Macchina fotografica rubata, ecco come ritrovarla!

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Ci sono macchine fotografiche digitali che costano pochi euro, ma anche modelli che hanno un grande valore come le Reflex. Al valore economico si aggiunge poi anche il valore affettivo: magari è stata la macchina con la quale abbiamo mosso i primi passi nella fotografia digitale.

E come qualsiasi oggetto prezioso, anche le macchine fotografiche possono essere smarrite o rubate. Quando si subisce un furto le speranze di ritrovare l’oggetto non sono tante, ma nel caso di una macchina fotografica digitale, oltre ai soliti canali, c’è un servizio che pochi conoscono e che può darci una mano in più.

Il sito Stolen Camera Finder può aiutarci a recuperare una fotocamera smarrita o rubata attraverso l’uso dei metadati che vengono salvati nelle foto digitali. In pratica ogni foto che viene catturata con una macchina fotografica digitale contiene alcune informazioni nascoste sia sull’immagine che sulla fotocamera, come la marca, il modello e la data. In queste informazioni a volte è presente anche il numero di serie univoco che identifica la fotocamera.

Stolen Camera Finder cerca su Internet le foto che vengono postate e raccoglie i numeri di serie delle fotocamere che le hanno realizzate. Ora, avendo una foto scattata con la macchina fotografica che ci è stata rubata, possiamo usarla per permettere a questo sito di cercare sul web altre foto scattate con la stessa fotocamera.

Trovate le foto realizzate con la stessa macchina, sarà quindi possibile risalire a chi le ha condivise che, con molta probabilità, sarà la persona che l’ha rubata o che magari l’ha acquistata ignorando che fosse opera di un furto. Il funzionamento è molto semplice. Basta andare su Stolen Camera Finder e trascinare sul sito una foto realizzata con la fotocamera rubata.

Se non abbiamo una foto, possiamo cliccare sul link no photo? per effettuare una ricerca manuale inserendo il numero seriale che possiamo recuperare dalla scatola della macchina fotografica. Purtroppo non tutte le macchine fotografiche digitali sono supportate da questo servizio. È possibile trovare l’elenco di quelle compatibili su www.stolencamerafinder.com/listmodels.

Macchina fotografica rubata, ecco come ritrovarla!

 

Circolare Agenzia Entrate: è obbligatoria?

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Ti sei presentato a un ufficio pubblico per chiedere un certificato o un’autorizzazione e lì ti è stato detto che le carte in tuo possesso non sono in regola perché, «in base a una circolare interna», c’è bisogno di un ulteriore adempimento. Sicuro di aver rispettato la fitta normativa fiscale prevista dalla legge, d’un tratto hai ricevuto una contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate perché, a suo dire, il tuo comportamento non sarebbe in linea con una circolare ministeriale. Ti è stata così negata un’agevolazione fiscale e, peggio ancora, sei stato costretto a pagare imposte e sanzioni. In tali circostanze è normale chiedersi se la circolare dell’Agenzia delle Entrate è obbligatoria o meno, anche per chi, informandosi tutti i giorni tramite i giornali delle novità legislative, possa non esserne venuto a conoscenza. In altri termini che valore ha una circolare? La risposta è stata fornita dalla Cassazione con una sentenza pubblicata ieri [1].

Prima di spiegare se la circolare dell’Agenzia delle Entrate è obbligatoria o meno dobbiamo rinfrescare alcune basilari nozioni di diritto costituzionale. Quella che comunemente si chiama «legge» è, in realtà, un insieme di atti e norme che possono assumere un diverso grado e forza a seconda di come e da chi è stata approvata. All’apice di tutto il nostro sistema legislativo c’è la Costituzione che non può essere modificata se non da una legge avente pari valore (legge costituzionale). Un gradino più in basso nella piramide c’è la legge del parlamento e gli atti del Governo (decreti legge e decreti legislativi): questi non possono derogare alla Costituzione ma possono modificare o abrogare altre leggi o atti di valore inferiore. Più in basso ancora ci sono i decreti ministeriali e i regolamenti: anche questi non possono modificare le norme di rango superiore ma solo quelle del loro stesso livello (così un decreto ministeriale non può correggere o integrare una legge, ma può solo attuarla, fermo restando che può essere a sua volta modificato esclusivamente da un successivo regolamento).

