I nonni di oggi: com’è cambiato il loro ruolo?

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In Italia, secondo valutazioni ISTAT, i nonni sono circa undici milioni e cinquecento mila, pari al 33,3% dei cittadini che hanno dai 35 anni in su. Le donne più degli uomini, 37,5% contro 28,4%. Sebbene il tasso di natalità nel nostro paese sia tra i più bassi nel mondo, i nonni di oggi sono, in proporzione al numero dei nipoti, assai più numerosi di quanto non fossero trent’anni fa. Molti bambini delle ultime generazioni hanno tutti e quattro i nonni, mentre un tempo era considerata una fortuna averne due. Nella famiglie ricomposte, poi, i nonni possono essere addirittura in esubero…

Un altro fatto nuovo è che oggi, a parità di età, nonne e nonni sembrano meno vecchi di una volta. Sono abituati ai cambiamenti, curano il corpo e l’abbigliamento e, se non sono malati, continuano a condurre una vita dinamica. Guidano l’automobile, salgono su treni ed aerei, usano il telefonino, inviano e-mail e, soprattutto, non pensano di essere vecchi, semmai si considerano degli adulti maturi. Secondo una ricerca del Censis sullo stile di vita, gli ultrasessantenni italiani pongono ai primi due posti una vita attiva (51%) e mantenere rapporti con i giovani e i nipoti (46,1%); seguono tenere allenata la mente (45,8 %), avere una fede religiosa (27,6%), essere autonomi (27,5%), essere aperti alle relazioni con gli altri (22,2 %). Questi cambiamenti nella percezione di sé e nell’immagine sociale dell’anziano fanno sì che anche i rapporti con i nipoti siano diversi, improntati a minore austerità e maggiore dinamismo.

Un’altra novità è che se fino a poco tempo fa era quasi esclusivamente la nonna ad occuparsi dei nipotini affiancando la madre nelle cure quotidiane, oggi, che anche i padri non disdegnano di occuparsi dei neonati, anche il nonno può spingere una carrozzina e fare il baby-sitting. Essendo vissuti in un’epoca di radicali e continui cambiamenti, i neononni comprendono le esigenze dei genitori di oggi e sono più sciolti e disponibili di quanto non fossero i loro padri. Non pensano più di svolgere un ruolo “femminile” se si prendono cura dei piccoli, devono però sentirsi autorizzati a farlo. Questo concetto può sembrare strano e tuttavia gli uomini devono essere incoraggiati, altrimenti tendono a restare sullo sfondo e a non entrare in scena.

Una pluralità di funzioni

Se i nonni di oggi sono diversi da quelli di ieri, anche i figli e i nipoti lo sono. Le mamme casalinghe sono poche e in molte famiglie entrambi i genitori lavorano fuori casa mattino e pomeriggio, con la conseguenza che i figli hanno bisogno, dopo la scuola, di essere accuditi e seguiti da altri adulti. Se poi i genitori sono separati, i nonni rappresentano la continuità familiare per i nipoti e possono diventare punti di riferimento importanti nei momenti più critici.

La funzione dei nonni, però, non si esaurisce certo nel tappare le falle o nell’intervenire nei momenti difficili. La presenza di un nonno o di una nonna nella vita di un nipote ha già di per sé l’effetto di allargare i confini della famiglia nucleare. Gli anziani ringiovaniscono a contatto con i giovani. I giovani dispongono di un maggior numero di modelli di riferimento affidabili e realistici. E quando nell’adolescenza, i rapporti con papà e mamma si fanno burrascosi, è attraverso i nonni che un nipote può ritrovare a volte quell’ancoraggio di cui, nonostante tutto, sente ancora il bisogno.

Nella realtà i nonni sono assai meno stereotipati e convenzionali di come in genere vengono rappresentati. E’ quanto emerge dalle testimonianze dei nipoti. La memoria può indebolirsi, i movimenti rallentare e i riflessi non essere più quelli di una volta, ma l’esperienza, la sensibilità e il sapere accumulati nel corso degli anni consentono di svolgere svariate funzioni. Molti nonni sono aperti alle novità e flessibili. Possono essere consiglieri in alcuni momenti, alleati e amici in altri. <<E’ la mia migliore amica, mi da sempre dei buoni consigli>> (Giulia, 11 anni). <<Facciamo lunghe chiacchierate. Gli racconto molte cose perché so che lui non mi giudica>> (Fabio, 12 anni). Sanno assecondare i giochi e le fantasie dei nipotini, insegnano a fantastiche. <<Ci raccontava di strane creature che vivevano sulle montagne. Ciò che diceva con voce misteriosa non era del tutto falso ma nemmeno del tutto vero. Lui esagerava sempre un po’. Ci lasciava credere quello che volevamo e noi bambini fantasticavamo a lungo su quelle strane creature>> (Michela, ormai ventenne). Trasmettono interessi e assecondano hobby. <<Con lui mi diverto perché è uno sportivo. Giochiamo a basket e mi insegna i trucchi>> (Pietro, 10 anni). <<Cucina benissimo, io lo aiuto e poi mi fermo a pranzo>> (Susanna, 8 anni). <<Alla nonna piace viaggiare e qualche volta mi porta con sé>> (Chiara, 13 anni). Possono sostituire i genitori nella routine quotidiana: <<La nonna per me è una seconda mamma>> (Chiara, 6 anni). A volte sono maestri, altre volte allievi. <<Quando non capisco un problema telefono al nonno>> (Marisa, 11 anni). <<Gli ho insegnato ad usare l’e-mail, e ora ci scriviamo>> (Simone, 7 anni).

Non c’è un modo standard di fare il nonno o la nonna. Si può essere nonni in tanti modi diversi.

Da genitore a nonno

L’entrata nel nuovo ruolo raramente è immediata e senza scosse. Il ruolo di nonno è molto più semplice e tranquillo di quello di genitore, eppure richiede un riassestamento legato alla nuova collocazione nel sistema famiglia. D’ora in avanti i genitori sono il figlio e la nuora (o genero e figlia). Bisogna passare il testimone alla generazione di mezzo e accettare di aver fatto ingresso nella terza età. Il primo “lavoro” psicologico che nonni e nonne devono fare nel momento in cui in famiglia arriva il primo nipotino, non è tanto nei confronti di quest’ultimo quanto di se stessi. Verranno chiamanti nonno e nonna e guardati con occhi diversi.

All’inizio si può anche avere l’impressione di non disporre di tempo da dedicare ai piccoli. Non tutti sono in pensione, alcuni hanno ancora un lavoro che li assorbe. Altri hanno assunto un ritmo di vita più rilassato, viaggiano, sono abituati a trascorrere molto tempo con gli amici. E’ bene che i cambiamenti avvengano in modo graduale e in rapporto alle proprie forze, impegni e disponibilità. Ci sono nonni a tempo parziale – incontrano i nipoti una o più volte a settimana e fanno baby-sitting di tanto in tanto – nonni a tempo pieno – vedono i nipoti tutti i giorni o quasi e integrano le mansioni dei genitori in modo sostanziale e nonni a tempo limitato. Si può essere buoni nonni anche a distanza e dare affetto tra una visita e l’altra mantenendo i contatti per telefono ed e-mail. Il fattore critico è il clima che si crea con i propri familiari: i nipoti e i loro genitori.

