dura vita dei presenzialisti tv

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Mauro Fortini e Niki Giusino. Uno non può lavorare: “Ho la sindrome di Scheuermann”. L’altro ci ha provato: faceva l’odontotecnico in nero. “Però quando non c’è il giornalista, i tg usano noi”

Dura la vita del presenzialista, così si definisce Mauro Fortini. Sveglia alle 5. Consultazione immediata della pagina 104 di Televideo, che elenca orari e luoghi degli appuntamenti istituzionali di giornata. Partenza da Bracciano con il treno delle 7.32, arrivo a Roma alle 8.16. Da quel momento in avanti, la Caienna. «Stamattina so’ annato: a Montecitorio; a Palazzo Madama, be’, dalla Camera e dal Senato ce passo ogni ora; dal ministro Giancarlo Padoan alla Confcommercio, ahò, manco una telecamera ci ho trovato; poi ar Nazareno, sede del Pd; a San Lorenzo in Lucina, sede di Forza Italia; al Forum hotel, dove alloggia Beppe Grillo quando scende nella capitale, nun so se l’abbia scelto perché lì prima ce dormiva Mario Monti; a Palazzo Grazioli, casa di Silvio Berlusconi; a via Uffici del Vicario, sede dei gruppi parlamentari; un giretto ar Pantheon; ‘n’artro ar Tempio di Adriano, lì però ormai so’ off limits, te fanno entra’ solo con l’invito».

Ecco spiegato perché alle 15.30, provvisoriamente fermo in un bar, il nostro ingolli una bustina di zucchero dietro l’altra e acqua minerale a garganella, «me devo sostene’, me devo idrata’», e come mai il suo peso resti sotto i 65 chili. La maratona quotidiana prosegue fino alle 21.22, quando gli riparte l’ultimo treno per Bracciano. Festivi e ferie mai.

Il presenzialista Fortini è quel tizio dal viso smunto che da anni fa capolino dietro gli intervistati nei telegiornali, con una penna appoggiata alle labbra, «eccola qua, s’è pure rotta, l’ho dovuta incerotta’», talvolta elevata all’altezza della fronte e poi di nuovo riportata alla bocca, in un ipnotico saliscendi che distrae il telespettatore, sottrae la scena al potentone di turno e manda in bestia i cameraman, costretti a stringere l’inquadratura nell’inane tentativo di far scomparire l’intruso. Il destino ha voluto che dal 2010 gli intrusi diventassero due: a destra o a sinistra del politico, intento a declamare in 10 secondi netti la sua scipita sentenza quotidiana, compare anche Niki Giusino, chioma da Pel di carota, naso all’insù da Michael Jackson, «l’altra faccia della tv», ipse dixit. E lì c’è poco da stringere perché sono 113 chili, roba che metà video se ne va tutta per lui.

Vediamo com’è nato, per partenogenesi, il duplo mediatico. Fortini, il maestro, è del 1960. Diploma di odontotecnico. Genitori defunti. Il padre Bruno, fabbro, aveva la bottega a San Lorenzo ma non forgiava solo inferriate: anche scenografie per la Rai. Quindi c’entra la predestinazione. La madre Nicolina, casalinga, ebbe cinque figli. Giusino, l’allievo, è del 1995. Studi da grafico industriale interrotti al terzo anno per dedicarsi alle comparsate televisive. Il padre Mario, meccanico, lo fece battezzare direttamente Niki, anziché Nicola, sicuro che quello sarebbe stato il diminutivo che tutti avrebbero affibbiato all’ultimogenito, e dunque tanto valeva imporglielo fin dalla nascita. La madre Sara, casalinga, ha messo al mondo altri due figli.

Per Fortini la data della prima apparizione in video è il 16 dicembre 1998. Crolla un edificio in via di Vigna Jacobini, 27 morti. Mosso da un inspiegabile impulso, il presenzialista si reca sul posto. Alle 20.30 la sua faccia irrompe in mondovisione nel Tg2. Giuseppe, il fratello di suo cognato che fa il gelataio a New York, la vede e telefona dalla Grande Mela per complimentarsi. «Capii d’aver trovato la mia strada nella vita». Anche per Giusino galeotta fu la morte, in questo caso una sola, benché di rango: quella di Francesco Cossiga. Il 17 agosto 2010 passa dalle parti del Policlinico Gemelli, nota un groviglio di telecamere, decide di fermarsi e s’intrufola nella diretta del Tg3, alle spalle di Francesca Lagorio, la quale alla fine si congratula per l’atteggiamento rispettoso mantenuto durante l’incursione.

La coppia Fortini & Giusino ha dapprima oscurato e poi ereditato il ruolo un tempo ricoperto da Gabriele Paolini, il primo disturbatore televisivo, passato dai fogli di via alle disavventure giudiziarie per prostituzione minorile, detenzione di materiale pedopornografico, molestie, tentata estorsione, calunnia, diffamazione, fino al recente rinvio a giudizio per violenza sessuale aggravata e interruzione di pubblico servizio: aveva palpeggiato una cronista del Tg1.

Un’eredità controversa.

Fortini: «Io non sono un disturbatore. Al massimo un abusivo».

Giusino: «Gliel’ho anche detto: a’ Gabrie’, ma erede de che? Io so’ stanco de fa’ l’intruso».

E che cosa vorrebbe fare?

«Il postino di Maria De Filippi. A novembre ho intrapreso uno sciopero della fame per impietosirla. Me so’ pure girato un video minacciatorio pe’ dicce: Maria, la mia incolumità è nelle tue mani!».

Nel 1999, non ancora scoppiato del tutto, Paolini mi confessò che la sua missione era «inquinare i telegiornali». La vostra?

Fortini: «Finire del Guinness world records. Avrò più di 10.000 videocassette delle mie apparizioni. Le sto riversando nei Dvd, prima che si rovinino».

Giusino: «Io ho totalizzato 3.000 dirette. L’attore Francesco Pannofino e Massimo Ferrero, Er Viperetta presidente della Sampdoria, mi hanno detto che ho le doti per fare del cinema. Vorrei sfondare. Finora ho sfondato solo due letti».

Paolini si batteva per la diffusione dei preservativi, tant’è che quando importunò Giancarlo Magalli agitando uno di quei cosi, il presentatore svicolò con prontezza di spirito: «L’avesse usato tua mamma, sai come saremmo contenti?». E voi?

Fortini: «L’unico appello potrei farlo per gli animali. Ho allevato di tutto: cani, merli, piccioni, tartarughe. M’è pure morta annegata una gallina nella tinozza in cui mi lavavo. È scivolata sulla sponda saponata, porella. È colpa mia se fino al 1976 in casa al posto del bagno avevamo solo la bagnarola?».

Giusino: «Io tenevo sul balcone, al quartiere Boccea, una pecorella abbandonata. La allattavo con il biberon. Anche un gallo ho allevato sul poggiolo».

Ma non potreste rendervi utili?

Giusino: «Mia zia è laureata in psicologia. Manco la bidella je fanno fa’. Servono le raccomandazioni».

Su Twitter ho letto un invito: «Vai al lavoro, consumatore di aria!».

«Lascio il mio posto ai più bisognosi. Non lo dico per scherzo. Che potrei fa’ con la sindrome di Scheuermann? Giusto le fotocopie. Lavori pesanti no, perché due anni fa sono rimasto per 18 ore sotto i ferri al Gemelli. Il professor Francesco Tamburelli mi ha sottoposto a un intervento di stabilizzazione della colonna vertebrale: protesi in titanio e 88 punti di sutura per correggere una grave forma di cifosi-scoliosi».

Fortini: «Sono stato idraulico, fabbro, muratore. Ho avuto un banco di ferramenta a Porta Portese. Ho esercitato in nero come odontotecnico. Poi per 11 anni ho assistito mi’ padre e mi’ madre, finché non sono morti e ho perso l’indennità di accompagnamento».

E attualmente di che vive?

«Ho venduto l’appartamento che mamma aveva lasciato a me e ai miei fratelli. Me so’ toccati 70.000 euro. Perciò vivo di rendita. Ho fatto conto che non spendo più di 5.000 euro l’anno per mangiare, vestirmi e pagare le bollette. La casa di Bracciano me l’ha messa a disposizione gratis una parente».

E lei, Giusino, di che campa?

«Di Youtube. Il mio canale ha avuto 7 milioni di visualizzazioni in tre anni, quindi attira molti sponsor. Arrivo a farci 300 euro al mese».

Sarete anche sulle spese, stando in giro per Roma tutto il giorno.

«Ci portiamo i panini da casa. O andiamo da Bufala & Pachino, a via Firenze, dove una pastasciutta costa solo 1 euro e 90. Ma se piji un supplì, te lo fanno paga’ 1 euro come dappertutto».