La caratteristica che unisce tutti tali atti (che vanno sotto il nome di «fonti del diritto») è che valgono per tutti i cittadini italiani o per una generalità di cittadini individuati in modo generale e astratto (ad esempio tutti gli invalidi, tutti i dipendenti part-time, tutti gli abitanti di determinate zone terremotate, ecc.). Da qui anche il detto secondo cui «la legge non ammette ignoranze»: sia chi conosce che chi non conosce la normativa è tenuto a rispettarla, al di là del grado di tecnicismo che essa comporta.

Come è evidente, in questa struttura non c’è spazio per le circolari. Le circolari non sono fonti del diritto e, quindi, non sono obbligatorie per i cittadini.

Allora a che servono le circolari? Sono atti di indirizzo interno per gli uffici della pubblica amministrazione: servono cioè ad orientare il lavoro dei dipendenti in modo da conformarli a un unico standard operativo su tutto il territorio nazionale, evitando che ogni ufficio abbia le proprie regole e prassi. Poiché dunque la circolare non rientra nelle norme dell’ordinamento non può neanche imporre qualcosa che la legge non prevede. Con la conseguenza che i pubblici dipendenti non possono, anche se si “appigliano” a una circolare, pretendere dal cittadino dei comportamenti non previsti dalla legge.

La vicenda decisa dalla Cassazione ha visto protagonista un contribuente che aveva usufruito di un credito di imposta sull’acquisto di determinati prodotti; senonché sulla fattura non era stata apposta la dicitura «bene acquistato con il credito di imposta di cui all’art. 8 L. 388/2000» così come invece imposto da due circolari ministeriali. L’Agenzia delle entrate, pertanto, ha revocato l’agevolazione fiscale. Contro questa decisione il privato ha proposto ricorso: in sua difesa ha dedotto il fatto che la dicitura sulle fatture non era richiesta da nessuna norma e, pertanto, la sua assenza non poteva comportare la revoca del beneficio fiscale. La questione è finita in Cassazione. La Corte Suprema – in linea con i propri precedenti [2] –s ha ricordato che le circolari in materia tributarianon sono fonte del diritto e non possono imporre al contribuente adempimenti non previsti dalla legge.

note

[1] Cass. ord. n. 25905/2017.

[2] Cass. sent. n. 22486/2013.

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Bonus verde per giardini, balconi e terrazzi: come funziona?

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Se nel 2018 vorrai acquistare semi, fiori e alberelli da piantare sul balcone o nel giardino, concimi, sistemi di irrigazione automatica (anche una piccola pompa), vasi e terra, fertilizzanti avrai il 36% della spesa a carico dello Stato. Come? Mediante una detrazione fiscale sull’Irpef da pagare con l’estate del 2019. In buona sostanza, ipotizzando una spesa di 200 euro in un anno e un’imposta di mille euro, il contribuente potrebbe sottrarre il 36% di 200 ossia 72 euro. Così, invece di pagare tasse per mille euro ne pagherà 928.

Risultati immagini per balconi in fiori

È questo il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi previsto dalla legge di Bilancio 2018 e sul quale c’è ormai ampia convergenza per via del consenso che ha già suscitato ancor prima della sua definitiva approvazione. Naturalmente a beneficiarne saranno solo le spese sostenute nel 2018 per cui, sin da ora, è bene vedere cosa prevede la normativa e come ottenere la detrazione. Procediamo quindi con ordine e vediamo come funziona il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi.

Quali immobili vale il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi?

A differenza di tutti gli altri bonus per la casa, il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi non riguarda solo gli immobili in corso di ristrutturazione (come invece per le detrazioni fiscali per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici). Il bonus verdeè completamente svincolato da qualsiasi requisiti dell’immobile se non che deve essere adibito a civile abitazione. Solo gli appartamenti e le ville a uso abitativo quindi possono godere del beneficio fiscale. Restano esclusi uffici, negozi, magazzini. Il che potrebbe sembrare una ingiusta discriminazione se si considera che scopo del beneficio non è tanto quello di aiutare le famiglie, quanto contribuire al verde delle città, verde che – pertanto – è indipendente dal soggetto che lo realizza.

