Assegno sociale 2019: quanto aumenta con la pensione di cittadinanza?

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In arrivo un assegno sociale più ricco, dal 2019: il sostegno mensile, difatti, per effetto della perequazione, cioè della rivalutazione delle pensioni, pari all’1,1% (come recentemente confermato dal Mef) non sarà più pari a 453 euro, ma a 457,99 euro. Inoltre, l’assegno potrebbe essere integrato ulteriormente alla pensione minima di cittadinanza, arrivando sino a 780 euro mensili.

L’integrazione al reddito sino a 780 euro al mese potrà essere riconosciuta anche a chi ha diritto all’assegno sociale per gli invalidi, dal 2019 pari a 372,98 euro mensili, ed all’assegno sociale con maggiorazioni, che supera i 650 euro al mese.

Attenzione, però: così come l’assegno sociale e le maggiorazioni subiscono delle riduzioni se si possiedono redditi, lo stesso varrà per la pensione di cittadinanza. L’integrazione della pensione di cittadinanza, difatti, può essere piena soltanto per chi non possiede immobili e non ha redditi. La pensione di cittadinanza è comunque compatibile con la proprietà della prima casa, e di un secondo immobile di valore sino a 30mila euro: in questi casi, però, chi non paga l’affitto si vede ridurre il sussidio di cittadinanza di un importo pari al cosiddetto canone d’affitto imputato, pari a circa 300 euro mensili.

Per aver diritto alla pensione di cittadinanza, inoltre, il nucleo familiare del pensionato non deve superare determinate soglie Isee, ancora da definire (in base a quanto reso noto sinora, l’Isee del nucleo non dovrà superare 9300 euro): le soglie Isee non sono invece previste per l’assegno sociale.

In attesa di conoscere nel dettaglio le disposizioni del pacchetto previdenza, atteso per fine dicembre, con le esatte modalità con cui verrà riconosciuta la pensione di cittadinanza, facciamo il punto sull’assegno sociale 2019: quanto aumenta con la pensione di cittadinanza, quanto aumenta grazie alla rivalutazione delle pensioni 2019, che cosa succede a chi possiede altre redditi e percepisce l’assegno sociale ridotto, come cambia l’assegno sociale per gli invalidi e con maggiorazioni.


Che cos’è l’assegno sociale?

L’assegno sociale, che dal 1996 ha sostituito la pensione sociale, è una prestazione di assistenza, riconosciuta dall’Inps, che spetta ai cittadini che hanno un reddito al di sotto di un certo limite e che non hanno diritto (eccetto alcune particolari situazioni) alla pensione di vecchiaia, anticipata, di anzianità o ad altri trattamenti previdenziali.

Per ottenere l’assegno sociale non è necessario aver versato un minimo di contributi all’Inps, in quanto non si tratta di un trattamento di previdenza, ma di assistenza.

Che cos’è la pensione di cittadinanza?

La pensione di cittadinanza, in base a quanto emerge dalla nota di aggiornamento al Def e dal disegno di legge di bilancio, consisterà in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono una pensione sotto la soglia di povertà (sotto i 780 euro mensili) e la cui situazione economica e patrimoniale non supera determinate soglie.

In parole semplici, la pensione di cittadinanza consisterà in una sorta d’integrazione al minimo della pensione, non più pari a 507,42 euro mensili (513,01 euro dal 2019), più eventuali maggiorazioni, ma pari a 780 euro mensili. Un’integrazione al minimo universale, però, che spetterà non soltanto per le prestazioni di previdenza (pensione di vecchiaia, pensione anticipata, pensione di reversibilità…), ma anche per le prestazioni di assistenza (pensione d’invalidità civile, assegno sociale…).

L’integrazione potrebbe essere riconosciuta con una carta acquisti.

Chi ha diritto all’assegno sociale?

Hanno diritto ad ottenere l’assegno sociale le persone che possiedono i seguenti requisiti:

  • almeno 66 anni e 7 mesi di età per il 2018; per il 2019, il requisito è stato elevato in base agli adeguamenti all’aspettativa di vita, come previsto dalla Legge Fornero [1], e l’età richiesta è pari a 67 anni;
  • cittadinanza italiana, o, in alternativa, cittadinanza di un Paese europeo, qualora il richiedente abbia effettuato iscrizione all’anagrafe del comune di residenza, oppure, ancora, cittadinanza di un Paese Terzo , qualora il richiedente possieda il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
  • residenza effettiva, stabile e continuativa per almeno 10 anni nel territorio italiano;
  • reddito non superiore a 5.889 euro annui, se il richiedente non è coniugato (valore 2018); dal 2019 il valore è pari a 5.953,87 euro;
  • reddito non superiore a 11 .778 euro annui, se il richiedente è coniugato (valore 2018); dal 2019 il valore è pari a 11.907,74 euro.

Non sono previsti limiti correlati all’indicatore Isee per il diritto all’assegno, mentre i limiti saranno previsti per l’integrazione dell’assegno con la pensione di cittadinanza.

Quali redditi rilevano per il diritto all’assegno sociale?

Attualmente l’unico limite connesso alle condizioni economiche per l’erogazione dell’assegno sociale resta il reddito: tra i redditi utili a determinare la  soglia limite devono essere computati anche i redditi esenti, come le rendite dell’Inail e le pensioni erogate agli invalidi civili.

Non devono essere contate ai fini del limite di reddito, invece, le seguenti voci:

  • Tfr (il trattamento di fine rapporto, in parole povere la liquidazione) e le relative anticipazioni; sono escluse dal computo anche le altre indennità di fine rapporto, comunque denominate, come il Tfs (trattamento di fine servizio) o l’Ips (indennità premio di servizio);
  • reddito dell’abitazione principale;
  • arretrati da lavoro dipendente soggetti a tassazione separata, compresi gli arretrati per attività prestata all’estero;
  • indennità di accompagnamento per invalidi civili, ciechi civili (in generale, sono escluse le indennità di accompagnamento di ogni tipo), indennità di comunicazione per i sordi, assegni per l’assistenza personale e continuativa erogati dall’Inps ai pensionati per inabilità;
  • assegni conferiti dall’Inail per l’assistenza personale continuativa, nelle ipotesi di invalidità permanente assoluta;
  • vitalizi per gli ex combattenti della guerra 1915/1918.