Le relazioni familiari

La famiglia è un sistema, non una semplice somma di individui, cosicché se ci sono delle forti tensioni tra due persone è tutto il sistema a risentirne. Se i nonni vogliono avere dei rapporti sereni con i nipoti, devono cercare di averli anche con i genitori. Alcune cautele sono d’obbligo. La prima consiste nel rispettare la coppia e la sua autonomia. Molti conflitti tra generazioni nascono per invasioni indebite. Atteggiamenti assillanti e intrusivi, tentativi di sostituirsi ai genitori presso i nipoti, sono facilmente all’origine di conflitti con i figli, ma ancor di più lo sono con generi e nuore che, essendo cresciuti in un’altra famiglia, sono meno disposti a scusare o comprendere. Per esempio, da quando mondo è mondo i nonni tendono a “viziare” i nipoti. Viziare un po’ i nipoti però non significa porsi in aperto contrasto con i principi educativi dei genitori scalzandone l’autorità

E’ anche irrealistico e controproducente continuare a trattare i propri figli come se fossero dei bambini dipendenti, chiedere loro un’obbedienza, un tipo di confidenza o dei “doveri” che possono mettere in crisi il rapporto di coppia. I figli adulti devono svincolarsi dalla propria famiglia d’origine per formarne una propria. I genitori devono facilitarli in questo compito. Un figlio adulto può ascoltare i consigli dei genitori, ma deve decidere in proprio. Si raggiunge questa forma di maturità se ci sono dei confini chiari tra le persone: se si sa (opinioni, scelte, sentimenti ecc.) quel che è mio e quel che è tuo, che cosa si può fare per venirsi incontro senza mettere in discussione l’autonomia di ognuno; quali no si possono dire con fermezza, oppure quali si senza aver paura di apparire deboli o sottomessi.

Compito dei nonni è cercare di risolvere i conflitti invece di acuirli e di trovare un modus vivendi evitando la guerriglia permanente. Capita a volte di scontrarsi su taluni argomenti non tanto perché si hanno delle forti convinzioni in materia, ma per vincere, per segnare un punto a proprio vantaggio, per gratificare l’amor proprio. Per andare d’accordo nell’ambito della parentela, bisogna invece tenere a freno l’impulso ad essere sempre in posizione preminente, voler avere sempre ragione. E se ci sono delle incompatibilità evidenti non è necessario frequentarsi con assiduità, né esternare provocatoriamente le proprie dissonanze. <<Non mi piacciono i suoceri di mia figlia, lui fa battute volgari, lei si lamenta sempre di tutto>> spiega un nonno <<ma non posso fare nulla per cambiare le cose, né voglio creare problemi. Ho scelto di vivere e lasciar vivere>>. Saggezza significa anche concedersi una tregua.

Il fatto che i propri genitori o suoceri siano stati invadenti o dispotici non è una buona ragione per portare avanti, di generazione in generazione, un modo di fare che è all’origine di incomprensioni. E’ sempre possibile cambiare, anche all’età sessant’anni.

Nonni-guardiani

La saggezza e la disponibilità dei nonni può rappresentare un baluardo nei confronti di una deriva molto preoccupante di questi ultimi anni: la precocizzazione dell’infanzia.

Con lusinghe di vario genere, oggi un numero crescente di preadolescenti vengono iniziati a stili di vita inadatti e pericolosi in una età in cui dovrebbero invece aprirsi al mondo e ai sentimenti in maniera graduale, nel rispetto del proprio corpo e di quello altrui. Il mercato e il mondo dello spettacolo propongono a getto continuo mode e comportamenti volti a fare entrare sempre più presto i bambini non solo nell’adolescenza, ma anche nel mondo adulto, accelerandone lo sviluppo. Se i genitori sono distratti, troppo impegnati nel lavoro oppure assorbiti dai loro problemi sentimentali, i nonni possono invece, con la loro presenza ed esperienza, con l’affetto che li lega ai nipoti, con i loro tempi lenti e pacati, ricreare una atmosfera sana e riflessiva, più consona alle esigenze della crescita.

Possono anche rappresentare una importante rete di protezione nei confronti di tutti quegli “orchi” che cercano con ogni mezzo e lusinga di iniziare all’alcol, alla droga e al sesso i loro nipoti preadolescenti; un fenomeno in aumento secondo le più recenti statistiche, potenziato dalle discoteche pomeridiane, dalla moda delle veline e delle cubiste-bambine nonché dai numerosi siti porno a cui oggi hanno accesso anche i bambini.

Nonni delle comunità

Alcuni Comuni hanno inventato una nuova figura: quella del nonno e della nonna della comunità. Anziani in buona salute, con molto tempo libero, senza nipoti o con nipoti ormai grandi, si mettono a disposizione, nella loro città o quartiere, per doposcuola, accompagnamenti, attività del tempo libero e così via. Un ruolo che può essere svolto in maniera del tutto informale anche da vicini di casa, nell’ambito dello stesso palazzo o caseggiato, come avveniva più di frequente un tempo.

Diventare nonno o nonna della comunità può dare un senso alle proprie giornate e molte soddisfazioni. Inutile ricordare che il contatto con le nuove generazioni aiuta a vivere meglio: obbliga ad aggiornarsi, a tenere in allenamento la mente, consente di coltivare nuovi e diversi legami affettivi. La difficoltà a svolgere questo ruolo è quasi sempre e soltanto iniziale, ossia nel decidersi a compiere il primo passo e nel superare una visione soltanto familistica dei legami di solidarietà. D’altronde, si può anche investire un po’ del proprio danaro e delle proprie energie nelle adozioni a distanza, mantenendo una corrispondenza con bambini e ragazzi di altri paesi, bisognosi non solo di assistenza ma anche di qualcuno che, credendo in loro, trasmetta fiducia e speranza nel futuro.

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Su questo argomento si consiglia la lettura del libro “Arrivano i nonni!”

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Il rapporto aureo

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La sezione aurea nel corpo umano, oltre ad essere apprezzata in maniera istintiva, è un fatto conosciuto da moltissimi secoli, tanto da essere una linea guida nelle rappresentazioni artistiche del corpo umano.

