Le tue feci ti indicano il tuo stato di salute, ecco come capire cosa non va! Devi assolutamente sapere tutto questo…

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Pensi che le feci siano solamente un prodotto di scarto da eliminare subito? In realtà si può scoprire molto dalle scorie prodotte dal nostro organismo, sopratutto si può capire molto sul nostro stato di salute.
Dovresti controllare giornalmente le condizioni delle tue feci. Può creare disgusto e imbarazzo, ma potrebbe aiutarvi molto a comprendere e prevenire una serie di complicazioni di salute.
Come sono le feci di una persona in salute?
Le feci ideali devono essere di color “oro antico”, avere una forma a banana e la consistenza del dentifricio. Galleggiano e sono inodore. Se le tue non sono così continua a leggere con attenzione. So che potrebbe creare un po’ di imbarazzo parlare di queste cose, ma si può capire davvero tanto sul proprio stato di salute.
Come si analizzano le proprie feci?
Le feci sono le sostanze solide di rifiuto del cibo e ci rivelano la condizione di salute del nostro corpo relativa ai 2/3 giorni prima, mentre l’urina indica quella più recente.
Puoi analizzare I seguenti parametri:
1) frequenza dell’evacuazione
2) odore e galleggiamento
3) forma
4) colore
1) frequenza dell’evacuazione.
Noboru muramoto, uno dei principali esponenti della medici cinese in occidente afferma che: “la defecazione dovrebbe avvenire una volta al giorno: il momento ideale è al mattino. Ogni irregolarità nell’evacuazione delle feci è segno di problemi intestinali. La regolarità della defecazione è una condizione basilare per una buona salute”. Quindi è bene svuotare l’intestino almeno una volta al giorno sentendo poi la sensazione di vuoto nella pancia. Alcune persone riescono ad andare in bagno anche più volte al giorno. Ma questo dipende dal metabolismo.
2) odore e galleggiamento
Un cattivo odore delle feci indica uno scarso equilibrio nell’alimentazione. Se le feci affondano vuol dire che il cibo non è stato masticato o digerito bene.
3) forma
Bisogna essere sicuri che le feci abbiano una forma ben definita, questo denota che la digestione è avvenuta correttamente e quindi I nutrienti sono stati assorbiti eliminando tossine ed acidi. Se si usa troppo sale il colon assorbe più acqua e le tue feci saranno secche, al contrario se si mangiano troppi zuccheri saranno umide ed informi.
Ecco un pratico riferimento chiamato il grafico bristol.

Tipo 1: grumi duri come palline, sono difficili da espellere.
Tipo 2: classica forma cilindrica, ma a grumi.
Tipo 3: forma cilindrica, ma con crepe sulla superficie.
Tipo 4: forma cilindrica, liscia e morbida.
Tipo 5: grumi morbidi e frastagliati
Tipo 6: porzioni morbide con bordi frastagliati.
Tipo 7: acquosa e senza particelle solide.
Il tipo 4 è il prototipo di cacca perfetta:
– esce con facilità e senza dolori.
– non ha odori.
– galleggia.
– ha la forma grossa a banana.
4) colore
Il colore perfetto dovrebbe essere tra marrone chiaro e marrone scuro. Il colore dipende molto dal tipo di alimentazione che si segue. Se mangiate rape rosse ovviamente le feci potrebbero avere un colore rossastro.
Feci giallastre con cattivo odore: vuol dire che sono stati assorbiti male I grassi per colpa di un insufficienza funzionamento del pancreas, questo si verifica nelle pancreatiti, nel cancro al pancreas, nella fibrosi cistica e nella celiachia.
Feci di colore scuro con cattivo odore: sanguinamento dello stomaco o delle parti superiori dell’intestino.
Feci nere: potrebbero essere innocue quando si usano degli integratori contenenti ferro, ma se non hanno cattivo odore, tutto normale.
Feci che presentano sangue scuro: ulcere sanguinanti o tumori nella parte media dell’intestino, morbo di crhon o colite ulcerativa.
Le feci possono essere dure e di colore scure quando restano nell’intestino di più del dovuto. Le feci del neonato dovrebbero essere sempre giallo-arancioni e piuttosto soffici. Se sono scure o verdi, allora vuol dire che il latte materno non è di buona qualità.
Vuoi avere delle feci perfette? Ecco alcuni consigli:
1. Il cibo per essere assimilato bene deve rispettare la combinazione degli alimenti, basandosi sul ph e sugli enzimi. Bisogna prediligere cibi a ph alcalino ed eliminare gli alimenti industriali.
2. Prima di iniziare a mangiare, fare un respiro profondo e buttare via tutta l’aria, se sei stressato esegui questa operazione più volte.
3. Masticare per almeno 8 secondi ogni boccone, la prima “digestione” si ha in bocca.
4. Prendersi cura del proprio intestino, non basta solamente una buona alimentazione, bisogna mantenere l’equilibrio della flora batterica ed eliminare I germi cattivi che danneggiano l’intestino.

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Tari 2018: come si calcola e chi paga l’imposta sulla casa

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Tari 2018: cos’è

La Tari è una componente della Iuc, imposta unica comunale, insieme all’Imu, imposta municipale unica e alla Tasi, tassa sui costi indivisibili del Comune ed è la nuova tassa sui rifiuti introdotta dalla legge di stabilità del 2014, che ha accorpato in unico tributo, uguale in tutta Italia, le precedenti tasse sui rifiuti e l’ambiente:

  • TIA – Tariffa di igiene ambientale;
  • TARSU – Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
  • TARES – Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi;

Tari 2018: come si calcola

Dopo aver visto in cosa consiste questo tributo, passiamo ora a vedere come si calcola la tassa sui rifiuti per l’anno 2018. Il calcolo della Tari 2018, si effettua sulla base di tariffe fisse e variabili e a seconda del tipo di utenza (domestica o non domestica). Sono previste esenzioni e riduzioni di tariffa per i nuclei a basso reddito che presentino il nuovo modello Isee 2018.

Il pagamento della Tari, può avere cadenza bimestrale, trimestrale, quadrimestrale, semestrale, ogni Comune infatti può scegliere un numero e una scadenza diversa.

Come detto la Tari 2018 sarà data dalla somma di una quota fissa e di una quota variabile.

  • La quota fissa della Tari 2018,  rappresenta  il costo del servizio, le spese di pulizia delle strade, i costi di investimento, ed altri.
  • La quota variabile Tari 2018, rappresenta in generale il costo di servizio e gestione per la raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti.

Per il calcolo della Tari, occorre poi tenere presente la distinzione tra utenze domestiche,  come i locali ad uso abitativo comprese le pertinenze (garage, box auto, cantina), e utenze non domestiche  come  le attività produttive, commerciali e di servizi.

Tari 2018 sulle utenze domestiche

Nel calcolo della Tari 2018 sulle utenze domestiche:

  • il costo fisso tiene conto principalmente della superficie dell’immobile espressa in metri quadrati;
  • il costo variabile tiene conto della quantità di rifiuti prodotti in base al numero degli occupanti l’immobile (il dato dei residenti è ricavato dal Comune attraverso i propri archivi anagrafici).

Il calcolo Tari 2018 corretto sulle utenze domestiche: abitazione e pertinenze

Il decreto del Presidente della Repubblica [1] che disciplina le procedure di calcolo della Tari stabilisce che la quota variabile per le abitazioni va calcolata in riferimento alla singola utenza. Il chiarimento è arrivato dal sottosegretario del Ministero dell’economia e delle finanze, durante il question-time alla Camera del 18 ottobre 2017.

I Comuni, quindi devono applicare la parte variabile una sola volta alla utenza costituita insieme da abitazione e pertinenze. Molti Comuni invece hanno applicato la quota variabile oltre che all’abitazione, anche alle pertinenze tante volte per quante sono, con il risultato che l’importo finale del tributo era molto più alto del dovuto. Sono dunque illegittimi i conteggi di molti comuni che hanno replicato la quota variabile per le singole pertinenze.

Per la Tari 2018 non dovrebbero esserci altri errori considerato che i Comuni, pare,  si stiano attivando per correggere i prossimi regolamenti Tari 2018.

