Bolletta: 8 regole da sapere

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Lettura dei contatori: come contestare le bollette salate e non farsi staccare l’utenza della luce, dell’acqua o del gas. Tempi più lunghi per la prescrizione del telefono.

Si potrà pensare che, in un Paese pieno di problemi come l’Italia, l’arrivo della bolletta è solo l’ultimo della catena. Eppure molto spesso i mali di una nazione partono proprio dalla gestione del portafoglio familiare e da quanto risparmio si riesce a gestire. L’economia domestica ha riflessi macroeconomici quando i consumatori devono per forza stringere la cinta e ridurre gli acquisti: un comportamento questo che contrae gli investimenti delle aziende, le assunzioni e, di conseguenza, si ripercuote sull’economia nazionale. Ecco perché, volenti o nolenti, la bolletta continua a rappresentare una parte centrale dei problemi degli italiani. Ed è proprio per questo che bisogna anche saperecome difendersi da una bolletta salata, cosa prevede la legge e fin dove si può spingere la compagnia della luce, del gas, del telefono e dell’acqua. In questo articolo abbiamo voluto raggruppare le cinque regole fondamentali da sapere per poter sopravvivere al mondo delle bollette. Eccole qui di seguito.

Se apri una contestazione non ti possono staccare l’utenza

Quando arriva una bolletta esagerata, che ritieni incompatibile coi tuoi consumi, la prima cosa che devi fare è inoltrare un reclamo scritto al fornitore. Potrai richiedere una revisione dei conteggi così come un controllo a casa della corretta funzionalità del contatore medesimo. Se non ti viene data risposta o se la risposta non ti soddisfa, dovrai necessariamente attivare una conciliazione obbligatoria presso l’Autorità Garante. La richiesta va inoltrate entro:

  • 1 anno in caso di risposta negativa o insoddisfacente;
  • 50 giorni in caso di mancata risposta.

La procedura (cosiddetto tentativo obbligatorio di conciliazione) è volta a trovare un accordo tra te e la compagnia prima di poter agire in tribunale. Senza questa fase, quindi, non puoi rivolgerti al giudice. Ma nello stesso tempo, una volta che hai aperto la procedura di reclamo, la compagnia non ti può staccare la luce, il gas o l’acqua.

La domanda conciliazione si presenta online e l’incontro può avvenire anche telematicamente con videoconferenza su Skype. La procedura di conciliazione, che è completamente gratuita; dovrà concludersi entro 90 giorni.

Se il primo incontro si conclude senza che le parti abbiano trovato un’intesa, l’utente potrà presentare il ricorso al giudice. Se la società elettrica non si presenta alla mediazione subirà dei procedimenti sanzionatori.

Entro quanto tempo va pagata la bolletta

Nella bolletta il fornitore deve indicare la data d’emissione e il termine entro cui effettuare il pagamento, che non può essere inferiore a 20 giorni dalla data d’emissione. L’utente, nei casi previsti dalle condizioni di contratto, può chiedere di rateizzare il pagamento e la bolletta deve indicare le modalità per ottenerla.

Se l’utente paga la bolletta dopo la scadenza indicata, il fornitore può richiedere, oltre a quanto dovuto, il pagamento di interessi di mora calcolati su base annua e pari al tasso ufficiale di riferimento aumentato del 3,5%.

L’esercente può richiedere il pagamento delle spese postali relative al sollecito di pagamento della bolletta. Non è in ogni caso ammessa la richiesta di risarcimento di eventuali danni ulteriori.

Quando può essere staccata la luce

Se l’utente non paga la bolletta, il fornitore non può staccare la luce dall’oggi al domani, ma deve prima mandare un sollecito di pagamento con raccomandata a/r (di solito preceduta da lettere semplici e/o da telefonate del call center) e, successivamente, provvedere a un calo della tensione per mettere “in guardia” l’utente.

Come detto, se l’utente ha attivato la procedura di reclamo, non può avvenire il distacco della luce. L’utente che vuole richiedere la riattivazione della fornitura sospesa, deve pagare gli importi non pagati e comunicare ciò al fornitore.

