Addio mantenimento se c’è un nuovo partner anche senza bisogno che vi sia una stabile convivenza more uxorio

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Sino a ieri perdeva l’assegno di mantenimento l’ex moglie che iniziava una nuova relazione con un’altra persona a condizione che andasse a vivere con questa sotto lo stesso tetto, creando così una famiglia di fatto. Non è giusto, ha sostenuto più volte la Cassazione, imporre al precedente marito di farsi carico e sostenere economicamente anche il nuovo nucleo familiare dell’ex coniuge. In questa interpretazione, però, l’elemento della «stabile convivenza» tra i due nuovi partner era considerato necessario per poter parlare di una relazione more uxorio, assimilabile cioè a quella della coppia sposata. Ma le cose stanno cambiando. Secondo infatti una recente sentenza del Tribunale di Como [1]se l’ex ha una relazione perde l’assegno di mantenimentoanche senza bisogno di convivenza. Basta insomma che ci sia un legame amoroso nuovo. Canteranno vittoria tutti coloro che stanno versando fior di mantenimenti alle ex mogli quando queste hanno ormai iniziato a intraprendere nuove avventure. Del resto, è la stessa Cassazione che, lo scorso 10 maggio 2017, nella nota «sentenza Grilli», ha dichiarato che il divorzio determina la cessazione di ogni legame della coppia, sicché l’assegno divorzile deve servire solo in via residuale, qualora il coniuge più debole non abbia una indipendenza economica. Ma procediamo con ordine.

La nuova convivenza fa venire meno l’assegno di mantenimento

Partiamo dal principio sancito dalla Cassazione [2]: la scelta dell’ex coniuge di costituire una convivenza more uxorio stabile e duratura – ben diversa da una semplice coabitazione tra soggetti estranei – fa venir meno il diritto all’assegno di mantenimento. Ciò del tutto indipendentemente dalla posizione economica di ciascun convivente (quindi anche si tratti di soggetti entrambi disoccupati o comunque con un reddito molto basso). Costituisce infatti principio indiscusso che la formazione di una nuova famiglia di fattoda parte del coniuge divorziato (o separato) determina la perdita definitiva dell’assegno divorzile. Anche qualora tale convivenza cessi, si è ormai recisa ogni connessione con il precedente coniuge e, pertanto, non si può più recriminare di nuovo l’assegno divorzile.

Tuttavia, ha chiarito la giurisprudenza fino ad oggi, tale principio si può applicare solo quando la nuova convivenza ha i connotati di stabilità e continuità, costituendo un modello di vita in comune analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, e così, una vera e propria “famiglia di fatto”.

La coppia di fatto deve per forza convivere sotto lo stesso tetto?

Come ha chiarito la Cassazione lo scorso 15 aprile, si può essere conviventi senza abitare nella stessa casa. La convivenza sotto lo stesso tetto non è l’unico elemento per parlare di una coppia di fatto. Del resto, se è vero che marito e moglie possono risiedere in due posti diversi o abitare separatamente (come spesso succede per ragioni di lavoro) non si vede perché ciò non possa avvenire anche per le coppie di fatto. Questo principio è stato fornito per una questione del tutto differente (il diritto al risarcimento del danno morale per il partner non convivente a seguito della morte della compagna in un incidente stradale), tuttavia può essere utilizzato anche nel caso di specie ossia quello relativo alla perdita del diritto al mantenimento. Il che significa che ben potrebbe sussistere una nuova relazione anche senza che i due partner convivano sotto lo stesso tetto. È allora l’esistenza di un nuovo legame, e non già la coabitazione, a determinare la cessazione dell’assegno di mantenimento.

Addio mantenimento se c’è un nuovo partner anche senza convivenza 

Il Tribunale di Como [1], prendendo spunto dall’orientamento della Cassazione di qualche giorno fa, è arrivato a stabilire che se l’ex ha una relazione con un nuovo compagno perde il mantenimento anche se tra i due non vi è alcuna stabile convivenza.

Deve essere revocato, pertanto, il contributo di mantenimento al coniuge che, prima ancora che sia terminata la causa di separazione dall’altro, ha creato una nuova famiglia di fatto con un nuovo partner pur senza instaurare una stabile convivenza con quest’ultimo, posto che la formazione di una famiglia di fatto costituisce espressione di una scelta di vita esistenziale e consapevole, con assunzione del rischio della cessazione del rapporto. Di fatto, la nuova relazione, anche senza convivenza, taglia ogni collegamento con il modello di vita legati al coniugio e quindi esclude l’obbligo di solidarietà dell’altro coniuge. Specifica il giudice che il dovere di coabitazione ben può essere derogato per accordo tra i coniugi e quindi non si vede perché detta facoltà non debba essere esercitabile anche da parte delle coppie non coniugate.