Non vi prendono a calci, come fece il povero Paolo Frajese con Paolini in una memorabile diretta del Tg1 ?

Giusino: «Mi hanno menato solo al corteo della Fiom in partenza da piazza Esedra. Un metalmeccanico m’ha tirato una pedata nello stinco. Tre giorni di prognosi. Se la pijano con noi perché annamo appresso ai politici».

Fortini: «A me Ignazio La Russa ha dato del cojone. Mi ha spintonato e insultato. Potevo denunciarlo».

Dimentica Laura Ravetto, che, stizzita dalle sue interferenze, la invitò a infilarsi «la matita» in quel posto.

«L’onorevole ce scherza, ma a forza di rosicchiare la penna ho perso quattro denti: un incisivo, un canino e due premolari». (Scosta la guancia con un dito, mostrando la cavità orale disastrata).

Che pensa di Matteo Renzi?

«È la brutta copia di Silvio Berlusconi».

Giusino: «No, di mister Bean».

Fortini: «Berlusconi ha tolto la tassa sulla casa. Il Pd l’ha rimessa. Ora Renzi la vuole leva’ di nuovo. E gli 80 euro? Ma chi li prende? A me nun m’ha dato gnente. Anzi, da marzo gli inoccupati devono pure paga’ er ticket sanitario».

Scusi, Fortini, ma non è geloso di ‘sto ragazzone che le fa concorrenza?

«Pe’ gnente. Non è mica il primo che entra in competizione. Tra i presenzialisti ce so’ stati Valentino Castriota, che poi fu arruolato come portavoce dai familiari della povera Sarah Scazzi; un tal Maurizio da Frosinone; pure una giornalista, ‘na certa Bibbi. Ma nessuno è durato quanto me».

So che deve vedersela persino con una vecchietta di nome Annarella.

«Quello è un caso a parte. Ha 89 anni. S’è messa in mezzo nei tiggì dal 2010. Ma lei prende di petto i politici».

Giusino: «E quelli je danno le mezze piotte, così se sta’ zitta».

Cioè?

«La mazzetta, 100 euro».

Fortini: «A’ voja! Je danno pure i cappotti e i vestiti, je pagano le bollette».

Non tutti sono pazienti come Francesco Nucara, segretario del Pri, con il quale lei s’improvvisò intervistatore.

«Ma quando in piazza c’è solo l’operatore, senza giornalista, e le uniche domande al politico le pone Fortini, le tv mandano in onda le risposte. Allora je vado bene! Me dovrebbero ringrazia’».

Com’è che Papa Francesco non siete mai riusciti a molestarlo?

Fortini: «Troppo star. Nun c’è gusto».

Giusino: «Se fa i selfie pure con i sanpietrini, però è un grande».

Fortini: «La deve smette’ de fasse i selfie, sta a diventa’ ridicolo. Facesse er Papa. Distante. Che parla dall’alto. Sennò la religione perde la sua sacralità».

Il personaggio pubblico più conciliante?

Giusino: «Maurizio Gasparri».

Fortini: «Ha pure lanciato un appello all’Ordine dei giornalisti perché mi dia il tesserino ad honorem».

Giusino: «Invece Massimo D’Alema e Piero Fassino, quanno ce vedono, scappano».

Comparire sempre nei tg offre qualche chance con le donne?

Giusino: «Io so’ stato con due giornaliste di testate online, famose».

Fortini: «Io co’ le vecchie. Dai 60 ai 78 anni. Solo sesso orale, però. De davanti me farebbe senso. Tariffario Fortini. Vojono che mi metto la parrucca. Alcune non hanno più avuto bisogno della cardioaspirina. Il sesso fa bene alla salute, che tte credi?».

Chi è il migliore dei due, televisivamente parlando?

«Io, Mauro Fortini».

Giusino: «Questo lo dici te. Alora pur’io dico che er mijore so’ io. Però nun lo posso di’».

Ma c’è qualche momento della vita in cui siete seri?

Fortini: «Quando faccio il mio lavoro non retribuito. Ce sto a perde’ la vita».

Giusino: «Ai funerali». (Ride).

L’ultima volta che avete pianto?

Fortini: «Nel 2011, quanno è morta mi’ madre».

Giusino: «Quanno m’hanno detto che me dovevano opera’».

Un sogno nel cassetto?

Fortini: «Vorrei condurre una trasmissione tipo Geo & Geo. Conosco tutti gli anfratti di Roma, anche quelli dove manco Mario Tozzi ha mai messo piede».

Giusino: «Maria De Filippi forever!».

Io capisco tutto, ma non penserete davvero di arrivare a 80 anni gigioneggiando nei telegiornali.

Fortini: «Ne avevo 39 quanno ho cominciato, mo’ ne ho 55. Me tocca continua’».

Senza la tv, che fareste nella vita?

Giusino: «Me butto su Internet».

Fortini: «Il radioamatore».

Non avete mai l’impressione di sprecarla, la vita?

Giusino: «Sì».

Fortini: «No. Perché un giorno si ricorderanno di me».

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”ECCO CHI COMANDA VERAMENTE”

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LA DENUNCIA DELLA GABANELLI FA TREMARE MEZZO MONDO:

La Gabanelli e’ una famosa giornalista della RAI 3,che con il suo programma inchiesta REPORT ha spesso creato imbarazzo in autorità’ politiche. Ma come tutti i giornalisti non supera quella famosa linea rossa dell’informazione che pero’ in questo caso sembra aver varcato anche se in modo soft.

La denuncia della Gabanelli che fa tremare “mezzo mondo”.Ecco chi ci comanda veramente.Il video della trasmissione “Report” da non perdere e condividere.
“Quando la politica non funziona diventa tecnica (o meglio tecnocrazia, vedi i governi tecnici susseguitisi in italia dopo la caduta pilotata di Berlusconi, Monti in primis)”. Con queste parole la Gabanelli esordisce all’ inizio di questo video, che svela ciò che molti non sanno e che altri non vogliono che si sappia…

Tutto parte dagli anni 80, quando esponenti di spicco di Stati Uniti, Europa e Giappone diedero vita alla commissione trilaterale (gruppo Bilderberg) voluta da Rockfeller per disegnare il futuro del mondo. Da allora, questa commissione non ha mai smesso di riunirsi in seduta plenaria una volta l’anno (con esponenti politici, industriali ecc), eancora oggi decide le sorti politiche e non solo del pianeta.

Nel corso degli anni essa si è posta sempre l’obiettivo di ridurre la democrazia, dando sempre più potere ai governi e meno ai parlamenti, più tecnocrazia (dittatura fiscale e non solo) e meno politica.

I membri della commissione ritengono che ogni paese non abbia bisogno di uno “Stato” così come lo si è inteso per centinaia di anni, e quindi agiscono per poter eliminare il concetto di sovranità nazionale e di autodeterminazione(come dimostrato dall’ Euro e dall’ UE).
Negli anni in cui fu fondata la commissione trilaterale, nessuno poteva pensare che essa avrebbe portato il mondo a diventare ciò che è oggi, talmente connesso a livello finanziario che se dovesse cadere una nazione si trascinerebbe dietro l’intero pianeta.
E anche di ciò che è stato sopra citato l’Euro e l’ UE ne sono una palese dimostrazione alla luce del sole, dove la Grecia in primis e l’Italia rappresentano la minaccia europea, ossia le nazioni che potrebbero cadere e trascinarsi dietro l’intera Unione Europea.

Ma chi sono attualmente i membri della commissione trilaterale? E chi sono quelli italiani?

Di Francesco Amodeo

Mario Monti

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lo troviamo, ovviamente, anche qui con un ruolo di prim’ordine: infatti è stato addirittura il presidente europeo della Commissione Trilaterale, posto che oggi è ricoperto da

Jean-Claude Trichet,

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che guarda caso era già stato, proprio come Mario Monti, presidente della lobby belga Brugel. Trichet è anche Presidente del Gruppo dei 30, potenti della finanza mondiale di cui fa parte anche

Mario Draghi.

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E come se non bastasse è proprio Trichet che ha preceduto Draghi alla presidenza della Banca Centrale Europea.

Come presidente onorario europeo della Commissione Trilaterale abbiamo un tale

Peter Sutherland,

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e indovinate chi è? È il Presidente della Goldman Sachs, la stessa per la quale hanno lavorato proprio Monti, Prodi, Draghi, la stessa della crisi in America dei mutui subprime, la stessa della crisi in Italia con la vendita dei BTP, la stessa che ha aiutato la Grecia a truccare i conti con operazioni di finanza “creativa”, e che poi ha imposto in Grecia il suo uomo, Papademos.
Nella Commissione Trilaterale troviamo anche il nostro ex Presidente del Consiglio

Enrico Letta,

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che è anche vicepresidente di Aspen Italia, e che ha partecipato al Bilderberg nel 2012, ossia l’anno prima di essere scelto come Presidente del Consiglio italiano. Poi abbiamo

John Elkann,

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presidente della Fiat, altro vicepresidente di Aspen Institute Italia, assiduo frequentatore del Bilderberg. Egli è inoltre presidente dell’Editrice La Stampa e di Itedi, ed è nel consiglio di amministrazione di RCS MediaGroup, e di “The Economist”.