Per i precedenti cinque anni di tributi versati, invece, se la quota variabile è stata applicata sia sull’abitazione che sulle pertinenze, il contribuente potrà richiedere al Comune o, in caso in cui il servizio sia stato gestito da un soggetto terzo a quest’ultimo, il rimborso della parte eccedente rispetto a quanto dovuto.

Tari 2018 sulle utenze non domestiche

Nel calcolo della Tari 2018 sulle utenze non domestiche:

  • Il costo fisso tiene conto della superficie dei locali e aree occupate;
  • Il costo variabile della tipologia di attività economica svolta.

L’avviso di pagamento Tari inviato dal Comune comunque contiene sia le informazioni di calcolo in base al regolamento comunale adottato, che i bollettini precompilati per il pagamento: Mav o  postali o bancari o F24.

Tari 2018: riduzioni ed esenzioni

Le riduzioni della Tari sono obbligatorie, in caso di:

  • mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti (riduzione 20%);
  • effettuazione del servizio Tari 2018 in grave violazione della disciplina di riferimento;
  • interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall’autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente.

Le riduzioni della Tari sono facoltative, possono quindi variare da un Comune all’altro, in caso di:

  • Abitazioni con un unico occupante;
  • Abitazioni solo per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo;
  • Locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;
  • Abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di 6 mesi all’anno, all’estero;
  • Fabbricati rurali ad uso abitativo.

I titolari di un’utenza domestica possono richiedere la riduzione o l’esenzione della Tari 2018 in caso di basso reddito previa presentazione del nuovo modello Isee 2018.

Tari 2018: chi paga

Come per la vecchie Tia, Tarsu, e Tares, il pagamento della tassa sui rifiuti 2018, spetta ai soggetti indicati nel regolamento comunale Tari 2018. Ovvero chiunque possiede, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte, in grado di produrre rifiuti urbani ed assimilati, a prescindere dal loro utilizzo. Il pagamento Tari 2018 spetta quindi al proprietario residente nell’immobile, in caso di affitto all’inquilino che occupa l’immobile, nell’ipotesi di comodato a colui che lo usa.

Tari 2018: su cosa non si paga

Non sono soggetti al pagamento del tributo, i proprietari, possessori o detentori dell’immobile a qualsiasi titolo di, sulle:

  • Aree scoperte di pertinenza o accessorie di abitazioni civili (balconi, terrazze scoperte, posti auto scoperti, cortili, giardini e parchi);
  • Aree condominiali non detenute o occupate in via esclusiva, quindi comuni a tutti i condomini ( come ad esempio androni, scale, ascensori, stenditoi, luoghi di passaggio o di utilizzo di tutti i condomini).

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[1] Art. 5 del D.P.R.  n.158 del 27.04.1999.

Allacci per auto elettriche negli edifici al 31 dicembre

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A partire dal prossimo anno, la costruzione di nuovi edifici sarà resa ancora più complessa dalla necessità di prevedere l’installazione per la ricarica delle auto elettriche.

È noto che quello dell’inquinamento atmosferico provocato dai veicoli a motore è un problema di grandissima attualità ed è particolarmente sentito soprattutto nelle grandi città. Per ridurre tale problema, il Governo ha cercato in più occasioni, nel corso degli anni, di sostenere la così detta mobilità sostenibile: basti pensare ai numerosi incentivi economici e fiscali sull’acquisto di auto elettriche, all’esenzione dal pagamento del bollo per i primi 5 anni e così via. Al fine di intervenire in maniera ancora più decisa e risolutiva sul problema dell’inquinamento proveniente dai veicoli, è stato infine previsto che, entro il 31 dicembre di quest’anno, il rilascio del titolo edilizio necessario alla costruzione di nuovi edifici sarà subordinato alla previsione della predisposizione dell’allaccio per l’installazione di infrastrutture elettriche per la ricarica dei veicoli. A tal fine, i Comuni dovranno modificare i propri regolamenti edilizi prevedendo questa specifica prescrizione [1].

Tale obbligo si applicherà per gli edifici:

  • di nuova costruzione ad uso diverso da quello residenziale con superficie utile superiore a 500 metri quadrati ed i relativi interventi di ristrutturazione edilizia;
  • gli edifici residenziali di nuova costruzione con almeno 10 unità abitative ed i relativi interventi di ristrutturazione edilizia.

L’obbligo in questione non troverà invece applicazione per gli immobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche

Al fine di assicurare il rispetto di tale obbligo, è stato peraltro attribuito un potere di vigilanza e sanzionatorio in capo alle regioni le quali, nel caso di mancato adeguamento da parte dei Comuni, dovranno annullare i titoli edilizi rilasciati che non prevedano l’obbligo della predisposizione dell’allaccio per le auto elettriche.

Si deve peraltro ricordare che il termine di adeguamento, oggi imposto al 31 dicembre 2017, era già stato fissato al 1 giugno 2014 [2].

Le infrastrutture elettriche in questione dovranno permettere il collegamento di una vettura da ciascuno spazio a parcheggio coperto o scoperto e da ciascun box per auto, nel rispetto delle specifiche disposizioni edilizie che verranno fissate nel regolamento edilizio stesso e, relativamente ai soli edifici residenziali di nuova costruzione con almeno 10 unità abitative, per un numero di spazi a parcheggio e box auto non inferiore al 20% di quelli totali.

Dal punto di vista operativo, le colonnine rappresentano un servizio misurabile. Infatti l’accesso alla ricarica, in genere, avviene tramite tessere magnetiche individuali e quindi sarà possibile ripartire le spese sulla base degli effettivi consumi.

Con  lo stesso provvedimento con cui è stato previsto l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione, si è stabilito anche di realizzare sul territorio un numero adeguato di punti di ricarica accessibili al pubblico entro il 31 dicembre 2020.

Il numero dei punti di ricarica sarà stabilito dai singoli Comuni tenendo conto anche del numero stimato di veicoli elettrici e delle esigenze particolari connesse all’installazione di punti di ricarica accessibili al pubblico nelle stazioni di trasporto pubblico.

Inoltre, entro il 31 dicembre 2025, sarà realizzato un numero adeguato di punti di rifornimento per l’idrogeno, accessibili al pubblico, da sviluppare gradualmente, tenendo conto della domanda attuale e del suo sviluppo a breve termine, per consentire la circolazione di veicoli a motore alimentati a idrogeno.

note

[1] Articolo 4, decreto del Presidente della Repubblica 380/2001, come modificato dal decreto legislativo 257/2016.

[2] Decreto legge 83/2012.

Autore immagine: Pixabay

Legge 104: guida alle agevolazioni

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I benefici che spettano ai destinatari della legge 104, cioè gli aiuti che la normativa prevede per i disabili e i loro familiari, sono numerosi e operano in campi diversi: molte di queste agevolazioni, tra l’altro, sono poco conosciute. Vediamo, in questa guida, tutte le agevolazioni previste dalla Legge 104, assieme agli altri benefici per chi è in possesso del riconoscimento di handicap, invalidità e non autosufficienza.

Legge 104: chi sono i beneficiari?

La legge 104 [1] è la normativa quadro in materia di disabilità. Quando si parla di beneficiari della Legge 104 si intendono, generalmente, i portatori di handicap in situazione di gravità, oppure i lavoratori che assistono un parente in queste condizioni. Sono comunque previste delle agevolazioni anche per i portatori di handicap non grave e per i portatori di handicap superiore ai 2/3. Ulteriori agevolazioni sono previste per gli invalidi: l’invalidità non deve essere confusa con l’handicap, in quanto, mentre quest’ultimo consiste in una condizione di svantaggio sociale, l’invalidità consiste in una riduzione della capacità lavorativa. La non autosufficienza è una condizione ancora differente: per soggetto non autosufficiente, in particolare, si intende chi è impossibilitato a compiere gli atti quotidiani della vita o chi non può camminare senza l’aiuto di un accompagnatore.

Vediamo le ipotesi in cui spettano i benefici della legge 104.

Permessi retribuiti per il lavoratore disabile

Il lavoratore maggiorenne disabile, ciascun mese, ha diritto alternativamente a permessi retribuiti di:

  • 2 ore giornaliere;
  • 3 giorni, continuativi o frazionati.

Il tipo di permesso richiesto (giornaliero o orario) può essere cambiato dal lavoratore da un mese all’altro, modificando la domanda precedentemente presentata. La variazione può essere eccezionalmente consentita anche durante il mese, per esigenze improvvise e imprevedibili all’atto della richiesta dei permessi, che devono essere documentate dal lavoratore.