Risultato: secondo il nuovo principio perde il mantenimento l’ex moglie che si rifà una vita anche se non vive sotto lo stesso tetto del nuovo partner. Ciò che conta è la nuova condizione personale della donna, che coltiva la relazione affettiva e riceve dal partner contributi economici per il fabbisogno del bambino sotto forma di mantenimento diretto: tanto basta per escludere ogni diritto all’assegno da parte del precedente marito.

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[1] Trib. Como ord. del 12.04.2018.

[2] Cass. sent. n. 2732/2018

Autore immagine: 123rf com

Milan, i 12 punti oscuri della vendita ai cinesi

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La vendita del Milan è fissata per il 3 marzo 2017: prima della fatidica data la società dovrà convocare l’assemblea degli azionisti che si riunirà quando Sino-Europe farà arrivare i 320 milioni di euro che ancora mancano per chiudere l’operazione. Allora gli amministratori in carica si dimetteranno per lasciare spazio ai nuovi vertici cinesi. Sulla carta sembra solo un passaggio formale, ma la vicenda è molto più complicata di così. E le domande senza risposta sono tante, nella forma e nella sostanza.

 

1)    Perché i cinesi stanno pagando il Milan a rate?

E’ un caso più unico che raro. Fininvest e Sino-Europe, guidata dall’uomo d’affari cinese Yonghong Li, hanno pattuito un prezzo di 740 milioni di euro: 520 milioni alla holding della famiglia Berlusconi, più l’accollo di 220 milioni di debiti. Le trattative di questo tipo vengono solitamente chiuse in un colpo solo: una firma e una transazione bancaria. Certo, i pagamenti possono anche essere dilazionati nel tempo, ma spesso a fronte di una fidejussione bancaria che faccia da garanzia cosicché il controllo delle società passi di mano subito. E’ successo così per l’Inter quando Massimo Moratti vendette a Erick Thohir e poi quando lo stesso Thohir passò la mano ai cinesi di Suning, la scorsa estate. Stessa modalità per la cessione della Sampdoria a Massimo Ferrero da parte della famiglia Garrone (che però alla data dell’ultimo bilancio disponibile continua a garantire per l’attuale proprietario). Percorso identico anche perJames Pallotta che ha rilevato la Roma nel 2011. In tutti questi casi di caparra neppure l’ombra. Sono arrivati, invece, i contanti o le garanzie bancarie.

2)    Perché i cinesi non si avvalgono di advisor finanziari?

Di solito operazioni di questo genere vengono finanziate da diversi istituti, proprio per la complessità di mettere insieme, rapidamente, le cifre necessarie a chiudere l’affare. I cinesi, invece, non hanno voluto l’aiuto di nessuno dichiarando di avere a disposizione tutto il budget. Eppure non riescono a transare. Evitando di chiedere l’intervento di una banca hanno evitato un controllo dei conti (due diligence) approfondito, come quelli che sono necessari quando nelle trattative sono coinvolti i Pep: persone politicamente esposte, come nel caso di Silvio Berlusconi. Nessuna banca, quindi, e nessuna indagine approfondita sulle parti in causa.

3)    Chi è Yonghong Li?

Nessuno lo sa. Prima della sua complicata scalata al Milan non era mai entrato nei radar dei media, ma neppure degli imprenditori e dei diplomatici. Non era noto agli uffici del commercio con l’estero e neppure alle ambasciate. Anche per gli addetti ai lavori del calcio orientale è un mistero. Per Marcello Lippi che in Cina è una divinità si tratta di uno sconosciuto, Fabio Cannavaro ammette di saperne poco. Alberto Forchielli, partner di Mandarin Capital, ha più volte detto che la cordata non esiste. Poche informazioni anche in rete, ma probabilmente dipende anche dal diverso alfabeto. Il Sole 24 Ore, invece, è riuscito a scoprire di una multa comminatagli da parte della Borsa di Shanghai per attività irregolari. Di certo, però, c’è un Yonghong Li tra i Panama Papers: è uno dei tre intestatari di una società offshore a Panama. Potrebbe essere un caso di omonimia, ma il diretto interessato non ha mai smentito. La società, Alkimiaconst Sa, è stata aperta da Mossack Fonseca, lo stesso intermediario che ha creato, Struie una cassaforte di cui si sono serviti sia Silvio Berlusconi sia Flavio Briatore (benché i loro nomi non compaiano direttamente nelle carte panamensi): a riempirla, invece, era stato l’avvocato britannico David Mills, creatore di un sistema offshore da 775 milioni di euro. L’ipotesi è che Yonghong Li sia l’apripista di altri investitori che non vogliono esporsi.

4)    Di chi sono i 200 milioni versati a Fininvest?