Bonus verde per giardini, balconi e terrazzi anche nei condomini?

Altra importante precisazione del nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi è che non riguarda solo ville e villini, ma anche i condomini. Chi non abita al primo piano e non ha un proprio giardino può sfruttare il bonus verde sul balcone, ad esempio per le fioriere e le piante da sistemare sulla parte esterna dell’appartamento. Il bonus non copre quindi le spese per l’interno dell’immobile.

Quali spese per il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi?

Vediamo quale tipo di spese copre il nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi. Lo sconto riguarda la sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, impianti di irrigazione e pozzi, la realizzazione di coperture a verde e di giardini pensili e coperture. Sono detraibili anche le spese che riguardano la manutenzione e le attività di progettazione. Vi rientrano quindi balconi, terrazzi, giardini, coperture.

Come funziona il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi anche nei condomini?

Altra importante precisazione del nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi è che non riguarda solo ville e villini, ma anche i condomini. Chi non abita al primo piano e non ha un proprio giardino può sfruttare il bonus verde sul balcone, ad esempio per le fioriere e le piante da sistemare sulla parte esterna dell’appartamento. Il bonus non copre quindi le spese per l’interno dell’immobile.

Fino a quanto posso spendere?

La detrazione fiscale è del 36%, da dividere in dieci quote annuali. Il tetto massimo di spesa ammesso è di 5mila euro per ogni unità immobiliare a uso abitativo. Questo significa che:

  • chi spende, per lo stesso appartamento, più di 5mila euro può ottenere al massimo 1.800 euro di detrazione (pari cioè al 36% di 5mila euro);
  • chi però spende più di 5mila euro perché ha la seconda casa, può godere fino a 10mila euro di detrazione (5mila per ogni immobile).

In buona sostanza, il contribuente A, che spende 5.000 euro per il giardino della casa e il contribuente B che ne spende invece  7.000, possono entrambi ottenere una detrazione fino a massimo 1.800 euro. Ma se il contribuente B ha speso 4.000 euro per la prima casa e 3.000 per la seconda può portare in detrazione integralmente le due spese (1.440 euro di detrazione per la prima casa; 1.080 euro per la seconda).

In caso di interventi su parti comuni esterne di edifici condominiali, il limite andrà moltiplicato per il numero totale di unità abitative presenti.

Come deve essere la spesa per il bonus verde per giardini, balconi e terrazzi anche nei condomini?

Altra importante precisazione del nuovo bonus verde per giardini, balconi e terrazzi è che non riguarda solo ville e villini, ma anche i condomini. Chi non abita al primo piano e non ha un proprio giardino può sfruttare il bonus verde sul balcone, ad esempio per le fioriere e le piante da sistemare sulla parte esterna dell’appartamento. Il bonus non copre quindi le spese per l’interno dell’immobile.

La spesa deve essere documentata.

La detrazione deve essere divisa in 10 rate annuali e sarà concessa a condizione che i pagamenti siano tracciabili, come i bonifici parlanti.

Bonus verde per giardini, balconi e terrazzi: come funziona?

 

Perché la giustizia è bendata?

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Molto spesso sulle targhe degli avvocati oppure all’ingresso dei tribunali è possibile vedere la raffigurazione di una donna bendata che regge in una mano la bilancia e nell’altra la spada: è la giustizia. Ma perché è rappresentata così? E soprattutto, perché la giustizia è bendata? Scopriamolo.

Dike

Nella mitologia greca Dike era la dea della giustizia, figlia di Zeus e di Temi (una delle tante spose del re dell’Olimpo). Secondo la leggenda, Dike viveva sulla terra quando Crono governava sull’Olimpo, prima di essere detronizzato dal figlio Zeus. Era l’età dell’oro, tempi felici per gli uomini che ancora non conoscevano la sofferenza, la guerra e il lavoro. Quando Zeus sostituì il padre, il mondo conobbe un’epoca buia e gli uomini iniziarono a praticare la violenza. Dike, disgustata da tutto ciò, decise di abbandonare la terra e andò in cielo, nella costellazione della Vergine.