Deve essere considerata solo parzialmente tra i redditi, inoltre, la pensione liquidata col calcolo contributivo, a carico di enti previdenziali, sia pubblici che privati, che gestiscono forme di previdenza obbligatorie.

In particolare, il trattamento integralmente contributivo è escluso dalla somma dei redditi nella misura corrispondente al suo terzo, e comunque non oltre 1/3 dell’ammontare dell’assegno sociale.

Quali redditi rilevano per il diritto alla pensione di cittadinanza?

Per il diritto alla pensione di cittadinanza sono stabiliti i seguenti requisiti di reddito e patrimoniali:

  • pensione al di sotto di 780 euro mensili (parametro di riferimento per la soglia di povertà, considerando un nucleo familiare con un solo componente),
  • possesso della casa di abitazione e di un altro immobile, di valore non superiore a 30mila euro;
  • reddito Isee del nucleo inferiore a una determinata soglia, pari a 9360 euro;
  • possesspH3ӣU pH3ӣU  հӣU З0ӣU ؈3ӣU H3ӣU @ H3ӣU a 10mila euro.

A quanto ammonta l’assegno sociale?

L’assegno sociale per il 2018 è pari a 453 euro, ed è erogato, come la pensione, per 13 mensilità: pertanto, la sua misura annuale è pari a 5.889 euro. Per il 2019, è pari a 457,99 euro mensili, 5.953,87 euro annui.

L’assegno sociale può spettare in misura intera o ridotta, a seconda del reddito posseduto. In particolare:

  • ai beneficiari non coniugati privi di reddito, spetta in misura intera;
  • ai beneficiari coniugati privi di reddito, spetta in misura intera;
  • ai non coniugati con reddito sino a 5.953,87 euro annui, spetta in misura ridotta;
  • ai coniugati con reddito sino a 11.907,74 euro annui, spetta in misura ridotta.

A quanto ammonta l’assegno sociale 2019?

L’assegno sociale per il 2019, in base alla rivalutazione dell’1,1%, èpari a 457,99 euro; la sua misura annuale è pari a 5.953,87 euro. Gli importi sono stati recentemente confermati ufficialmente dall’Inps [5].

L’assegno sociale può spettare in misura intera o ridotta, a seconda del reddito posseduto. In particolare, per il 2019:

  • ai beneficiari non coniugati privi di reddito, spetta in misura intera;
  • ai beneficiari coniugati privi di reddito, spetta in misura intera;
  • ai non coniugati con reddito sino a 5.953,87 euro annui, spetta in misura ridotta;
  • ai coniugati con reddito sino a 11.907,74 euro annui, spetta in misura ridotta.

I valori sono stimati in base alla rivalutazione delle pensioni, ma devono ancora essere confermati dall’Inps.

Come si calcola la riduzione dell’assegno sociale?

La riduzione dell’assegno sociale opera in modo che questa prestazione, sommata al reddito del pensionato, non determini il superamento dell’importo massimo annuale (differente, come abbiamo visto, per i beneficiari coniugati e non coniugati).

In pratica, per determinare a quanto ammonta l’assegno mensile, si deve sottrarre il reddito annuo (proprio, o proprio e del coniuge, per gli sposati) dalla soglia limite, e dividere per 13. Facciamo alcuni esempi pratici:

  • Marco ha diritto all’assegno sociale, non è coniugato, e possiede redditi annui computabili per un totale di 3mila euro; per calcolare l’ammontare dell’assegno sociale mensile spettante nel 2018 dobbiamo effettuare queste operazioni: (5.953,87- 3mila)/13; Marco avrà dunque diritto a un assegno mensile pari a 227,22 euro;
  • Paolo ha diritto all’assegno sociale, è sposato; possiede redditi annui computabili per un totale di 3mila euro, mentre la moglie possiede redditi annui computabili per un totale di 5mila euro ; per calcolare l’ammontare dell’assegno sociale mensile spettante nel 2018 dobbiamo effettuare queste operazioni: (11.907,84 – 8mila)/13;  Paolo avrà dunque diritto a un assegno mensile pari a 300,59 euro.

Nel caso dei coniugati, se il risultato dell’espressione dovesse essere superiore all’ammontare dell’assegno sociale, si ha  comunque diritto al solo ammontare pieno dell’assegno (salvo quanto vedremo in merito alla maggiorazione sociale).

Assegno sociale ridotto e pensione di cittadinanza

Chi percepisce l’assegno sociale ridotto ha diritto all’integrazione della pensione di cittadinanza sino ad arrivare alla soglia di povertà, cioè a 780 euro mensili (soglia di riferimento per un single): in pratica, dall’ammontare della pensione di cittadinanza si deve togliere l’importo dell’assegno sociale ridotto e del reddito che ha determinato la riduzione.

Inoltre, la pensione di cittadinanza può essere decurtata in base ad ulteriori redditi posseduti, nonché sulla base del cosiddetto affitto imputato, pari a 300 euro mensili circa, per chi è proprietario della prima casa.

Occorrerà anche rispettare la soglia Isee stabilita per il nucleo familiare, pari a 9.360 euro, ed i limiti relativi al patrimonio immobiliare (prima casa, eventuale secondo immobile di valore non superiore a 30mila euro) e mobiliare (non oltre 10mila euro, per le famiglie con più figli, tra conti correnti, partecipazioni, titoli, depositi, carte prepagate…).

Se i requisiti minimi per il diritto alla pensione di cittadinanza non saranno rispettati, spetterà il solo assegno sociale ridotto, senza integrazioni.