La prima tranche è stata pagata da Yongyong Li, probabilmente attraverso Crédit Suisse, la banca svizzera coinvolta nei Panama Papers che a maggio dello scorso anno ha annunciato la chiusura dei suoi uffici nel paradiso fiscale centroamericano. La banca – che rifiuta ogni commento – è stata più volte accusata di aver aiutato contribuenti di tutto il mondo a eludere il fisco: negli Stati Uniti hanno pagato una multa da 2,5 miliardi di dollari, in Italia hanno transato 109,5 milioni di euro nell’ambito dell’accusa di aver aiutato 13mila contribuenti a evadere 14 miliardi di euro. La seconda tranche è un mistero. I 100 milioni sono effettivamente arrivati in casa Fininvest, ma prima hanno fatto il giro del mondo: sono partiti da un veicolo (Willy Shine, con una chiara allusione sessuale, come nota l’Oxford Dictionary) con sede alle Isole Vergini Britanniche – lo stesso paradiso fiscale noto a tanti imprenditori italiani, da Berlusconi a Galliani – per arrivare alla sede di Hong Kong di Huarong, l’asset manager controllato dal governo, che li ha poi girati a Fininvest.

5)    Perché è stata necessaria questa triangolazione?

Nessuno sa spiegarlo. Huarong, al momento, non fa parte della cordata Sino-Europe, ma avrebbe anticipato l’ultima caparra da 100 milioni (la società non conferma l’operazione, ma il documento pubblicato da Calcio e Finanza riporta la firma di un suo dipendente). La prima versione ufficiale è che Huarong non avesse tutte le autorizzazioni necessarie per superare il controllo dei capitali imposti dal governo cinese. Eppure, il bonifico per Fininvest non è partito dalla Cina, ma dalla sede di Hong Kong di Huarong dove la valuta è il dollaro locale e non il renminbi cinese oggetto di controllo. E, infatti, mentre in Cina è effettivamente in atto una stretta sull’uscita dei capitali, l’ex colonia britannica rimane una zona franca. La seconda spiegazione, invece, è che Huarong non avesse 100 milioni disponibili a Hong Kong, ma è una giustificazione che regge solo fino a un certo punto: il gruppo, infatti, ha un fatturato da oltre 11 miliardi di dollari e asset gestiti per oltre 110 miliardi e negli ultimi due anni ha collocato obbligazioni in dollari americani per quasi cinque miliardi.

6)    Dal momento che dicono di avere molti capitali all’estero, perché i cinesi non hanno direttamente creato un veicolo offshore per comprare il Milan?

E’ un’altra domanda senza risposta. Dal momento che l’arrivo di una stretta sui movimenti di capitali era attesa e in parte dovuta alla promozione del Renminbi tra le valute di riserva del Fmi, Sino Europe avrebbe potuto far partire l’operazione direttamente dalle Isole Vergini, invece ha preferito complicarsi la vita.

7)    E’ davvero credibile che la stretta sui capitali impedisca di chiudere l’operazione?

Per tutti gli esperti contattati da Business Insider no. Sono strane le lungaggini burocratiche – i tempi per avere le autorizzazioni a completare gli investimenti all’estero sono di circa 50 giorni – ed è strano l’approccio delle parti alla trattativa. Secondo i dati dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, l’interscambio tra Cina e Italia resta costante. Di più: tra il 2006 e il 2015 lo stock di denaro investito dalla Cina all’estero è arrivato a 1.097 miliardi di dollari (145 miliardi solo nel 2015) e il governo ha annunciato di voler aumentare la quota di altri mille miliardi tra il 2016 e il 2020. Se Pechino ha davvero intenzione di investire 200 miliardi di dollari l’anno all’estero, perché fatica ad autorizzare una spesa da 520 milioni, pari allo 0,25% dell’importo annuo? Se il governo – come sbandierato da Sino Europe – ha davvero autorizzato l’acquisizione del Milan perché adesso la ferma? E, in fondo, Huarong è davvero controllata dal governo di Pechino.

8)    Perché Sino Europe non comunica la lista dei nomi?

La compagine azionaria di Sino Europe è un mistero. Vuole essere un fondo di private equity, ma si comporta come una piccola società di amici. I nomi messi in circolazione cambiano di continuo: nel calderone è finita anche China Construction Bank – poi uscita dalla lista -, ma la sostanza non cambia, a parole sarebbero tutti soci con fatturati da decine di miliardi. Di più, avrebbero già messo tutto il capitale necessario, ma allora perché non riescono a comprare il Milan nei tempi prestabiliti? Di certo esiste una lista di soggetti interessati all’operazione, ma nessuno è vincolato a investire. Un’altra spiegazione è che se i grandi nomi venissero resi pubblici, i venditori potrebbero provare a chiedere ancora più soldi.

9)    Perché non viene rispettato il protocollo degli affari asiatici?

In Cina l’etichetta è tutto. Prima di parlare di affari è fondamentale conoscersi e i cinesi non amano gli emissari. Vogliono incontrare l’azionista, vogliono conoscere il venditore. Di più: vogliono il loro biglietto da visita per poterlo conservare. E non lo accettano per interposta persona: il biglietto da visita va consegnato con le due mani e un leggero inchino del capo. Tutto questo, invece, non è mai accaduto. Sono stati i cinesi a venire in Italia, mentre pare che Silvio Berlusconi non sia mai stato in Cina a condurre la trattativa. Neppure risulta ci sia stata sua figlia Barbara.