In caso di part-time verticale o misto, con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese, o in caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con un periodo di integrazione salariale, il numero dei giorni di permesso spettanti deve essere ridimensionato in proporzione. Il risultato della proporzione viene arrotondato all’unità inferiore o a quella superiore, a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

Permessi retribuiti per i familiari del disabile

permessi retribuiti non spettano solo al disabile, ma anche ai suoi familiari, se sono lavoratori dipendenti.

I permessi possono essere accordati ad un unico lavoratore per assistere lo stesso disabile, il referente unico: il referente beneficia dei permessi mensili per tutti i mesi di assistenza alla persona con handicap grave.

Il diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza dello stesso disabile: questi deve dunque dichiarare all’Inps  il lavoratore suo familiare prescelto, da cui vuole essere assistito. Se il disabile è assistito alternativamente, per periodi di tempo predeterminati, da parenti diversi (entro il 2° grado), ciascun avente diritto deve presentare, di volta in volta, la domanda per ottenere il riconoscimento dei permessi retribuiti legge 104.

Un’eccezione alla regola generale del “referente unico” è prevista nel caso dei genitori, che possono beneficiare alternativamente dei permessi per l’assistenza dello stesso figlio con handicap grave.

Il diritto ai permessi retribuiti è concesso anche se:

  • nel nucleo familiare del disabile si trovano familiari conviventi non lavoratoriidonei a prestare assistenza;
  • sono presenti altre forme di assistenza pubblica o privata (ricorso alle strutture pubbliche, al cosiddetto “no profit” e al personale badante).

Come usare i permessi della legge 104

Spesso ci si chiede se il lavoratore che utilizza i permessi della legge 104 debba stare tutta la giornata o solo le ore lavorative presso il familiare con handicap. In generale la giurisprudenza sostiene che l’impiego per scopi personali della giornata di permesso retribuita costituisce un comportamento illegittimo che può essere configurabile come reato: quello di truffa ai danni dello Stato (difatti l’indennità per la giornata di riposo viene corrisposta dall’Inps e solo inizialmente anticipata dal datore di lavoro). Inoltre tale comportamento giustifica il licenziamento visto che il dipendente si macchia di una condotta infedele. Il datore potrebbe far pedinare il lavoratore, a tal proposito, e verificare se lo stesso sta usando i permessi della legge 104 per scopi personali o per assistere l’invalido.

Di recente però la Cassazione ha adottato un’interpretazione più larga. Secondo la Corte, poiché il lavoratore con la legge 104, durante il normale corso della settimana, alterna il lavoro all’assistenza, non trovando quindi spazi per le proprie necessità (fosse anche fare la spesa, comprare un vestito o incontrarsi con gli amici) è legittimo pensare che lo faccia durante i giorni di permesso in cui ha più tempo. Infatti la legge ha cancellato l’obbligo dell’assistenza continuativa. Ciò che però resta vietato è l’utilizzo dell’intera giornataper scopi personali come, ad esempio, per allungare il weekend e il ponte o fare gite con gli amici. In passato è stato ritenuto legittimo il licenziamento della lavoratrice sorpresa, in uno dei giorni di permesso con la legge 104, a partecipare a una serata in discoteca.

Domanda Legge 104

Per ottenere le agevolazioni collegate alla Legge 104 è prima necessario il riconoscimento dello stato di disabilità. Per domandarne il riconoscimento, dopo aver ottenuto il certificato medico dal proprio medico curante, si deve inoltrare, tramite il sito dell’Inps, il contact center Inps Inail, o mediante Patronato, la domanda di accertamento dei requisiti sanitari. L’accertamento medico potrà, poi, consentire l’accesso non solo ai benefici legati alla Legge 104, ma anche a quelli connessi alla non autosufficienza, all’invalidità civile, cecità, sordità, etc. La procedura, dunque, è unica sia per l’handicap che per l’invalidità, anche se le due condizioni danno diritto a benefici differenti.

Come viene accertata la disabilità?

Lo stato di gravità della minorazione è accertato da un’apposita commissione medica Asl, che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla data di presentazione della relativa domanda.

Se la commissione non si pronuncia entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, l’accertamento è provvisoriamente effettuato da un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l’Asl da cui è assistito l’interessato. L’accertamento provvisorio è efficace fino all’emissione dell’accertamento definitivo della commissione.

Inoltre, su richiesta motivata dell’interessato, la commissione medica può rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita, efficace fino all’emissione dell’accertamento definitivo.

Nel caso di disabili affetti da sindrome di down, l’accertamento della gravità della disabilità è effettuato dal medico curante previa richiesta di presentazione del cariotipo, cioè del patrimonio cromosomico di un organismo.

La certificazione provvisoria è utile per beneficiare:

  • dei 3 giorni di permesso mensile retribuito per assistere i disabili gravi;
  • del prolungamento del congedo parentale fino al 3° anno di vita del bambino, portatore di handicap grave;
  • delle 2 ore di permesso giornaliero retribuito fino al 3° anno di vita del bambino, portatore di handicap grave (in alternativa al prolungamento del congedo parentale);
  • del congedo straordinario biennale retribuito per assistere i disabili gravi.

Permessi retribuiti Legge 104

Come abbiamo visto, il lavoratore che assiste un figlio o un familiare (coniuge, affine o parente entro il 2° grado, eccezionalmente entro il 3° grado) con handicap grave ha diritto a 3 giorni di permesso retribuito mensile.

L’assistenza al portatore di handicap, perché siano concessi i permessi retribuiti, deve essere continuativa: questo non comporta necessariamente la convivenza tra il lavoratore ed il disabile, secondo un noto interpello del Ministero del Lavoro [2]. Ciò che interessa è che sia presente un’assistenza sistematica ed adeguata: in base a ciò, è possibile chiedere i permessi presentando un programma delle modalità di assistenza. Sulla congruità medico-legale del programma deve esprimersi il dirigente del centro medico legale della sede Inps competente .

In caso di ricovero ospedaliero, si possono fruire i permessi se:

  • è richiesta l’assistenza da parte di un familiare;
  • il disabile è in stato vegetativo persistente;
  • il disabile ha una prognosi infausta a breve termine.
  • il disabile deve uscire dalla strutturaper visite specialistiche e terapie.

Anche il lavoratore portatore di handicap grave, come già esposto, ha diritto agli stessi permessi lavorativi. Il permesso può essere anche frazionato ad ore (2 ore al giorno) ed è necessaria, in tutti i casi, la certificazione specifica di handicap grave, rilasciata dall’apposita commissione medica Asl (integrata da un medico dell’Inps), per poterne fruire.

I permessi per l’assistenza del disabile sono retribuiti dall’Inps, ma anticipati dal datore di lavoro, che provvede poi al recupero in sede di denuncia mensile Uniemens.

Per ottenerli è necessario inviare un’apposita domanda all’Inps ed al datore di lavoro.

L’azienda non può rifiutare la concessione dei permessi, ma può richiederne la programmazione, se:

  • il lavoratore può individuare in anticipo le giornate di assenza;
  • non è pregiudicato il diritto dell’invalido all’effettiva assistenza;
  • la programmazione è condivisa con lavoratori e rappresentanze sindacali.

Ad ogni modo, il lavoratore può sempre spostare unilateralmente i permessi, perché l’interesse di assistenza e tutela del disabile prevale sulle esigenze organizzative aziendali.

I giorni di permesso della legge 104 spettano ai familiari non conviventi?

Secondo quanto disposto dalla legge 104 i  beneficiari dei permessi retribuiti per l’assistenza del portatore di handicap grave sono il coniuge, gli affini, i parenti entro il secondo grado, o entro il terzo grado a determinate condizioni di legge. La legge, come anticipato, esclude la convivenza tra i presupposti necessari per la concessione dei benefici . Ciò vuol dire che il diritto ad ottenere i permessi retribuiti è riconosciuto anche se gli affini ed i parenti non abitano con il disabile che deve ricevere assistenza.

Al partner convivente spettano i giorni di permesso della legge 104?