Assegno sociale e pensione di cittadinanza

Lo stesso ragionamento vale per chi percepisce l’assegno sociale in misura piena: anche in questo caso si ha diritto all’integrazione della pensione di cittadinanza sino ad arrivare alla soglia di povertà, cioè a 780 euro mensili (soglia di riferimento per un single). Dall’ammontare della pensione di cittadinanza si deve togliere, però, l’importo dell’assegno sociale pieno.

Inoltre, la pensione di cittadinanza potrebbe essere comunque decurtata del cosiddetto affitto imputato, pari a 300 euro mensili, per chi è proprietario della prima casa.

Occorrerà anche rispettare le soglie Isee e di patrimonio immobiliare e mobiliare, come appena osservato.

Se i requisiti minimi per il diritto alla pensione di cittadinanza non saranno rispettati, spetterà in ogni caso l’assegno sociale pieno.

Assegno sociale per gli invalidi civili

Le persone con invalidità riconosciuta prima del compimento dei 67 anni di età (parametro di età valido dal 2019), che già percepiscono la pensione d’inabilità o l’assegno mensile, hanno diritto al compimento di 67 anni alla conversione dei trattamenti in assegno sociale.

L’assegno sociale sostitutivo, o derivante dall’invalidità civile, ha un importo pari a:

  • 72,98 euro mensili per gli invalidi civili parziali, con un limite di reddito personale pari a 4.848,74 euro annui; a determinate condizioni è possibile ottenere la maggiorazione base [2], pari a 85,01 euro mensili, e la maggiorazione ulteriore [3] dell’assegno sociale, pari a 12,92 euro mensili; inoltre, a partire dal 70° anno di età, è possibile ottenere l’incremento della maggiorazione, pari a 190,86 euro (valore 2018; il valore 2019 deve essere ancora confermato);
  • 372,98 euro mensili per gli invalidi civili totali, con un limite di reddito personale annuo pari a 16.847,67 euro;
  • a determinate condizioni è possibile ottenere la maggiorazione base [2] e la maggiorazione ulteriore [3] dell’assegno sociale; inoltre, a partire dal 70° anno di età, è possibile ottenere l’incremento della maggiorazione, pari a 190,86 euro.

I limiti di reddito dell’assegno sociale sostitutivo, però, sono diversi da quelli previsti per l’assegno sociale, in quanto devono applicarsi i limiti validi per i trattamenti di invalidità spettanti in precedenza; inoltre, devono essere considerati solamente i redditi personali, e non quelli del coniuge

Nel dettaglio, il limite di reddito per la pensione per gli invalidi civili totali è pari a 16.814,34 euro per il 2019, ed il limite per ricevere l’assegno spettante agli invalidi civili parziali è pari a 4.906,72 euro.

Assegno sociale sostitutivo e pensione di cittadinanza

Quanto osservato in merito all’integrazione dell’assegno sociale con la pensione di cittadinanza vale anche per chi percepisce l’assegno sociale per invalidi, o sostitutivo: anche in questo caso si ha diritto all’integrazione della pensione di cittadinanza sino ad arrivare alla soglia di povertà, cioè a 780 euro mensili (soglia di riferimento per un single). Dall’ammontare della pensione di cittadinanza si deve togliere, però, l’importo dell’assegno sociale sostitutivo.

Anche per chi percepisce l’assegno sociale sostitutivo, la pensione di cittadinanza potrebbe essere decurtata del cosiddetto affitto imputato, pari a 300 euro mensili, per chi è proprietario della prima casa.

Occorrerà, poi, rispettare le soglie Isee e patrimoniali che saranno stabilite.

Se i requisiti minimi per il diritto alla pensione di cittadinanza non saranno rispettati, spetterà in ogni caso l’assegno sociale sostitutivo.

Quando spetta la maggiorazione dell’assegno sociale?

L’importo dell’assegno sociale può essere aumentato, grazie a due diverse maggiorazioni:

  • maggiorazione pari a 12,92 euro mensili, spettante, dal 2001 [3], per tutti coloro che hanno un’età superiore ai 65 anni, ed un reddito inferiore a 6.056,96 euro, se non sposati, o inferiore a 12.653,42 euro, se coniugati (valori 2018: dal 2019 dovrebbero essere aumentati dell’1,1%);
  • maggiorazione pari a 190,86 euro, spettante, dal 2002 [4], per i pensionati con almeno 70 di età, per i pensionati con reddito sino a 8.370,18 euro, se non sposati, o sino a 14.259,18 euro, se coniugati (valori 2018); questa maggiorazione può competere anche ai minori di 70 anni che hanno versato un determinato ammontare di contributi: in particolare, la riduzione di età si calcola in ragione di 1 anno ogni 5 anni di contribuzione versata (ad esempio, se l’interessato possiede 10 anni di contributi, può accedere alla maggiorazione a 68 anni di età).

La maggiorazione e l’incremento possono essere concessi in misura ridotta fino a concorrenza dei limiti di reddito.

Sono esclusi dal computo i seguenti redditi:

  • trattamenti di famiglia;
  • indennità ed assegni di accompagnamento e di assistenza;
  • pensioni di guerra;
  • indennizzi risarcitori per i danni subiti da trasfusioni e vaccinazioni;
  • reddito dell’abitazione principale.

Assegno sociale con maggiorazioni e pensione di cittadinanza

Quanto osservato in merito all’integrazione dell’assegno sociale con la pensione di cittadinanza vale anche per chi percepisce l’assegno sociale con maggiorazioni, in misura piena o ridotta: anche in questo caso si ha diritto all’integrazione della pensione di cittadinanza sino ad arrivare alla soglia di povertà, cioè a 780 euro mensili (soglia di riferimento per un single). Dall’ammontare della pensione di cittadinanza si deve togliere, però, l’importo dell’assegno sociale con le maggiorazioni, spettanti in misura piena o ridotta.

Anche per chi percepisce l’assegno sociale con maggiorazioni la pensione di cittadinanza potrebbe essere decurtata del cosiddetto affitto imputato, pari a 300 euro mensili, per chi è proprietario della prima casa.