È membro della Commissione Trilaterale anche

Enrico Tommaso Cucchiani,

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che proprio nel 2013 ha partecipato al Bilderberg in sostituzione di Corrado Passera

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come CEO di Intesa Sanpaolo, la principale banca italiana e maggiore azionista della Banca d’Italia, che è rappresentata nella Trilaterale anche dal vicepresidente

Marcello Sala,

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che ha ricevuto dal consiglio di gestione l’incarico di sviluppare le relazioni internazionali e seguire i progetti di internazionalizzazione del gruppo bancario. Presente anche

Giuseppe Vita,

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presidente di UniCredit, altra banca azionista della Banca d’Italia. Cominciate a capire dove prendono le decisioni che riguardano i nostri soldi? Anche

Gianfelice Rocca,

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presidente Techint Group, proprio come Cucchiani, ha partecipato al Bilderberg nel 2013, ed anche lui è membro del comitato esecutivo di Aspen Institute. Queste lobby sembrano davvero essere onnipresenti, ed i partecipanti indissolubilmente interconnessi.

Non faccio in tempo a cominciare la conta delle “tre”coincidenze che mi ritrovo subito davanti ad una prova.
Nella Commissione Trilaterale non poteva mancare

Marco Tronchetti Provera,

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presidente della Pirelli, componente del consiglio di amministrazione di RCS Quotidiani, membro dell’esecutivo di Confindustria, vicepresidente di Mediobanca. Anche Tronchetti Provera ha ovviamente in passato partecipato alle riunioni del Gruppo Bilderberg. Ormai diventa quasi scontato e quindi superfluo ribadirlo. Poi troviamo

Marta Dassù,

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che, oltre ad essere membro della Commissione Trilaterale, è Direttore Generale per le Attività Internazionali di Aspen Institute, ed è stata anche consulente per la politica estera di D’Alema.

Dassù è stata sottosegretario al ministero degli Affari Esteri nel Governo Monti (Bilderberg) e viceministro della Bonino (Bilderberg), agli Esteri nel Governo Letta (Bilderberg). Come noterete, si scelgono tra di loro. Su questo non ci può essere più alcun dubbio, alla faccia del popolo sovrano.

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 Poi c’è

Federica Guidi,

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vicepresidente di Ducati, che ha partecipato alle riunioni della Commissione Trilaterale, e guarda caso proprio recentemente la Ducati è stata venduta ai tedeschi di Audi. Sarà anche questa una coincidenza? Ovviamente sono in pochi gli italiani a saperlo: tutti invece pensano che la casa motociclistica sia ancora italiana. La Guidi è anche Presidente dei giovani imprenditori di Confindustria. E perché no? è giusto che in queste lobby si cominci ad essere indottrinati fin da giovani (chissà che non ce la troveremo come Ministro al prossimo governo).
Cosa dire dei rappresentanti delle principali aziende da privatizzare?
Ovviamente li ritroviamo tutti sugli attenti anche in quest’altra lobby di matrice neoliberista. Abbiamo infatti

Giuseppe Recchi

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del gruppo Eni, e

Pier Francesco Guarguaglini,

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presidente di Finmeccanica.
Abbiamo visto che le banche sono tutte in prima fila nella Commissione Trilaterale, ed, infatti, possiamo aggiungere oltre alle principali, già citate, anche

Maurizio Sella,

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presidente del Gruppo Banca Sella ed ex Presidente della Associazione Banche Italiane;

Ferdinando Salleo,

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vicepresidente di Mediocredito ed ex ambasciatore italiano negli Stati Uniti. Ma non si sono fatti mancare proprio nulla, ed infatti abbiamo anche

Stefano Silvestri,

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presidente dell’Istituto Affari Internazionali, editorialista de “Il Sole 24 ore”, che è stato anche sottosegretario di stato alla Difesa ed è membro del consiglio d’amministrazione della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza; ed ancora,

Franco Venturini,

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giornalista, storico commentatore per gli affari esteri del “Corriere della Sera”, un altro gruppo che abbiamo visto essere sempre presente in vari modi in queste lobby. E per concludere, proprio come Mario Monti abbiamo

Carlo Secchi,

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professore ordinario di politica economica europea, e Rettore dell’Università Bocconi dal 2000 al 2004. Io ho ricevuto da una mia fonte una locandina assolutamente inedita che dimostra che addirittura nel 1983, in occasione dei dieci anni della Commissione Trilaterale, la riunione si svolse a Roma, e come relatori per L’Italia ci furono proprio Romano Prodi

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in veste di presidente dell’IRI, incredibilmente insieme a Mario Monti, che non sono riuscito a capire a che titolo sia stato scelto, a quei tempi, come relatore per l’Italia in una così importante commissione, essendo semplicemente un professore di economia.

Soltanto l’anno dopo quella riunione, infatti, diventerà professore della Bocconi di Milano, e poi comincerà la sua carriera alla Commissione Europea.
Tra i relatori per l’America c’era il pericoloso, controverso e potentissimo Segretario di Stato

Henry Kissinger.

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Per quanto riguarda i nostri politici che partecipano alle riunioni di queste lobby di potere, come il Bilderberg o la Commissione Trilaterale, la domanda che mi pongo è la seguente: non c’è un evidente conflitto d’interessi con gli incarichi pubblici che svolgono?

Privacy: cosa deve contenere il certificato medico

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Quali informazioni deve contenere il certificato medico trasmesso al datore di lavoro affinché non si verifichi una violazione della privacy del lavoratore?

Il lavoratore che si assenta per malattia deve fornire al proprio datore di lavoro la certificazione medica riguardante la propria patologia. Quest’attività, tuttavia, come si concilia con il diritto alla privacy? Vediamolo di seguito.

Tutela della privacy nei certificati medici per malattia

In punto di conciliabilità tra obbligo di refertazione della malattia al datore di lavoro e diritto alla privacy del lavoratore è intervenuto il Garante della Privacy [1] che ha chiarito che nei certificati medici rilasciati da enti pubblici devono essere presenti solo informazioni generiche e non dati di carattere personale relativi allo stato di salute del paziente, la tipologia di diagnosi effettuata, la patologia riscontrata.

Il datore di lavoro, peraltro, non deve compiere indagini sulla malattia del lavoratore, quali ad esempio risalire alla struttura o al medico che ha emesso il certificato, ma deve fidarsi esclusivamente delle informazioni contenute dal certificato medico. Se poi il lavoratore produce documentazione in cui è presente anche la diagnosi, l’ufficio deve astenersi dall’utilizzare queste informazioni e deve invitare il personale a non produrre altri certificati con le stesse caratteristiche. Inoltre, particolari cautele devono essere adottate dall’ente pubblico quando tratta dati sulla salute dei dipendenti nei casi di visite medico legali, denunce di infortunio all’Inail (Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro), abilitazioni al porto d’armi e alla guida.

Riassumendo, il certificato medico deve essere generico e non deve fornire indicazionicirca:

  • lo stato di salute del paziente;
  • l’ospedale;
  • la generica struttura sanitaria;
  • la specializzazione del reparto;
  • la specializzazione del medico;
  • la tipologia di esame diagnostico effettuato;
  • la tipologia di visita effettuata.

La violazione di queste prescrizioni è causa di violazione della privacy e dunque fa sorgere il diritto al risarcimento del danno. Questo principio è stato recentemente confermato dalla Corte di Cassazione [2] che ha avuto modo di precisare alcuni punti fermi. Vediamo nel dettaglio la fattispecie all’esame della Suprema Corte.

Privacy e certificato medico: il caso

Un insegnante citava in giudizio il medico fiscale che aveva refertato la sua assenza per malattia inviando al preside del Liceo nel quale insegnava copia del referto medicodestinata al datore di lavoro in cui era stato riportato che il docente era “in attesa di consulenza psichiatrica“. Respinte le sue domande anche in appello, il docente è giunto fino in Cassazione dove, sebbene il giudizio si sia concluso per lui negativamente, la Corte ha ritenuto censurabile la condotta del medico fiscale e sussistente la violazione in materia di privacy ai danni del ricorrente.