Sin dall’antichità simbolo di perfezione  e bellezza, è presente anche nelle proporzioni del corpo umano

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  • se  si moltiplica per 1,618 la distanza che in una persona adulta e proporzionata, va dai piedi all’ombelico,  si ottiene la sua statura;
  •  se  si moltiplica per 1,618 la distanza dal gomito alla mano (con le dita tese),  si ottiene la lunghezza totale del braccio;
  • se  si moltiplica per 1,618 la distanza che va dal ginocchio all’anca, si ottiene la lunghezza della gamba, dall’anca al malleolo.
  • i rapporti tra le falangi delle dita medio e anulare della mano sono aurei;
  • il  volto umano  è scomponibile in una griglia, i cui rettangoli hanno i lati in rapporto aureo

Addio mantenimento se c’è un nuovo partner anche senza bisogno che vi sia una stabile convivenza more uxorio

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Sino a ieri perdeva l’assegno di mantenimento l’ex moglie che iniziava una nuova relazione con un’altra persona a condizione che andasse a vivere con questa sotto lo stesso tetto, creando così una famiglia di fatto. Non è giusto, ha sostenuto più volte la Cassazione, imporre al precedente marito di farsi carico e sostenere economicamente anche il nuovo nucleo familiare dell’ex coniuge. In questa interpretazione, però, l’elemento della «stabile convivenza» tra i due nuovi partner era considerato necessario per poter parlare di una relazione more uxorio, assimilabile cioè a quella della coppia sposata. Ma le cose stanno cambiando. Secondo infatti una recente sentenza del Tribunale di Como [1]se l’ex ha una relazione perde l’assegno di mantenimentoanche senza bisogno di convivenza. Basta insomma che ci sia un legame amoroso nuovo. Canteranno vittoria tutti coloro che stanno versando fior di mantenimenti alle ex mogli quando queste hanno ormai iniziato a intraprendere nuove avventure. Del resto, è la stessa Cassazione che, lo scorso 10 maggio 2017, nella nota «sentenza Grilli», ha dichiarato che il divorzio determina la cessazione di ogni legame della coppia, sicché l’assegno divorzile deve servire solo in via residuale, qualora il coniuge più debole non abbia una indipendenza economica. Ma procediamo con ordine.

La nuova convivenza fa venire meno l’assegno di mantenimento

Partiamo dal principio sancito dalla Cassazione [2]: la scelta dell’ex coniuge di costituire una convivenza more uxorio stabile e duratura – ben diversa da una semplice coabitazione tra soggetti estranei – fa venir meno il diritto all’assegno di mantenimento. Ciò del tutto indipendentemente dalla posizione economica di ciascun convivente (quindi anche si tratti di soggetti entrambi disoccupati o comunque con un reddito molto basso). Costituisce infatti principio indiscusso che la formazione di una nuova famiglia di fattoda parte del coniuge divorziato (o separato) determina la perdita definitiva dell’assegno divorzile. Anche qualora tale convivenza cessi, si è ormai recisa ogni connessione con il precedente coniuge e, pertanto, non si può più recriminare di nuovo l’assegno divorzile.

Tuttavia, ha chiarito la giurisprudenza fino ad oggi, tale principio si può applicare solo quando la nuova convivenza ha i connotati di stabilità e continuità, costituendo un modello di vita in comune analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, e così, una vera e propria “famiglia di fatto”.

La coppia di fatto deve per forza convivere sotto lo stesso tetto?

Come ha chiarito la Cassazione lo scorso 15 aprile, si può essere conviventi senza abitare nella stessa casa. La convivenza sotto lo stesso tetto non è l’unico elemento per parlare di una coppia di fatto. Del resto, se è vero che marito e moglie possono risiedere in due posti diversi o abitare separatamente (come spesso succede per ragioni di lavoro) non si vede perché ciò non possa avvenire anche per le coppie di fatto. Questo principio è stato fornito per una questione del tutto differente (il diritto al risarcimento del danno morale per il partner non convivente a seguito della morte della compagna in un incidente stradale), tuttavia può essere utilizzato anche nel caso di specie ossia quello relativo alla perdita del diritto al mantenimento. Il che significa che ben potrebbe sussistere una nuova relazione anche senza che i due partner convivano sotto lo stesso tetto. È allora l’esistenza di un nuovo legame, e non già la coabitazione, a determinare la cessazione dell’assegno di mantenimento.

Addio mantenimento se c’è un nuovo partner anche senza convivenza 

Il Tribunale di Como [1], prendendo spunto dall’orientamento della Cassazione di qualche giorno fa, è arrivato a stabilire che se l’ex ha una relazione con un nuovo compagno perde il mantenimento anche se tra i due non vi è alcuna stabile convivenza.

Deve essere revocato, pertanto, il contributo di mantenimento al coniuge che, prima ancora che sia terminata la causa di separazione dall’altro, ha creato una nuova famiglia di fatto con un nuovo partner pur senza instaurare una stabile convivenza con quest’ultimo, posto che la formazione di una famiglia di fatto costituisce espressione di una scelta di vita esistenziale e consapevole, con assunzione del rischio della cessazione del rapporto. Di fatto, la nuova relazione, anche senza convivenza, taglia ogni collegamento con il modello di vita legati al coniugio e quindi esclude l’obbligo di solidarietà dell’altro coniuge. Specifica il giudice che il dovere di coabitazione ben può essere derogato per accordo tra i coniugi e quindi non si vede perché detta facoltà non debba essere esercitabile anche da parte delle coppie non coniugate.

Risultato: secondo il nuovo principio perde il mantenimento l’ex moglie che si rifà una vita anche se non vive sotto lo stesso tetto del nuovo partner. Ciò che conta è la nuova condizione personale della donna, che coltiva la relazione affettiva e riceve dal partner contributi economici per il fabbisogno del bambino sotto forma di mantenimento diretto: tanto basta per escludere ogni diritto all’assegno da parte del precedente marito.

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[1] Trib. Como ord. del 12.04.2018.

[2] Cass. sent. n. 2732/2018

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Milan, i 12 punti oscuri della vendita ai cinesi

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La vendita del Milan è fissata per il 3 marzo 2017: prima della fatidica data la società dovrà convocare l’assemblea degli azionisti che si riunirà quando Sino-Europe farà arrivare i 320 milioni di euro che ancora mancano per chiudere l’operazione. Allora gli amministratori in carica si dimetteranno per lasciare spazio ai nuovi vertici cinesi. Sulla carta sembra solo un passaggio formale, ma la vicenda è molto più complicata di così. E le domande senza risposta sono tante, nella forma e nella sostanza.

 

1)    Perché i cinesi stanno pagando il Milan a rate?

E’ un caso più unico che raro. Fininvest e Sino-Europe, guidata dall’uomo d’affari cinese Yonghong Li, hanno pattuito un prezzo di 740 milioni di euro: 520 milioni alla holding della famiglia Berlusconi, più l’accollo di 220 milioni di debiti. Le trattative di questo tipo vengono solitamente chiuse in un colpo solo: una firma e una transazione bancaria. Certo, i pagamenti possono anche essere dilazionati nel tempo, ma spesso a fronte di una fidejussione bancaria che faccia da garanzia cosicché il controllo delle società passi di mano subito. E’ successo così per l’Inter quando Massimo Moratti vendette a Erick Thohir e poi quando lo stesso Thohir passò la mano ai cinesi di Suning, la scorsa estate. Stessa modalità per la cessione della Sampdoria a Massimo Ferrero da parte della famiglia Garrone (che però alla data dell’ultimo bilancio disponibile continua a garantire per l’attuale proprietario). Percorso identico anche perJames Pallotta che ha rilevato la Roma nel 2011. In tutti questi casi di caparra neppure l’ombra. Sono arrivati, invece, i contanti o le garanzie bancarie.

