2015), mostrano proprio come l’aumento sempre maggiore dei costi per mantenere un figlio abbiano accompagnato la trasformazione del nucleo familiare. Nel 1977 vi erano poco meno di 17 milioni di famiglie composte, in media, da 3,3 componenti; nel 2014 il loro numero era salito a quasi 25 milioni e la dimensione media era diminuita a 2,5 persone. E il calo della dimensione media si è accompagnato con il mutamento delle tipologie familiari: si è dimezzata l’incidenza delle coppie con figli (dal 63 al 34 per cento) ed è triplicata quella delle famiglie con un solo genitore (dal 9 al 30 per cento).

Mantenere una famiglia è più facile con la busta paga, con la pensione o con la partita IVA?

A mettere a confronto le tre diverse fonti di reddito è stato uno studio della Cgia di Mestre. La categoria più a rischio di povertà è quella delle partite IVA. Secondo questo studio, nel 2015 il 25,8% delle famiglie mantenute da un lavoratore autonomo, quindi una su quattro, viveva al di sotto della soglia fissata dall’Istat per l’indice di povertà. Tra i pensionati il rischio è stato riscontrato nel 21% dei casi. Una maggiore sicurezza per mantenere la famiglia viene dai lavoratori dipendenti che solo nel 15,5% dei casi sono a rischio povertà.

 

Perché è inutile guadagnare troppo

Ma esiste un reddito giusto per essere una famiglia felice?

È una buona domanda. Già nel 1974 Richard Easterlin, un docente di economia americano, aveva definito il paradosso della felicità (o paradosso di Easterlin), secondo cui, quando aumenta il reddito, la felicità umana cresce fino a un certo punto, poi diminuisce seguendo una curva ad U rovesciata. E ancora oggi molti studiosi sostengono che esiste un numero magico, una cifra di reddito sopra la quale è inutile andare, perché la felicità non aumenta. Negli Stati Uniti questa sottile linea rossa sta tra i i 4.500 e i 6.000 dollari al mese: oltre, non vale la pena.

E in Italia? Quanto costa da noi la felicità?

Secondo l’ex direttore del Censis Giuseppe Roma «se si ha un figlio servono 3.500 euro al mese, purché non si abbia un mutuo da pagare». È una cifra ben al di sopra delle possibilità di una buona metà della popolazione, che secondo le dichiarazioni dell’Irpef (ammesso che siano veritiere), non arriva a 1.250 euro, mentre la media generale è di 1.600. Ed è assai superiore anche al reddito considerato minimo per vivere “senza lussi ma senza privarsi del necessario”: 1.400 euro al mese se si è single, 2.000 in coppia, 2.400 in una famiglia composta da tre persone (ancora dati Banca d’Italia).

Lei ha un consiglio da darci?

Possibilmente non fermarsi al primo figlio: il secondo già costa il 30 per cento in meno.

In sintesi possiamo dire che:

– Crescere un figlio al Sud o nelle isole costa meno che crescere un figlio al Nord.

– Il nucleo familiare si è trasformato proprio a causa dei costi.

– Le partite Iva sbarcano il lunario con molti più problemi degli altri.

– Una famiglia di tre persone può essere felice con 2.400 euro al mese

Bollette a 28 giorni: le “giustificazioni” delle aziende telefoniche

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Per mettere al bando le bollette telefoniche a 28 giorni è intervenuto anche il Governo. Gli operatori delle società di Internet e della telefonia, tuttavia, non sembrano rassegnarsi. Ciò che è in atto in questi giorni è un vero e proprio “pressing” nei confronti dei parlamentari che si stanno accingendo ad imporre con legge la fatturazione con cadenza mensile, anziché ogni 28 giorni. Più in particolare, ciò che le compagnie telefoniche stanno tentando di far credere è che, paradossalmente, tredici (e non dodici) pagamenti annuali rappresenterebbero addirittura un vantaggio per i clienti con il cellulare. Un vero e proprio “capovolgimento di frittata” insomma. Vediamo perché e soprattutto cerchiamo di comprendere le “stravaganti teorie” portate avanti negli ultimi giorni dalle società di Internet e della telefonia. 