Occorrerà, poi, rispettare le soglie Isee e patrimoniali che saranno stabilite.

Se i requisiti minimi per il diritto alla pensione di cittadinanza non saranno rispettati, spetterà in ogni caso l’assegno sociale con maggiorazioni, in misura piena o ridotta.

Come fare domanda di assegno sociale?

L’assegno sociale può essere richiesto utilizzando le seguenti modalità:

  • tramite il portale web dell’Inps, se il beneficiario è in possesso del Pin per l’accesso ai servizi telematici, accedendo all’area Servizi per il cittadino;
  • tramite contact center dell’inps, chiamando il numero 803.164;
  • tramite patronato o intermediari dell’Istituto.

Alla domanda devono essere allegati:

  • l’autocertificazione dei dati personali;
  • la dichiarazione della situazione reddituale;
  • la dichiarazione di responsabilità, riguardo eventuali ricoveri presso strutture sanitarie, con retta a carico dello Stato (in questi casi, difatti, l’assegno sociale è ridotto dell’80%, se la retta è a totale carico dello Stato, oppure del 25%, se la retta versata dal beneficiario o dai familiari è di un importo inferiore alla metà dell’assegno sociale).

Come fare domanda di pensione di cittadinanza?

Ad oggi si sa ancora con quali modalità dovrà essere richiesta la pensione di cittadinanza: in base a quanto reso noto, dovrebbe essere riconosciuta con una carta acquisti, simile alla Carta Rei e alla vecchia Social card.

Quando è pagato l’assegno sociale?

L’assegno  decorre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Nel caso in cui la domanda sia rigettata, l’interessato può presentare ricorso amministrativo al Comitato provinciale dell’Inps,  entro 90 giorni dalla data di ricezione della comunicazione del diniego.

note

[1] D.L. 201/2011.

[2] Art. 67 L. 448/1998; Art.52 L.488/1999.

[3] Art. 70, Co.1, L. 388/2000.

[4] Art. 38, L. 448/2001.

[5] Inps circ. n. 122/2018.

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Reddito di cittadinanza più alto per chi ha il mutuo

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Chi è proprietario della prima casa non sarà eccessivamente penalizzato nel riconoscimento del reddito di cittadinanza: in base alle ultime formulazioni della normativa in materia, difatti, gli aventi diritto al reddito che pagano il mutuo per l’acquisto dell’abitazione avranno diritto a un’integrazione del sussidio.

L’integrazione, secondo quanto reso noto, sarà pari a 150 euro al mese, entro il tetto massimo dei 780 euro mensili riconosciuti col reddito di cittadinanza: in parole semplici, l’integrazione non fa crescere l’assegno, che può ammontare sino a 780 euro mensili a persona, ma evita che la penalizzazione per chi è proprietario della prima casa diminuisca eccessivamente il sussidio spettante. Questo, perché chi, essendo proprietario, non paga l’affitto, subisce un taglio del reddito di 280 euro mensili.

Tirando le somme, se sei proprietario della prima casa e paghi il mutuo, subisci una decurtazione del reddito di cittadinanza di 280 euro, ma hai anche diritto a un’integrazione di 150 euro: il tuo assegno mensile, quindi, perde solo 130 euro anziché 280, perché si considera la spesa che il mutuo comporta. Pertanto, il reddito di cittadinanza è più alto per chi ha il mutuo.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è un contributo economico riconosciuto ogni mese, su cui non sono dovute imposte, accreditato a chi ha un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore.

Perché l’interessato abbia diritto al reddito di cittadinanza, poi, il reddito Isee della famiglia (cioè l’indice che “misura la ricchezza del nucleo familiare”) richiesto per il diritto al sussidio deve ammontare, in base a quanto reso noto sinora, a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti aggiuntivi legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

Il reddito dovrebbe essere liquidato con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze e l’acquisto di beni di prima necessità.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare a 780 euro, con riferimento a un nucleo familiare di una sola persona: per ogni adulto disoccupato del nucleo il reddito dovrebbe aumentare del 40%, per ogni figlio minore del 20%.

Per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non può comunque superare i 500 euro mensili.

Il reddito di cittadinanza sarà esente dalle imposte e non pignorabile.

Come funziona il reddito di cittadinanza per chi è proprietario della casa?

Il reddito di cittadinanza sarà ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento pari a 280 euro mensili, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, però, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro. In pratica, se si è proprietari della prima casa, ma si paga il mutuo, il reddito non subisce un taglio di 280 euro al mese, ma di 130.

Chi possiede un secondo immobile ha diritto al reddito, ma solo se il suo valore non supera i 30mila euro.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Dal 2019, in base a quanto reso noto, possono chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano una delle seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato);
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro; sarà dunque essere richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito di cittadinanza;
  • possiedono al massimo due immobili, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) inferiore a 10mila euro (se la famiglia è numerosa, diversamente il limite è più basso: si parte da 6mila euro per un single).

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non potrà superare i 500 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Se ci si rifiuta di lavorare per timore di perdere il reddito si commette una sciocchezza: al terzo rifiuto di un’offerta di lavoro equa, difatti, si decade dal reddito di cittadinanza.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

L’importo mensile del reddito di cittadinanza, come avviene ora per il Rei, sarà ridotto in corrispondenza al valore mensile di eventuali prestazioni di assistenza di cui fruiscono uno o più componenti del nucleo familiare. In particolare, le prestazioni saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili per ogni familiare del nucleo, con un tetto massimo d’integrazione pari a 500 euro al mese.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dalle attuali proposte, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire 8 ore alla settimana di lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare, al terzo rifiuto perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro, firmando un apposito patto;
  • iniziare un percorso, seguiti da un tutor, per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività (l’impegno lavorativo richiesto è di 8 ore settimanali);
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale, che per il disoccupato sono gratis;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro per almeno 2 ore al giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori equi che verranno offerti.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Per ottenere la pensione di cittadinanza, cioè il reddito di cittadinanza riconosciuto ai pensionati, non sarà necessario lavorare, in quanto il sussidio, che incrementerà l’integrazione al trattamento minimo e le maggiorazioni, è destinato a persone non più in età lavorativa.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo tre proposte lavorative eque (come saranno definite dal decreto in materia) nell’arco di due anni.

Ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dell’anno solare. Superati questi limiti, perde il sussidio.

Chi viene assunto e percepisce il reddito di cittadinanza porta in dote al datore di lavoro uno sgravio contributivo sino a 18 mesi.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

In base a quanto annunciato dal Governo, il reddito di cittadinanza partirà dal 1° aprile 2019.

Il reddito sarà riconosciuto con una carta acquisti, emessa da Poste Italiane, che consentirà solo l’acquisto di beni di prima necessità e il pagamento delle utenze: le modalità per il rilascio non sono state ancora rese note, ma è probabile che saranno simili a quelle relative alla carta Rei.

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Reddito di cittadinanza 2019

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Nel 2019 sarà finalmente operativo il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese, ma sarà riconosciuto in due fasi: inizialmente, sotto forma di pensione minima di cittadinanza, cioè d’integrazione di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà. Completata la riforma dei centri per l’impiego, verrà poi riconosciuto il reddito di cittadinanza a tutti i cittadini che si trovano sotto la soglia di povertà. È quanto recentemente annunciato dal nuovo Governo, che inserirà il reddito di cittadinanza tra gli interventi previsti successivamente all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019.

Ai cittadini, in cambio del sussidio mensile sino a 780 euro, si richiederà però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza.

Il sussidio sarà sicuramente più incisivo rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, dato che quest’ultima misura, attualmente vigente, offre un reddito massimo di quasi 540 euro mensili, per una famiglia di 5 e più persone (gli importi sono inferiori per i nuclei familiari di meno componenti, si parte da un minimo di circa 190 euro al mese); richiede tuttavia un impegno notevole in termini di risorse da stanziare.

La riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto afferma il Governo, dovrebbe però trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati, aspetto in cui gli attuali strumenti previsti in abbinamento al Rei si sono rivelati poco efficaci.

Resta comunque il problema delle risorse necessarie per la pensione minima di cittadinanza da 780 euro, che diventerebbe una misura strutturale, non essendo possibile chiedere ai pensionati di cercare lavoro per aumentare il reddito: le risorse necessarie potrebbero essere ad ogni modo sostenibili, con la riduzione del sussidio per chi non paga l’affitto e grazie alla previsione dei limiti di reddito Isee e dei limiti patrimoniali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza 2019: come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore.

L’indicatore Isee della famiglia (si tratta, in pratica, di un indice che “misura la ricchezza delle famiglie”) richiesto per il diritto al sussidio dovrebbe ammontare, in base a quanto reso noto sinora, a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

La prestazione dovrebbe essere erogata con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze e l’acquisto di beni di prima necessità.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. Nello specifico, tutte le pensioni dovrebbero essere integrate sino a 780 euro mensili, se si possiedono i requisiti economici richiesti. L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 507,42 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere assorbite dalla pensione di cittadinanza per chi ne ha i requisiti.

Non si sa se anche la pensione di cittadinanza sarà erogata su carta acquisti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare a 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non può superare i 500 euro mensili.

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo dovrebbe aumentare del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento pari a 280 euro mensili, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, però, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza, che dovrebbe interessare una platea di 9 milioni di italiani, sarà comunque esentasse e non pignorabile.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano una delle seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato);
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono al massimo due immobili, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) inferiore a 10mila euro (se la famiglia è numerosa, diversamente il limite è più basso).

Sarà dunque essere richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non potrà superare i 500 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

L’importo mensile del reddito di cittadinanza, come avviene ora per il Rei, sarà ridotto in corrispondenza al valore mensile di eventuali prestazioni di assistenza di cui fruiscono uno o più componenti del nucleo familiare. In particolare, le prestazioni saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili per ogni familiare del nucleo, con un tetto massimo d’integrazione pari a 500 euro al mese..

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dalle attuali proposte, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire 8 ore alla settimana di lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività (come abbiamo osservato, l’impegno lavorativo richiesto è di 8 ore settimanali);
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro per almeno 2 ore al giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori che verranno offerti.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto funzionerà in modo analogo all’attuale integrazione al trattamento minimo ed alle maggiorazioni.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo tre proposte lavorative eque (come saranno definite dal decreto in materia) nell’arco di due anni. Ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dell’anno solare. Superati questi limiti, perde la somma.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

In base a quanto annunciato dal Governo, le nuove misure partiranno dal 1° aprile 2019.

Il reddito sarà riconosciuto con una carta acquisti, emessa da Poste Italiane, che consentirà solo l’acquisto di beni di prima necessità e il pagamento delle utenze.

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Posto macchina condominiale: sentenze

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Il problema dell’utilizzo degli spazi comuni destinati a parcheggio si pone ovviamente quando l’area non è sufficiente a ospitare tutte le auto dei condomini. In questo caso, l’assemblea può decidere di regolamentarne l’uso, attraverso un sistema rotatorio: in pratica, viene fissato un ordine di utilizzo dei parcheggi e un termine assegnato a ciascuno dei comproprietari. L’assemblea decide i turni nel parcheggio con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno la metà dei millesimi. 

In assenza di delibera, chiaramente, varrà il principio del “chi prima arriva meglio alloggia”. Ma poiché è diritto di tutti i condomini usufruire degli spazi comuni, qualora l’assemblea non provveda in merito alla fissazione dei turni, il dissenziente potrebbe agire in tribunale affinché sia il giudice ad ordinare tale ripartizione temporale nell’uso dei parcheggi.

In alternativa all’uso turnario è anche possibile l’«uso indiretto» (per esempio dando in locazione i parcheggi ad estranei oppure a qualcuno dei condomini e ripartendo poi il canone ricavato fra gli altri condomini che non ne usufruiscono).