Il fornitore può sospendere l’utenza senza preavviso solo in due casi:

  1. per cause oggettive di pericolo;
  2. per appropriazione fraudolenta di energia elettrica.

Termini di prescrizione delle bollette luce, acqua, gas, telefono

Dal 1° gennaio 2018, le bollette ordinarie e i conguagli delle utenze di luce, acqua e gas si prescrivono in due anni. Questo vuol dire che la compagnia ti può chiedere solo gli arretrati degli ultimi 24 mesi e non oltre. Ad esempio, se nel 2019 ricevi un conguaglio del 2016 non sei tenuto a pagarlo.

Questa regola riguarda sia i consumatori che le imprese.

Ci sono quindi tre anni in meno per le società fornitrici – e soprattutto per i loro call center – per recuperare i crediti.

Altra conseguenza è che l’utente non deve più conservare le bollette pagate per cinque anni, ma solo per due. Se l’utente ha la domiciliazione bancaria non è neanche costretto a conservare le bollette, potendo dimostrare il pagamento tramite un estratto conto che è una prova sufficiente.

Queste regole non valgono per la bolletta del telefono, che continua a prescriversi in 5 anni, termine durante il quale l’utente deve conservare le ricevute di pagamento.

Per quanto riguarda la bolletta della luce, tuttavia, non bisogna dimenticare che le prime dieci dell’anno contengono anche la prova del pagamento del canone Rai; ora, siccome l’abbonamento tv si prescrive in 10 anni, sarà bene che queste bollette siano conservate per un decennio.

Lettura del contatore

Spesso si procede alla lettura dei contatori sulla base dei consumi stimati: ciò succede quando l’utente non effettua l’autolettura o quando il delegato della compagnia non riesce a fare (o non esegue) la lettura del contatore. Secondo numerosi giudici, l’utente può contestare la bolletta esosa se la lettura del contatore – necessaria per il conguaglio con gli effetti consumi – non viene eseguita almeno una volta all’anno. Questa tesi però non è condivisa da tutti e di recente la Cassazione ha sposato l’interpretazione contraria per quanto riguarda i nuovi contatori elettronici in grado di comunicare direttamente alla compagnia i consumi effettivi.

C’è però che, sul versante della prova processuale, non potendo l’utente dimostrare che la bolletta è errata – non avendo accesso agli strumenti tecnici di controllo e di calcolo della compagnia – può utilizzare qualsiasi prova, anche gli indizi (cosiddette “presunzioni”). Ad esempio, dimostrando che una abitazione è stata disabitata per gran parte dell’anno potrà far annullare la bolletta che riporta un consumo esagerato.

Modifiche unilaterali del contratto

La compagnia può apportare modifiche unilaterali al contratto di utenza, ma deve comunicarlo tre mesi prima all’utente. Il quale ha diritto di recedere senza alcun onere.

Se il contatore non funziona

Se l’utente ritiene che il contatore non funzioni regolarmente può chiedere al fornitore uncontrollo. Se viene accertato il difetto di funzionamento, il fornitore deve ricostruire i consumi registrati erroneamente.

La ricostruzione dei consumi deve avere come periodo di riferimento l’intervallo di tempo compreso tra il momento in cui si è verificato il guasto o la rottura del gruppo di misura, se determinabile con certezza, ed il momento in cui l’esercente provvede alla sostituzione o riparazione del gruppo di misura medesimo. L’utente può contestare i risultati della ricostruzione dei consumi, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione scritta dei risultati, presentando proprie osservazioni scritte, adeguatamente documentate.

Controllo dei consumi del gas e dell’acqua

La lettura del contatore del gas deve avvenire secondo cadenze prestabilite:

  • per gli utenti con consumi annui standard fino a 500 metri cubi: almeno una volta ogni anno, con un intervallo massimo di 13 mesi e minimo di 6 mesi fra due tentativi consecutivi;
  • per gli utenti con consumi annui standard da 501 a 5.000 metri cubi: almeno 2 volte l’anno, con un intervallo massimo di 7 mesi e minimo di 3 mesi fra due tentativi consecutivi;
  • per gli utenti con consumi annui standard superiori a 5.000 metri cubi: una volta al mese.