Bollette a 28 giorni illegittime

Pagare una bolletta telefonica ogni 28 giorni anziché con cadenza mensile potrebbe sembrare quasi indifferente. In realtà, si tratta di un vero e proprio “trucchetto” ideato dalle compagnie telefoniche (tra cui Tim, Wind, Tre, Vodafone e Fastweb) per lucrare sulle tasche degli utenti. Calcolatrice alla mano, infatti, pagare una bolletta telefonica ogni 28 giorni anziché con cadenza mensile, significa pagarne 13 e non 12 in un anno. In buona sostanza, così facendo, gli utenti “regalano” ogni anno alla propria compagnia telefonica il pagamento di una bolletta non dovuta. Tradotto in denaro: il rincaro per il cittadino si aggira intorno all’8,6% in più ogni anno, mentre l’illegittimo guadagno per la compagnia telefonica corrisponde ad una vera e propria tredicesima, che garantisce alle società della telefonia e di Internet un fatturato maggiorato di almeno un miliardo l’anno. Fortunatamente questa situazione di illegittimità non è sfuggita né ai consumatori, né all’occhio attento dell’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) che ha “condannato” questa pratica commerciale scorretta. Ma non è tutto.

L’emendamento per bloccare la fatturazione a 28 giorni 

Come anticipato, è intervenuto anche il Governo per mettere al bando le bollette telefoniche a 28 giorni. Il divieto di fatturazione a 28 giorni sarà stabilito grazie a un emendamento al decreto Fiscale oppure alla Legge di Bilancio. La proposta di legge introduce l’obbligo della fatturazione dei servizi su base mensile e non più ogni 28 giorni; prevede un irrobustimento dei poteri di vigilanza da parte delle competenti autorità e soprattutto dell’Agcom ed un aumento delle sanzioni da queste ultime comminabili. Inoltre, secondo la proposta di legge, le compagnie telefoniche devono restituire le somme indebitamente percepite da parte dagli utenti in caso di violazione dell’obbligo di cadenza mensile, con l’obbligo per l’operatore sanzionato di pagare al consumatore interessato dalla illegittima fatturazione un indennizzo non inferiore a 50 euro.

Le “giustificazioni” delle compagnie telefoniche

Al quanto “strana” la reazione delle società della telefonia e di Internet, che  in vista dell’imminente decisione politica, anziché adeguarsi,  non hanno trovato niente di meglio da fare che “pressare” i parlamentari, chiedendo loro che la fatturazione a 28 giorniresti in campo almeno per quanto riguarda i cellulari, con riferimento ai quali deve considerarsi non solo legittima, ma addirittura conveniente.  La richiesta delle compagnie telefoniche è supportata da un’argomentazione davvero stravagante. Vediamo quale.

Spiegano le compagnie telefoniche che chi possiede un cellulare, il più delle volte, ha a disposizione una sorta di “pacchetto tutto compreso” di chiamate, sms e giga di traffico che è libero di utilizzare. Una volta “esaurita l’offerta”, il cliente comincia a “pagare a consumo”, con esborsi che potrebbero rivelarsi anche molto cospicui. Ciò posto, argomentano le compagnie telefoniche: la fatturazione mensile comporta che il cliente utilizzi le offerte nell’arco di 30 o 31 giorni, anziché nell’arco di 28. Nel caso di fatturazione mensile, dunque, il cliente esaurirà più facilmente le proprie scorte di chiamate e giga, al contrario, la fatturazione a 28 giorni rende il rischio di sforamento più basso. Non solo. Sempre secondo le compagnie telefoniche, ulteriore “vantaggio” è che la fatturazione a 28 giorni produce non solo 13 bollette in un anno, ma anche 13 ricarichecontenenti l’offerta prescelta. Viceversa, la bolletta mensile porta con sé soltanto 12 ricariche nel corso dei 12 mesi.
In buona sostanza: le 13 bollette e la fatturazione a 28 giorni comportano un aumento della spesa annua per il cliente, nell’ordine dell’8.6 per cento. Ma questo aumento sarebbe giustificato – questa la tesi delle società – da una maggiore disponibilità di telefonate, sms, e giga di navigazione. La fatturazione a 28 giorni rappresenterebbe, inoltre,  anche un “cuscinetto” per chi chiama o naviga molto, sforando i tetti di consumo della sua offerta.