2)    Perché i cinesi non si avvalgono di advisor finanziari?

Di solito operazioni di questo genere vengono finanziate da diversi istituti, proprio per la complessità di mettere insieme, rapidamente, le cifre necessarie a chiudere l’affare. I cinesi, invece, non hanno voluto l’aiuto di nessuno dichiarando di avere a disposizione tutto il budget. Eppure non riescono a transare. Evitando di chiedere l’intervento di una banca hanno evitato un controllo dei conti (due diligence) approfondito, come quelli che sono necessari quando nelle trattative sono coinvolti i Pep: persone politicamente esposte, come nel caso di Silvio Berlusconi. Nessuna banca, quindi, e nessuna indagine approfondita sulle parti in causa.

3)    Chi è Yonghong Li?

Nessuno lo sa. Prima della sua complicata scalata al Milan non era mai entrato nei radar dei media, ma neppure degli imprenditori e dei diplomatici. Non era noto agli uffici del commercio con l’estero e neppure alle ambasciate. Anche per gli addetti ai lavori del calcio orientale è un mistero. Per Marcello Lippi che in Cina è una divinità si tratta di uno sconosciuto, Fabio Cannavaro ammette di saperne poco. Alberto Forchielli, partner di Mandarin Capital, ha più volte detto che la cordata non esiste. Poche informazioni anche in rete, ma probabilmente dipende anche dal diverso alfabeto. Il Sole 24 Ore, invece, è riuscito a scoprire di una multa comminatagli da parte della Borsa di Shanghai per attività irregolari. Di certo, però, c’è un Yonghong Li tra i Panama Papers: è uno dei tre intestatari di una società offshore a Panama. Potrebbe essere un caso di omonimia, ma il diretto interessato non ha mai smentito. La società, Alkimiaconst Sa, è stata aperta da Mossack Fonseca, lo stesso intermediario che ha creato, Struie una cassaforte di cui si sono serviti sia Silvio Berlusconi sia Flavio Briatore (benché i loro nomi non compaiano direttamente nelle carte panamensi): a riempirla, invece, era stato l’avvocato britannico David Mills, creatore di un sistema offshore da 775 milioni di euro. L’ipotesi è che Yonghong Li sia l’apripista di altri investitori che non vogliono esporsi.

4)    Di chi sono i 200 milioni versati a Fininvest?

La prima tranche è stata pagata da Yongyong Li, probabilmente attraverso Crédit Suisse, la banca svizzera coinvolta nei Panama Papers che a maggio dello scorso anno ha annunciato la chiusura dei suoi uffici nel paradiso fiscale centroamericano. La banca – che rifiuta ogni commento – è stata più volte accusata di aver aiutato contribuenti di tutto il mondo a eludere il fisco: negli Stati Uniti hanno pagato una multa da 2,5 miliardi di dollari, in Italia hanno transato 109,5 milioni di euro nell’ambito dell’accusa di aver aiutato 13mila contribuenti a evadere 14 miliardi di euro. La seconda tranche è un mistero. I 100 milioni sono effettivamente arrivati in casa Fininvest, ma prima hanno fatto il giro del mondo: sono partiti da un veicolo (Willy Shine, con una chiara allusione sessuale, come nota l’Oxford Dictionary) con sede alle Isole Vergini Britanniche – lo stesso paradiso fiscale noto a tanti imprenditori italiani, da Berlusconi a Galliani – per arrivare alla sede di Hong Kong di Huarong, l’asset manager controllato dal governo, che li ha poi girati a Fininvest.

5)    Perché è stata necessaria questa triangolazione?

Nessuno sa spiegarlo. Huarong, al momento, non fa parte della cordata Sino-Europe, ma avrebbe anticipato l’ultima caparra da 100 milioni (la società non conferma l’operazione, ma il documento pubblicato da Calcio e Finanza riporta la firma di un suo dipendente). La prima versione ufficiale è che Huarong non avesse tutte le autorizzazioni necessarie per superare il controllo dei capitali imposti dal governo cinese. Eppure, il bonifico per Fininvest non è partito dalla Cina, ma dalla sede di Hong Kong di Huarong dove la valuta è il dollaro locale e non il renminbi cinese oggetto di controllo. E, infatti, mentre in Cina è effettivamente in atto una stretta sull’uscita dei capitali, l’ex colonia britannica rimane una zona franca. La seconda spiegazione, invece, è che Huarong non avesse 100 milioni disponibili a Hong Kong, ma è una giustificazione che regge solo fino a un certo punto: il gruppo, infatti, ha un fatturato da oltre 11 miliardi di dollari e asset gestiti per oltre 110 miliardi e negli ultimi due anni ha collocato obbligazioni in dollari americani per quasi cinque miliardi.

6)    Dal momento che dicono di avere molti capitali all’estero, perché i cinesi non hanno direttamente creato un veicolo offshore per comprare il Milan?

E’ un’altra domanda senza risposta. Dal momento che l’arrivo di una stretta sui movimenti di capitali era attesa e in parte dovuta alla promozione del Renminbi tra le valute di riserva del Fmi, Sino Europe avrebbe potuto far partire l’operazione direttamente dalle Isole Vergini, invece ha preferito complicarsi la vita.

7)    E’ davvero credibile che la stretta sui capitali impedisca di chiudere l’operazione?

Per tutti gli esperti contattati da Business Insider no. Sono strane le lungaggini burocratiche – i tempi per avere le autorizzazioni a completare gli investimenti all’estero sono di circa 50 giorni – ed è strano l’approccio delle parti alla trattativa. Secondo i dati dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, l’interscambio tra Cina e Italia resta costante. Di più: tra il 2006 e il 2015 lo stock di denaro investito dalla Cina all’estero è arrivato a 1.097 miliardi di dollari (145 miliardi solo nel 2015) e il governo ha annunciato di voler aumentare la quota di altri mille miliardi tra il 2016 e il 2020. Se Pechino ha davvero intenzione di investire 200 miliardi di dollari l’anno all’estero, perché fatica ad autorizzare una spesa da 520 milioni, pari allo 0,25% dell’importo annuo? Se il governo – come sbandierato da Sino Europe – ha davvero autorizzato l’acquisizione del Milan perché adesso la ferma? E, in fondo, Huarong è davvero controllata dal governo di Pechino.

8)    Perché Sino Europe non comunica la lista dei nomi?

La compagine azionaria di Sino Europe è un mistero. Vuole essere un fondo di private equity, ma si comporta come una piccola società di amici. I nomi messi in circolazione cambiano di continuo: nel calderone è finita anche China Construction Bank – poi uscita dalla lista -, ma la sostanza non cambia, a parole sarebbero tutti soci con fatturati da decine di miliardi. Di più, avrebbero già messo tutto il capitale necessario, ma allora perché non riescono a comprare il Milan nei tempi prestabiliti? Di certo esiste una lista di soggetti interessati all’operazione, ma nessuno è vincolato a investire. Un’altra spiegazione è che se i grandi nomi venissero resi pubblici, i venditori potrebbero provare a chiedere ancora più soldi.

