Diventa donna e ha diritto di andare prima in pensione

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Secondo l’Avvocato generale della Corte di giustizia [1], la persona che cambia sesso e diventa donna ha diritto ad andare in pensione prima. Queste in estrema sintesi le conclusioni dell’Avvocato generale, il quale ha sostenuto che la persona transgenderche rimanga comunque sposata con il coniuge anche dopo il cambio di sesso ha diritto ad andare in pensione all’età prevista per il nuovo sesso.  Ma vediamo l’origine della vicenda sottoposta all’attenzione della Corte europea.

Cambio sesso e pensione: i fatti

La ricorrente è una cittadina britannica registrata alla nascita come persona di sesso maschile che nel 1974 ha contratto matrimonio. Successivamente ha iniziato a vivere come una donna e nel 1995 si è sottoposta a un intervento chirurgico di mutamento di sesso. Tuttavia la ricorrente non ha mai provveduto a richiedere un certificato attestante il nuovo status, poiché, ai sensi della normativa britannica dell’epoca, richiedere questo tipo di certificato implicava l’annullamento del matrimonio atteso che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non era ammesso e le donne non volevano che il loro matrimonio fosse annullato. Successivamente la ricorrente, al compimento del sessantesimo anno di età, provvedeva a presentare la domanda per la pensione statale di vecchiaia. Tuttavia la sua domanda veniva respinta sulla scorta della considerazione per cui la donna doveva attenersi all’età pensionabile prevista per il suo sesso biologico (maschile alla nascita), ovvero 65 anni.

Cambio sesso e pensione: la discriminazione

La donna, però, decideva di non rassegnarsi alla decisione discriminatoria e contraria al diritto europeo assunta dall’amministrazione. Infatti, esiste una direttiva europea [2]che vieta espressamente le discriminazioni fondate sul sesso relativamente alle prestazioni statali. Tuttavia la direttiva consente agli Stati una deroga in ordine alla fissazione del limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro. Sulla scorta di tale deroga, il Regno Unito, come altri Stati europei, ha fissato – per quanto interessa in questa sede – in 60 anni l’età pensionabile per una donna nata prima del 6 aprile 1950 e in 65 anni quella per un uomo nato prima del 6 dicembre 1953.

Cambio sesso e pensione: il precedente matrimonio

Al caso della ricorrente si aggiungeva altresì la circostanza della vigenza del precedente matrimonio, mai annullato. Per questi motivi il caso giungeva così dinanzi alla Corte europea, chiamata a valutare la compatibilità del diritto inglese con le norme europee. Secondo l’Avvocato generale della Corte, la condizione riguardante le persone transgender di non dover essere coniugate per poter accedere a una pensione stataleè contraria alla direttiva in quanto discriminazione ingiustificata fondata sul sesso.  Infatti, per le persone cisgender (quelle che non hanno effettuato il cambio di sesso) lo stato coniugale non rileva ai fini dell’accesso a una pensione statale, mentre in questo modo rileverebbe per le persone transgender.

note

[1] causa C-451/16.

[2] direttiva 2006/54/Ce.

Autore immagine: Pixabay.com

Invalidità 75%: agevolazioni

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Dalla maggiorazione dei contributi all’Ape sociale, dalla pensione d’invalidità all’ingresso nelle categorie protette, sino all’esenzione dal ticket: chi ha un’invalidità pari al 75% ha diritto a diverse agevolazioni in campo lavorativo, previdenziale e sanitario. Vediamo i principali benefici.

Assegno ordinario d’invalidità

Innanzitutto, avendo una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo (superiore, cioè, al 66,67%, arrotondato al 67%), se si possiedono i requisiti contributivi minimi si ha diritto all’assegno ordinario di invalidità da parte dell’Inps. Nel dettaglio, si devono possedere, in una delle gestioni facenti capo all’Inps (fondo pensione lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, coltivatori, gestione Separata, ex Inpdap, ex Enpals…) almeno 5 anni di contributi, di cui 3 versati nell’ultimo quinquennio.  L’assegno è calcolato in base ai contributi versati, come se si trattasse della pensione, ma senza maggiorazioni (come invece avviene per la pensione per assoluta e permanente inabilità a qualsiasi attività lavorativa) e viene ridotto se il reddito supera di 4 volte il trattamento minimo (sussistono ancora, per questo trattamento, i limiti di cumulo col reddito da lavoro). L’assegno ordinario d’invalidità è compatibile con l’attività lavorativa, al contrario della pensione per assoluta e permanente inabilità a qualsiasi attività lavorativa.

Pensione d’invalidità

Se non si possiedono i requisiti contributivi minimi elencati, si può aver diritto a un altro assegno a carico dell’Inps collegato allo stato d’invalidità, l’assegno di assistenza. Nel dettaglio, questo trattamento, noto come pensione di invalidità civile, spetta se il proprio reddito risulta inferiore a 4.805,19 euro e l’invalidità riconosciuta supera la percentuale del 74%. L’assegno di assistenza ammonta, per il 2017, a 279,75 euro per 13 mensilità. Si tratta di un reddito esente da Irpef, per il quale, contrariamente all’assegno d’invalidità ordinario, è richiesto lo stato di disoccupazione. Al compimento di 65 anni e 7 mesi, la pensione d’invalidità civile viene convertita in assegno sociale.

Esenzione ticket per invalidità

Col 75% d’invalidità, possedendo quindi un’invalidità superiore ai due terzi, si ha anche diritto all’esenzione totale dal ticket sulle prestazioni specialistiche e di diagnosi strumentale [1]; è possibile inoltre fruire di un’agevolazione per il pagamento dei medicinali prescritti con ricetta medica (a tal proposito è consigliabile rivolgersi direttamente alla propria Asl o alla Regione di residenza).