In passato, se il disabile aveva un rapporto di convivenza more uxorio (ossia una famiglia di fatto), per il fatto di non essere legato da vincolo matrimoniale, restava sprovvisto di tutela, anche nel caso in cui non esistessero altri familiari disponibili all’assistenza. La legge escludeva, difatti, il convivente more uxorio dall’elenco dei soggetti beneficiari dei permessi retribuiti legge 104 per l’asistenza, privando così i soggetti portatori di handicap grave interessati a ricevere assistenza da persone cui sono legate da un rapporto stabile e certo della tutela garantita dalla costituzione. Dal 2016, grazie a una nota sentenza della Corte Costituzionale, non è più così: secondo la Consulta, difatti, la Legge 104 , non prevedendo la concessione dei permessi retribuiti al convivente del disabile, viola la Costituzione per irragionevolezza e viola il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave sia come singolo che nella società .

La Corte costituzionale, riconoscendo il ruolo del convivente nell’assistenza al portatore di handicap grave, lo ha dunque equiparato a quello del gruppo di soggetti che, in via prioritaria, possono fruire dei permessi, cioè coniugeparenti e affini entro il secondo grado.

Al partner dell’unione civile spettano i giorni di permesso della legge 104?

Il lavoratore parte dell’unione civile, essendo equiparato al coniuge, ha diritto ai permessi retribuiti mensili per l’assistenza del partner disabile grave, come se fosse il marito, o la moglie, dell’assistito.

In attuazione delle nuove previsioni, la procedura online dell’Inps per l’invio della domanda dei permessi Legge 104 è stata recentemente implementata, per consentire anche agli uniti civilmente di inviare la domanda.

Congedo retribuito di due anni

Chi assiste un familiare convivente con handicap grave certificato ha diritto a un congedo straordinario retribuito, della durata massima di 2 anni nell’arco della vita lavorativa: è possibile assentarsi anche in maniera frazionata, ma la frazionabilità è soltanto giornaliera e non oraria.

Il beneficio spetta, nell’ordine: al coniuge che convive col lavoratore, ai genitori, ai figli conviventi, ai fratelli ed alle sorelle conviventi e, in mancanza, ad altri parenti o affini fino al terzo grado; è indispensabile, al contrario di quanto avviene per i permessi retribuiti, la convivenza col soggetto disabile.

due anni di congedo straordinario sono da intendersi come massimo utilizzabile, per ciascun dipendente, nell’intero arco della vita lavorativa. Pertanto, se vi sono più familiari per i quali si possa fruire del congedo, in ogni caso non è possibile superare i due anni totali, comprensivi di tutte le assenze inerenti ogni assistito.

Nel computo del limite dei 2 anni rientrano anche le giornate festive e non lavorativericomprese tra le giornate di assenza.

La domanda per il congedo straordinario consiste in un’autocertificazione, accompagnata dal certificato di handicap grave; deve essere presentata al proprio dirigente o alla propria amministrazione, se si lavora per un ente pubblico. I dipendenti privati, invece, devono inoltrare la domanda direttamente all’Inps: dopo che l’Istituto verifica la correttezza formale e accoglie l’istanza, devono effettuare la richiesta al proprio datore di lavoro.

L’indennità per il congedo straordinario corrisponde alle voci fisse e continuative dell’ultima retribuzione, sino ad un massimo di circa 48mila euro annuali (cifra rivalutata periodicamente); si ha diritto, inoltre, alla contribuzione figurativa.

Prolungamento del congedo parentale

Il lavoratore, secondo la Legge 104, può fruire di 2 ore di permesso giornaliero indennizzato per assistere il figlio disabile (portatore di handicap grave), oppure di 3 giorni mensili di permesso retribuito.

Se il figlio disabile è minore di 12 anni, però, può fruire del prolungamento del congedo parentale sino a un massimo di 3 anni, o di riposi alternativi al prolungamento.

Le ultime due agevolazioni non possono essere cumulate col congedo parentale orario.

Diritto alla scelta della sede

Il dipendente portatore di handicap grave, beneficiario di Legge 104, o che assiste un parente in possesso del medesimo stato, ha il diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, a meno che non sussistano ragioni contrarie motivate dall’azienda. Più che di un diritto, in questi casi parliamo di interesse legittimo.

È differente la situazione dei dipendenti pubblici: in particolare, i lavoratori della P.A. che sono in possesso di un’invalidità superiore a 2/3 hanno il diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.

Rifiuto al trasferimento

Il portatore di handicap grave, o il lavoratore che assiste un familiare nella stessa condizione, non può essere trasferito in altra sede dall’azienda contro la sua volontà, a prescindere dall’esistenza di ragioni valide e motivate dall’azienda: in tale situazione, difatti, si configura un vero e proprio diritto soggettivo in capo al dipendente.

Rifiuto di prestare lavoro notturno

Il lavoratore beneficiario di Legge 104, oppure che assiste o ha a proprio carico un soggetto portatore di handicap grave, non può essere adibito dall’azienda al lavoro notturno contro la sua volontà.

Rifiuto di prestare lavoro domenicale o festivo

La legge non prevede espressamente, per i portatori di handicap grave o per i familiari che li assistono, la possibilità di rifiutarsi di prestare lavoro festivo o domenicale. Prevedono questa possibilità, tuttavia, alcuni contratti collettivi, come il CCNL Commercio e Terziario, nel quale è stabilito che i portatori di handicap grave beneficiari di Legge 104, nonché i familiari conviventi che li assistono, possono legittimamente rifiutarsi di lavorare la domenica e nei festivi.

Contributi figurativi aggiuntivi

Il possesso di handicap, a prescindere dalla gravità, non dà diritto a particolari agevolazioni previdenziali. Queste, infatti, sono dovute in base all’invalidità, cioè alla riduzione della capacità lavorativa. In particolare, il lavoratore con invalidità sopra il 74% ha diritto, a partire dalla data di riconoscimento di tale percentuale di riduzione della capacità lavorativa, a 2 mesi l’anno di contributi figurativi, che si aggiungono alla contribuzione versata per raggiungere prima la pensione. In questo modo, è possibile anticipare la pensione sino a 5 anni.

Pensione anticipata

I lavoratori invalidi dall’80% in su hanno anche diritto di accedere alla pensione di vecchiaia anticipata, ossia con 60 anni e 7 mesi di età per gli uomini e 55 anni e 7 mesi per le donne (e 20 anni di contributi). Si applica, a questi requisiti, l’attesa di un periodo di finestra pari a 12 mesi dalla maturazione dei requisiti alla liquidazione della pensione.

Assegno ordinario d’invalidità

L’assegno ordinario d’invalidità è riconosciuto a prescindere dal possesso di handicap, per i soggetti con riduzione della capacità lavorativa superiore a 2/3. Sono necessari 5 anni di contributi versati, di cui 3 nell’ultimo quinquennio e sono previsti di limiti di cumulo tra assegno e altri redditi.

In particolare, la normativa prevede una riduzione:

  • del 25% se il reddito totale supera quattro volte il trattamento minimo;
  • del 50% se il reddito totale supera cinque volte il trattamento minimo;

Quando l’assegno d’invalidità è trasformato in pensione di vecchiaia, al compimento dell’età pensionabile, diviene pienamente cumulabile con tali redditi; inoltre, cadono tutti i limiti al cumulo dei redditi in presenza di almeno 40 anni di contributi.

L’assegno ordinario d’invalidità è compatibile con l’attività lavorativa, ma non è compatibile col trattamento di disoccupazione: in questo caso, è possibile optare per l’indennità più favorevole.

Pensione d’invalidità civile

La pensione d’invalidità, o assegno d’invalidità civile, è una prestazione assistenziale, dunque spetta a prescindere dal versamento di contributi; la prestazione non è collegata al possesso di handicap, ma è necessaria un’invalidità riconosciuta superiore al 74%. Per ottenere l’assegno, il reddito posseduto non deve essere superiore a 4.800,38 euro, per l’anno 2016.

Il sussidio è compatibile sia con l’attività lavorativa che con la disoccupazione, ma è incompatibile con qualsiasi pensione diretta d’invalidità e con tutte le prestazioni pensionistiche d’invalidità per causa di guerra, di lavoro o di servizio, comprese le rendite Inail. L’interessato può comunque optare per il trattamento più favorevole.