Temi

Secondo un’altra versione del mito, la prima, vera dea della giustizia non sarebbe stata Dike, bensì la madre, Temi (Thémis in greco). Per gli appassionati di mitologia greca, bisogna precisare che Temi non era propriamente una dea, bensì una titanide(femminile di titano), cioè una delle figlie di Urano; ella, pertanto, era sorella di Crono e zia di Zeus. Accanto al re dell’Olimpo presiedeva all’ordine universale, ai giuramenti e alla giustizia. Si ritiene abbia fondato Delfi, sede dell’oracolo più celebre dell’antichità. È a Temi che i Romani si riferivano quando invocavano la iustitia. Le sue caratteristiche principali sono la spada, la bilancia e la benda sugli occhi: la spada simboleggia la punizione, cioè la sanzione comminata dalla legge, ma anche la severità della stessa; la bilancia fa riferimento all’attività del giudice, che soppesa le argomentazioni delle parti; la benda indica, invece, l’imparzialità della giustizia.

La legge è uguale per tutti

Il mito è sempre incerto: è un racconto (mythos in greco) con il quale si cerca di dare spiegazione a fenomeni incomprensibili. D’altronde, secondo alcuni studiosi, Dike sarebbe una divinità artificiale inventata dai filosofi: sarebbe, cioè, una personificazione di comodo, fatta per fornire un simbolo più che per riferirsi ad una reale divinità [1]. Al di là del dibattito scientifico, possiamo accettare l’idea che la giustizia possa essere sia la dea Dike che la titanide Temi, oppure che la prima sia successa alla seconda in qualità di erede naturale. Ciò che è certo, comunque, è che la benda sugli occhi rappresenta l’imparzialità della giustizia: raffigura, cioè, la frase “la legge è uguale per tutti” o, come dice la Costituzione italiana, «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge» [2].

La dea bendata

Quando si parla della dea bendata, però, si fa praticamente sempre riferimento alla fortuna. Che giustizia e fortuna siano molto simili? È facile pensarlo, a volte. Nella mitologia greca, Tiche (Tyche) era figlia di Zeus, il quale le diede il potere di decidere della sorte degli uomini. Tiche era irresponsabile nelle sue decisioni e correva qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è incerta. Ella viene quasi sempre personificata come una donna che regge una cornucopia (simbolo dell’abbondanza) o un timone (simbolo della guida nelle acque mutevoli e instabili della vita). I Romani, successivamente, identificarono Tiche con la dea della fortuna. Soltanto in epoca rinascimentale, però, questa dea venne rappresentata con gli occhi bendati, simbolo della casualità della buona sorte. Pertanto, nella mitologia greca, la benda sugli occhi spetta di diritto alla dea della giustizia.

note

[1] R. Graves, I miti greci, 1963, p. 111.

[2] Art. 3 Cost.

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Mutuo senza interessi

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Ti piacerebbe avere un mutuo gratis, ossia un mutuo senza interessi? Stando alle ultime sentenze della Cassazione e dei giudici di merito è tutt’altro che difficile quando un consulente accerta che è stato applicato un tasso di interessi superiore all’usura. E ciò vale sia che l’usura riguardi gli «interessi moratori» (quelli che scattano in caso di ritardato pagamento) che gli «interessi corrispettivi» (quelli cioè addizionati alla normale rata del mutuo). In presenza di una clausola illegittima (come ad esempio quella che prevede l’anatocismo o l’usura), il contratto di mutuo non è nullo, ma gli interessi non sono più dovuti. Risultato: un prestito senza interessi è per definizione «gratuito». Ma procediamo con ordine e vediamo come trasformare il proprio finanziamento in un mutuo senza interessi.

Come calcolare l’usura

La prima cosa da fare è affidare, a un tecnico del settore, il contratto e gli estratti conto del proprio prestito affinché valuti se il tasso di interesse applicato dalla banca è superiore all’usura. Sono «usurari» gli interessi che superano del 50% il tasso medio, determinato con decreto del Ministero del Tesoro ogni tre mesi.

Quale strategia contro la banca?