Chi paga di più usa per più tempo il parcheggio?

Con una recente ordinanza la cassazione [1] ha detto sì a una turnazione ove il tempo di utilizzo per ciascun condomino è parametrato ai suoi millesimi. Chi ha più millesimi, quindi, può usufruire per più giorni del parcheggio in quanto, del resto, paga di più degli altri.

Se uno dei condomini è assente si può usare il suo posto auto?

Secondo la Cassazione [2], una volta che l’assemblea abbia deciso l’uso rotatorio dei posti auto, se il legittimo assegnatario è assente nel periodo di sua competenza (ad esempio è in vacanza), gli altri condomini non possono usufruirne al posto suo.  

Uso esclusivo del parcheggio: ci vuole l’unanimità

Secondo la Cassazione [3], l‘assemblea di condominio non può assegnare, in via esclusiva e a tempo indeterminato, uno o più posti auto a determinati condomini a meno che non lo faccia all’unanimità. Si tratta infatti di un bene comune la cui disponibilità non può essere sottratta agli altri condomini.

Posto auto per chi ha fuoristrada e suv

Se uno condomino possiede una macchina più grande degli altri (ad esempio un suf, un camper, un fuoristrada) che non entra nel posto assegnato non ha diritto a ottenere uno spazio più ampio per il proprio parcheggio, poiché l’acquisto di un’autovettura è un atto di libera scelta [4].

Si può vendere un appartamento riservandosi il parcheggio?

La Cassazione [5] ha escluso la possibilità, per un condomino, di vendere un appartamento riservandosi però la titolarità dell’uso del relativo posto auto. La legge [6] prescrive infatti un vincolo di destinazione inviolabile tra spazi destinati a parcheggio e cubatura totale dell’edificio, determinando pertanto un diritto reale d’uso sugli spazi predetti in favore di tutti i condomini. 

Allorché in un fabbricato condominiale di nuova costruzione e nelle relative aree di pertinenza il godimento dello spazio per parcheggio non sia stato assicurato in favore del singolo condomino, essendovi un titolo contrattuale che attribuisca ad altri la proprietà dello spazio stesso, si ha nullità di tale contratto, nella parte in cui sia omessa tale inderogabile destinazione, con integrazione automatica del contratto tramite riconoscimento di un diritto reale di uso di detto spazio in favore del condomino. Così, la clausola che riserva al venditore la proprietà esclusiva dell’area o di parte dell’area destinata a parcheggio viene automaticamente sostituita di diritto con la norma imperativa che sancisce il proporzionale trasferimento del diritto d’uso a favore dell’acquirente di unità immobiliari comprese nell’edificio. 

Si può lasciare l’auto per molto tempo parcheggiata nel cortile?

Secondo la Cassazione [7], non è legittimo il parcheggio di un’autovettura nel cortile condominiale per un lungo periodo di tempo: tale comportamento integra, infatti, un’occupazione abusiva dello spazio comune in quanto impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo. 

In tema di uso della cosa comune, ove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei condomini della cosa comune in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri partecipanti, è risarcibile il danno patrimoniale per lucro interrotto e per lucro impedito nel suo potenziale esplicarsi. Non è invece configurabile un danno non patrimoniale, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, e, pertanto, tale danno, per essere risarcito, deve essere rigorosamente provato (principio affermato relativamente ad autovettura lasciata in sosta per oltre un anno davanti alla rampa di accesso a garage condominiale).

Che fare se i condomini non si mettono d’accordo sulla divisione dei posti?

In questi casi è il giudice ad assegnare i posti auto alle parti sulla base della consulenza tecnica d’ufficio (CTU). Secondo la Cassazione [8] quando manca la delibera dell’assemblea o l’accordo fra i condomini, la regolamentazione ben può essere domandata al giudice, il quale ha senz’altro la facoltà di disporla. E ciò perché l’assegnazione individuale dei posti auto serve soltanto a rendere più ordinato e razionale l’uso paritario della cosa comune senza determinare la divisione del bene (né un diritto reale non previsto dal codice).

In materia di parcheggio nell’area comune condominiale e dunque in relazione al pari uso della cosa comune, il giudice, solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui non vi sia accordo sull’utilizzo del bene, può essere chiamato a decidere sull’assegnazione degli spazi comuni, anche in modalità turnaria, con criterio a rotazione laddove lo spazio sia insufficiente ad ospitare contemporaneamente le autovetture di tutti.

È furto in abitazione quello avvenuto in un parcheggio condominiale

Sussiste l’ipotesi di reato di furto in abitazione se questo avviene all’interno di un parcheggio condominiale, atteso che lo spazio condominiale destinato a parcheggio costituisce pertinenza dell’abitazione posta all’interno dello stabile condominiale (fattispecie relativa ad un furto avvenuto  all’interno di un furgone, lasciato in sosta nel parcheggio condominiale) [9]

Usucapione del parcheggio

Non basta l’uso per 20 anni dello stesso posto auto per far scattare l’usucapione. È anche necessario un atto volto a impedire il pari uso agli altri condomini come la fissazione di una transenna o una catena. I continui litigi tra i condomini in merito all’utilizzo di posti auto in comproprietà escludono il carattere pacifico della relazione tra uno dei condomini ed il parcheggio di cui egli rivendica l’acquisizione della proprietà esclusiva per usucapione [10].

La delibera su nuovi parcheggi in cortile non può escludere alcuni condomini dall’assegnazione

L’assemblea di condominio può decidere di realizzare dei posti auto nel cortile condominiale; l’assemblea, però, non può escludere alcuni condòmini da tale assegnazione [11].

Nullità della delibera assembleare che disponga l’assegnazione individuale ad uso esclusivo di parti dell’area di uso comune

La delibera assembleare che disponga la delimitazione di posti auto nel cortile comune in numero corrispondente alle unità immobiliari ad uso abitativo escludendo i titolari dei locali commerciali e consentendo a chi desideri di realizzare una copertura a proprie spese è nulla in quanto costituisce assegnazione individuale ad uso esclusivo di parti dell’area di uso comune e ne impedisce l’uso e il godimento da parte di altri condomini [11].