Per le nuove forniture, la prima lettura deve avvenire entro 6 mesi dall’attivazione.

In caso di mancata lettura del contatore si procede con l’autolettura dell’utente o, in assenza di comunicazioni, secondo consumi stimati. Il pagamento in base al consumo stimato è considerato in acconto ed è dunque fatto salvo il conguaglio (a credito o a debito dell’utente).

Se l’utente ritiene che il contatore non funzioni regolarmente, deve richiedere un controllo al fornitore, che deve a sua volta trasmettere la richiesta al distributore entro 2 giorni lavorativi.

Per quanto riguarda invece la lettura del contatore dell’acqua, di solito devono avvenire almeno una volta all’anno (a seconda dei regolamenti delle aziende fornitrici) ed è eseguita da addetti del fornitore o da personale incaricato dallo stesso.

Quando non è possibile eseguire la lettura, il personale lascia nella cassetta della posta apposita cartolina per l’autolettura.

Spesso è previsto che se non perviene l’autolettura, il fornitore determina il consumo di acqua in misura eguale a quello del corrispondente periodo dell’anno precedente oppure, in mancanza di dati, sulla base della media dei consumi dei periodi più prossimi a quelli di mancata lettura, salvo conguaglio.

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Come funziona la centrale rischi, “CRIF”.

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Può capitare di rivolgersi ad una banca per chiedere un prestito e vedersi rifiutare il finanziamento per assenza di “idonee garanzie”. Anche in questo caso si può essere segnalati al Crif.

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Per differenti esigenze succede che hai bisogno di un prestito e ti rivolgi ad un istituto finanziario. Può essere la tua banca di fiducia, oppure uno dei tanti enti di cui senti parlare in pubblicità che ti propongono prestiti personalizzati con interessi ridotti al minimo. Ti rechi in filiale, porti con te la documentazione necessaria, lasci il tutto al funzionario ma, entro 48 ore, ricevi una risposta che va contro ogni tua aspettativa: la richiesta del finanziamento è stata rifiutata.
Da questo momento in poi potresti essere segnalato al Crif per 30 giorni, e puoi venirlo a sapere quando ti rivolgi ad un altro istituto per la concessione del prestito. La domanda sorge spontanea: “Perché se il prestito mi viene rifiutato vengo segnalato al Crif?” Ti senti trattato alla stessa maniera di chi è cattivo pagatore, e la cosa non ti va giù, poiché, in fondo, hai ritardato il pagamento di qualche bollettino. Non preoccuparti, perché la segnalazione al Crif in caso di rifiuto di un finanziamento è una prassi applicata anche a chi ha necessità di trovare denaro, ma per una questione o un’altra si vede rigettare tutte le richieste. Di seguito vedremo insieme perché con un prestito rifiutato si viene segnalati al Crif e quali sono le procedure da seguire per essere cancellati.

Perché la concessione di un prestito viene rifiutata

Quando si parla di prestito ci si può riferire:

  • al tradizionale finanziamento chiesto per acquistare un elettrodomestico, fare un viaggio, affrontare una spesa sanitaria, comprare un’auto;
  • al mutuo concesso per l’acquisto o la ristrutturazione di una casa.

Dire prestito, di fatto, è generico perché nel gergo giuridico ogni termine ha il suo significato, e per “prestito” si fa riferimento proprio ai finanziamenti (si fa per dire) di modica cifra chiesti o per uno specifico fine (prestiti finalizzati), oppure per esigenze personali (il c.d. prestito personale). Si tratta di finanziamenti che generalmente non superano i 20 mila euro, a differenza del mutuo che prevede cifre ben più sostanziose (50 mila euro, 100 mila euro, ecc).
Questa differenziazione serve per capire l’atteggiamento che la banca assume quando ti rechi per ottenere un finanziamento, ma a seguito di un controllo si rifiuta di concederti credito.