A questo punto bisognerà scegliere la strategia: attaccare o difendersi? In altre parole conviene attendere che sia la banca a fare la prima mossa e a notificare un atto di precetto al debitore oppure si vuole agire per primi con un’azione volta alla dichiarazione della nullità della clausola sugli interessi? La scelta può essere rimessa al debitore il quale, in entrambe le situazioni, dovrà anticipare le spese dell’accertamento (consulenza tecnica).

Come fa il giudice a capire che c’è stata usura?

Giova segnalare una sentenza del Tribunale di Padova [1] secondo cui il giudice può condannare la banca per gli interessi usurari sul conto corrente o sul finanziamento semplicemente riportandosi alla consulenza tecnica d’ufficio eseguita dal consulente del giudice. Ciò basta per far scattare la restituzione delle somme versate dal cliente sino a quel momento a titolo di interessi e la segnalazione alla Procura della Repubblica per il reato di usura [2] ai danni dei vertici della banca. Il giudice che aderisce alla Ctu, infatti, non deve spiegare, in modo specifico, le ragioni del suo convincimento: gli basta indicare le motivazioni della perizia.

Mutui gratis se la mora supera il tasso usura

Un’ordinanza della Cassazione di qualche giorno [3] fa ha stabilito che, in presenza di interessi moratori superiori all’usura, il cliente deve restituire soltanto il capitale senza alcun tipo di interessi. Se in un contratto di mutuo il tasso moratorio (quello previsto per il ritardato pagamento delle rate) è sopra la soglia d’usura, ma gli interessi corrispettivi (cioè quelli “normali” dovuti alla banca) sono inferiori alla predetta soglia, la banca deve restituire tutti gli interessi (sia moratori sia corrispettivi) pagati dal cliente e il mutuo diventa gratuito: pertanto il cliente è tenuto a restituire solo il capitale. Un bel vantaggio che va a colpire soprattutto i mutui di lunga durata, sui quali la voce «interessi» pesa particolarmente.

Questo principio appena affermato dalla Cassazione è tuttavia in contrasto con numerose altre sentenze precedenti secondo le quali, in presenza di interessi moratori usurari, l’istituto di credito è tenuto a restituire soltanto quelli moratori, mentre il cliente resta obbligato a versare quelli corrispettivi (sotto la soglia dell’usura).

Dunque, secondo l’ultima posizione assunta dalla Suprema Corte, in caso di usura, anche se ad essere sopra la soglia è soltanto il tasso moratorio, scatta la gratuità completa del mutuo. Per cui non bisogna pagare né gli interessi moratori, né quelli corrispettivi; e, se già corrisposti, questi vanno restituiti al mutuatario.

note

[1] Trib. Padova, sent. n. 2352/17.

[2] Art. 644 cod. pen.

[3] Cass. ord. n. 23192/17 del 4.10.2017.

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Rumore di ragazzi per strada: il Comune è responsabile

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Quando hai comprato casa era un quartiere tranquillo: la notte si dormiva e finanche i vicini erano rispettosi del sonno altrui. Tutt’ad un tratto, si è aperto un ristorante di tendenza. Subito dopo un longue bar. I due punti di ritrovo hanno richiamato numerosa gente. Così altri locali, nelle vicinanze, sono stati inaugurati in pochi mesi. Infine anche una discoteca. Insomma, quella che un tempo era una zona quieta è diventata ora centro della movida cittadina. Il rumore prodotto di sera supera anche quello di mezzogiorno. In pochi anni la tua tranquillità è stata rovinata dagli schiamazzi notturni dei giovani riversati sulle strade, dal traffico e dai clacson delle auto che tentano di uscire dal parcheggio nel quale sono rimaste chiuse. Inutile dire che, in queste condizioni, o vendi casa o isoli l’appartamento; ma questo richiede soldi e qualcuno, in qualche modo, deve risarcirti. Chi? I proprietari di tutti i locali? Impossibile fare causa ai numerosi bar e ristoranti. Meglio sarebbe bussare alla porta di una sola persona. E questa è il sindaco. Difatti, secondo una tanto recente quanto interessante sentenza del tribunale di Brescia [1], in caso di rumore di ragazzi per strada, il Comune è responsabile. Ma procediamo con ordine.