Secondo la Cassazione è censurabile la condotta del medico fiscale che ha annotato sul referto medico la circostanza che il paziente era in attesa di una consulenza psichiatrica e pertanto è idonea a provocare una lesione all’immagine del docente nonché ad avere ripercussioni immediate sulla sua esistenza, consistenti nell’allontanamento e nella diffidenza maturata nei suoi confronti dagli amici, dai parenti e dai colleghi.

Difatti la riservatezza imposta nella refertazione del medico fiscale esige che non debba essere annotata sulla copia per il datore di lavoro la diagnosi del paziente ed è altresì vero che l’interpretazione delle norme preposte alla tutela della riservatezza, con particolare riferimento ai dati sensibili quali certamente sono quelli concernenti le condizioni di salute del dipendente malato, induce a ritenere che il datore di lavorodebba essere a conoscenza soltanto della conferma della prognosi da parte del medico fiscale.

Da quanto detto può affermarsi che tutte le volte in cui il certificato medico contiene le informazioni sullo stato di salute del lavoratore, si verifica una violazione del suo diritto alla riservatezza e, dunque, un contestuale diritto al risarcimento del danno.

note

[1] Deliberazione n. 23 del 14.06.2007.

[2]Cass. ord. n. 2367 del 31.01.2018;

fonte

Come impugnare una intimazione di pagamento

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La contestazione della richiesta di pagamento avanzata dall’Agenzia Entrate Riscossione, dalla banca o da qualsiasi altro creditore: come si difende il debitore? 

Quando si parla di intimazione di pagamento ci si riferisce, in generale, a una richiesta inoltrata dal creditore al debitore con cui il primo dà al secondo un termine ultimo entro cui adempiere, riservandosi all’esito di procedere per le vie legali. È una sorta di avvertimento, di ultima diffida (anche se nulla toglie che ad essa ne possano seguire di altre). Il concetto è molto generico e si può riferire sia a rapporti tra privati che a rapporti tra privati e soggetti pubblici (ad esempio una pubblica amministrazione titolare di un credito). Quando invece si verte nell’ambito delle tasse e tributi, l’intimazione di pagamento è l’atto di sollecito inviato dall’Agente della Riscossione prima dell’avvio del pignoramento nei confronti del contribuente. In questo articolo spiegheremo come impugnare una intimazione di pagamento e quali sono le possibilità, per il debitore, di contestare il credito fatto valere nei propri confronti.

Come impugnare una intimazione di pagamento di Agenzia Entrate Riscossione

Partiamo proprio dall’ultimo dei due casi analizzati: l’atto spedito dall’Agente della riscossione (che, per le imposte erariali, è l’Agenzia Entrate Riscossione mentre per quelle locali possono essere società private con cui Comuni e Regioni hanno stretto apposite convenzioni). 

Come noto, quando l’Esattore deve intimare il pagamento al contribuente gli invia una cartella esattoriale. Il destinatario ha 60 giorni di tempo per adempiere altrimenti la cartella diventa definitiva e non più impugnabile. Dopo di ché, l’esattore può procedere al pignoramento, al fermo o all’ipoteca. Ma lo può fare solo entro 1 anno dal ricevimento della cartella stessa. Se decorre tale termine, prima di avviare l’esecuzione forzata deve notificare un nuovo sollecito che, in questo caso, si chiama intimazione di pagamento. L’intimazione di pagamento è quindi una sorta di “seconda cartella esattoriale”, che richiama la prima e, pertanto, è più sintetica. 

Oltre che sul contenuto, ci sono delle importanti differenze tra la cartella di pagamento e l’intimazione di pagamento:

  • termine per pagare: la cartella, come abbiamo detto, dà 60 giorni di tempo per pagare. L’intimazione di pagamento invece solo 5. Dopo tale termine si può avviare l’esecuzione forzata;
  • termine di efficacia: la cartella di pagamento scade dopo 1 anno mentre l’intimazione di pagamento dopo 180 giorni. Alla scadenza, è necessario notificare una nuova intimazione di pagamento per poter agire, iscrivere un fermo o un’ipoteca (diversamente qualsiasi atto è nullo). Anche le successive intimazioni di pagamento hanno un’efficacia di 180 giorni.

Purtroppo, quando arriva una intimazione di pagamento non è più possibile contestare il merito della pretesa esattoriale, ossia i conteggi fatti dall’ente titolare del credito, l’esistenza del debito (a meno che lo stesso sia stato nel frattempo annullato da un giudice o sgravato dall’ente titolare) o il presupposto dell’imposta. Queste censure, infatti, dovevano essere sollevate ben prima, quando il contribuente ha ricevuto il cosiddetto “atto prodromico” ossia l’avviso di accertamento. Già con la cartella di pagamento è possibile sollevare contestazioni solo in merito a vizi formali dell’atto di riscossione. Lo stesso dicasi quindi per l’intimazione di pagamento che può esse impugnata solo per “vizi propri”. Ad esempio si può impugnare l’intimazione di pagamento se:

  • manca l’indicazione del responsabile del procedimento;
  • non contiene gli estremi della cartella di pagamento a cui si riferisce;
  • non è mai stata notificata, in presenza alcuna cartella di pagamento;
  • è stato emesso da un agente della riscossione di una zona territoriale differente dalla residenza fiscale del contribuente.

L’impugnazione contro l’intimazione si pagamento si deve esercitare entro 60 giorni dalla sua notifica e va presentata al giudice competente che:

  • per le tasse è la Commissione Tributaria Provinciale;
  • per le contravvenzioni stradali è il giudice di pace;
  • per i contributi Inps e Inail è il tribunale sezione lavoro.

Qualora l’intimazione abbia ad oggetto somme già pagate, visti i tempi brevi concessi prima dell’avvio dell’esecuzione forzata (5 giorni), è consigliabile presentare subito ad Agenzia Entrate Riscossione la prova del pagamento.

Fino a tremila euro (per le tasse) il contribuente può anche difendersi da solo. Per le multe stradali lo può fare fino a 1.100 euro. Diversamente deve ricorrere a un legale (davanti alla commissione tributaria anche con un commercialista o un ragioniere). Dovrà in tutti i casi pagare prima il contributo unificato che è calcolato sulla sommatoria delle singole cartelle impugnate e in contestazione.

Come impugnare una intimazione di pagamento di altro tipo

Di norma, quando un creditore deve riscuotere una somma dal debitore gli invia prima una diffida, assegnandogli un termine entro cui adempiere. Questa diffida viene chiamata in svariati modi: messa in mora, sollecito di pagamento, intimazione di pagamento, ecc. 

L’intimazione di pagamento viene inviata, di solito, quando il debito è già certo nel suo ammontare ed esigibile. Lo può fare, ad esempio, la banca quando il cliente non paga una rata o ha sforato il fido che gli è stato concesso; un privato quando ha prestato una somma a un amico e questi, alla scadenza, non l’ha restituita; un fornitore, dopo aver emesso la fattura, se il versamento non è avvenuto nei termini concordati; il danneggiato da un incidente stradale che non sia stato risarcito dall’assicurazione, ecc. 

In caso di mancato adempimento alla richiesta di pagamento, il creditore potrà ricorrere al giudice. Se però egli è in possesso di una sentenza, un decreto ingiuntivo definitivo, un assegno emesso da non più di 6 mesi o una cambiale firmata da non più di 3 anni, egli potrebbe agire direttamente con un pignoramento. In tutti questi tre casi casi, l’intimazione di pagamento ha un nome ben preciso: si chiama atto di precetto ed assegna al debitore 10 giorni di tempo per corrispondere il dovuto.

La mancata risposta a una intimazione di pagamento non può considerarsi una tacita ammissione del debito; tuttavia è sempre bene contestare l’intimazione di pagamento in modo formale. Invece se si tratta di precetto, il debitore deve sapere che, non avviando un ricorso, potrà subire l’esecuzione forzata.

In generale, quando si usa il termine impugnazione si intende la contestazione di una pretesa davanti al tribunale anche se, impropriamente, tale parola viene usata per qualsiasi tipo di contestazione, anche quella stragiudiziale, fatta cioè con una semplice lettera di risposta. 

In generale, come anticipato, è sempre meglio replicare a una intimazione di pagamento con un atto scritto (che non deve necessariamente essere scritto dall’avvocato, ben potendo essere compilato anche dallo stesso debitore). Servirà a chiarire le ragioni del debitore e a manifestare la sua buona fede. 