10)    Perché la data del closing cambia continuamente?

Se davvero Sino Europe ha già raccolto tutti i soldi necessari da tempo, perché non ha chiuso l’affare a settembre, prima che scattasse l’ampiamente atteso controllo dei capitali.

11)    Perché il Milan non può spendere per la campagna acquisti di gennaio?

Gli accordi prevedono che tutte le spese sostenute da Fininvest per il Milan a partire dal primo luglio 2016 fino alla data del closing siano rimborsate da Sino-Europe alla famiglia Berlusconi. Compreso, quindi, il calcio mercato. Tanto è vero che in società è entrato Marco Fassone, ad in pectore e uomo forte dei soci cinesi, ma perché allora non vengono aperti i cordoni della borsa in un momento in cui il Milan può ambire a posizioni di vertice? Quali altri garanzie servono per operare sul mercato? Ci sono dei dubbi sul successo dell’operazione? A spazzarli via sarebbe bastata una fidejussione bancaria.

12)    E’ possibile che siano soldi di Fininvest?

E’ impossibile dare un risposta. Di certo c’è che alle Isole Vergini Britanniche esiste una delle casseforti riferibili a Silvio Berlusconi, ma è troppo poco anche per avanzare un sospetto. Inoltre, far rientrare dei soldi attraverso la Cina sarebbe un’operazione alquanto azzardata e infatti la holding della famiglia Berlusconi respinge ogni illazione. I fatti accaduti finora, però, indicano che il tira e molla con i cinesi ha già portato a Milano 200 milioni di euro di caparra che resteranno nelle casse della società anche se la vendita del Milan non dovesse concludersi.

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Famiglia e nucleo familiare sono due concetti che vengono spesso confusi ed utilizzati impropriamente nell’uso comune.

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Quali sono le differenze sostanziali tra i due?

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Cos’è la famiglia e quali sono i componenti del nucleo familiare? La risposta apparentemente può sembrare scontata ed abbastanza evidente, tuttavia di fronte alla legge ci si ritrova a non saper ben distinguere in termini giuridici le diverse componenti, i diritti ed i doveri reciproci. Richiedere lo stato di famiglia e comprendere le modalità per farlo sarà un’operazione facile ed immediata dopo aver letto questa guida. Inoltre verranno chiariti alcuni rapporti, a livello giuridico tra i vari componenti della famiglia ed il concetto di nucleo familiare. Ad un lettore senza particolari esigenze tali definizioni sembreranno meramente tecnicismi, tuttavia se ti fossi trovato, o ti trovassi, nella condizione di dover compiere un’operazione ricorrente come quella del calcolo dell’ISEE, tali nozioni saranno fondamentali.

Cos’è la famiglia per il diritto?

La famiglia è un concetto molto ampio, può essere considerata famiglia quella costituita da genitori, sposati o non, ed eventuali figli, ma si può anche estendere il concetto ad altri componenti con cui si corrisponde un certo stato affettivo. Per la legge tuttavia, così come recita la costituzione, la famiglia è propriamente una: “società naturale fondata sul matrimonio“. Di fatto è l’atto matrimoniale a stabilire, per la legge, l’esistenza o meno della famiglia, con tutti i diritti ed i doveri che ne conseguono.

Una coppia di fatto può essere considerata famiglia?

Se al concetto di matrimonio ti sono sorti dubbi su eventuali diritti verso le coppie di fatto, cioè coppie omosessuali non unite dal vincolo matrimoniale, la giurisdizione è un pochino più complessa. A partire dal 2016, con il riconoscimento delle unioni civili la legge italiana ha iniziato a considerare a tutti gli effetti come famiglia anche quelle coppie unite in tali termini. Infatti la famiglia, per la legge è considerata come una formazione sociale, una società intermedi altra stato ed individuo; le coppie di fatto rientrano dunque perfettamente nella tipologia.

Convivo con una persona, come vengo considerato dalla legge?

Nel caso specifico in cui ti trovassi a convivere da tempo una persona, a prescindere dal sesso, pur non essendo vincolato a questa né con l’unione civile, né con il matrimonio ma dalla singola convivenza, la legge permette il riconoscimento giuridico. La convivenza comporta i benefici e l’adempimento di tutti i diritti e doveri tra conviventi, tuttavia vincola la coppia ad uno stato di maggiore precarietà e revocabilità rispetto ai due casi precedentemente citati.

Cos’è lo stato di famiglia

Un concetto spesso non molto chiaro è invece quello di stato di famiglia riconosciuto dalla legge. Fattivamente lo stato di famiglia è rappresentato da un certificato, in cui vengono elencati tutti i facenti parte della famiglia anagrafica, rilasciato dal proprio comune. Vengono quindi esclusi da tale categoria i rapporti occasionali a favore invece di genitori, figli, parenti o tutori legali. Nello stato di famiglia si devono elencare tutti gli inquilini che vivono in un medesimo indirizzo di residenza, nel quale può vivere anche più di una famiglia, e identificare i diversi rapporti tra gli individui (madre, figli, padre, fratelli, nipoti, ecc.).