Gli schiamazzi notturni dei ragazzi, su di giri per gli alcolici e per l’euforia da discoteca, non ti fanno dormire? Hai provato a dirlo ai titolari dei locali, ma questi ti hanno detto che la loro responsabilità si limita a ciò che avviene all’interno delle loro quattro mura; non si estende certo a ciò che succede dopo la cena o dopo l’aperitivo, tanto più se avviene per strada o sull’altro lato del marciapiedi. Con chi prendersela? Solo il Comune – riferisce la sentenza in commento – ha il potere di prevenire e reprimere gli schiamazzi notturni dei giovani per strada; se non lo fa, l’amministrazione locale è tenuta a risarcire ai residenti tutti i danni, sia quelli non patrimoniali (per le notti insonni), sia quelli patrimoniali (per il rifacimento degli infissi e il montaggio dei pannelli isolanti).

La sentenza è certamente unica nel suo genere. Sino ad oggi, infatti, la giurisprudenza – compresa la Cassazione – ha sempre riconosciuto la responsabilità del gestore del locale anche per il rumore provocato al di fuori dello stesso, sul ciglio della strada. Il titolare del ristorante o del bar deve invitare gli avventori ad avere rispetto degli inquilini che dormono la notte e può evitare la condanna solo se dimostra di aver adottato tutti i mezzi necessari per evitare gli schiamazzi, ad esempio tramite un cartello posto all’esterno del locale e l’espresso avviso da parte del personale [2].

A detta, invece, del tribunale di Brescia, il Comune non solo deve risarcire il danno da movida ai residenti, ma deve anche mandare la polizia municipale a far sloggiare i giovani dalla stradina del centro storico all’ora di chiusura dei baretti, riportando le immissioni sonore in strada entro la soglia della normale tollerabilità.

Ma a quanto ammonta il danno per una notte insonne? Nel caso di specie il giudice ha liquidato 50 euro a famiglia per ogni sera in cui i proprietari non hanno potuto guardare la tv, leggere e perfino parlare fra loro: il bene giuridico leso è il diritto alla normale vita familiare e alle abitudini quotidiane come estrinsecazioni del più generale diritto alla salute sancito dalla Costituzione. A ciò si aggiungono le spese per gli infissi isolanti.

note

[1] Trib. Brescia sent. n. 2621/17.

[2] Cass. sent. n. 9633 del 5.03.2015; Cass. sent. n. 37196/2014.

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Come posso far cancellare da Facebook un’immagine di mio figlio?

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Scorrendo la timeline di Facebook ti sei accorto che una persona ha pubblicato una foto dove appare anche tuo figlio in primo piano. L’immagine è stata scattata nel corso di una festa di bambini. Anche se eri presente e hai assistito agli scatti provenienti da vari smartphone – come di solito succede in queste occasioni, specie se c’è in mezzo una torta di compleanno – non hai negato il permesso a fotografare tuo figlio (essendo minorenne spetta a te l’ultima parola); tuttavia nulla poteva farti pensare che le immagini sarebbero state pubblicate su internet. La cosa ti dà fastidio, non solo perché nessuno ti ha mai chiesto il permesso ed è compito di ciascun genitore preservare la privacy dei propri bambini, ma anche e soprattutto perché sai bene che le foto dei bambini su Facebook vengono usate dai pedofili. È tua intenzione agire per ordinare l’immediata cancellazione dell’immagine da internet. Così ti chiedi come fare rimuovere un’immagine di mio figlio da Facebook. In questo articolo ti suggeriremo come fare senza bisogno, almeno in prima battuta, di ricorrere a un avvocato, partendo da un importante precisazione: pubblicare le foto di minorenni su internet è vietato se non c’è il consenso dei genitori. E ciò a prescindere dall’uso che si fa della foto. Quindi, se anche il papà o la mamma hanno tacitamente acconsentito che, nelle foto, entrasse anche il proprio bambino – autorizzazione che può essere concessa anche in modo tacito, ossia non opponendo divieti – questo non significa che il consenso prestato si estenda anche alla pubblicazione, tantomeno sul web.