Il debitore potrebbe anche ricorrere egli stesso al giudice, prima che lo faccia il creditore, per mettere a tacere le pretese di quest’ultimo. È quella che tecnicamente viene chiamata «azione di accertamento negativo del debito». In verità è più comodo, facile e meno costoso che l’azione giudiziaria sia intrapresa dal creditore perché in tal modo:

  • spetta al creditore (ossia a chi agisce) l’onere di dimostrare il proprio credito: il debitore dovrà solo provare che il debito non esiste o che è stato già pagato o che esiste ma in misura inferiore (come nel caso in cui si contesti la qualità di lavori eseguiti);
  • spetta al creditore (ossia a chi agisce per primo) anticipare le spese del giudizio, sia esso un decreto ingiuntivo o una causa ordinaria;
  • non è detto che il creditore agisca; questi potrebbe fermarsi alla semplice diffida, ritenendo non conveniente dal punto di vista economico l’azione giudiziaria. 

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Ecco la prova che l’Euro è una moneta privata! (Vi ricordate i mini-assegni)

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Tecnicamente la banconota di euro è l’equivalente di una cambiale, o di un qualsiasi titolo di pagamento di diritto privato

In un agorà a Festella il professore Aldo Giannuli ha spiegato ai presenti, in modo semplice e con parole molto chiare, cos’è l’euro.

Procuratevi una banconota di euro di un qualsiasi taglio e verificate se quello che leggerete corrisponde al vero, se avete ancora una banconota in lire potrete fare velocemente i dovuti confronti.

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Avete mai osservato bene una banconota di euro?

  1. Non c’è scritto da nessuna parte pagabile a vista al portatore, questo perché la BCE non ha una riserva aurea.
  2. Non c’è scritto da nessuna parte “la legge punisce i fabbricanti e gli spacciatori di biglietti falsi”, come mai? Osservate la bandiera, vicino alla bandiera ci sono gli acronimi della così detta Banca Centrale Europea nelle varie lingue, ma prima c’è è quello del Copyright.

Avete mai visto un francobollo,  una marca da bollo, una banconota con il simbolo del copyright? Il copyright è per sua natura un istituto di diritto privato, la moneta per sua natura è un istituto di diritto pubblico, tante vero che se un esercente si rifiutasse di accettare il pagamento in euro e chiedesse il corrispettivo in dollari, in teoria, commetterebbe un reato perché, la moneta in quando istituto di diritto pubblico, ha corso forzoso, quindi si è obbligati ad accettarla.

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Ma l’euro è una moneta che ha corso forzoso? Quella che noi chiamiamo Banca Centrale è un accordo di natura privatistica fra banche centrali nazionali che restano proprietarie della riserva aurea. Tecnicamente la banconota di euro è l’equivalente di una cambiale, o di un qualsiasi titolo di pagamento di diritto privato. E’ in funzione di moneta perché l’accettiamo come tale, se ad esempio dovesse esserci una crisi di tipo Giapponese o Argentino possiamo essere sicuri che l’euro continui ad essere riconosciuta come banconota?

Oggi se un esercente si rifiutasse di accettare un pagamento in Euro e chiamassimo un agente di polizia questo forse obbligherebbe ad accettare il pagamento, ma un domani se … non si si può dire!

fonte aldo_giannuli

Ecco la prova che l’Euro è una moneta privata!

In alto a sinistra – prima della lettera B di BCE – appare il simbolo del Copyright.

Cos’è il copyright?

Il copyright è, in estrema sintesi, un diritto esclusivo dell’autore di un opera che gli consente di tutelarne la proprietà intellettuale.
Quindi la BCE, emettendo Euro, se ne garantisce la esclusiva proprietà ricorrendo ad una norma di diritto privato; la mette in circolazione tramite il sistema bancario (anch’esso privato) che lo “rivende” al mercato in cambio di un interesse.
E’ quindi un diritto disciplinato dal CODICE CIVILE, il quale regolamenta i diritti ed i doveri intercorrenti tra soggetti privati.
Sulla banconota non è scritto “pagabile a vista al portatore”, nè che  in quanto:” La legge punisce i fabbricatori e gli spacciatori di biglietti falsi”
– a fronte della banconota non esiste un bene tangibile con il quale convertirne il valore (ad. esempio: oro o altri metalli preziosi),
– la tutela della titolarità del diritto avviene sul piano privatistico, in quanto non è piu’ prerogativa dello Stato l’emissione di moneta; la sua eventuale contraffazione non rappresenta piu’ neanche un delitto contro la collettività.
Non esiste pertanto nemmeno la circolazione forzosa per una moneta siffatta per cui, a rigor di logica, domattina il mio tabaccaio potrebbe rifiutarsi il mio pagamento in Euro pretendendolo magari in Dollari americani.
Questo non potrà ovviamente mai accadere per il fatto che tutti accettano in pagamento la banconota per pura convenzione, considerandola alla stregua di un mezzo di pagamento assolutamente legale in forza di una legge dello Stato.
Non è così. Non sta scritto da nessuna parte che io debba forzatamente accettare l’utilizzo della proprietà intellettuale di qualcun altro, ma sono costretto a farlo perchè “così fan tutti”.
Ora, il diritto di utilizzo della proprietà intellettuale di qualcuno prevede da parte dell’utilizzatore il pagamento di un corrispettivo (a meno che quel diritto non venga concesso gratuitamente – e così non è).
Tale corrispettivo è appunto l’interesse. Ma l’interesse deve essere pagato in moneta e questa moneta non posso stamparla da solo perchè lederei il Copyright del prestatore, quindi il prestatore stamperà altra moneta – che mi presterà – perchè io possa pagargli l’interesse. Fino a che il titolare del Copyright stamperà moneta, quindi, io privato o io Stato continuerò ad indebitarmi.
E’ ovvio che arriverà il momento i cui dovrò restituirgli anche il Capitale (cioè la quantità originaria di “diritto all’utilizzo” della sua opera d’ingegno) e con cosa potrò sdebitarmi se non cedendogli i miei beni?
Capito adesso come funziona la frode? C’è tanto di simboletto stampato sopra!!!

David Carletti

 

Un paese sotto il sangue

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Di Antonio Ciano

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Disponibile come #ebook su: https://bit.ly/2usMMo7

” un paese sotto il sangue ” Sfata il mito di una felice unificazione dell’Italia. Quello che è stato fatto per passare come lotta per l’indipendenza, è stata veramente un’invasione perpetrata dalla casa di Savoia e dai suoi affiliati massonico con la connivenza dei cartelli della mafia e della camorra. Dopo l’annessione del regno delle Due Sicilie, le ricchezze dell’Italia meridionale sono state trasferite alle banche del nord per alimentare lo sviluppo industriale della Lombardia e del Piemonte. Privò e impoverita, milioni di sud ” Gli italiani ” non avevano altra scelta che trasformarsi in fuorilegge o lasciare la loro patria ancestrale e emigrare negli Stati Uniti, in Australia e nel Sud America in cerca di un nuovo inizio.

(prossimamente in #stampa in #librerie in tutto il mondo)

#history #Italy #truehistory #Risorgimento #Bourbon #Savoy #masonic #mafia #camorra #neoliberism #illuminati #newworldorder #unification #warcrimes

Il Brigantaggio: non delinquenti, ma partigiani

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Valutare le ragioni dei vinti
La rilettura più che necessaria di un periodo di storia meridionale

Un’intera settimana di studi sul fenomeno del brigantaggio è una novità assoluta non solo in Puglia ma forse in tutto il Meridione d’Italia. L’iniziativa, nata dall’intuizione del prof. Biondi e dell’avv. Nigro, entrambi di Villa Castelli, trova la sua collocazione nella cittadina brindisina in una sapiente miscela di promozione culturale e turistica.

I temi proposti vanno dall’analisi generale del fenomeno alla trattazione di singoli momenti e aspetti particolari: rivivranno quindi pagine dimenticate o misconosciute della storia del Sud, dal brigantaggio del decennio francese al ribellismo postunitario; si parlerà di capi famosi, come Ciro Annicchiarico, il prete brigante e del sergente Romano, ma anche della massa anonima di sbandati borbonici che presero la strada della macchia e della violenza, non avendo altra via di fuga dalla miseria e dalla disperazione.

La colpa principale di questi uomini è forse quella di essere vissuti in un periodo di rivolgimenti epocali, senza avere la certezza, non dico del futuro, ma neanche del presente.

La paura del nuovo – rappresentato dai Savoia – che avanzava colse impreparati i contadini meridionali che ancora non avevano coscienza di essere classe sociale: a loro anche il poco o il nulla che possedevano sotto i Borboni sembrò in pericolo. La loro centenaria aspirazione, il possesso della terra che lavoravano, per un momento sembrò realizzarsi: così, ad esempio, Garibaldi apparve subito ai loro occhi il messia venuto ad affrancarli e a liberarli. E non tardarono a ricredersi quando il nuovo Stato, invece delle terre promesse, impose nuove tasse e nuove coscrizioni obbligatorie: quanto grande fu l’illusione di un momento, tanto maggiore e immediata fu la delusione; le terre cambiarono proprietà ma i contadini continuarono a rimanerne esclusi e – in aggiunta – i loro figli dovettero andare a servire il nuovo sovrano in un esercito che ancora non considerarono come il proprio.