Questi ragionamenti, per quanto raffinati, non convincono. È vero, il cliente riceve 13 ricariche l’anno e ciò gli permette di chiamare e navigare di più senza sforare il proprio budget. Tuttavia, lo stesso risultato, se davvero le compagnie telefoniche ci tengono tanto, potrebbe essere raggiunto rendendo migliori le offerte mensili. Non deve sfuggire inoltre un “piccolo” dettaglio: è vero che il cliente che riceve 13 bollette riceve anche 13 ricariche, ma si tratta comunque di un surplus (che si accompagna comunque ad una spesa) mai richiesto. Il cliente, quindi, è indotto unilateralmente ad usufruire e a pagare un servizio mai richiesto.

Macchina fotografica rubata, ecco come ritrovarla!

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Ci sono macchine fotografiche digitali che costano pochi euro, ma anche modelli che hanno un grande valore come le Reflex. Al valore economico si aggiunge poi anche il valore affettivo: magari è stata la macchina con la quale abbiamo mosso i primi passi nella fotografia digitale.

E come qualsiasi oggetto prezioso, anche le macchine fotografiche possono essere smarrite o rubate. Quando si subisce un furto le speranze di ritrovare l’oggetto non sono tante, ma nel caso di una macchina fotografica digitale, oltre ai soliti canali, c’è un servizio che pochi conoscono e che può darci una mano in più.

Il sito Stolen Camera Finder può aiutarci a recuperare una fotocamera smarrita o rubata attraverso l’uso dei metadati che vengono salvati nelle foto digitali. In pratica ogni foto che viene catturata con una macchina fotografica digitale contiene alcune informazioni nascoste sia sull’immagine che sulla fotocamera, come la marca, il modello e la data. In queste informazioni a volte è presente anche il numero di serie univoco che identifica la fotocamera.

Stolen Camera Finder cerca su Internet le foto che vengono postate e raccoglie i numeri di serie delle fotocamere che le hanno realizzate. Ora, avendo una foto scattata con la macchina fotografica che ci è stata rubata, possiamo usarla per permettere a questo sito di cercare sul web altre foto scattate con la stessa fotocamera.

Trovate le foto realizzate con la stessa macchina, sarà quindi possibile risalire a chi le ha condivise che, con molta probabilità, sarà la persona che l’ha rubata o che magari l’ha acquistata ignorando che fosse opera di un furto. Il funzionamento è molto semplice. Basta andare su Stolen Camera Finder e trascinare sul sito una foto realizzata con la fotocamera rubata.

Se non abbiamo una foto, possiamo cliccare sul link no photo? per effettuare una ricerca manuale inserendo il numero seriale che possiamo recuperare dalla scatola della macchina fotografica. Purtroppo non tutte le macchine fotografiche digitali sono supportate da questo servizio. È possibile trovare l’elenco di quelle compatibili su www.stolencamerafinder.com/listmodels.

Macchina fotografica rubata, ecco come ritrovarla!

 

Circolare Agenzia Entrate: è obbligatoria?

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Ti sei presentato a un ufficio pubblico per chiedere un certificato o un’autorizzazione e lì ti è stato detto che le carte in tuo possesso non sono in regola perché, «in base a una circolare interna», c’è bisogno di un ulteriore adempimento. Sicuro di aver rispettato la fitta normativa fiscale prevista dalla legge, d’un tratto hai ricevuto una contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate perché, a suo dire, il tuo comportamento non sarebbe in linea con una circolare ministeriale. Ti è stata così negata un’agevolazione fiscale e, peggio ancora, sei stato costretto a pagare imposte e sanzioni. In tali circostanze è normale chiedersi se la circolare dell’Agenzia delle Entrate è obbligatoria o meno, anche per chi, informandosi tutti i giorni tramite i giornali delle novità legislative, possa non esserne venuto a conoscenza. In altri termini che valore ha una circolare? La risposta è stata fornita dalla Cassazione con una sentenza pubblicata ieri [1].