Raccogli le prove della pubblicazione della foto

Prima però di avviare tutte le attività necessarie a togliere da Facebook la foto di un minorenne, ti consiglio di procurarti innanzitutto le prove: ti potrebbero servire in un successivo momento qualora fossi costretto a ricorrere alle vie legali e volessi chiedere il risarcimento del danno. Acquisire le prove in questa fase può essere necessario qualora il responsabile possa modificare il proprio profilo o renderlo a te invisibile.

La prima cosa da fare è realizzare uno screenshot, ossia a fotografare la pagina di Facebook in cui compare la foto di tuo figlio. Dovrai cioè andare sul profilo del colpevole e trasformare quello che vedi in un file immagine (da conservare con cura).

Hai altri metodi, sicuramente meno pratici, ma anche più funzionali, che ti consentono di archiviare le prove dell’altrui colpevolezza. Il primo modo è stampare la pagina Facebook dove c’è la foto di tuo figlio e farla autenticare da un notaio. Il secondo modo è portare l’immagine a una stazione dei carabinieri o della polizia postale, lì sporgere denuncia e allegare l’immagine chiedendo alle forze dell’ordine di certificare la corrispondenza della stampa con l’immagine a video (essendo pubblici ufficiali le loro dichiarazioni hanno pieno valore di prova). Il terzo metodo è quello di chiedere a un amico di accertarsi egli stesso del fattaccio in modo da poter testimoniare in un eventuale processo.

Apri la segnalazione su Facebook

Detto ciò, vediamo come rimuovere un’immagine di tuo figlio da Facebook. Sicuramente avrai già provato a contattare l’autore della pubblicazione chiedendogli, “con le buone”, l’immediata cancellazione. È suo dovere farlo: non conta il fatto che il profilo sia chiuso o che l’immagine sia visibile solo a pochi contatti. La pubblicazione della foto di un minore è sempre vietata a prescindere dagli scopi e dalle intenzioni.

Pubblicare una foto di minori senza autorizzazione dei genitori viola non solo la legge italiana e tutte le convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo, ma anche le condizioni contrattuali di Facebook stesso . Quindi, se il responsabile non ti ha dato ascolto, puoi “denunciarlo” al social network aprendo una segnalazione ufficiale a questo link. Clicca su «foto e video». Per segnalare una foto o un video:

  • clicca sulla foto o sul video per ingrandirne la visualizzazione.
  • posiziona il cursore sulla foto o sul video e clicca su Opzioni in basso a destra;
  • clicca su Segnala foto per le foto o Segnala video per i video;
  • seleziona l’opzione che descrive meglio il problema e segui le istruzioni visualizzate sullo schermo.

Attenzione però: Facebook prende in considerazione solo le segnalazioni per bambini con meno di 13 anni. Quindi se tuo figlio non ha superato 12 anni e vuoi chiedere la rimozione di un’immagine che lo vede ritratto devi compilare questo modulo.

Se invece tuo figlio ha un’età compresa fra i 13 e i 17 anni, per quando la tua preoccupazione di genitore possa essere comprensibile, Facebook dichiara di non poter intervenire; la segnalazione può essere effettuata solo dal diretto interessato, ossia dal giovane salvo che questi non sia in grado, mentalmente o fisicamente, di effettuare lui stesso la segnalazione. Ti consigliamo di parlare con tuo figlio del problema e di aiutarlo a inviare la sua richiesta di rimozione del contenuto.

La legge americana però è diversa da quella italiana e da noi si diventa maggiorenni solo a 18 anni. Quindi, puoi proseguire la lettura di questo articolo.

Denuncia alla polizia postale

Se Facebook non prende in considerazione la tua richiesta e il colpevole ha ignorato il tuo messaggio, puoi fare una denuncia alla polizia postale o ai carabinieri. In questo caso sporgerai querela contro il responsabile, chiedendo che si proceda penalmente nei suoi confronti. In tale ipotesi sappi che potrai anche agire per ottenere il risarcimento del danno per conto di tuo figlio.

Come posso far cancellare da Facebook un’immagine di mio figlio?

 

Comprare auto con fermo amministrativo si può?