Scelta prioritaria della sede

In quanto lavoratore con invalidità superiore ai due terzi, chi ha un’invalidità del 75% ed è dipendente pubblico ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi di lavoro disponibili.

Maggiorazione contributiva per la pensione

Con un’invalidità del 75%, si ha inoltre diritto al beneficio pensionistico dei contributi figurativi, o maggiorazione contributiva: nel dettaglio, per i lavoratori con invalidità superiore al 74%, per ogni anno lavorato alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato sono accreditati 2 mesi di contributi figurativi in più, sino ad un massimo di 5 anni. L’agevolazione può essere riconosciuta dal 2002 in poi. Questo beneficio è riconosciuto, da una nota legge del 2000 [2], a partire dall’anno 2002, ma possono essere presi in considerazione, ai fini della maggiorazione, anche i periodi pregressi, purché successivi al riconoscimento dell’invalidità superiore al 74%.

La maggiorazione è utile anche per raggiungere il requisito contributivo, o la maggiore anzianità in assenza del requisito anagrafico, per la pensione di anzianità o anticipata.

Il beneficio nella misura di due mesi per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di cinque anni è riconosciuto entro l’anzianità contributiva massima di 40 anni per il calcolo della pensione con il sistema di calcolo retributivo.

I due mesi di contributi in più non assumono rilevanza nel calcolo della quota di pensione contributiva (per le pensioni a calcolo misto), né nel calcolo della pensione da liquidare integralmente con il sistema contributivo: questo, perché nel calcolo contributivo l’importo della pensione è determinato moltiplicando il montante individuale dei contributi (cioè il totale dei contributi accreditati, rivalutati) per il coefficiente di trasformazione relativo all’età al momento del pensionamento.

Ape social per invalidità

Un altro beneficio previdenziale al quale si può accedere con il 75% d’invalidità è l’Ape sociale: si tratta di un assegno che accompagna il lavoratore dai 63 anni di età (o dalla posteriore data della domanda di prestazione) sino al perfezionamento del requisito della pensione di vecchiaia (dal 2018, 66 anni e 7mesi per tutti).

L’assegno è calcolato allo stesso modo della futura pensione, ma non può superare i 1500 euro mensili.

All’Ape sociale si può accedere con 30 o 36 anni di contributi (tra tutte le gestioni Inps, considerando anche eventuali contributi esteri, come chiarito da un nuovo messaggio Inps), a seconda della categoria di appartenenza.

Coloro che possiedono un’invalidità riconosciuta almeno pari al 74% raggiungono la prestazione con un minimo di 30 anni di contributi. Per ottenere l’Ape sociale si deve cessare l’attività lavorativa; ci si può reimpiegare in seguito, ma non si deve superare il reddito annuo di 8mila euro, se si viene reimpiegati come dipendenti o parasubordinati, o di 4800 euro, se la nuova attività è di lavoro autonomo.

La prestazione è incompatibile con i sussidi di disoccupazione e con qualsiasi pensione diretta.

Congedo per invalidità

In quanto lavoratore con invalidità oltre il 51%, l’invalido al 75% può anche fruire di un congedo per cure relative all’infermità riconosciuta, per un periodo non superiore a 30 giorni l’anno. I costi sono, però, a carico dell’azienda, diversamente da quanto accade per i permessi Legge 104 per i portatori di handicap e per il congedo straordinario, quindi è necessario verificare la possibilità di ottenere il congedo all’interno del contratto collettivo applicato.

Categorie protette

Considerando che l’ invalidità è sopra il 45%, l’invalido al 75% ha la possibilità di usufruire del collocamento mirato [4]. Si tratta dell’accesso ai servizi di sostegno e di collocamento dedicati alle categorie protette: per usufruirne, è necessario recarsi presso il centro per l’impiego, presentando, oltre al verbale di invalidità, la relazione conclusiva rilasciata dalla preposta Commissione dell’Asl.

Ricordiamo che possono iscriversi al collocamento mirato, senza dover richiedere la relazione conclusiva Asl, anche gli invalidi del lavoro con percentuale oltre il 33%, gli invalidi di guerra, gli invalidi civili di guerra e gli invalidi per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria.

L’invalido al 75% può, inoltre, essere incluso dall’azienda nelle quote di riserva relative alla legge sul collocamento obbligatorio, cioè nei posti che l’azienda deve per legge mettere a disposizione delle categorie protette. Considerando che l’invalidità supera il 60%, il lavoratore è incluso nelle quote di riserva a prescindere dall’orario del contratto. Il beneficio non è però riconosciuto se la sua inabilità è stata causata da un inadempimento del datore di lavoro.

Protesi ed ausili

Considerato, poi,  che possiede un’invalidità superiore al 33,33%, l’invalido al 75%  ha diritto a protesi ed ausili eventualmente necessari per la patologia riconosciuta nel verbale di accertamento della commissione medica.

Parcheggi per disabili

La Commissione medica che ha riconosciuto l’invalidità del 75%, a prescindere dalla percentuale di riduzione della capacità lavorativa, può, infine, indicare sul verbale il diritto al contrassegno per usufruire dei parcheggi per disabili. Dipende ovviamente dalla tipologia di menomazione posseduta.

AUTORE

[1] Art.6 DM 1/2/1991.

[2] Art.80, Co.3, L. 388/2000.

[3] Inps Mess. 4170/2017.

[4] L.68/1999.