Pensione d’inabilità

La pensione d’inabilità ordinaria è anch’essa indipendente dal possesso di handicap, in quanto spetta in presenza di un’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro; sono necessari i seguenti requisiti contributivi: 5 anni di contributi di cui 3 versati nell’ultimo quinquennio. La pensione è incompatibile con qualsiasi attività lavorativa, dipendente, parasubordinata o autonoma.

L’ammontare della pensione di inabilità risulta dalla somma:

  • dell’importo dell’assegno di invalidità (che si calcola in proporzione ai contributi versati, col metodo retributivo sino al 2011, misto o contributivo, a seconda dell’anzianità assicurativa), non integrato al trattamento minimo;
  • della maggiorazione, pari agli anni di contribuzione compresi tra la decorrenza della pensione di inabilità ed il compimento dei 60 anni di età (in pratica, la pensione è pari a quella che il lavoratore avrebbe avuto una volta raggiunti 60 anni di età).

Se , in sede di accertamenti sanitari, viene invece riscontrato il possesso d’inabilità per assoluta e permanente impossibilità a svolgere le proprie mansioni lavorative o a proficuo lavoro, hanno diritto alla pensione d’inabilità soltanto i dipendenti pubblici, in casi particolari.

Pensione per invalidi civili totali

La pensione d’inabilità per invalidi civili totali (soggetti con riconosciuta invalidità totale e permanente del 100%) è un assegno dovuto a soggetti di età tra i 18 e i 65 anni, impossibilitati a svolgere qualsiasi attività lavorativa. L’emolumento è dunque incompatibile con qualsiasi lavoro: a differenza della pensione d’inabilità ordinaria, però, si tratta di una prestazione assistenziale, dunque la provvidenza è dovuta indipendentemente dal versamento di contributi, ma è soggetta al limite di reddito annuale di 16.532,10 euro.

Indennità di accompagnamento

L’indennità di accompagnamento è un trattamento che spetta agli invalidi civili totali non in grado di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore o non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

Tale indennità non è incompatibile con l’attività lavorativa (poiché l’impossibilità di lavorare si determina soltanto in presenza dello status di inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa), né con la percezione di altri redditi. Per il 2016 l’importo mensile spettante è pari a 512,34 euro, e l’importo annuale è pari a 6.148,48 euro.

Collocamento mirato

I lavoratori con invalidità civile superiore al 45%, a prescindere dal possesso di handicap, hanno diritto al collocamento mirato, cioè ad accedere ai servizi di sostegno dedicati, e ad iscriversi alle liste speciali, secondo quanto previsto dalla Legge 68 [3].

Inoltre possono essere computati nelle quote di riserva dell’azienda.

Hanno gli stessi diritti anche gli invalidi di guerra, del lavoro e per cause di servizio con percentuale sopra il 33%, con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria.

Agevolazione Legge 104 per l’acquisto di veicoli

Per quanto riguarda l’acquisto dell’auto da parte di un soggetto disabile, la normativa prevede 4 tipologie di benefici, tra loro cumulabili:

  • detrazione Irpef pari al 19% del costo del veicolo ( in pratica, se il costo del veicolo è pari a 10mila euro, si possono togliere 1.900 euro dalle imposte); la detrazione, che va indicata nella dichiarazione dei redditi, può essere effettuata in un’unica soluzione o in 4 quote; la spesa massima consentita è di 18.075,99 euro;
  • pagamento dell’Iva sull’acquisto del veicolo in misura ridotta, pari al 4%;
  • esenzione dal bollo auto (si tratta di un’esenzione perpetua, non limitata alle prime annualità);
  • esonero dal pagamento dell’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà.

Gli incentivi sono validi non solo per le autovetture, ma anche per alcuni autoveicoli specifici e per il trasporto promiscuo, autocaravan, motocarrozzette, motoveicoli per il trasporto promiscuo e specifici. Oltreché per l’acquisto, i benefici possono essere fruiti anche per la riparazione.

Non tutti i disabili possono usufruire, però, di queste agevolazioni, ma solo le seguenti categorie:

  • sordi e non vedenti ;
  • portatori di handicap grave secondo la Legge 104, qualora si tratti di disabili psichici o mentali titolari d’indennità di accompagnamento, o di disabili affetti da pluriamputazioni, o con capacità di deambulazione notevolmente limitata;
  • soggetti disabili con capacità motorie ridotte o assenti.

Le spese possono essere detratte anche dal familiare che ha fiscalmente a carico il disabile(il reddito annuo, perché il familiare sia considerato fiscalmente a carico, non deve superare 2.840,51 euro).

Agevolazioni fiscali Legge 104: spettano per l’auto cointestata?

I benefici fiscali legati all’acquisto di autoveicoli per disabili sono riconosciuti, alternativamente, o al disabile stesso, o al familiare che lo ha a carico.

Anche se, da un punto di vista logico, sarebbe più che corretto concedere l’agevolazione in presenza di cointestazione del veicolo, tanto più se uno dei cointestatari è il soggetto che ha a carico il disabile, una nota risoluzione dell’Agenzia delle Entrate è stato negato questo beneficio: secondo l’Agenzia, difatti, le norme che accordano agevolazionidevono essere interpretate in maniera letterale. Impossibile, dunque, riconoscere il beneficio in presenza di cointestazione del veicolo, poiché si violerebbe la legge, che prevede l’alternativa fruizione delle agevolazioni fiscali da parte o del soggetto disabile, o del familiare che lo ha in carico, senza ulteriori possibilità.

Detrazione Irpef per figlio disabile a carico

Se si ha un figlio a carico portatore di handicap grave secondo la Legge 104, l’ordinaria detrazione Irpef per figli a carico spettante è aumentata di 400 euro. Ciò vuol dire che la detrazione base, per il figlio minore di 3 anni, sarà pari a 1.620 euro annui anziché 1.220, e , se di età pari o superiore a 3 anni, sarà di 1.350 euro anziché 950.

Resta fermo l’aumento di 200 euro della detrazione per ciascun figlio a carico, nel caso in cui siano superiori a tre.

Deduzione dal reddito delle spese mediche generiche e di assistenza specifica

Un altro beneficio, valido sia per i disabili che per i familiari che li abbiano a carico, è l’integrale deduzione dal reddito dei seguenti costi:

  • spese mediche generiche (come, ad esempio, l’acquisto di medicinali);
  • spese di assistenza specifica. Rientrano nella categoria l’assistenza infermieristica e riabilitativa, le prestazioni fornite dal personale in possesso della qualifica di OSS, addetti all’assistenza di base, coordinatori delle attività assistenziali di nucleo, educatori professionali, addetti all’attività di animazione e di terapia occupazionale.

Detrazione dall’Irpef delle spese sanitarie per i disabili

Beneficiano di una detrazione del 19% dall’Irpef:

  • le spese mediche specialistiche sostenute per il disabile;
  • l’acquisto di mezzi d’ausilio alla deambulazione;
  • l’acquisto di poltrone per inabili e minorati, di apparecchi correttivi e di ulteriori ausili specifici.

Anche in questo caso, tali spese possono essere detratte sia dal soggetto portatore di handicap, che dai familiari che lo hanno a carico.

Detrazione dall’Irpef dei costi per l’abbattimento delle barriere architettoniche

L’eventuale adattamento di un ascensore, la costruzione di rampe e l’abbattimento di barriere architettoniche in genere, se a favore di un disabile beneficiano della detrazione dall’Irpef pari al 36% dei costi. Dato che, però, l’attuale bonus per gli interventi di ristrutturazione è più alto (attualmente si ha diritto a una detrazione Irpef pari al 50% dei costi di ristrutturazione, sino a un tetto massimo di 96mila euro) la detrazione al 36% può essere richiesta soltanto sull’eventuale eccedenza della quota di spesa per la quale è stata già domandata l’agevolazione per ristrutturazione edilizia.

Anche in questo caso, la detraibilità è valida per il parente che ha in carico il disabile, o, in alternativa, per il soggetto stesso.

Detrazione Irpef dei costi di assistenza per i soggetti non autosufficienti

I soggetti non autosufficienti, se la condizione risulta da un’apposita certificazione medica ed a prescindere dal possesso di handicap, possono detrarre dall’Irpef il 19% delle spese per l’assistenza, sino ad un massimo di 2.100 euro l’anno, se il reddito annuo non supera 40mila euro. L’agevolazione, fruibile anche dai familiari che hanno a carico questi soggetti, può essere cumulata con la deduzione dei contributi versati ai lavoratori domestici (nella misura massima, ricordiamo, di 1.549,37 euro).