9)    Perché non viene rispettato il protocollo degli affari asiatici?

In Cina l’etichetta è tutto. Prima di parlare di affari è fondamentale conoscersi e i cinesi non amano gli emissari. Vogliono incontrare l’azionista, vogliono conoscere il venditore. Di più: vogliono il loro biglietto da visita per poterlo conservare. E non lo accettano per interposta persona: il biglietto da visita va consegnato con le due mani e un leggero inchino del capo. Tutto questo, invece, non è mai accaduto. Sono stati i cinesi a venire in Italia, mentre pare che Silvio Berlusconi non sia mai stato in Cina a condurre la trattativa. Neppure risulta ci sia stata sua figlia Barbara.

10)    Perché la data del closing cambia continuamente?

Se davvero Sino Europe ha già raccolto tutti i soldi necessari da tempo, perché non ha chiuso l’affare a settembre, prima che scattasse l’ampiamente atteso controllo dei capitali.

11)    Perché il Milan non può spendere per la campagna acquisti di gennaio?

Gli accordi prevedono che tutte le spese sostenute da Fininvest per il Milan a partire dal primo luglio 2016 fino alla data del closing siano rimborsate da Sino-Europe alla famiglia Berlusconi. Compreso, quindi, il calcio mercato. Tanto è vero che in società è entrato Marco Fassone, ad in pectore e uomo forte dei soci cinesi, ma perché allora non vengono aperti i cordoni della borsa in un momento in cui il Milan può ambire a posizioni di vertice? Quali altri garanzie servono per operare sul mercato? Ci sono dei dubbi sul successo dell’operazione? A spazzarli via sarebbe bastata una fidejussione bancaria.

12)    E’ possibile che siano soldi di Fininvest?

E’ impossibile dare un risposta. Di certo c’è che alle Isole Vergini Britanniche esiste una delle casseforti riferibili a Silvio Berlusconi, ma è troppo poco anche per avanzare un sospetto. Inoltre, far rientrare dei soldi attraverso la Cina sarebbe un’operazione alquanto azzardata e infatti la holding della famiglia Berlusconi respinge ogni illazione. I fatti accaduti finora, però, indicano che il tira e molla con i cinesi ha già portato a Milano 200 milioni di euro di caparra che resteranno nelle casse della società anche se la vendita del Milan non dovesse concludersi.

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Famiglia e nucleo familiare sono due concetti che vengono spesso confusi ed utilizzati impropriamente nell’uso comune.

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Quali sono le differenze sostanziali tra i due?

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Cos’è la famiglia e quali sono i componenti del nucleo familiare? La risposta apparentemente può sembrare scontata ed abbastanza evidente, tuttavia di fronte alla legge ci si ritrova a non saper ben distinguere in termini giuridici le diverse componenti, i diritti ed i doveri reciproci. Richiedere lo stato di famiglia e comprendere le modalità per farlo sarà un’operazione facile ed immediata dopo aver letto questa guida. Inoltre verranno chiariti alcuni rapporti, a livello giuridico tra i vari componenti della famiglia ed il concetto di nucleo familiare. Ad un lettore senza particolari esigenze tali definizioni sembreranno meramente tecnicismi, tuttavia se ti fossi trovato, o ti trovassi, nella condizione di dover compiere un’operazione ricorrente come quella del calcolo dell’ISEE, tali nozioni saranno fondamentali.

Cos’è la famiglia per il diritto?

La famiglia è un concetto molto ampio, può essere considerata famiglia quella costituita da genitori, sposati o non, ed eventuali figli, ma si può anche estendere il concetto ad altri componenti con cui si corrisponde un certo stato affettivo. Per la legge tuttavia, così come recita la costituzione, la famiglia è propriamente una: “società naturale fondata sul matrimonio“. Di fatto è l’atto matrimoniale a stabilire, per la legge, l’esistenza o meno della famiglia, con tutti i diritti ed i doveri che ne conseguono.

Una coppia di fatto può essere considerata famiglia?

Se al concetto di matrimonio ti sono sorti dubbi su eventuali diritti verso le coppie di fatto, cioè coppie omosessuali non unite dal vincolo matrimoniale, la giurisdizione è un pochino più complessa. A partire dal 2016, con il riconoscimento delle unioni civili la legge italiana ha iniziato a considerare a tutti gli effetti come famiglia anche quelle coppie unite in tali termini. Infatti la famiglia, per la legge è considerata come una formazione sociale, una società intermedi altra stato ed individuo; le coppie di fatto rientrano dunque perfettamente nella tipologia.

Convivo con una persona, come vengo considerato dalla legge?

Nel caso specifico in cui ti trovassi a convivere da tempo una persona, a prescindere dal sesso, pur non essendo vincolato a questa né con l’unione civile, né con il matrimonio ma dalla singola convivenza, la legge permette il riconoscimento giuridico. La convivenza comporta i benefici e l’adempimento di tutti i diritti e doveri tra conviventi, tuttavia vincola la coppia ad uno stato di maggiore precarietà e revocabilità rispetto ai due casi precedentemente citati.

Cos’è lo stato di famiglia

Un concetto spesso non molto chiaro è invece quello di stato di famiglia riconosciuto dalla legge. Fattivamente lo stato di famiglia è rappresentato da un certificato, in cui vengono elencati tutti i facenti parte della famiglia anagrafica, rilasciato dal proprio comune. Vengono quindi esclusi da tale categoria i rapporti occasionali a favore invece di genitori, figli, parenti o tutori legali. Nello stato di famiglia si devono elencare tutti gli inquilini che vivono in un medesimo indirizzo di residenza, nel quale può vivere anche più di una famiglia, e identificare i diversi rapporti tra gli individui (madre, figli, padre, fratelli, nipoti, ecc.).

Come posso richiedere lo stato di famiglia?

Come spesso accade, per quanto apparentemente scontato ed immediato, non si ottiene il riconoscimento in modo automatico dello stato di famiglia, ma c’è bisogno di fare una richiesta. Il certificato va richiesto al proprio comune di residenza, precisamente all’ufficio anagrafe, portando un documento di identità valido. Si parla di una procedure veloce ed economica che non richiede il pagamento di marca da bollo sarà necessario solo se il certificato verrà rilasciato su carta bollata. La tecnologia può venire a vostro favore grazie all’innovativa possibilità di ottenere il certificato di stato di famiglia online, abbattendo totalmente i costi ed i tempi, fornendo semplicemente la propria tessera sanitaria(detta anche carta di servizio).

Si può uscire dallo stato di famiglia?