Come posso richiedere lo stato di famiglia?

Come spesso accade, per quanto apparentemente scontato ed immediato, non si ottiene il riconoscimento in modo automatico dello stato di famiglia, ma c’è bisogno di fare una richiesta. Il certificato va richiesto al proprio comune di residenza, precisamente all’ufficio anagrafe, portando un documento di identità valido. Si parla di una procedure veloce ed economica che non richiede il pagamento di marca da bollo sarà necessario solo se il certificato verrà rilasciato su carta bollata. La tecnologia può venire a vostro favore grazie all’innovativa possibilità di ottenere il certificato di stato di famiglia online, abbattendo totalmente i costi ed i tempi, fornendo semplicemente la propria tessera sanitaria(detta anche carta di servizio).

Si può uscire dallo stato di famiglia?

Se ti trovassi nella condizione di doverti privare – spesso per esigenze lavorative o per essere favorito nelle graduatorie di qualche concorso – del far parte di uno stato di famiglia, questo sarà possibile solo in alcuni casi. Di fatto quello che regola, realmente lo stato di famiglia, è il fatto di vivere nella stessa abitazione, nello stesso numero civico, con i familiari. Per poter uscire dallo stato di famiglia sarà dunque necessario cambiare residenza per andare a vivere altrove da soli, o con altri.

Si può avere più di uno stato di famiglia?

Se vivi con una persona, magari per esigenze lavorative o di studio, e vuoi ottenere un certificato che testimoni la convivenza comune, pur mantenendo sia te che l’eventuale coinquilino un certificato di famiglia individuale, sarà possibile farlo, nelle medesime modalità di cui si è parlato nel paragrafo dedicato alla richiesta dello stato di famiglia.

Cosa si intende con nucleo familiare?

Anzitutto il nucleo familiare non coincide per forza con la famiglia giuridica o con la famiglia anagrafica. Le persone facente parti del nucleo familiare non necessitano di vivere presso lo stesso indirizzo. Se tuo figlio va a vivere altrove, questo sarà facente parte ugualmente del tuo nucleo familiare. Il nucleo familiare può comprendere sia le persone facenti parte della famiglia anagrafica che i soggetti fiscalmente a carico.
Il nucleo familiare viene richiesto come dato da inserire per il calcolo del proprio modello ISEE. Passeremo ora in rassegna i singoli componenti del nucleo
familiare.

Perché serve avere chiaro cosa sia il nucleo familiare?

Nel chiedere delle agevolazioni fiscali, legate al minor pagamento di tasse universitarie, borse di studio, esoneri o agevolazioni sulle tasse, mensa scolastica, abbonamenti su taglia familiare per il trasporto pubblico, ci sarà sempre richiesto il valore del proprio ISEE(indicatore situazione economica equivalente). Si è già fatto cenno a tale valore, ma sarà bene specificare il perché sia così necessario ed i rapporti con il nucleo familiare. L’Isee serve a verificare la ricchezza del nucleo familiare, tanto legata ad entrate effettive, quanto a possedimenti materiali. Il calcolo sarà fatto su base personale, cioè verrà calcolato su ogni singolo componente del nucleo familiare il valore della propria ricchezza personale. Una famiglia di 5 componenti che avesse un’ Isee di 10000 euro, implica una ricchezza di quella cifra distribuita per ciascuno dei componenti del nucleo. Per calcolare l’Isee si deve dunque fare riferimento proprio alla composizione del nucleo familiare, ed è per questo che sarà fondamentale capire da quali componenti questi sia costituito. Attribuire al proprio nucleo familiare un componente in più o uno in meno, implicherebbe pagamenti più elevati di tasse, minori benefici economici o addirittura rischi legali legati al non aver denunciato con verosimiglianza i componenti del proprio nucleo familiare.

Componenti nucleo familiare: i coniugi

coniugi,come si sarà intuito, sono imprescindibili in un nucleo familiare, ne fanno necessariamente parte. I due coniugi, e con tale termine si intende marito e moglie, anche se separati, e trasferiti in due residenze diverse faranno parte ugualmente del nucleo familiare, mentre varierà la residenza anagrafica. Stesso discorso vale ovviamente, sulla base di quanto detto ad inizio trattazione, tanto per le unioni civili, che per le coppie di fatto.

Possono i coniugi appartenere a differenti nuclei familiari?

I coniugi potranno benissimo trovarsi a far parte di due differenti nuclei familiari in particolari situazioni. I più ricorrenti sono quelli legati alla cessazione del rapporto matrimoniale, al cambio di residenza a seguito di provvedimenti giuridici, come ad esempio: divorzio, separazione, domanda di nullità del matrimonio, allontanamento dalla residenza familiare.

I figli fanno parte del nucleo familiare?