Prima di spiegare se la circolare dell’Agenzia delle Entrate è obbligatoria o meno dobbiamo rinfrescare alcune basilari nozioni di diritto costituzionale. Quella che comunemente si chiama «legge» è, in realtà, un insieme di atti e norme che possono assumere un diverso grado e forza a seconda di come e da chi è stata approvata. All’apice di tutto il nostro sistema legislativo c’è la Costituzione che non può essere modificata se non da una legge avente pari valore (legge costituzionale). Un gradino più in basso nella piramide c’è la legge del parlamento e gli atti del Governo (decreti legge e decreti legislativi): questi non possono derogare alla Costituzione ma possono modificare o abrogare altre leggi o atti di valore inferiore. Più in basso ancora ci sono i decreti ministeriali e i regolamenti: anche questi non possono modificare le norme di rango superiore ma solo quelle del loro stesso livello (così un decreto ministeriale non può correggere o integrare una legge, ma può solo attuarla, fermo restando che può essere a sua volta modificato esclusivamente da un successivo regolamento).

La caratteristica che unisce tutti tali atti (che vanno sotto il nome di «fonti del diritto») è che valgono per tutti i cittadini italiani o per una generalità di cittadini individuati in modo generale e astratto (ad esempio tutti gli invalidi, tutti i dipendenti part-time, tutti gli abitanti di determinate zone terremotate, ecc.). Da qui anche il detto secondo cui «la legge non ammette ignoranze»: sia chi conosce che chi non conosce la normativa è tenuto a rispettarla, al di là del grado di tecnicismo che essa comporta.

Come è evidente, in questa struttura non c’è spazio per le circolari. Le circolari non sono fonti del diritto e, quindi, non sono obbligatorie per i cittadini.

Allora a che servono le circolari? Sono atti di indirizzo interno per gli uffici della pubblica amministrazione: servono cioè ad orientare il lavoro dei dipendenti in modo da conformarli a un unico standard operativo su tutto il territorio nazionale, evitando che ogni ufficio abbia le proprie regole e prassi. Poiché dunque la circolare non rientra nelle norme dell’ordinamento non può neanche imporre qualcosa che la legge non prevede. Con la conseguenza che i pubblici dipendenti non possono, anche se si “appigliano” a una circolare, pretendere dal cittadino dei comportamenti non previsti dalla legge.

La vicenda decisa dalla Cassazione ha visto protagonista un contribuente che aveva usufruito di un credito di imposta sull’acquisto di determinati prodotti; senonché sulla fattura non era stata apposta la dicitura «bene acquistato con il credito di imposta di cui all’art. 8 L. 388/2000» così come invece imposto da due circolari ministeriali. L’Agenzia delle entrate, pertanto, ha revocato l’agevolazione fiscale. Contro questa decisione il privato ha proposto ricorso: in sua difesa ha dedotto il fatto che la dicitura sulle fatture non era richiesta da nessuna norma e, pertanto, la sua assenza non poteva comportare la revoca del beneficio fiscale. La questione è finita in Cassazione. La Corte Suprema – in linea con i propri precedenti [2] –s ha ricordato che le circolari in materia tributarianon sono fonte del diritto e non possono imporre al contribuente adempimenti non previsti dalla legge.

note

[1] Cass. ord. n. 25905/2017.

[2] Cass. sent. n. 22486/2013.

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Bonus verde per giardini, balconi e terrazzi: come funziona?

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Se nel 2018 vorrai acquistare semi, fiori e alberelli da piantare sul balcone o nel giardino, concimi, sistemi di irrigazione automatica (anche una piccola pompa), vasi e terra, fertilizzanti avrai il 36% della spesa a carico dello Stato. Come? Mediante una detrazione fiscale sull’Irpef da pagare con l’estate del 2019. In buona sostanza, ipotizzando una spesa di 200 euro in un anno e un’imposta di mille euro, il contribuente potrebbe sottrarre il 36% di 200 ossia 72 euro. Così, invece di pagare tasse per mille euro ne pagherà 928.