La banca è colei che ha le disponibilità economiche che ti consentirebbero di ottenere un prestito, ma per farlo ha bisogno di sapere se tu sei in grado di restituire i soldi dati in prestito. Quindi ti chiede delle garanzie in presenza delle quali accerta se tu sei una persona affidabile, con la possibilità (economica e non solo) di rimborsare quanto di ha anticipato.
In questo modo la banca studia la tua situazione economica, verifica se hai un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato, se sei libero professionista o imprenditore e se quello che guadagni ti consente di pagare mese per mese i bollettini del finanziamento. Se sei un dipendente una delle garanzie migliori è la busta paga,mentre se sei libero professionista dovrai presentare un certificato di reddito.

Oltre alla capacità di restituire il prestito, la banca valuta il cosiddetto merito creditiziouna specie di “curriculum” economico che riguarda tutto quello che ha che fare con pagamenti, prestiti, bollette, ecc. Essa verifica se hai regolarmente pagato le rate di un mutuo o la bolletta per la fornitura di un’utenza, se hai restituito i soldi in tempo, se sei mai stato protestato da parte di una banca che ha ricevuto un assegno non coperto, se non hai pendenze in corso con il Fisco… Insomma, la banca cerca di capire se sei una persona onesta, scrupolosa, ligia alle regole.
Solo a seguito di un’attenta analisi (reddituale e di merito) l’istituto finanziario formula la sua scelta e decide se concederti o meno l’agognato prestito. Se accetta, significa che ha valutato positivamente la tua capacità di rimborsare il finanziamento. Se rifiuta vuol dire che ha riscontrato alcuni problemi e non se la sente di prestarti dei soldi.

Cos’è e a cosa serve il Crif

Anche in riferimento al Crif spesso ci si confonde fra la Centrale Rischi della Banca D’Italia (la CR) e la Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria (CRIF). Entrambi si occupano della gestione di informazioni inerenti al settore del credito, ma mentre la CR è coadiuvata dalla Banca D’Italia, la seconda è una società privata che si occupa di amministrare tutte quelle informazioni inoltrate da banche ed enti finanziari. Le differenze principali fra CR e CRIF sono:

  • l’invio obbligatorio delle informazioni da parte degli istituti finanziari nei confronti del CR, soprattutto per le situazioni debitorie che superano la soglia dei 30 mila euro;
  • l’invio facoltativo delle informazioni al Crif per ottenere dati più aggiornati ed in linea con le esigenze dei vari istituti.

Il Crif, essendo privato, nasce dall’esigenza di offrire servizi migliori, aggiornati ed adeguati all’attività degli istituti finanziari, che si trovano quotidianamente a coordinare centinaia di richieste di prestiti provenienti da altrettanti clienti. Se la CR rileva le insofferenze di un certo livello, i servizi del Crif sono più dettagliati perché raccolgono informazioni peculiari come ritardi nel pagamento di uno o più bollettini, inadempimenti anche di modica cifra e, appunto, eventuali rifiuti in caso di richieste di finanziamento. Tutte le informazioni raccolte provengono proprio da banche ed enti finanziari che, spontaneamente, hanno creato una sorta di banca dati da cui attingere per tutelarsi dai debitori che non pagano. In questo modo costoro sanno già dall’inizio chi è in grado di restituire un prestito e chi no, chi è abituato a ritardare con i bollettini e chi, invece, è attento ad ogni scadenza. Tutto questo sembra ingiusto, ma come ti sentiresti se dovessi prestare dei soldi ad un amico che, invece, non ti restituisce nulla? Non era meglio averlo saputo prima?