In merito ai figli ci sono delle divergenze legate alla maggiore o minore età degli stessi. Per ciò che concerne i minorenni, questi faranno parte del nucleo familiare del genitore con cui stanno vivendo. Il discorso viene esteso anche a quei figli a carico di un altro genitore, come nei casi di divorzio, diverso da quello con cui condividono la residenza e la convivenza. Per ciò che concerne i figli maggiorenni magari sposati e con figli a loro volta, questi non faranno parte del nucleo familiare del genitore o dei genitori con cui convivono. In casi simili infatti saranno proprio i figli a costituire un proprio nucleo familiare.

Figli adottati, cosa cambia?

Per ciò che concerne i figli adottati, questi vengono considerati, appunto, adottivi, a prescindere dalla maggiore o minore età. Un figlio minorenne adottato sarà considerato, a tutti gli effetti come figlio della coppia che lo ha adottato. In un caso simile non c’è alcuna differenza con quanto detto nel paragrafo precedente, tuttavia la situazione cambia quando si parla di figli adottati che avessero già compiuto la maggior età. In quel caso, pur entrando con tutti i diritti a far parte del proprio nucleo familiare, non interromperanno assolutamente i rapporti con il nucleo familiare originario qualora fosse presente.

Chi non può essere considerato componente del nucleo familiare?

Si è parlato fino ad ora dei componenti familiari di un nucleo familiare, tuttavia ci sono alcuni casi in cui non sarà possibile considerare come facenti parte del nucleo familiare alcune persone.
In primo luogo parliamo delle persone a carico a fini Irpef, che non fossero registrati sotto il medesimo stato di famiglia. Per quanto riguarda il coniuge, per quanto si sia già spiegato come la residenza possa non essere influente sul fare parte o meno di un nucleo familiare, ci sono delle particolari eccezioni. Di fronte a un provvedimento come una separazione giudiziale o altre imposizioni del giudice come l’omologazione della separazione consensuale, da differenza di residenza sarà stata imposta dal giudice tramite dei provvedimenti immediati ed urgenti. Se un coniuge fosse stato escluso dalla paternità o maternità verso i figli, con un conseguente allontanamento dalla residenza familiare si verrebbe esclusi dal proprio nucleo familiare. Tutelare la famiglia ed i figli verso cui un genitore potrebbe aver commesso abusi sarà un diritto e un dovere cui dovere imprescindibile. Ulteriore possibilità è quella legata alla domanda di scioglimento o di cessazione dei diritti civili del vincolo matrimoniale,

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Animali e spiagge: tutto quello che c’è da sapere sulla presenza dei cani in spiaggia. Regole, divieti e sanzioni

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Portare i cani in spiaggia è possibile a meno che non venga espressamente vietato da un’ordinanza comunale. Portare il cane in spiaggia, in sostanza e salvo che non sia espressamente vietato, è sempre consentito.  Tuttavia a molti sarà capitato di portare i propri cani in spiaggia e suscitare numerose proteste da parte di quei bagnanti non molto favorevoli all’idea di dividere gli spazi con i cari 4 zampe. Ecco perché è bene conoscere come stanno le cose in proposito e cosa dice la legge sul punto.

Con riferimento ai numerosi divieti che esistono sulle spiagge, distinguiamo tra quelli inerenti proprio lo stare sulla spiaggia e quelli riguardanti il bagno a mare. Vediamo i dettagli.

Cani in spiaggia: cosa dice la legge?

Ancora oggi non esiste una legge nazionale che regoli  l’accesso degli animali sul demanio marittimo. In mancanza di espresso divieto comunale e/o della locale capitaneria vale la regola generale dei luoghi pubblici: guinzaglio e o museruola ove prescritto. Dunque bisogna fare riferimento alle leggi o alle ordinanze regionali perché esse danno facoltà alle Amministrazioni comunali o alla Capitaneria di Porto di regolare in autonomia quali siano le zone, e le modalità, con cui gli animali posso accedere alle spiagge. All’interno di ciascuna Regione, dunque, ogni singolo Comune può emanare un’ordinanza che vieti l’ingresso dei cani sulle spiagge o il bagno in mare.

Tuttavia affinché questa ordinanza sia valida, sono necessari una serie di elementi formali, in assenza dei quali il segnale di divieto è nullo e la multa invalida. Questi elementi essenziali sono i seguenti :

  • il cartello di divieto deve contenere gli estremi dell’ordinanza emessa e la scadenza della stessa;
  • l’ordinanza deve essere firmata dal sindaco, da un assessore delegato o da altra figura competente;
  • essa deve contenere le motivazioni che hanno indotto il comune a vietare la spiaggia ai cani e deve prevedere una scadenza;
  • inoltre deve essere stata pubblicata all’albo pretorio del comune e se ne deve poter trovare nell’albo on line, sul sito di ciascun comune.