Agevolazione Legge 104 per l’acquisto di pc e sussidi informatici

Sono previsti degli incentivi per l’acquisto di mezzi tecnici ed informatici a beneficio dei portatori di handicap grave secondo la Legge 104.

Le apparecchiature devono essere atte a facilitare la comunicazione, l’elaborazione scritta o grafica, il controllo dell’ambiente, l’accesso all’informazione ed alla cultura.

Sono agevolabili, ad esempio, computer, modem, fax, telefoni con vivavoce, tablet, etc.

I benefici consistono, nel dettaglio:

  • in una detrazione dei costi dall’Irpef pari al 19%;
  • nell’applicazione dell’Iva agevolata al 4%.

Altre agevolazioni fiscali per disabili

Ricordiamo, tra i residui benefici fiscali per i disabili, l’agevolazione forfettaria per l’acquisto ed il mantenimento di un cane guida, l’esenzione dalla tassa sulle imbarcazioni, il trattamento di vantaggio sull’imposta sulle successioni e le donazioni (ossia l’applicazione di una franchigia pari a un milione e mezzo di euro), l’aliquota Iva al 4% per l’acquisto di prodotti editoriali specifici (con supporti audio o scrittura braille).

Ape social per chi assiste disabili

Chi assiste da almeno 6 mesi un familiare convivente di 1° grado portatore di handicap grave, se ha almeno 63 anni di età e 30 anni di contributi può chiedere l’Ape sociale: si tratta di un assegno che spetta sino al perfezionamento del requisito di età per la pensione di vecchiaia. L’assegno, a carico dello Stato, è pari alla futura pensione, ma non può superare 1500 euro mensili.

Ultime sentenze sulla legge 104

Tribunale Bologna, sez. lav., 20/07/2017,  n. 765 

In tema di fruizione dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3, legge 104/1992, la concessione dei permessi comporta un disagio per il datore di lavoro, giustificabile solo a fronte di un’effettiva attività di assistenza. Pertanto, l’uso improprio del permesso, anche soltanto per poche ore, costituisce un abuso del diritto, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, tale da determinare nel datore di lavoro la perdita della fiducia nei confronti del lavoratore e legittimare la sanzione del licenziamento per giusta causa.

Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017,  n. 14187 

I permessi ex legge 104 concorrono nel computo dei giorni di ferie annuali

La limitazione della computabilità dei permessi previsti dalla legge n. 104 opera esclusivamente nei casi in cui questi debbano cumularsi con il congedo parentale ordinario e con il congedo di malattia del figlio, ipotesi nelle quali è prevista un’indennità minore rispetto a quella vigente per la retribuzione normale. Ne consegue che, nella specie, i permessi, accordati per l’assistenza del genitore portatore di handicap concorrono nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato.

Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017,  n. 14187 

I giorni dedicati all’assistenza al genitore portatore di handicap ex legge 104/92 concorrono alla determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore

I permessi di cui all’art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 (nella specie accordati per l’assistenza a genitore portatore di handicap), fondati sulla tutela dei disabili prevista dalla normativa interna (artt. 2, 3 e 38 Cost.) ed internazionale (direttiva n. 2000/78/CE e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009), concorrono alla determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato, in quanto il diritto alle ferie, assicurato dall’art. 36 Cost., garantisce il ristoro delle energie a fronte della prestazione lavorativa svolta e ciò si rende necessario anche in caso di assistenza ad un invalido, che comporta un aggravio in termini di dispendio di energie fisiche e psichiche.

Tribunale Roma, sez. lav., 04/05/2017,  n. 4093

Mancato riconoscimento dei permessi ex l. 104/1992: la prova è a carico del lavoratore

La lavoratrice che rivendica di aver fruito dei permessi ex art. 33, comma 3, legge 104/92 in misura inferiore a quella spettanti di diritto deve produrre in atti la relativa richiesta di permesso dalla stessa avanzata e elementi dai quali risulti che tale richiesta sia stata successivamente respinta dalla società, ovvero che tali ore di permesso siano state imputate a ferie o ROL.

Tribunale Roma, sez. lav., 04/05/2017,  n. 4093

I permessi ex art. 33 della legge n. 104/1992 costituiscono un beneficio a carico dell’INPS finalizzato a garantire assistenza ai familiari disabili e vengono concessi nei limiti in cui tale assistenza venga effettivamente prestata. Ne consegue che la richiesta di un numero maggiore di ore di permesso può essere oggetto di domanda giudiziale solo laddove il ricorrente ne abbia fatto previa specifica domanda all’INPS con esito negativo a fronte di specifiche esigenze assistenziali del genitore disabile.

Cassazione penale, sez. II, 01/12/2016,  n. 54712

Permessi legge 104, occorre prestare assistenza altrimenti è truffa

In tema di permessi “ex lege” n. 104 del 1992, il lavoratore pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore di lavoro, deve comunque garantire un minimo di assistenza. Di conseguenza risponde di truffa chi utilizzi questi permessi per recarsi all’estero, in viaggio di piacere.

Cassazione civile, sez. lav., 13/10/2016,  n. 20684

In tema di permessi giornalieri per i lavoratori, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per l’assistenza a persone portatrici di grave handicap, la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 2, comma 3 ter, del d.l. n. 324 del 1993, convertito in legge n. 423 del 1993, ha chiarito che tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico, i permessi devono intendersi retribuiti, sicché anche nei giorni di fruizione spetta la corresponsione del compenso incentivante previsto dall’art. 18 della legge 9 marzo 1989, n. 88.

Cassazione civile, sez. lav., 22/03/2016,  n. 5574 

L’utilizzazione dei permessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 per scopi estranei a quelli presentati dal lavoratore costituisce comportamento oggettivamente grave, tale da determinare, nel datore di lavoro, la perdita di fiducia nei successivi adempimenti e idoneo a giustificare il recesso.

Cassazione civile, sez. lav., 17/02/2016,  n. 3065

Superamento del comporto e fruizione dei permessi ex L. n. 104

La fruizione dei permessi ex l. n. 104 del 1992, non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia od aspettativa (non essendo – questa – una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l’attualità del rapporto di lavoro. Di conseguenza, l’assenza dal lavoro verificatasi nel giorno in cui il lavoratore avrebbe dovuto far rientro al lavoro, al termine del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, se imputabile a permesso ex l. n. 104 del 1992, non è computabile ai fini del superamento del periodo massimo di comporto.

T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 20/07/2015,  n. 9857 

I permessi previsti dalla l. n. 104 del 1992 per assistenza ai disabili in situazione di gravità possono essere fruiti a condizione che l’assistenza abbia le caratteristiche richieste dalla legge, sotto il profilo della continuità e dell’esclusività. Per i fini di interesse, viene precisato che l’esclusività va intesa nel senso che il lavoratore richiedente deve essere l’unico soggetto che presta assistenza al disabile e che questa non può considerarsi realizzata se il portatore di disabilità convive con altri lavoratori che già beneficiano dei permessi per prestare al medesimo assistenza, ovvero con altri soggetti non lavoratori in grado di assisterlo. Sono, peraltro, previste eccezioni, ancorché nel nucleo familiare del disabile vi sia una persona che non lavora, che, comunque, fermi gli altri requisiti, consentono la fruizione dei tre giorni di permesso mensile tra cui “quando la persona che non lavora non abbia la patente di guida (in tal caso il permesso potrà essere concesso per i giorni in cui il disabile deve essere accompagnato per visite mediche, terapie specifiche e simili, che dovranno essere documentate e giustificate a cura del dipendente).

Cassazione civile, sez. lav., 22/12/2014,  n. 27232

La presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non escluda di per sé il diritto ai tre permessi mensili retribuiti, non potendo in tal modo frustrarsi lo scopo perseguito dalla legge ed essendo presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz’altro ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permessi del lavoratore (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto ai tre giorni di permesso mensile ex art. 33 l. n. 104 pur in presenza di una colf).