E fu la macchia, furono le ruberie e le grassazioni di un popolo che non intravedeva futuro, furono le illusioni di un ritorno al potere del Borbone, fu il brigantaggio.

Lo stato unitario rispose alla violenza con la repressione, spesso crudele e quasi sempre indiscriminata, in una lotta impari tra un esercito organizzato e preponderante per numero e i manipoli di uomini alla macchia; una lotta che – come in tutte quelle definite di guerriglia – segnò parziali ed iniziali successi per i secondi. Allora si volle colpire ancora più duramente e lo Stato emanò la prima di una lunga serie di leggi speciali che lo hanno caratterizzato fino ad oggi: la legge Pica. Soppresse le fondamentali libertà, bastò il sospetto per arrestare, fu sufficiente essere catturato con le armi in mano per essere fucilato sul posto, il solo sospetto fu elevato a rango di prova, la parentela diventò crimine e intere famiglie – colpevoli di avere un congiunto alla macchia – furono poste in stato di detenzione e giudicate dai tribunali militari straordinari di guerra.

Fu, insomma, quella che gli storiografi ufficiali – la storia è scritta sempre dal vincitore – definirono con disprezzo e faciloneria lotta alla delinquenza comune meridionale, “il brigantaggio”.

Ora sono passati quasi centocinquanta anni, il revisionismo di quel periodo storico è avviato, i tempi sono maturi per riflettere obiettivamente su quel periodo, per capire, senza giustificare le violenze di entrambe le parti, anche le ragioni di chi perse, per analizzare la portata popolare e la diffusione del brigantaggio meridionale, per inquadrarla in un contesto più aderente alla realtà di confusa rivolta anarcoide della classe contadina del Sud.

Per questo e per tante altre ragioni una settimana di studi può non essere sufficiente, ma è un passo importante per analizzare gli errori di allora traendone gli elementi per superare quelle occasioni di conflittualità ancora oggi esistenti.


Il Brigantaggio: non delinquenti, ma partigiani
Domenico Bolledi 17 marzo 2015 Storie
Noi giuriamo davanti a Dio e dinanzi al mondo intero di essere fedeli al nostro augustissimo e religiosissimo sovrano Francesco II (che Dio guardi sempre); e promettiamo di concorrere con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze al suo ritorno nel regno; di obbedire ciecamente a tutti i suoi ordini, a tutti i comandi che verranno sia direttamente, sia per i suoi delegati dal comitato centrale residente a Roma. Noi giuriamo di conservare il segreto, affinché la giusta causa voluta da Dio, che è il regolatore de’ sovrani, trionfi col ritorno di Francesco II, re per la grazia di Dio, difensore della religione e figlio affezionatissimo del nostro Santo Padre Pio IX, che lo custodisce nelle sue braccia per non lasciarlo cadere nelle mani degli increduli, dei perversi, e dei pretesi liberali; i quali hanno per principio la distruzione della religione, dopo aver scacciato il nostro amatissimo sovrano dal trono dei suoi antenati. Noi promettiamo anche con l’aiuto di Dio di rivendicare tutti i diritti della Santa Sede e di abbattere il lucifero infernale Vittorio Emanuele e i suoi complici. Noi lo promettiamo e lo giuriamo.
(Marco Monnier, Notizie e documenti sul brigantaggio nelle province napoletane, Barbero, Firenze, 1862, pp. 73-74)

Secondo l’enciclopedia Treccani, il brigantaggio altro non è che un “fenomeno, diffuso soprattutto in fasi di squilibrio sociale e politico, per il quale bande di malfattori, riunite e disciplinate sotto l’autorità di un capo, attentano a mano armata a persone e proprietà. Il nome proviene dai briganti, in età medievale soldati avventurieri a piedi, che facevano parte di piccole compagnie mercenarie”.
Se questo articolo seguisse i canoni ordinari della storiografia nazionale, poco altro ci sarebbe da dire. I briganti furono dei delinquenti e la loro distruzione, per opera delle forze sabaude, permise la nascita dell’Italia come noi la conosciamo. Tuttavia la storia dell’Unità d’Italia studiata nei libri di scuola, come purtroppo anche all’università è incompleta o per meglio dire errata. Questo lo si sa da tempo eppure tutto tace, nascosto da una secolare coltre di connivenza tra storici e politici. E nell’abissale silenzio di ciò che avvenne in quella fase da tutti osannata come “Risorgimento”, è necessario fare luce su quello che sono stati i briganti, partigiani ottocenteschi che combatterono per la libertà contro il dispotismo sabaudo, e quello che è il Brigantaggio, un fenomeno che si interseca con la storia del mezzogiorno contemporaneo e con la questione meridionale tutt’ora drammaticamente attuale.

Il Brigantaggio si sviluppa storicamente come fenomeno politico in appoggio ai Borboni, per poi trasformarsi nei primissimi anni post-unitari come forma di protesta sociale nei confronti di quell’unificazione nazionale, contemplata da Cavour e Garibaldi, che viene vista dalle popolazioni meridionali come l’ennesimo atto di forza di una potenza straniera nei loro confronti. Se al momento del voto plebiscitario che segnava l’annessione del Regno delle Due Sicilie alla monarchia piemontese, in tanti erano a favore, convinti che ciò segnasse l’inizio di una nuova epoca di libertà, pronti ad affrancarsi dalle catene di un sistema sociale ed economico ancorato a modelli feudali da tempo obsoleti, il voltafaccia della classe dirigente, schieratasi in massa a favore dei Savoia con l’obiettivo evidente di mantenere i propri averi e consolidare le proprie posizioni di potere, spinse la popolazione a mobilitarsi.

Quando il 13 febbraio 1861, re Francesco II parte per l’esilio, si registrano immediatamente i primi disordini. Se all’inizio questi sono condotti solo da nostalgici fedelissimi dei Borboni, successivamente si registra l’ingresso sulla scena dei contadini, che ribellandosi al nuovo dominio, si ritirano sui monti dando vita a squadre di briganti. L’obiettivo del brigantaggio è duplice: da un lato colpire i ricchi proprietari terrieri conniventi con il nuovo regime, dall’altro attaccare l’esercito piemontese. La risposta sabauda è violenta ma al contempo inefficace: violenta perché sin da subito le perdite tra le fila dei briganti sono innumerevoli (si parla di oltre mille morti nel solo 1861), inefficace perché la rivolta sarà tutto fuorché effimera.
Nel 1863, su iniziativa del governo italiano, viene istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta dal deputato Giuseppe Massari. Nella relazione finale viene indicata come causa prima e unica del brigantaggio, la miseria delle popolazioni dovuta all’oppressione borbonica. La rivolta dei briganti secondo lo Stato era quindi dovuta alle condizioni di povertà in cui il popolo era stato ridotto dai Borbone e non per colpa dalla repressione piemontese. La relazione porta alla promulgazione della “Legge Pica” che autorizza lo stato d’assedio nei paesi in cui si registra l’attività dei briganti. Il risultato è catastrofico: negli anni della rivolta oltre cinquanta tra villaggi e paesi vengono rasi al suolo, innumerevoli sono gli stupri e le violenze sulla popolazione quanto i processi farsa e le esecuzioni sommarie. Tra le fila dei borbonici si registreranno oltre 250 mila morti, mentre per i piemontesi saranno più di 20 mila i caduti sul campo di battaglia, dal cui computo vengono esclusi tutti coloro che vennero fucilati per diserzione o tradimento. Uno dei pochi meriti della storiografia nazionale è il riconoscimento che questa guerra civile costò più vite di tutte le guerre risorgimentali messe assieme.
Verso la fine del tremendo decennio, il Brigantaggio, decimato e incattivito, andò perdendo la spinta ideale che lo aveva animato e le bande rimaste si diedero, allora sì, ad atti di malavita, istigate anche dalla condizione di estrema povertà nella quale le regioni meridionali erano cadute e dalla nascita del latifondo, che toglieva ai contadini ogni possibilità di una sopravvivenza dignitosa. Solo da quel momento in poi, la repressione piemontese prese il sopravvento: il Brigantaggio fu debellato definitivamente e i Meridionali andarono a cercare una nuova vita nelle Americhe, avviando un fenomeno del tutto sconosciuto fino nel Regno delle Due Sicilie. Nel 1861, infatti, si contavano soltanto 220mila italiani residenti all’estero; nel 1914 erano 6 milioni. È inquietante, se si pensa che la popolazione dell’ex Regno napoletano era composta da 8 milioni di persone. – L’esercito sardo aveva avuto la propria vittoria, ma non così il regno d’Italia: i briganti non erano distrutti, avevano trovato un’altra forma di resistenza, l’emigrazione.
(Giovanni Turco, Brigantaggio, legittima difesa del sud. Gli articoli della “Civiltà Cattolica” (1861-1870), Il Giglio, Napoli, 2000, p. 187)

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“ROMA E LE MENZOGNE PARLAMENTARI NELLE CAMERE… ”

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RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “ROMA E LE MENZOGNE PARLAMENTARI NELLE CAMERE… ” di Teodoro SALZILLO -Malta-1863

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La menzogna è il furto del bene dell’intelletto, che il mentitore ce lo invola. Ogni verità e partecipazione del Sommo Vero, ed è mezzo per risalirvi, l’inteletto è perfezione della più nobile parte di noi, ogni privazine di vero per noi è grave perdita, ogni offesa del vero un grave delitto.