L’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito di posti macchina all’interno di un’area condominiale è illegittima

L’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti macchina all’interno di un’area condominiale è illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune. Detta assegnazione è lesiva di un uso e godimento paritario del bene, apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio [12].

Nel momento della costituzione del condominio, con il conseguente trasferimento a singoli acquirenti di piani o porzioni di piano, viene meno la disponibilità separata delle parti comuni. E’ possibile disporre, in materia di utilizzo delle stesse, con regolamento condominiale, a condizione che, ad ogni condomino, sia garantito il diritto al loro pari uso (fattispecie relativa alla rotazione dell’utilizzo dei posti auto, collocati all’interno del cortile di un complesso condominiale) [13].

note

[1] Cass. ord. n. 26630/2018 del 22.10.2018.

[2] Cass. sent. n. 12485/2012.

[3] Cass. sent. n. 11034/2016 del 27.06.2016.

[4] Cass. sent. n. 15203/2011. 

[5] Cass. sent. n. 19649/2017, n. 4733/2015; Cass. civ., 23/01/2006, n. 1221;Cass. civ., 16/01/2008, n. 730; Cass. civ., 14/07/2011, n. 15509; Cass. civ., 27/12/2011, n. 28950.

[6] L. n. 1152 del 1942, art. 41 sexies.

[7] Cass. sent. n. 3640/2004, n. 17460/2018.

[8] Cass. sent. n. 23118/15 del 12.11.15.

[9] Cass. sent. n. 45216/2018.

[10] Cass. sent. n. 769/2017.

[11] Cass. sent. n. 23660/2016.

[12] Cassazione civile sez. II, 27/05/2016, n.11034

[13] Cassazione civile sez. II, 26/01/2016, n.1421.

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Piano per il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni della Campania

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20/12/2018 – Si è conclusa la manifestazione di interesse per l’adesione dei Comuni e degli Enti locali al Piano per il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni della Campania (decreto dirigenziale n. 194/2018).

Dopo la sottoscrizione dei relativi accordi di collaborazione con la Regione Campania, ogni singolo Ente comunicherà al Formez il proprio fabbisogno di personale necessario all’avvio delle procedure selettive per il corso-concorso.

Scarica l’elenco degli Enti che hanno già manifestato la volontà di aderire
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19/10/2018 – In data 18 ottobre è stata pubblicata la Manifestazione d’interesse all’iniziativa regionale “Piano per il lavoro nelle pubbliche amministrazioni della Campania”, destinata agli Enti locali della Campania (Decreto Dirigenziale n. 194 del 17/10/2018).

Gli Enti locali che intendano aderire alla Manifestazione d’interesse dovranno far pervenire, entro 60 giorni dalla sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania(BURC numero 76 del 18/10/2018), apposita nota di trasmissione, a firma del legale rappresentante, dell’atto deliberativo contenente la manifestazione di volontà all’adesione alla procedura assentita con le richiamate Delibere Giuntali nn. 444/2018 e 625/2018 e la contestuale approvazione dell’Accordo di collaborazione ai sensi dell’art. 15 della legge n. 241/90 secondo lo schema allegato alla presente ai fini della conseguente sottoscrizione. 

È qui disponibile un modello di Deliberazione di Giunta Comunale di approvazione dell’Accordo di collaborazione richiamato nella suddetta Manifestazione. In particolare, l’Accordo di cui trattasi, impegnerà il Comune a:

  • Effettuare l’analisi del fabbisogno di personale per il triennio 2018-2020, con il supporto del sistema informativo messo a disposizione da Formez-Pa, entro 30 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo de quo;
  • Individuare, con il supporto del medesimo sistema informativo, le unità di personale reclutabili a tempo indeterminato ed a tempo determinato, nel triennio 2018-2020, nei profili di interesse del progetto RIPAM Campania;
  • Verificare la sussistenza delle condizioni per l’assunzione delle unità di personale di cui al punto precedente, quale requisito per poter deliberare l’adesione al progetto RIPAM Campania ed esercitare espressa delega alla Commissione interministeriale RIPAM;
  • Far svolgere, presso le proprie sedi, ai candidati selezionati attraverso il progetto RIPAM il periodo di formazione on the job, garantendo ogni supporto necessario e la collaborazione alla valutazione finale del percorso formativo.

Un’apposita task force è costituita per garantire supporto tecnico – operativo finalizzato all’adesione all’iniziativa e alla conseguente sottoscrizione dell’Accordo di collaborazione. Contatti:

Documenti:

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10/10/2018 – Parte il progetto “RIPAM – Concorso unico territoriale per le Amministrazioni della Regione Campania“, il cosiddetto “Piano per il Lavoro” (Delibera di Giunta regionale n. 625 del 09/10/2018).

La finalità è favorire il potenziamento delle capacità istituzionali ed amministrative delle pubbliche amministrazioni locali della Campania, attraverso il reclutamento di personale di area D e C (diversi profili) da impegnare nell’amministrazione regionale e negli Enti locali aderenti al progetto.

L’obiettivo specifico è selezionare, formare e qualificare, con le modalità del concorso-corso, 10.000 potenziali dipendenti pubblici da immettere negli organici della Regione Campania e delle amministrazioni locali della Campania a copertura delle posizioni già vacanti e di quelle che si libereranno per i numerosi pensionamenti previsti nel prossimo triennio. L’iniziativa, oltre a garantire un turn over efficace ed efficiente, contribuirà ad innalzare la qualità dei dipendenti pubblici che operano negli Enti Locali campani attraverso la progressiva immissione in ruolo di risorse capaci, specificamente selezionate e formate sulle competenze necessarie a supportare processi di sviluppo locale sostenibile coerenti con gli obiettivi comunitari e nazionali.