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Hai visto un’auto di seconda mano e intendi acquistarla. Hai definito tutti gli accordi economici con il venditore, il passaggio di proprietà e la data in cui andrai a prendere la macchina. Quel giorno firmerete il contratto e il trasferimento sarà definitivo. Ti sorge però un dubbio: e se l’auto ha un fermo amministrativo? Come fare a saperlo prima di pagare? Cosa rischierebbe il nuovo proprietario se la polizia lo dovesse fermare? Il tuo sospetto è che non sia possibile comprare un’auto con fermo amministrativo, e quindi neanche venderla: così ti sei fidato, sino a questo momento, delle dichiarazioni del venditore. Ma è meglio stare in campana e fare gli opportuni controlli. Ecco quindi qualche suggerimento per districarsi in situazioni come questa.

Si può comprare un’auto con il fermo amministrativo?

In teoria, l’auto con il fermo amministrativo può essere venduta e, quindi, anche acquistata. L’importante è che l’acquirente sia al corrente del blocco. Il venditore ha l’obbligo di informarlo prima di firmare il contratto. Diversamente si può chiedere la risoluzione del contratto: ossia si può ricorrere al giudice per ottenere il rimborso del prezzo pagato (e il risarcimento dell’eventuale danno) dietro restituzione del mezzo.

L’auto con il fermo amministrativo, infatti, non può circolare; per cui la vendita è viziata da un grave ed essenziale inadempimento.

C’è qualcuno che compra le auto con il fermo amministrativo?

Quando l’automobilista non ha i soldi per pagare le cartelle esattoriali (anche a rate) e quindi cancellare il fermo amministrativo, perde definitivamente l’uso dell’auto, né la può rottamare (infatti con il fermo in corso, l’auto non può essere radiata). In alcune Regioni poi, anche con il fermo, si deve pagare il bollo auto. Senza contare che, chi non ha un garage ove lasciare l’auto, dovrà anche rinnovare l’assicurazione nonostante il fermo (è lo scotto di lasciare l’auto su una strada pubblica). Approfittando di questo vicolo cieco per l’automobilista-debitore, alcuni concessionari si offrono di acquistare le auto sottoposte a fermo pagando prezzi bassissimi; ciò avviene quando il fermo è stato iscritto per somme di valore non superiori al valore del mezzo stesso. In questo modo il proprietario, che altrimenti non saprebbe come uscire dalla situazione, ottiene una somma per poter acquistare un’altra macchina (attenzione: ciò non toglie che l’Agente della riscossione non possa sottoporre a fermo anche quest’ultima). Dall’altro lato, la concessionaria estingue il debito con l’Esattore e poi rivende l’auto di seconda mano a un prezzo inferiore a quello di mercato, facendo un buon utile.

Che rischio se compro un’auto con il fermo amministrativo?

Chi acquista un’auto con fermo amministrativo non eredita il debito in forza del quale l’Agente della Riscossione ha iscritto il fermo medesimo. Per cui – tanto per fare un esempio pratico – non sarà costretto a pagare le cartelle esattoriali insolute. Tuttavia l’acquirente non può ugualmente circolare con l’auto sottoposta a fermo amministrativo benché il debito non sia suo; tale divieto permane fin quando detto debito non viene estinto. L’acquirente dovrebbe attendere che il venditore estingua il debito per poter tornare a circolare; in alternativa potrebbe estinguere il debito del precedente proprietario per tornare a circolare subito, salvo poi rivalersi su di questi per ottenere il rimborso.

Che rischio se circolo con un’auto acquistata con il fermo amministrativo?

Chi viene trovato a circolare con un veicolo sottoposto a fermo rischia una multa di 776 euro (massimo 3.111 euro), con la confisca del mezzo. Più precisamente gli organi di polizia compilano il verbale di contestazione relativamente alla sanzione pecuniaria e lo trasmettono all’Agenzia delle Entrate. Non si rischia quindi alcun procedimento penale, ma si perde per sempre l’automobile.

Come sapere se un’auto usata ha un fermo?

L’acquirente che voglia evitare brutte sorprese può controllare egli stesso se l’auto ha un fermo o meno. A tal fine deve richiedere al Pra una visura sull’auto fornendo il numero di targa. La verifica può essere fatta da chiunque; non ci sono limiti di privacy. Si può anche delegare un’agenzia pratiche auto.

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