Se ti trovassi nella condizione di doverti privare – spesso per esigenze lavorative o per essere favorito nelle graduatorie di qualche concorso – del far parte di uno stato di famiglia, questo sarà possibile solo in alcuni casi. Di fatto quello che regola, realmente lo stato di famiglia, è il fatto di vivere nella stessa abitazione, nello stesso numero civico, con i familiari. Per poter uscire dallo stato di famiglia sarà dunque necessario cambiare residenza per andare a vivere altrove da soli, o con altri.

Si può avere più di uno stato di famiglia?

Se vivi con una persona, magari per esigenze lavorative o di studio, e vuoi ottenere un certificato che testimoni la convivenza comune, pur mantenendo sia te che l’eventuale coinquilino un certificato di famiglia individuale, sarà possibile farlo, nelle medesime modalità di cui si è parlato nel paragrafo dedicato alla richiesta dello stato di famiglia.

Cosa si intende con nucleo familiare?

Anzitutto il nucleo familiare non coincide per forza con la famiglia giuridica o con la famiglia anagrafica. Le persone facente parti del nucleo familiare non necessitano di vivere presso lo stesso indirizzo. Se tuo figlio va a vivere altrove, questo sarà facente parte ugualmente del tuo nucleo familiare. Il nucleo familiare può comprendere sia le persone facenti parte della famiglia anagrafica che i soggetti fiscalmente a carico.
Il nucleo familiare viene richiesto come dato da inserire per il calcolo del proprio modello ISEE. Passeremo ora in rassegna i singoli componenti del nucleo
familiare.

Perché serve avere chiaro cosa sia il nucleo familiare?

Nel chiedere delle agevolazioni fiscali, legate al minor pagamento di tasse universitarie, borse di studio, esoneri o agevolazioni sulle tasse, mensa scolastica, abbonamenti su taglia familiare per il trasporto pubblico, ci sarà sempre richiesto il valore del proprio ISEE(indicatore situazione economica equivalente). Si è già fatto cenno a tale valore, ma sarà bene specificare il perché sia così necessario ed i rapporti con il nucleo familiare. L’Isee serve a verificare la ricchezza del nucleo familiare, tanto legata ad entrate effettive, quanto a possedimenti materiali. Il calcolo sarà fatto su base personale, cioè verrà calcolato su ogni singolo componente del nucleo familiare il valore della propria ricchezza personale. Una famiglia di 5 componenti che avesse un’ Isee di 10000 euro, implica una ricchezza di quella cifra distribuita per ciascuno dei componenti del nucleo. Per calcolare l’Isee si deve dunque fare riferimento proprio alla composizione del nucleo familiare, ed è per questo che sarà fondamentale capire da quali componenti questi sia costituito. Attribuire al proprio nucleo familiare un componente in più o uno in meno, implicherebbe pagamenti più elevati di tasse, minori benefici economici o addirittura rischi legali legati al non aver denunciato con verosimiglianza i componenti del proprio nucleo familiare.

Componenti nucleo familiare: i coniugi

coniugi,come si sarà intuito, sono imprescindibili in un nucleo familiare, ne fanno necessariamente parte. I due coniugi, e con tale termine si intende marito e moglie, anche se separati, e trasferiti in due residenze diverse faranno parte ugualmente del nucleo familiare, mentre varierà la residenza anagrafica. Stesso discorso vale ovviamente, sulla base di quanto detto ad inizio trattazione, tanto per le unioni civili, che per le coppie di fatto.

Possono i coniugi appartenere a differenti nuclei familiari?

I coniugi potranno benissimo trovarsi a far parte di due differenti nuclei familiari in particolari situazioni. I più ricorrenti sono quelli legati alla cessazione del rapporto matrimoniale, al cambio di residenza a seguito di provvedimenti giuridici, come ad esempio: divorzio, separazione, domanda di nullità del matrimonio, allontanamento dalla residenza familiare.

I figli fanno parte del nucleo familiare?

In merito ai figli ci sono delle divergenze legate alla maggiore o minore età degli stessi. Per ciò che concerne i minorenni, questi faranno parte del nucleo familiare del genitore con cui stanno vivendo. Il discorso viene esteso anche a quei figli a carico di un altro genitore, come nei casi di divorzio, diverso da quello con cui condividono la residenza e la convivenza. Per ciò che concerne i figli maggiorenni magari sposati e con figli a loro volta, questi non faranno parte del nucleo familiare del genitore o dei genitori con cui convivono. In casi simili infatti saranno proprio i figli a costituire un proprio nucleo familiare.

Figli adottati, cosa cambia?

Per ciò che concerne i figli adottati, questi vengono considerati, appunto, adottivi, a prescindere dalla maggiore o minore età. Un figlio minorenne adottato sarà considerato, a tutti gli effetti come figlio della coppia che lo ha adottato. In un caso simile non c’è alcuna differenza con quanto detto nel paragrafo precedente, tuttavia la situazione cambia quando si parla di figli adottati che avessero già compiuto la maggior età. In quel caso, pur entrando con tutti i diritti a far parte del proprio nucleo familiare, non interromperanno assolutamente i rapporti con il nucleo familiare originario qualora fosse presente.

Chi non può essere considerato componente del nucleo familiare?

Si è parlato fino ad ora dei componenti familiari di un nucleo familiare, tuttavia ci sono alcuni casi in cui non sarà possibile considerare come facenti parte del nucleo familiare alcune persone.
In primo luogo parliamo delle persone a carico a fini Irpef, che non fossero registrati sotto il medesimo stato di famiglia. Per quanto riguarda il coniuge, per quanto si sia già spiegato come la residenza possa non essere influente sul fare parte o meno di un nucleo familiare, ci sono delle particolari eccezioni. Di fronte a un provvedimento come una separazione giudiziale o altre imposizioni del giudice come l’omologazione della separazione consensuale, da differenza di residenza sarà stata imposta dal giudice tramite dei provvedimenti immediati ed urgenti. Se un coniuge fosse stato escluso dalla paternità o maternità verso i figli, con un conseguente allontanamento dalla residenza familiare si verrebbe esclusi dal proprio nucleo familiare. Tutelare la famiglia ed i figli verso cui un genitore potrebbe aver commesso abusi sarà un diritto e un dovere cui dovere imprescindibile. Ulteriore possibilità è quella legata alla domanda di scioglimento o di cessazione dei diritti civili del vincolo matrimoniale,

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Animali e spiagge: tutto quello che c’è da sapere sulla presenza dei cani in spiaggia. Regole, divieti e sanzioni

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Portare i cani in spiaggia è possibile a meno che non venga espressamente vietato da un’ordinanza comunale. Portare il cane in spiaggia, in sostanza e salvo che non sia espressamente vietato, è sempre consentito.  Tuttavia a molti sarà capitato di portare i propri cani in spiaggia e suscitare numerose proteste da parte di quei bagnanti non molto favorevoli all’idea di dividere gli spazi con i cari 4 zampe. Ecco perché è bene conoscere come stanno le cose in proposito e cosa dice la legge sul punto.