Con riguardo ai requisiti di merito, poi, l’ordinanza per poter vietare l’ingresso ai bagnanti che hanno con sé il proprio cane deve essere congruamente motivata. Sul punto anche  il Tar Lazio con una sentenza [1] ha stabilito che il Comune non può emettere un’ordinanza in cui vieta l’accesso alle spiagge libere ai cittadini accompagnati dai loro inseparabili cani in assenza di una motivazione. Solo una congrua motivazione che giustifichi tale scelta da parte della pubblica amministrazione, potrebbe legittimare un’ordinanza restrittiva e dovrebbe anche specificare quali cautele di comportamento siano necessarie per la tutela dell’igiene delle spiagge o l’incolumità dei bagnanti. La scelta di vietare l’ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione, non deve risultare irragionevole e illogica, né irrazionale e sproporzionata.

In Toscana la legge che regola la presenza dei cani nelle spiagge è in realtà quella che regola più in generale l’accesso ai giardini, ai parchi e alle aree pubbliche [2]: l’accesso ai cani è consentito a patto che non ci sia un cartello che lo vieta e comunque con guinzaglio e museruola.

Spiagge private e lidi

Discorso diverso deve farsi per le spiagge private dove vale l’obbligo e il divieto di permanenza di animali. Le spiagge private e gli stabilimenti balneari possono decidere di accogliere gli animali ma devono seguire una serie di prescrizioni:

  • la zona dedicata agli animali deve essere recintata e attrezzata dove l’animale possa bere, essere lavato e deve avere un apposito percorso per essere raggiunta;
  • i proprietari di animali devono rilasciare una dichiarazione in cui affermano che l’animale è vaccinato e devono munirsi di libretto sanitario.

Comunque, anche tali aree hanno deroghe, almeno nella zona di battigia, sulla quale – indipendentemente dai concessionari – operano le ordinanze comunali e della Capitaneria. Infatti, ai bagnanti è sempre concesso transitare e sostare sulla battigia delle aree in concessione, pur senza pagare e senza subire pregiudizi di sorta. Il mare resta, comunque, zona off limits per gli animali: in nessun caso, infatti, è loro permesso entrare in mare. Si rischiano multe di 200 euro, per i proprietari,  e per i bagnini la multa va da mille a 3mila euro.

Divieto di accesso agli animali: perchè scatta e come comportarsi?

Il divieto – ove presente – nasce per una questione igienica:  gli animali espletano i loro bisogni in spiaggia, luogo in cui i bambini giocano, scavano buche e girano scalzi. Per questo motivo tante volte si incontra l’ostilità degli altri bagnanti quando si  porta il proprio cane a prendere la tintarella sulla spiaggia.

Come devono comportarsi i proprietari degli animali in spiaggia? In primo luogo e prima di ogni altro divieto è certamente il buonsenso a dover guidare i comportamenti dei proprietari dei cani. Poi, per evitare multe, è sempre bene che controllino che la spiaggia consenta l’accesso agli animali, senza fidarsi di consuetudini e passaparola.

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[1] Tar Lazio sent. n. 9302 del 10.07.2015.

[2] L.R. n. 59/2009.

La laurea in giurisprudenza consente di insegnare diritto in diversi istituti superiori, ma bisogna prestare attenzione alla classe di laurea di cui si è in possesso.

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La laurea in giurisprudenza, da diverso tempo ormai, ha perso parte di quel fascino che da sempre esercitava nell’immaginario collettivo. La crisi del mondo del lavoro, le difficoltà oggettive del percorso di studi, i tempi necessari per abilitarsi ad una professione o per superare un concorso pubblico, nonché le prospettive di guadagno non elevatissimo e di sicuro non nell’immediato non hanno certo influito positivamente sulla visione del mondo del diritto da parte dei giovani. Si tratta infatti di anni di sacrifici, personali e della propria famiglia, per un futuro che si può definire, perlomeno, incerto. In realtà, pur senza negare le oggettive complessità di un sistema ormai saturo – soprattutto in relazione al mondo dell’avvocatura – ci sono anche altre strade che si possono percorrere. Si pensi alla carriera universitaria, al settore privato ed aziendale, ai concorsi pubblici, ma anche all’insegnamento. Chi è in possesso di una laurea in giurisprudenza infatti può insegnare, ma a determinate condizioni e se effettivamente in regola con gli esami necessari per accedere alla classe di concorso relativa prevista per legge. Vediamo quindi di preciso come si può insegnare con una laurea in giurisprudenzaquale laurea serve per insegnare, e cosa si può insegnare con una laurea in giurisprudenza.