Tribunale Livorno, sez. lav., 15/09/2014

L’art. 33, comma 3, l. n. 104/1992, tanto nell’originaria formulazione della norma che nella versione successiva, è chiaro nell’escludere il convivente more uxorio tra i beneficiari dei permessi retribuiti, espressamente individuati nel coniuge ovvero nel parente o affine sino al terzo grado. L’espressa indicazione da parte del legislatore dei beneficiari dei permessi de quibus, indicazione peraltro ribadita con la l. n. 183/2010, che ha escluso qualsivoglia rilevanza della convivenza tra il soggetto che aspira al beneficio e il familiare affetto da handicap grave, preclude infatti l’estensione in via esegetica al convivente more uxorio del beneficio.

note

[1] L. 104/1992.

[2] Interpello Min. Lav. n. 25/I/0004577 del 10/10/2006.

[3] L. 68/1999.

AVERSA. Attenti a quei 3: Bisceglia, De Cristofaro e Nino Della Gatta, presidio alto per evitare nel Puc un nuovo sacco della città. E Palmiero coinvolge il professore Coppola

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Enrico De Cristofaro, Carmine Palmiero e Nino Della Gatta

Il consigliere di Noi Aversani prepara eventi pubblici per costringere il partito degli ingegneri e degli architetti ad uscire allo scoperto

AVERSA – (g.g.) Carmine Palmiero merita una visibilità in questo giornale perchè, diciamocela tutta, è uno dei pochissimi, se non  l’unico consigliere comunale che sta svolgendo, dal momento in cui il gruppo di Noi Aversani ha lasciato la maggioranza, la sua azione di opposizione democratica con impegno e passione. Certo, fare la minoranza può darti visibilità, ma è talmente scomodo, talmente disagevole, a volte difficile a partire dalle necessità di dover studiare atti ed altri documenti amministrativi, che in pochi sono realmente intenzionati a farlo e in pochi resistono a lungo nel farlo. Insomma, chi si impegna seriamente nel rappresentare la minoranza, merita la visibilità che cerca e anche di avere una prospettiva, una chance per essere, un domani, maggioranza governante e amministrazione attiva.

Prendete,ad esempio, quelli di Noi Aversani. Fino a quando erano nei banchi del governo, si notava l’attività dei consiglieri comunali ma soprattutto della giovane assessora Federica Turco la quale, una volta passata all’opposizione, è letteralmente scomparsa dimostrando di non avere nè grande passione per la politica, nè grande talento visto che se a 27 anni già si ritiene che l’unica cosa per cui valga la pena impegnarsi è una poltrona, e non si accetta l’idea che una traversata nel deserto possa essere formativa e qualificante, allora l’antifona è questa e quella caratteristica ti accompagnerà per tutta la vita.

Abbiamo assunto noi l’iniziativa di interpellare Palmiero. Lo abbiamo fatto anche perchè ci è piaciuto notare che lui è l’unico consigliere comunale che si sta impegnando su quello che dovrebbe essere il tema di tutti i temi, il fatto più importante su cui la città dovrebbe dibattere: il nuovo Puc, cioè il nuovo strumento di pianificazione e progettazione territoriale.

Siccome l’aria che tira è quella prevista e prevedibile e cioè di altro cemento in una città che ha una densità di popolazione pari a quella delle megalopoli asiatiche, soprattutto di quelle indiane; siccome l’aria che tira non può essere un’altra aria visto che i padroni del vapore sono l’ex sindaco Carmine Bisceglia, il suo allievo storico Enrico De Cristofaro, oggi titolare della fascia e il solito imprenditore sanciprianese trapiantato ad Aversa Nino Della Gatta, allora, quale concezione differente rispetto al cemento ignorante, all’assalto all’ultimo centimetro quadrato di spazio disponibile in una città letteralmente asfissiata dal carico urbanistico, si può prefigurare e prevedere?

Per cui, l’iniziativa assunta da Palmiero nei giorni scorsi di riunirsi con un aversano importante ma soprattutto esperto qual è il professore Alberto Coppola, si rappresenta come una speranza per costruire una resistenza civile, morale a un modello di sviluppo frutto di una mentalità datata, arcaica ma che è l’unico modo conosciuto dalla cultura del territorio così come questa alberga nelle teste dei citati Bisceglia, De Cristofaro e Nino Della Gatta.

“Nei giorni scorsi – racconta Palmiero – ho incontrato il Prof. Alberto Coppola con il quale c’è stata subito un’intesa cordiale e propositiva, cosa semplice dal momento che l’urbanista si è detto disponibile ad incontrare chiunque abbia a cuore le sorti della nostra città . In primis – continua il consigliere comunale di Noi Aversani – ho voluto sincerarmi, non essendo io un tecnico, che le nostre richieste alla maggioranza rispetto alla realizzazione del PUC avessero fondamento tecnico/scientifico, parlo in particolare della richiesta di “Noi Aversani”, dell’inserimento nello strumento urbanistico di una clausola ambientale che sarebbe determinante e contribuirebbe alla tutela del patrimonio ecologico, nonché alla lotta contro le speculazioni edilizie sui terreni.

Ed ecco il punto focale della situazione, la linea del fronte, la trincea degli uomini di buona volontà che intendono salvare quel minimo di vivibilità cittadina, magari costituendo le condizioni per accrescerla a vantaggio dei propri figli. Va evitato, insomma, un nuovo sacco della città.

Con il professore Coppola – spiega ancora Palmiero – abbiamo anche discusso dei grandi temi non affrontati nelle linee guida poste in essere dall’amministrazione, in particolare del mercato ortofrutticolo e del padiglione Leonardo Bianchi e molto altro ancora. Inoltre è indispensabile addivenire ad una soluzione seria del traffico attraverso il PUT ( piano urbano traffico ). Auspichiamo che il Sindaco apra un tavolo di concertazione con le opposizioni, noi intanto, visto l’estremo ritardo con cui si sta trattando il tema, cercheremo – aggiunge in conclusione il consigliere comunale – di compulsare l’amministrazione anche con l’aiuto di Docenti affermati nel campo della mobilità, dell’urbanistica e più in generale della tutela del territorio. Terremo infatti degli incontri bimensili al fine di poter dare delle risposte serie e concrete alla cittadinanza e non ci faremo abbindolare da uno scarno libro dei sogni che nulla ha a che vedere con il futuro della nostra comunità.

Italia, ipotesi ripescaggio al Mondiale: il web si scatena

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La notte di San Siro ha decretato che l’Italia è fuori dai Mondiali di Russia 2018. Una disfatta pesante per la Nazionale italiana che non parteciperà al campionato del mondo dopo 60 anni. A meno che… Sì, perché c’è una piccolissima e remota speranza di vedere gli azzurri scendere in campo dal 14 giugno, data d’inizio della rassegna continentale. La “possibilità” che in queste ore ha scatenato il web tra commenti ironici e non, viene lasciata aperta dall’articolo 7 del regolamento ufficiale della FIFA che recita: «Qualora un’associazione (delle 32 qualificate) si ritiri o sia esclusa dalla gara, il comitato organizzatore della FIFA deciderà sulla questione a propria discrezione e prenderà qualsiasi azione ritenuta necessaria. Il comitato organizzatore della FIFA può in particolare decidere di sostituire l’associazione in questione con un’altra associazione».

DECIDE LA FIFA – Come spiega chiaramente il regolamento, quindi, sarà la Fifa a scegliere la squadra che potrebbe tornare in gioco perchè è il Comitato Organizzatore che ha “piena discrezione” sulla scelta, a prescindere da classifiche, qualificazioni o ranking (in cui comunque l’Italia è la migliore seconda dei 9 gruppi europei a non essere qualificata).

LE NAZIONALI A RISCHIO – Nonostante il regolamento, però, c’è da sottolineare che un eventuale ritiro dal Mondiale è davvero difficile, considerato che mancano ormai pochi mesi al calcio d’inizio. Quindi è davvero difficile ipotizzare una situazione come questa. L’unica chance – facendo gli scongiuri perché sarebbe un altro brutto momento per il mondo intero – è che in uno dei Paesi in cui la situazione è tutt’altro che tranquilla scoppino guerre o pesanti questioni sociali. Tra questi potrebbero esserci la Corea del Sud, la Nigeria, l’Iran, l’Arabia Saudita, il Senegal, l’Egitto.