Con riferimento ai numerosi divieti che esistono sulle spiagge, distinguiamo tra quelli inerenti proprio lo stare sulla spiaggia e quelli riguardanti il bagno a mare. Vediamo i dettagli.

Cani in spiaggia: cosa dice la legge?

Ancora oggi non esiste una legge nazionale che regoli  l’accesso degli animali sul demanio marittimo. In mancanza di espresso divieto comunale e/o della locale capitaneria vale la regola generale dei luoghi pubblici: guinzaglio e o museruola ove prescritto. Dunque bisogna fare riferimento alle leggi o alle ordinanze regionali perché esse danno facoltà alle Amministrazioni comunali o alla Capitaneria di Porto di regolare in autonomia quali siano le zone, e le modalità, con cui gli animali posso accedere alle spiagge. All’interno di ciascuna Regione, dunque, ogni singolo Comune può emanare un’ordinanza che vieti l’ingresso dei cani sulle spiagge o il bagno in mare.

Tuttavia affinché questa ordinanza sia valida, sono necessari una serie di elementi formali, in assenza dei quali il segnale di divieto è nullo e la multa invalida. Questi elementi essenziali sono i seguenti :

  • il cartello di divieto deve contenere gli estremi dell’ordinanza emessa e la scadenza della stessa;
  • l’ordinanza deve essere firmata dal sindaco, da un assessore delegato o da altra figura competente;
  • essa deve contenere le motivazioni che hanno indotto il comune a vietare la spiaggia ai cani e deve prevedere una scadenza;
  • inoltre deve essere stata pubblicata all’albo pretorio del comune e se ne deve poter trovare nell’albo on line, sul sito di ciascun comune.

Con riguardo ai requisiti di merito, poi, l’ordinanza per poter vietare l’ingresso ai bagnanti che hanno con sé il proprio cane deve essere congruamente motivata. Sul punto anche  il Tar Lazio con una sentenza [1] ha stabilito che il Comune non può emettere un’ordinanza in cui vieta l’accesso alle spiagge libere ai cittadini accompagnati dai loro inseparabili cani in assenza di una motivazione. Solo una congrua motivazione che giustifichi tale scelta da parte della pubblica amministrazione, potrebbe legittimare un’ordinanza restrittiva e dovrebbe anche specificare quali cautele di comportamento siano necessarie per la tutela dell’igiene delle spiagge o l’incolumità dei bagnanti. La scelta di vietare l’ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione, non deve risultare irragionevole e illogica, né irrazionale e sproporzionata.

In Toscana la legge che regola la presenza dei cani nelle spiagge è in realtà quella che regola più in generale l’accesso ai giardini, ai parchi e alle aree pubbliche [2]: l’accesso ai cani è consentito a patto che non ci sia un cartello che lo vieta e comunque con guinzaglio e museruola.

Spiagge private e lidi

Discorso diverso deve farsi per le spiagge private dove vale l’obbligo e il divieto di permanenza di animali. Le spiagge private e gli stabilimenti balneari possono decidere di accogliere gli animali ma devono seguire una serie di prescrizioni:

  • la zona dedicata agli animali deve essere recintata e attrezzata dove l’animale possa bere, essere lavato e deve avere un apposito percorso per essere raggiunta;
  • i proprietari di animali devono rilasciare una dichiarazione in cui affermano che l’animale è vaccinato e devono munirsi di libretto sanitario.

Comunque, anche tali aree hanno deroghe, almeno nella zona di battigia, sulla quale – indipendentemente dai concessionari – operano le ordinanze comunali e della Capitaneria. Infatti, ai bagnanti è sempre concesso transitare e sostare sulla battigia delle aree in concessione, pur senza pagare e senza subire pregiudizi di sorta. Il mare resta, comunque, zona off limits per gli animali: in nessun caso, infatti, è loro permesso entrare in mare. Si rischiano multe di 200 euro, per i proprietari,  e per i bagnini la multa va da mille a 3mila euro.

Divieto di accesso agli animali: perchè scatta e come comportarsi?

Il divieto – ove presente – nasce per una questione igienica:  gli animali espletano i loro bisogni in spiaggia, luogo in cui i bambini giocano, scavano buche e girano scalzi. Per questo motivo tante volte si incontra l’ostilità degli altri bagnanti quando si  porta il proprio cane a prendere la tintarella sulla spiaggia.

Come devono comportarsi i proprietari degli animali in spiaggia? In primo luogo e prima di ogni altro divieto è certamente il buonsenso a dover guidare i comportamenti dei proprietari dei cani. Poi, per evitare multe, è sempre bene che controllino che la spiaggia consenta l’accesso agli animali, senza fidarsi di consuetudini e passaparola.

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[1] Tar Lazio sent. n. 9302 del 10.07.2015.

[2] L.R. n. 59/2009.

La laurea in giurisprudenza consente di insegnare diritto in diversi istituti superiori, ma bisogna prestare attenzione alla classe di laurea di cui si è in possesso.

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La laurea in giurisprudenza, da diverso tempo ormai, ha perso parte di quel fascino che da sempre esercitava nell’immaginario collettivo. La crisi del mondo del lavoro, le difficoltà oggettive del percorso di studi, i tempi necessari per abilitarsi ad una professione o per superare un concorso pubblico, nonché le prospettive di guadagno non elevatissimo e di sicuro non nell’immediato non hanno certo influito positivamente sulla visione del mondo del diritto da parte dei giovani. Si tratta infatti di anni di sacrifici, personali e della propria famiglia, per un futuro che si può definire, perlomeno, incerto. In realtà, pur senza negare le oggettive complessità di un sistema ormai saturo – soprattutto in relazione al mondo dell’avvocatura – ci sono anche altre strade che si possono percorrere. Si pensi alla carriera universitaria, al settore privato ed aziendale, ai concorsi pubblici, ma anche all’insegnamento. Chi è in possesso di una laurea in giurisprudenza infatti può insegnare, ma a determinate condizioni e se effettivamente in regola con gli esami necessari per accedere alla classe di concorso relativa prevista per legge. Vediamo quindi di preciso come si può insegnare con una laurea in giurisprudenzaquale laurea serve per insegnare, e cosa si può insegnare con una laurea in giurisprudenza.

Insegnare con la laurea in giurisprudenza: titoli di accesso

Anzitutto, una precisazione è d’obbligo. Per insegnare con una laurea in giurisprudenza bisogna fare riferimento a una specifica classe di concorso, che ha requisiti specifici. Fino all’anno scorso, la classe di concorso relativa ai laureati in giurisprudenza (sia con la laurea magistrale quinquennale che con il cosiddetto tre più due, cioè laurea triennale più laurea specialistica) era la classe 19/A, chiamata discipline giuridiche ed economiche. Attualmente la denominazione è invece scienze giuridico – economiche, con codice A–46, e possono avervi accesso le lauree in giurisprudenza del vecchio ordinamento, del nuovo ordinamento e quelle magistrali. Nello specifico, per quanto riguarda quindi i titoli di accesso alla classe A-46, si tratta anzitutto di:

  • giurisprudenza (vecchio ordinamento);
  • specialistica in giurisprudenza (LS 22);
  • magistrale quinquennale a ciclo unico in giurisprudenza (LMG 01).