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È questo il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi previsto dalla legge di Bilancio 2018 e sul quale c’è ormai ampia convergenza per via del consenso che ha già suscitato ancor prima della sua definitiva approvazione. Naturalmente a beneficiarne saranno solo le spese sostenute nel 2018 per cui, sin da ora, è bene vedere cosa prevede la normativa e come ottenere la detrazione. Procediamo quindi con ordine e vediamo come funziona il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi.

Quali immobili vale il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi?

A differenza di tutti gli altri bonus per la casa, il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi non riguarda solo gli immobili in corso di ristrutturazione (come invece per le detrazioni fiscali per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici). Il bonus verdeè completamente svincolato da qualsiasi requisiti dell’immobile se non che deve essere adibito a civile abitazione. Solo gli appartamenti e le ville a uso abitativo quindi possono godere del beneficio fiscale. Restano esclusi uffici, negozi, magazzini. Il che potrebbe sembrare una ingiusta discriminazione se si considera che scopo del beneficio non è tanto quello di aiutare le famiglie, quanto contribuire al verde delle città, verde che – pertanto – è indipendente dal soggetto che lo realizza.

Bonus verde per giardini, balconi e terrazzi anche nei condomini?

Altra importante precisazione del nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi è che non riguarda solo ville e villini, ma anche i condomini. Chi non abita al primo piano e non ha un proprio giardino può sfruttare il bonus verde sul balcone, ad esempio per le fioriere e le piante da sistemare sulla parte esterna dell’appartamento. Il bonus non copre quindi le spese per l’interno dell’immobile.

Quali spese per il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi?

Vediamo quale tipo di spese copre il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi. Lo sconto riguarda la sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, impianti di irrigazione e pozzi, la realizzazione di coperture a verde e di giardini pensili e coperture. Sono detraibili anche le spese che riguardano la manutenzione e le attività di progettazione. Vi rientrano quindi balconi, terrazzi, giardini, coperture.

Come funziona il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi anche nei condomini?

Altra importante precisazione del nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi è che non riguarda solo ville e villini, ma anche i condomini. Chi non abita al primo piano e non ha un proprio giardino può sfruttare il bonus verde sul balcone, ad esempio per le fioriere e le piante da sistemare sulla parte esterna dell’appartamento. Il bonus non copre quindi le spese per l’interno dell’immobile.

Fino a quanto posso spendere?

La detrazione fiscale è del 36%, da dividere in dieci quote annuali. Il tetto massimo di spesa ammesso è di 5mila euro per ogni unità immobiliare a uso abitativo. Questo significa che:

  • chi spende, per lo stesso appartamento, più di 5mila euro può ottenere al massimo 1.800 euro di detrazione (pari cioè al 36% di 5mila euro);
  • chi però spende più di 5mila euro perché ha la seconda casa, può godere fino a 10mila euro di detrazione (5mila per ogni immobile).

In buona sostanza, il contribuente A, che spende 5.000 euro per il giardino della casa e il contribuente B che ne spende invece  7.000, possono entrambi ottenere una detrazione fino a massimo 1.800 euro. Ma se il contribuente B ha speso 4.000 euro per la prima casa e 3.000 per la seconda può portare in detrazione integralmente le due spese (1.440 euro di detrazione per la prima casa; 1.080 euro per la seconda).

In caso di interventi su parti comuni esterne di edifici condominiali, il limite andrà moltiplicato per il numero totale di unità abitative presenti.

Come deve essere la spesa per il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi anche nei condomini?

Altra importante precisazione del nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi è che non riguarda solo ville e villini, ma anche i condomini. Chi non abita al primo piano e non ha un proprio giardino può sfruttare il bonus verde sul balcone, ad esempio per le fioriere e le piante da sistemare sulla parte esterna dell’appartamento. Il bonus non copre quindi le spese per l’interno dell’immobile.

La spesa deve essere documentata.

La detrazione deve essere divisa in 10 rate annuali e sarà concessa a condizione che i pagamenti siano tracciabili, come i bonifici parlanti.

Bonus verde per giardini, balconi e terrazzi: come funziona?

 

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