Cosa significa essere iscritti al Crif

Di solito Crif è sinonimo di “cattivo pagatore”, un appellativo molto pesante per chi viene segnalato. È come se Tizio entrasse in un posto e venga espulso perché in passato non ha tenuto un comportamento adeguato. Chiunque ha a che fare con il Crif si ritrova a dover affrontare una serie di dinieghi ogni qual volta affronta una spesa: può essere l’acquisto di un qualcosa, o appunto la richiesta di un finanziamento.
Però non sempre Crif è sinonimo di cattivo pagatore, poiché in caso di rifiuto di un prestito la segnalazione equivale al: Tizio sta cercando dei soldi. Tutto questo può sembrarti discriminante, in fondo non hai fatto nulla di male, ma la questione ruota sulla solvibilità o meno del finanziamento che hai richiesto, in riferimento ai dati forniti circa le garanzie (busta paga, redditi, ecc), ed il merito creditizio. Inoltre al Crif vengono inoltrate anche le informazioni sui debitori che regolarmente adempiono al pagamento delle rate, oltre ai casi in cui è la stessa persona a rinunciare ad un finanziamento.

L’invio dei dati creditizi al Crif avviene in due modi:

  1. previo consenso al trattamento dei dati personali, che avviene durante la richiesta di un finanziamento (magari fatto anni prima, o in sede di richiesta di un nuovo prestito) e nel corso dei relativi rimborsi. In altri termini, se nel passato hai richiesto un prestito anche piccolo, e ti è stato concesso, tutto quello che riguarda quel prestito fa parte della banca dati del Crif;
  2. automaticamente dalla banca in caso di “dati negativi”. I dati negativi riguardano proprio eventuali ritardi, rate non pagate ed il giudizio che l’ente finanziario esprime circa la solvibilità o meno del debitore.

Tutti questi dati (positivi e negativi) rientrano in una specie di calderone, messo a disposizione degli istituti di credito che vi attingono ogni qualvolta qualcuno faccia richiesta di un prestito. Il rifiuto potrebbe, in un certo senso, rientrare nell’ambito dei dati negativi, perché la banca ha analizzato la posizione del richiedente e l’ha reputata non idonea. Quindi è come se gli enti finanziari si scambiassero le informazioni fra loro, cercando di aiutarsi l’un l’altro ed evitare perdite di tempo nell’analisi della situazione creditoria di chi chiede un prestito.
Semplificando:

Tizio si reca nella filiale A per chiedere un finanziamento di 10 mila euro. Non ha redditi ma una semplice busta paga per un contratto a tempo determinato. La banca A accerta la solvibilità di Tizio e scopre che, tempo addietro, egli aveva chiesto un altro finanziamento per acquistare un cellulare, ma due bollettini sono stati pagati con tre mesi di ritardo. La banca A rifiuta di concedere i 10 mila euro a Tizio ed inoltra queste informazioni al Crif. Tizio si reca presso la banca B: costei accede alla banca dati e scopre che già l’istituto di credito A ha fatto le ricerche necessarie su Tizio. Senza perdere tempo la banca B decidere di rifiutare a sua volta il prestito, dopo aver consultato il registro Crif ed aver constatato l’avvenuto rifiuto.

Cosa succede se si è iscritti al Crif dopo il rifiuto di un prestito

Ciascun istituto finanziario inoltra le informazioni sui rapporti di credito instaurati con i propri clienti a cadenza mensile, di solito nei primi giorni di ciascun mese. È una questione di opportunità, perché di solito il pagamento di una rata avviene mese dopo mese, magari subito dopo l’accredito dello stipendio. Le banche raccolgono quindi tutti i dati relativi alle variazioni di stato su un rapporto di credito (Tizio ha estinto il proprio prestito, quindi non è più creditore), alle richieste di finanziamento accettate e rifiutate, ad eventuali ritardi nel rimborso dei vari debiti. Se ci si reca quindi il 18 di questo mese per la richiesta di un prestito, ed il 20 si viene a scoprire che la richiesta è stata rifiutata, questa segnalazione potrebbe essere inoltrata al Crif nei primi giorni del mese successivo. A partire da tale data decorreranno i giorni di permanenza della segnalazione nella banca dati del Crif, ragion per cui è a partire da tale termine che dovranno essere conteggiati i giorni di attesa per la cancellazione automatica.