Oltre alle lauree in giurisprudenza che abbiamo elencato, questa stessa classe permette inoltre l’accesso a coloro che sono in possesso di altri titoli di studio, previsti per legge, tra i quali rientrano anche, a titolo d’esempio, i seguenti:

  • scienze dell’amministrazione;
  • economia aziendale ed economia bancaria;
  • economia delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali;
  • economia e commercio;
  • economia aziendale;
  • economia e legislazione per l’impresa;
  • scienze politiche.

Stabilite queste premesse, occorre inoltre avere ben chiaro come non sia in realtà sufficiente avere il titolo di dottore in giurisprudenza per poter aver accesso all’insegnamento. La laurea in giurisprudenza infatti, sia che si tratti di quella quadriennale conseguita con il vecchio ordinamento, che di quella magistrale quinquennale, o di quella specialistica preceduta dalla triennale in scienze giuridiche, costituisce titolo di ammissione al concorso purchè il piano di studi abbia compreso determinati corsi ed esami, tra i quali rientrano anche, per citarne alcuni, quelli di economia politica, politica economica, economia aziendale, statistica economica. In caso non si avessero, occorre integrare e sostenere questi esami anche se già si ha la laurea in giurisprudenza. Ma quali sono le materie che si possono insegnare con una laurea in giurisprudenza? Il discorso fatto finora sull’integrazione degli esami, specialmente per quanto riguarda le materie economiche, troverà a questo punto un preciso significato, proprio in relazione a quali sono gli insegnamenti che un laureato in giurisprudenza può impartire negli istituti secondari superiori.

Insegnare con la laurea in giurisprudenza: materie

Una volta stabilito quindi i quali siano i requisiti di accesso, e specificato che occorre l’integrazione degli esami universitari sostenuti per poter avere accesso alla classe di concorso A–46, il tipo di insegnamento che si potrà impartire varia a seconda dell’istituto scolastico superiore nel quale si andrà ad insegnare, e anche dell’indirizzo. Le materie, che naturalmente sono inerenti principalmente il diritto, variano infatti a seconda della scuola in cui l’insegnante viene inserito. Tra le materie previste per legge, oltre a quelle principali di diritto ed economia, troviamo anche alcune discipline molto settoriali, legate all’indirizzo del corso di studi, tra cui:

  • diritto;
  • diritto ed economia (anche declinata come economia politica);
  • diritto ed economia dello sport;
  • diritto e legislazione turistica;
  • relazioni internazionali;
  • diritto e legislazione sanitaria (anche declinata quale legislazione socio-sanitaria);
  • economia e marketing delle aziende della moda;
  • diritto e pratica commerciale;
  • diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva;
  • diritto e tecniche amministrative.

Come si può vedere, alcune discipline sono molto particolari e settoriali (legislazione sanitaria e marketing delle aziende della moda, per esempio), e questo si deve all’indirizzo dell’istituto in cui è possibile insegnare diritto, nel quale risultano appunto indirizzi di studi legati a questi ambiti.

Insegnare con la laurea in giurisprudenza: istituti superiori e indirizzi di studio

Per quanto riguarda gli istituti superiori nei quali è possibile insegnare con una laurea in giurisprudenza le materie che abbiamo elencato, gli indirizzi di studi previsti sono i seguenti:

  • liceo delle scienze umane;
  • liceo delle scienze umane, opzione economico-sociale;
  • liceo sportivo;
  • istituto tecnico, settori economico, tecnologico;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione. finanza e marketing, articolazione amministrazione, finanza e marketing;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione. finanza e marketing, articolazione relazioni internazionali per il marketing;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione. finanza e marketing, articolazione sistemi informativi aziendali;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo turismo;
  • istituto tecnico, settore tecnologico indirizzo trasporti e logistica – istituto, settore tecnologico, indirizzo chimica, materiali e biotecnologie, articolazione biotecnologie sanitarie;
  • istituto tecnico, settore tecnologico, indirizzo sistema moda;
  • istituto professionale, settori servizi, industria e artigianato – istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi sociosanitari;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi sociosanitari, articolazioni arti ausiliarie delle professioni sanitarie ottico, odontotecnico;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi commerciali;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera – opzione prodotti dolciari artigianali e industriali.

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Nonni, diritto a incontrare i nipoti: quando ricorrere al giudice

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Mio figlio e mia nuora non mi permettono di vedere i bambini. Vivevano all’estero e da novembre si sono trasferiti in Italia. Mi hanno chiesto aiuto per il trasloco e dopo due giorni dal rientro non si sono fatti vedere nè sentire senza una ragione. Io voglio vedere i bambini. Sono molto piccoli . Posso avere il diritto di vederli una volta la settimana? I genitori lavorano e i bambini vengono seguiti dai nonni anziani di mia nuora.

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La legge (art 317 bis cod. civ.) prevede espressamente che gli ascendenti (quindi anche i nonni) hanno il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni e dispone che l’ascendente (al quale sia impedito l’esercizio di tale diritto) possa ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nel suo esclusivo interesse. Questo significa che il nostro ordinamento prevede espressamente il diritto dei nonni ad avere rapporti significativi con i propri nipoti; diritto che, però, non può non trovare il proprio limite naturale nel prevalente interesse dei minori.

La norma che disciplina il diritto dei nonni non ne specifica i limiti, né chiarisce espressamente in che modo vadano gestiti i rapporti nipoti – nonni (come, d’altronde, accade anche tra genitore e figli in caso di separazioni tra coniugi). È il giudice civile a dover decidere, caso per caso, cosa sia più opportuno fare, dopo aver assunto le informazioni necessarie: ogni decisione deve essere presa nell’esclusivo interesse del minore.

Nel caso specifico, certamente la lettrice ha diritto di vedere i suoi nipoti ma, considerata la loro tenera età, non so se il giudice acconsentirà a disporre incontri settimanali. Bisogna capire (e la lettrice non lo ha chiarito) per quale ragione vogliano impedirle di avere un rapporto con i bambini. Il motivo sotteso alla decisione di suo figlio e sua nuora è molto importante perché sarò lo stesso che indicheranno al giudice (se la lettrice deciderà di presentare ricorso).

In breve, la stessa ha diritto di vedere i suoi nipoti e se glielo impediscono può presentare un ricorso: deve solo stare attenta a non esagerare perché l’ultima parola spetta sempre ai genitori, soprattutto se prendono delle decisioni nell’interesse dei figli. È questo che deve capire. È bene che la lettrice valuti, prima del giudice, cosa può essere accaduto e se la scelta di suo figlio e sua nuora (di impedire i rapporti) sia stata dettata solo da un capriccio (causato da qualche litigio con lei) o sia davvero privo di spiegazione. In quest’ultimo caso, il giudice certamente li obbligherà a farla incontrare coi nipoti.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Sabina Coppola

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