PREFAZIONE
La rivoluzione pervenuta a travolgere le menti con un falso filosofismo, a scambiare il senso dei vocaboli della lingua, a manomettere il retto ragionare con una logica tutta propria, a sublimare la sempre crescente illuvione dei più abbominevoli vizi e delitti (1) ed a canonizzare l’assassinio; dubbitando che i popoli non si facessero accorti dell’ inganno in cui erano stati trascinati, cercò una leva potente, la quale con la sua forza potesse tenerli desti ed indecisi.
L’ organizzatore della strage mondiale, Lord Palmerston, che della rivoluzione è il primo protettore, non pel bene della sociale Famiglia, ma perchè la mercantessa Albione ne traesse profitto, senza durar fatica, la rinvenne nella negazione del vero. E siccome questa figlia di Satana si è identificata con lui, così, onde avesse possanza maggiore, l’ha sollevata agli onori parlamentari. Difatti vediamo, che di essa si è servito a muovere guerra alla Chiesa, ed al Vicario di Cristo; di essa si è servito, per mezzo della virulente eloquenza di Sir Gladston ad attaccare l’immortale Re FERDINANDO II; di essa ha fatto uso, per mezzo della stampa venale a diffamare gli onesti e ad onorare della apoteosi i Regicidî; di essa si è servito nel Congresso di Parigi, per mezzo di Lord Clarendon, a rovesciare i troni d’Italia, segnando loro una dichiarazione di Guerra in un trattato di pace; alla fin fine di essa si serve tutt’ora ad assalire la Corte Romana, e l’Esule Sovrano FRANCESCO II, non che la bella, la religiosa, la Eroica, e la rassegnata Sua Consorte MARIA SOFIA, innanzi a Cui, ogni testa Coronata in segno di onore, di rispetto e di ammirazione s’inchina; ed attribuisce loro la causa del movimento nazionale che si verifica nel Regno di Napoli, dichiarandoli responsabili di quel sangue che si versa in quelle depauperate contrade, una volta floride e doviziose.

Ed abbenchè con atti autentici e con prove d’incontrastabili fatti sia stato sempre smentito, senza però mai arrossirne, pure gli aievi della sua scuola che cicalecciano nella Camera di Torino, non si sono mai arrestati a fare sfoggio di valentia a chi sapesse più mentire, sbugiardandosi a vicenda e senza vergognarsi, in riparazione dell’offesa, sono venuti a duello; per dimostrare la gran concordia che regna tra i parassiti, che si strombazzano rappresentanti dell’acefalo Regno Italiano.
Noi indegnati della loro sfrontatezza, annojati di più leggere negli atti ufficiali tante spudorate menzogne, ci siam decisi gettarli un guanto di disfida, e far rilevare che quanto si è detto nella Camera de’Comuni di Londra ed in quella di Torino, contro la Corte Romana, contro FRANCESCO II, e contro gli altri Principi spodestati, tutto è falso. Ed acciocchè gli avversari in politica non ci potessero adentellare nell’ esposizione del lavoro, ci serviremo, come documenti di appoggio, delle ragioni, delle opinioni e dalle confessioni, che la maggioranza dei componenti le due Camere, ha fatte, emesse e dedotte. Le loro tornate ci saranno a guida, e la stampa liberale ci starà in sostegno.
Fidenti nel vero, e disprezzando gl’ignoranti, e gl’invidiosi calunniatori, scendere1o nella dura, ma per noi piacevole palestra.

(1) Lettera Enci: di Pio IX i0 Agosto 1863


RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “ROMA E LE MENZOGNE PARLAMENTARI NELLE CAMERE… ” di Teodoro SALZILLO -Malta-1863

pag. 133 a pag 141

[…]
questi poi non solo fucila, manda nell’esilio ed incarcera in massa Vescovi, Preti, e Frati, ma ne sequestra puranco i beni. Però se avesse imparato da un eterno nemico della Chiesa(Mazzini.Lettera del 30 aprile 1861) che l’ingiustizia non prevarrà eternamente, e che l’oppressione è un suicidio di chi l’esercita, non farebbe a gara coi Neroni, co’ Calligola, e coi Diocleziani, suoi degni maestri. Se Murawieff in Polonia ha bruciata la Città di Grodno ed il villaggio di Dziko e qualche altro come ci rivela un giornale, (Lo Czaz) almeno ha usato riguardo a quegli abitanti, quantunque li abbia mandati in Siberia. Ma nel Napolitano non si usano questi riguardi, perchè creduti Contrari alla civilizzazione moderna. Ivi oltre che si sono bruciati ventinove paesi e Città, non si è usato neppure rispetto agli abitatori.
In Pontelandolfo e Casalduni chi si trovò fuori l’abitato rimase salvo, e chi era dentro le case, dovè morire abbrustolito, perchè gli aguzzini Piemontesi, in livrea di soldati, colà spediti da Cialdini, a colpi di bajonetta facevano rientrare gli abitanti, nelle loro case, che già l’incendio divorava. Quante incinte non si sbranarono allora ? … Quante vergini non si struprarono in quel momento terribile?!.. La lor preghiera era di sprone maggiore alla ferocia. Ivi le Chiese furono denudate da ogni corredo, fin delle sacre Pisidi!… Sperdendo le Ostie consacrate!…e bevendo nei calici, insultavano a Dio!.. Pargoli innocenti, vecchi cadenti, infermi spossati, e madri sconsolate furono, con i figli lattanti al seno, vittime del fuoco e del barbaro furore; ed i figli di Rinaldi, che si diedero alla fuga, si fucilarono fuggendo,con un venerando vecchio ottuagenario!… Noi crediamo che Erode, ordinatore della strage degl’innocenti, non avrebbe avuta cuore assistere all’incendio di Pontelandolfo e di Casalduni.
Solo i seguaci giannizzeri del redivivo Nerone potevano passivamente assisterci. Ma che forse l’ambizioso Sire di Torino ne arrossí? Affatto! Anziens godette, e Cialdini, di tanto eccidio, come un trionfo, faceva ripetere col telegrafo agli angoli del Mondo: Pondelandolfo e Casalduni han subita la meritata giustizia. E di qual delitto dimandiamo noi , erano rei OTTOMILA cittadini?
Cinicamente ci si risponde: Perchè non volevano la libertà. Oh barbarismo. oh atrocità inaudite!.!. Saressimo troppo nojosi al lettore ricordare tanti individui bruciati vivi nelle pagliaje in campagna; tanti impiccati agli alberi d’accosto alle strade pubbliche; tanti fucilati lavorando i propri poderi; tanti scannati nelle proprie abitazioni, sol per desiderio di sangue; tanti metragliati in massa; tanti decorticati vivi; tanti fatti morir di fame nelle prigioni, (Tra i quali un tale di cognome Creola del cui fatto fecero tanto chiasso i giornali) e tanti gittati nei fiumi con pietre al collo. Delle quali atrocità sono piene le colonne dei giornali liberali a ribocco, dai cui abbiamo appreso sì belle notizie!… Si è fatto rimprovero all’Autocràte Russo che la coscrizione la faceva eseguire di notte. Ma a chi non sembra questo sopruso un atto di umanità, se considera al proposito quello che fa il Re Galantuomo nelle provincie meridionali?.. Colà si assediano i paesi; colà si arrestano i genitori per i figli; colà si prendono in ostaggio le sorelle che sono nei monasteri; colà si piazzano i piantoni in casa del renitente, spogliandogli la casa se non si presenta; colà si torturano i sordi-muti, e con bottoni di fuoco si gli fanno CENTO CINQUANTAQUATTRO FERITE! per fargli parlare; (Uno di questi è un tale AntonioCappello di Palermo,al srvizio di Morello,acquajolo in via Maqueda di cui si fa processo!)colà si fucilano i fuggenti; colà si arrestano i vivi alla cieca per i morti da due anni; colà in fine si dà la caccia ai renitenti come alle belve nel deserto. Ma a che valgono tanti mezzi diabolici?.. a nulla…. poichè essi preferiscono combattere l’usurpatore nelle montagne, e non d’indossarsi la scomunicata divisa. In vano gridano bugiardemente i giornali di livrea che le leve si eseguono con maraviglioso entusiasmo, e che i legittimisti sono stati scfitti e dispersi, poiché niuno più vi presta fiducia.
Giudichino, pertanto i lettori, chi sono più martoriati, se i Polacchi dai Cosacchi, o i Napolitani dagli italianissimi piemontesi, che tutti e due i popoli sono parte della grande famiglia italiana?… Da un giornale italiano al servizio di Torino (Politica di Milano) Murawieff vien chiamato il cannibale della nazionalità, l’obbrobrio del Secolo. Noi non per assumere l’incarico di fare l’apologia di costui, ma per essere giusto, diciamo: che questi onorificendissími titoli, sono propri dei padroni del giornale; perchè se Murawieff combatte la nazionalità, che vogliono i Polacchi, fà il suo dovere di soldato.
Anzi mostra’ ai Traditori di FRANCESCO II, del Gran Duca di Toscana, e degli altri Principi spodestati, come si deve star fermo al giuramento, che si dà al proprio Principe; come si difende la propria bandiera; come si deve conservar caro l’onor militare; e come in fine un cittadino deve serbar gelose le grandezze della sua patria, anche col sacrificio della sua propria vita.