Insegnare con la laurea in giurisprudenza: titoli di accesso

Anzitutto, una precisazione è d’obbligo. Per insegnare con una laurea in giurisprudenza bisogna fare riferimento a una specifica classe di concorso, che ha requisiti specifici. Fino all’anno scorso, la classe di concorso relativa ai laureati in giurisprudenza (sia con la laurea magistrale quinquennale che con il cosiddetto tre più due, cioè laurea triennale più laurea specialistica) era la classe 19/A, chiamata discipline giuridiche ed economiche. Attualmente la denominazione è invece scienze giuridico – economiche, con codice A–46, e possono avervi accesso le lauree in giurisprudenza del vecchio ordinamento, del nuovo ordinamento e quelle magistrali. Nello specifico, per quanto riguarda quindi i titoli di accesso alla classe A-46, si tratta anzitutto di:

  • giurisprudenza (vecchio ordinamento);
  • specialistica in giurisprudenza (LS 22);
  • magistrale quinquennale a ciclo unico in giurisprudenza (LMG 01).

Oltre alle lauree in giurisprudenza che abbiamo elencato, questa stessa classe permette inoltre l’accesso a coloro che sono in possesso di altri titoli di studio, previsti per legge, tra i quali rientrano anche, a titolo d’esempio, i seguenti:

  • scienze dell’amministrazione;
  • economia aziendale ed economia bancaria;
  • economia delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali;
  • economia e commercio;
  • economia aziendale;
  • economia e legislazione per l’impresa;
  • scienze politiche.

Stabilite queste premesse, occorre inoltre avere ben chiaro come non sia in realtà sufficiente avere il titolo di dottore in giurisprudenza per poter aver accesso all’insegnamento. La laurea in giurisprudenza infatti, sia che si tratti di quella quadriennale conseguita con il vecchio ordinamento, che di quella magistrale quinquennale, o di quella specialistica preceduta dalla triennale in scienze giuridiche, costituisce titolo di ammissione al concorso purchè il piano di studi abbia compreso determinati corsi ed esami, tra i quali rientrano anche, per citarne alcuni, quelli di economia politica, politica economica, economia aziendale, statistica economica. In caso non si avessero, occorre integrare e sostenere questi esami anche se già si ha la laurea in giurisprudenza. Ma quali sono le materie che si possono insegnare con una laurea in giurisprudenza? Il discorso fatto finora sull’integrazione degli esami, specialmente per quanto riguarda le materie economiche, troverà a questo punto un preciso significato, proprio in relazione a quali sono gli insegnamenti che un laureato in giurisprudenza può impartire negli istituti secondari superiori.

Insegnare con la laurea in giurisprudenza: materie

Una volta stabilito quindi i quali siano i requisiti di accesso, e specificato che occorre l’integrazione degli esami universitari sostenuti per poter avere accesso alla classe di concorso A–46, il tipo di insegnamento che si potrà impartire varia a seconda dell’istituto scolastico superiore nel quale si andrà ad insegnare, e anche dell’indirizzo. Le materie, che naturalmente sono inerenti principalmente il diritto, variano infatti a seconda della scuola in cui l’insegnante viene inserito. Tra le materie previste per legge, oltre a quelle principali di diritto ed economia, troviamo anche alcune discipline molto settoriali, legate all’indirizzo del corso di studi, tra cui:

  • diritto;
  • diritto ed economia (anche declinata come economia politica);
  • diritto ed economia dello sport;
  • diritto e legislazione turistica;
  • relazioni internazionali;
  • diritto e legislazione sanitaria (anche declinata quale legislazione socio-sanitaria);
  • economia e marketing delle aziende della moda;
  • diritto e pratica commerciale;
  • diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva;
  • diritto e tecniche amministrative.

Come si può vedere, alcune discipline sono molto particolari e settoriali (legislazione sanitaria e marketing delle aziende della moda, per esempio), e questo si deve all’indirizzo dell’istituto in cui è possibile insegnare diritto, nel quale risultano appunto indirizzi di studi legati a questi ambiti.

Insegnare con la laurea in giurisprudenza: istituti superiori e indirizzi di studio

Per quanto riguarda gli istituti superiori nei quali è possibile insegnare con una laurea in giurisprudenza le materie che abbiamo elencato, gli indirizzi di studi previsti sono i seguenti:

  • liceo delle scienze umane;
  • liceo delle scienze umane, opzione economico-sociale;
  • liceo sportivo;
  • istituto tecnico, settori economico, tecnologico;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione. finanza e marketing, articolazione amministrazione, finanza e marketing;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione. finanza e marketing, articolazione relazioni internazionali per il marketing;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo amministrazione. finanza e marketing, articolazione sistemi informativi aziendali;
  • istituto tecnico, settore economico, indirizzo turismo;
  • istituto tecnico, settore tecnologico indirizzo trasporti e logistica – istituto, settore tecnologico, indirizzo chimica, materiali e biotecnologie, articolazione biotecnologie sanitarie;
  • istituto tecnico, settore tecnologico, indirizzo sistema moda;
  • istituto professionale, settori servizi, industria e artigianato – istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi sociosanitari;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi sociosanitari, articolazioni arti ausiliarie delle professioni sanitarie ottico, odontotecnico;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi commerciali;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera;
  • istituto professionale, settore servizi, indirizzo servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera – opzione prodotti dolciari artigianali e industriali.

fonte

 

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