IL PRECEDENTE – E se lo scetticismo tra le persone regna sovrano è pur vero che un precedente c’è. Il caso più eclatante è quello della Jugoslavia, in occasione degli Europei del 1992. La nazionale jugoslava venne esclusa per l’avvento della guerra nei Balcani e al suo posto venne scelta la Danimarca, diventata poi incredibilmente campione d’Europa.

Segnalazione centrale rischi: quando?

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Hai tardato a pagare diverse rate del mutuo. Le tue condizioni economiche non sono affatto disperate, ma spesso ti trovi ad affrontare un non perfetto allineamento tra le entrate e le uscite del tuo lavoro. Capita, ad esempio, che i clienti ti paghino in ritardo e, di conseguenza, sei anche tu costretto a pagare la banca con uno slittamento di qualche giorno, a volte settimane. Questa volta, però, il ritardo non ti è stato perdonato e ora ti trovi iscritto alla Centrale Rischi, ossia la famigerata banca dati dei cattivi pagatori. Ti rivolgi al direttore di banca per fargli notare che, comunque, la tua posizione non è equiparabile a quella di un debitore incallito e, per quanto non sempre in modo puntuale, i pagamenti sono stati sempre stati eseguiti. Insomma, la tua condizione economica è solida e non giustifica un’onta di tale tipo. Il direttore si giustifica aggrappandosi alle consuete istruzioni della direzione e sostiene di non poterci fare nulla. Chi dei due ha ragione? Quando scatta la segnalazione alla Centrale Rischi? La soluzione è stata offerta da una recente sentenza della Cassazione [1], la quale non ha fatto altro che ribadire un orientamento ormai solido in giurisprudenza ed al quale – a quanto sembra – le banche non sempre si adeguano.

La Centrale Rischi interbancaria è un “elenco” dei cattivi pagatori tenuto dalla Banca d’Italia che serve a garantire la stabilità del sistema creditizio e fare in modo che i nominativi dei morosi siano noti agli istituti di credito. In tal modo si evita che un soggetto che non abbia restituito un prestito possa chiedere ulteriori finanziamenti ad altre banche e rendersi inadempiente anche nei confronti di queste ultime. Tale segnalazione finisce però per essere sempre un grave pregiudizio per il correntista che, così, oltre a vedersi negare il credito, subisce una “macchia” alla propria credibilità commerciale. Ecco perché la Cassazione ha sempre detto che la segnalazione nella banca dati dei cattivi pagatori può intervenire solo quando l’insolvenza è conclamata e certa. Il semplice ritardo nel pagamento di qualche rata del mutuo non può invece giustificare tale provvedimento.

La sentenza in commento conferma questo indirizzo e ribadisce: la banca non può segnalare alla Centrale rischi della banca d’Italia il proprio cliente solo se questi non ha rispettato le scadenze relative alle rate di un mutuo. Prima di far inserire il nominativo del cliente nella black list dei soggetti a rischio di insolvenza è, infatti, necessario essere certi che la difficoltà economica non sia «transitoria» o non sia, ad esempio, determinata da un andamento caratteristico delle aziende del settore (si pensi a una azienda che fattura di più nel periodo estivo e meno nel periodo invernale).

Prima dell’iscrizione del mutuatario nella Centrale Rischi è necessaria una seria valutazione delle cause del ritardo. Una semplice difficoltà economica momentaneanon può essere equiparata a un indice di insolvenza conclamata. Capita, non di rado, che determinate attività lavorative siano soggette a cicli produttivi legali ai consumi. Un esempio su tutti sono le attività stagionali (si pensi a chi vende addobbi per alberi di Natale). Anche i professionisti possono subire crisi momentanee di questo tipo; è noto, ad esempio, che in agosto si lavora di meno. Ed anche un lavoratore dipendente che, in un determinato periodo, abbia ricevuto la paga con qualche giorno di ritardo, non può essere pregiudicato da tale circostanza se non c’è il rischio che perda il lavoro. Dunque tutte le volte in cui le difficoltà economiche sono transitorie, il mancato rispetto delle scadenze del contratto di mutuo non può considerarsi un segnale di insolvenza.

Che può fare il correntista quando la segnalazione alla centrale Rischi è illegittima? Il primo passo è quello di chiedere la cancellazione immediata dalla banca dati, offrendo le prove della propria stabilità economica. In secondo luogo, dimostrando che tale situazione ha determinato un danno – anche solo alla reputazione commerciale – può chiedere il risarcimento alla banca troppo frettolosa.

note

[1] Cass. sent. n. 25512/2017.

Autore immagine: 123rf com

Rigare l’auto è reato?

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Se un giorno, avvicinandoti alla tua auto, dovessi scoprire che la fiancata è stata rigatacosa faresti? Al di là delle comprensibili e immaginabili imprecazioni, la prima cosa che sorge spontaneo fare è presentare una denuncia ai carabinieri contro ignoti. Ma la verità è che è sorto più di un dubbio sul fatto se rigare l’auto è reato. Questo perché l’anno scorso la legge [1] ha depenalizzato il reato di danneggiamento, trasformandolo in un semplice illecito amministrativo. Il reato è ancora valido solo nel caso di «danneggiamento aggravato», ossia quando il bene è esposto alla cosiddetta «pubblica fede». Questa circostanza ricorre tutte le volte in cui il reato viene posto in essere contro beni lasciati alla mercé della collettività, contando sul rispetto che gli altri devono avere per le cose altrui. Come appunto nel caso dell’auto parcheggiata al lato della strada. La questione è stata affrontata dalla Cassazione con una sentenza di poche ore fa [2] con cui ha chiarito se rigare l’auto è reato oppure non lo è più.

Il decreto legge sulla depenalizzazione ha sì cancellato il reato di danneggiamento, prevedendo per tali condotte solo una sanzione amministrativa. Ma l’illecito penale resta in piedi quando c’è l’aggravante dell’esposizione del bene alla fede pubblica. Si ha esposizione alla pubblica fede quando le cose su cui viene posto in essere il reato si trovano esposte, per necessità, consuetudine o destinazione, al pubblico. Con l’espressione «esposizione a pubblica fede» il codice penale indica l’affidamento che il proprietario di un bene ripone (o è tenuto a riporre) nella coscienza civile dei consociati, quando si trova costretto (per necessità, destinazione dei beni, consuetudine sociale) a dover lasciare i propri oggetti nella piena disponibilità della collettività (ad esempio l’auto o il motociclo parcheggiati nelle pubbliche vie, i prodotti da banco nei supermercati, ecc.).

La questione affrontata dalla Cassazione è se l’auto lasciata sì al lato del marciapiedi, ma dotata di antifurto e ripresa dalla telecamera dell’impianto di videosorveglianza installato all’esterno dell’abitazione del proprietario possa ancora dirsi «esposta alla pubblica fede». Dalla risposta dipende anche la sussistenza o meno del reato di danneggiamento in caso di auto rigata.

Secondo la Cassazione non ci sono dubbi: è reato danneggiare un’auto in strada nonostante l’antifurto, il Gps o qualsiasi altra forma di controllo come la videosorveglianza. Si tratta infatti di sistemi che servono a scoraggiare il ladro o il vandalo e facilitano la sua individuazione, ma non impediscono di certo la consumazione dell’illecito.

Non è depenalizzato l’illecito di atti vandalici contro l’auto se questa è parcheggiata su un marciapiedi o comunque su una strada pubblica, in quanto vi è l’aggravante dell’esposizione del bene alla fede pubblica. Per il colpevole scatta la condanna alla reclusione e al risarcimento dei danni.

Ma che fare se qualcuno ti riga l’auto?

Se hai una polizza contro gli atti vandalici è verosimile che non ti preoccuperai più di tanto. Ti basterà fare la denuncia ai carabinieri contro ignoti e inoltrare il documento alla tua assicurazione affinché provveda alla liquidazione del danno secondo quanto previsto in polizza.

Il problema è se non hai una copertura assicurativa. In tale ipotesi, purtroppo, potresti ottenere un risarcimento solo scoprendo il responsabile. Ma se è vero che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto è verosimile che la tua auto possa essere nuovamente oggetto di “attenzione” di chiodi o chiavi. Così, potresti installare una telecamera che inquadra il parcheggio del condominio, nel rispetto della normativa sulla privacy (a riguardo leggi Telecamera che inquadra il parcheggio condominiale è lecita?).

note

[1] Dl n. 7/2016.

[2] Cass. sent. n. 51622/17.

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