Non si nega che Murawieff eccede, ma se ciò fa, è pel troppo amore che nutre per la sua nazione, che non vorrebbe vederla smembrata, il cui possesso è in forza deitrattati,(trattati del 1815) pei quali tutti i Sovrani, posseggono.
Ma qualcuno ci potrà dire: queste stesse ragioni non militano a favore di Cialdini, e degli altri carnefici incendiatori del Napolitano? Noi rispondiamo che nò; perchè quel popolo non insorge per ribellarsi al Principe legittimo, che per forza del Dritto internazionale governa, mainsorge per scacciare l’usurpatore dei dritti che
non gli pertengono. E lo stesso giornale palmerstonniano confessa: che i piemontesi nel mezzogiorno dell’ Italia vi sono accampati, e lo trattano come un paese conquistato, perchè in realtà non vi è veruna fratellanza fra le popolazioni, (Il Times) sicché in quelle contrade il bacio fraterno dei piemontesi, è una fucilata; l’amplesso è una stoccata; ed una stretta di mano é una prigionia, una condanna. Gran verità!…
Per quanto ci fossimo affaticati, a trovare nella storia popoli più selvaggi dei piemontesi nelle atrocità, tutto è stato indarno. I Goti , i Vandali, gli Ostrogoti commisero barbarie; i Saraceni, ed i Longobardi devastarono ed incendiarono; gli Stamiti ed i Gentili lasciarono dietro di loro tracce di rapine e di sangue, ma di
tanta intensità come quelle dei piemontosi nel napolitano, è ben difficile rinvenirsi; perché il solo paragone che può stabilirsi è l’ombra colla realtà. E, perciò nelle contrade meridionali, e nelle altri parti d’Italia, la parola piemontese è perfetto sinonimo di dolore, di morte, d’infamia. Proseguendo il confronto delle atrocità piemontesi domandiamo ai politici del giorno: (che oggi per altra disgrazia tutti vogliono parlare di politica) quanto mai Murawiéff si ha sognato di far costruire CEPPI DI FERRO per torturare i prigionieri, come ha fatto quell’anima evangelica di Sirtori. Quando mai ha promessi 20 mila franchi a’Polacchi per fare scannare un Polacco, come ha fatto la Marmora ai Napolitani per fare uccidere Caruso, Tamburrino, Ninco Nanco, Crocco, anche Napolitani, e così per tanti altri ancora? Cosa che, invece di far estinguere, fomenta la fratricida guerra !!!. -Ripetiamo con sicurezza di non potere essere smentiti che le atrocità, le barbarie, che si consumano e si usano nel napolitano Reame, non trovano rincontro nella Storia.
Eppure l’Europa non si commove, e mentre mostra ribrezzo di orrore per i sanguinosi annali della Francia del 1893, mira con filosofica indifferenza i giornalieri eccidi nel napolitano da tre anni in quà!…. Con differenza, che da quelle ecatombe si ottenne un gran passo nell’ordine sociale, perchè la società liberata dal, feudalismo, e surta dal brago di sangue in cui erasi affondata, nel mentre che, si trovava colpevole, si vide più bella e pronta a migliorarsi. Non così oggidì: giacchè se quegl’infami principi ritornassero a vita novella, (al che si tende) si distruggerebbero i benefici ottenuti in 70 anni, nel quale tempo i Principi legittimi hanno indefessamente faticato, per migliorare la sorte dei popoli, che loro Iddio diede a governare. Guai però a’Sovrani, se non smorzano l’incendio nella casa altrui, perchè o presto,o tardi s’avranno la sorte stessa, in pena dell’oscitanza e della indifferenza!… Quando la stampa rivoluzionaria ci racconta il fiero procedere di Murawieff, noi ci addoloriamo, ma ci vediamo pure una gherminella, perche ognuno sa, esser dovere della libera stampa mettere a nudo la piaga del proprio paese, e non nasconderla; ed a noi pesa un grave delitto dimenticarsi di se, per accorrere con zelo farisaico ad ajutare gli altri.

La stampa Torinese che si affaccenda a rimproverare Murawieff, perché non si prende anche la cura di tramandare maledetto alla più tarda posterità il nome del Deputato Castagnola?! il quale convinto del ritorno di FRANCESCO II e della impossibilità assoluta, di distruggere il brigantaggio con tutta la legge di Pica, (che farà negli avvenire compagnia ad Erostrato,) ebbe con ardire satanico a ripetere in pubblico parlamento di Torino: PRIA DI TORNARE NEL PASSATO, SI BRUCIA LA STESSA NAPOLI E SI SPARGANO LE CENERI AL VENTO. Onta e maledizione eterna all’infame!!,,, al nemico del proprio tetto L. Eppure quel nobile EROE, quel tradito, ma non mai vinto FRANCESCO II, sempre di animo cavalleresco, abbenchè Poteva accogliere Garibaldi coi cannoni di S.Elmo, A RISPARMIARE ALLA SUA PATRIA GLI ORRORI DEI DISORDINI INTERNI, ED I DISASTRI DELLA GUERRA si allontanava da Napoli; spesso ripetendo: SI PERDA IL TRONO E LA REGIA, MASI LASCI NAPOLI, E SI SALVI. Ed intanto Castagnola ne vuole spargere le ceneri al vento!..!..
La Marmora la vuol distruggere col Cannone se si lagna; Vittorio Emmanuele per essere progressista vuole incendiarla, come fece Nerone a Roma. E noi consigliamo loro di tuzzar col capo vicino al Vesuvio, fin che si sfonda, e colle sue lave di fuoco incenerisca tutto, non però ciò che é nazionale, ma ciò che è estraneo a quella terra benedetta, oggi calpestata da un orda di scomunicati, dei quali bisogna riguardar la fine!….
Oh quanto altro avressimo ad esporre alla pubblica conoscenza!.. Ma la penna ci cade di mano essendocisi troppo toccato il cuore per le raccontate atrocità consumate dal Piemonte nella terra, ove ebbimo la culla, ove le ossa degli avi nostri fremono per essere calpestate, da impuro e lubbrico piede.

Da quanto abbiamo detto, crediamo che il lettore siasi persuaso, che non vi fu, e né vi sarà mai al Mondo un tiranno per le atrocità, un mostro per empietà, ed iniquità, un nemico alla Chiesa Cattolica, un ambizioso, un Conculcatore del dritto e della Giustizia, come al Re, così detto dai rivoluzionarî, per derisione, il GALANTUOMO, che per dar prove del suo galantomismo, ha ridotta l’Italia lacera e scarna da destare la pietà ai suoi stessi nemici, spingendo i diversi popoli che sono ad abitarla a stare l’uno contro l’altro armato, ed a scannarsi a vicenda.
Noi però siamo certi, o sofferenti Italiani, che la mano di Dio non tarderà ad intervenire in soccorso, e già i segnali, ne precedono, perchè ESSA non aderì mai al proclamato principio del non intervento, che è stato la causa della caduta di tanti Troni, dell’ipocrita persecuzione della Chiesa, e del tanto sangue sparso, il quale riverserà terribile e minaccioso sul capo di Colui, che col grido d’Italia una ed indipendente, le ha rapito pace, libertà, ricchezze, morale, religione, ed onore.

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