La segnalazione rimane attiva per un mese. In questo arco temporale i dati circa il rifiuto di un prestito e quelli del cliente sono disponibili per tutti quegli istituti finanziari che lo desiderano. Trattandosi di un’ipotesi ben più moderata rispetto a quella di un cattivo pagatore, i termini di cancellazione sono molto più brevi, per cui è possibile rivolgersi nuovamente ad una banca dopo che sia trascorso il relativo mese di riferimento. Attenzione! Non da quando si è chiesto per la prima volta il prestito, bensì dalla data di comunicazione del rifiuto della banca al Crif.
La cancellazione avviene in maniera automatica, senza necessariamente inoltrare un’istanza da parte della persona interessata, che dovrà semplicemente aspettare almeno un mese prima di rivolgersi ad un altro istituto.

Come scoprire allora se si è iscritti al Crif a seguito del rifiuto di un prestito? Semplice, mediante una visura da richiedere direttamente alla società che si occupa della gestione delle informazioni di credito. La procedura comporta un costo che varia dai 4 euro fino ai 10 euro, a seconda se ci siano riscontri o meno sui dati anagrafici da te indicati: se effettivamente hai delle segnalazioni pendenti pagherai 4 euro. In caso contrario ne dovrai versare 10.
La procedura è giustificata dal diritto dell’interessato di accedere alle banche dati che potrebbero riguardarlo poiché, fin dal momento in cui negozi un prestito, potrebbe capitarti di firmare un’informativa sul trattamento dei dati personali, che riguarda appunto la procedura Crif. La visura ti permette di scoprire se hai delle vertenze con altri istituti di credito o se hai dei ritardi nel pagamento di qualche bollettino: in questo modo potrai far fronte ai tuoi debiti aspettando la successiva cancellazione automatica dai registri.

In quali altri casi si viene segnalati al Crif

Il rifiuto di un prestito e la successiva segnalazione al Crif potrebbe sembrare ingiustificata, ma esistono altri casi in cui si può essere segnalati al Crif. Vediamoli insieme:

  • rinuncia al finanziamento. L’ipotesi si riferisce a quei casi in cui, a seguito di trattative fra banca e cliente, quest’ultimo non accetta le condizioni poste dall’ente. L’iscrizione rimane attiva anch’essa per un mese, ed è giustificata dal fatto che una persona si è sottratta alle negoziazioni con l’istituto;
  • valutazione di un finanziamento. Oltre ai prestiti veloci (concessi in meno di una settimana), alcuni finanziamenti potrebbero richiedere una valutazione più lunga da parte dell’istituto finanziario. La relativa iscrizione rimane attiva per sei mesi;
  • finanziamenti rimborsati rispettando le scadenze. La banca aggiorna i dati dei suoi clienti ogni mese, compresi di quelli che, regolarmente, effettuano i pagamenti senza alcun ritardo. Si tratta di dati positivi che potrebbero essere sfruttati da qualsiasi istituto deputato per la concessione di un prestito, e la loro permanenza presso il Crif è di 36 mesi;
  • ritardo nel pagamento di una o due rate, o di più rate. La segnalazione al Crif perdura per 12 mesi (se il ritardo riguarda massimo due rate) o per 24 mesi (se il ritardo coinvolge più rate). Questi termini decorrono dal momento in cui la banca segnala l’avvenuta regolarizzazione delle rate, a patto però che il debitore adempia regolarmente fino all’estinzione del rapporto creditorio;
  • finanziamenti non rimborsati. È l’ipotesi più grave perché riguarda proprio coloro che chiedono un prestito ma non lo restituiscono, neanche con ritardo. La segnalazione nei registri Crif è di 36 mesi che decorrono o dall’ultima segnalazione inoltrata dalla banca, oppure dalla scadenza del rapporto di credito, ossia dal giorno in cui il debitore avrebbe dovuto pagare l’ultima rata.

Il problema sorge per quelle persone oneste che per questioni di lavoro e di garanzie non riescono ad accedere al credito. Attualmente non esiste una procedura che consente alla persona di accelerare i termini per la cancellazione dai registri Crif anche a seguito di rifiuto da parte della banca. Bisognerà attendere ed avere molta pazienza, magari sfruttando i termini per studiare meglio le garanzie da offrire all’istituto, in maniera tale da vedersi accettare la richiesta di un prestito.

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