Descrizione delle fasi progettuali

Per l’avvio delle attività si prevede il coinvolgimento, da parte dell’Amministrazione regionale, della Commissione Interministeriale RIPAM, che sarà titolare della procedura e ne garantirà il corretto svolgimento. FormezPA supporterà la Commissione e l’Amministrazione regionale e assicurerà la realizzazione di tutte le attività.

Attività da realizzare nell’ambito della procedura di corso­concorso:

A) Ricognizione dei fabbisogni assunzionali della Regione Campania e degli Enti locali della Campania
La Regione Campania, con il supporto del FormezPA, provvederà ad individuare i propri fabbisogni assunzionali. Utilizzando i risultati della ricognizione dei fabbisogni sarà possibile quantificare il numero dei posti da mettere a bando per i singoli profili concorsuali.

B)  Realizzazione del Corso-concorso
Il Bando espliciterà in maniera comprensibile e coerente tutte le modalità di partecipazione, di selezione e di formazione. La fase concorsuale vera e propria sarà articolata nel modo seguente:

B.1 Preselezione
Prevedendo la partecipazione di un numero elevato di candidati, si renderà necessaria la realizzazione di una fase di preselezione, che sarà differenziata per i diversi profili messi a concorso. È prevista una prova attitudinale prevalentemente con test critico-verbali, logico-matematici e di abilità visiva che sarà superata da un numero congruo di candidati (il numero sarà definito dalla Commissione interministeriale anche tenendo conto dei posti che saranno messi a concorso).

B.2 Selezione
La fase di selezione si articolerà, per ognuno dei profili messi a concorso, in due prove scritte e una prova orale. La prima prova scritta si articolerà in test a risposta multipla relativi alle materie e/o ambiti disciplinari specifici del profilo concorsuale, all’accertamento delle conoscenze linguistiche e di informatica; la seconda prova scritta sarà volta ad accertare il possesso di competenze tecnico­professionali e prevedrà la risoluzione di quesiti a risposta sintetica. Tutti coloro che supereranno le prove scritte con un punteggio minimo di 21/30 o votazione equivalente, saranno ammessi alla fase di formazione e tirocinio. A conclusione della fase di selezione saranno stilate le diverse graduatorie (una per ogni profilo) definite sommando il punteggio delle prove scritte e il punteggio della prova orale, nonché quello della valutazione dell’attività di formazione e tirocinio.

B.3 Formazione e tirocinio
I candidati che avranno superato le prove scritte saranno assegnatari di una borsa di studio e saranno ammessi a frequentare un percorso formativo che si articolerà in attività didattica e tirocinio (le borse di studio saranno erogate direttamente dalla Regione Campania con modalità da specificare). La partecipazione al percorso formativo e al tirocinio è obbligatoria e costituirà titolo per essere ammessi alla prova finale.

I candidati selezionati parteciperanno alle iniziative attraverso account personalizzato e certificato e con il supporto di un servizio di tutoraggio continuo. La formazione sarà erogata prevalentemente in modalità MOOC (Massive Open Online Courses), anche in collaborazione con le Università del territorio, con contenuti coerenti con i profili messi a concorso.

Il percorso di accompagnamento formativo sarà strutturato in moduli comuni a tutti i profili e in moduli specialistici per ogni profilo. Tutte le attività formative saranno monitorate e facilitate da tutor e docenti esperti e potranno eventualmente dare diritto a crediti formativi. Il tirocinio, sarà svolto prevalentemente presso le amministrazioni di assegnazione e prevedrà, a conclusione, la predisposizione di un elaborato. Nell’ambito del percorso sono previsti incontri di verifica dei processi di apprendimento e le valutazioni finali. L’attività di formazione e tirocinio avrà una durata complessiva di 10 mesi.

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La portavove Mazzoni aggredita dal Sindaco

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LA NOTA DEL MOVIMENTO 5 STELLE. “Un vile e ingiustificato attacco del Sindaco di Aversa alla consigliera comunale Maria Grazia Mazzoni del movimento 5 stelle  sulla questione delle Commissioni permanenti di Consiglio Comunale.  Un attacco che denota una desolante e avvilente povertà del sindaco sul piano morale  prima che  politico. 

Il primo cittadino non trovando argomentazioni per replicare al provvedimento del Difensore Civico Regionale,  che tenta di riportare legalità in Consiglio Comunale in merito alla costituzione delle commissioni permanenti e in merito alla stesura del PEBA , stamattina  è entrato nell’aula della commissione trasparenza a cui la Mazzoni era stata invitata dall’opposizione a prendere parte  e si è lasciato andare in una aggressione verbale senza precedenti ma , soprattutto, immotivata  mortificando il rispetto umano prima che istituzionale . 

Offuscato dal suo nulla politico, che gli si sta ritorcendo contro, il Sindaco ha   ammesso che la decisione di restare fuori dalle commissioni è stata presa dalla Mazzoni, in quanto rifiutò ogni accordo preliminare sulla composizione di dette commissioni.  Ma chi nel percorso politico è abituato a compromessi pur di raggiungere un obiettivo ,certamente non comprende e non comprenderà le ragioni del rifiuto, di chi si batte per una politica del rispetto delle regole, di chi pretende ciò che le è dovuto, nulla di più, ma soprattutto nulla di meno .

“Mi ha accusato di voler prendere parte alle commissioni perché ho interessi da difendere”  un’accusa gravissima per i miei valori e miei ideali. Il mio unico e legittimo  interesse  è  quello di rappresentare  i circa 3000 cittadini Aversani che hanno scelto il movimento 5 stelle alle scorse amministrative e di ripristinare la legittimità costituzionale violata. Non è la prima volta che il Sindaco trascende e si lascia andare ad attacchi di ira difronte agli atti posti in essere dalla Consigliera Comunale del m5S, come quando all’indomani della presentazione del ricorso al difensore civico sulla  mancata adozione e approvazione del PEBA ha costretto l’assessore Carratù a buttar giù un comunicato stampa facendogli affermare circostanze assolutamente non vere come la paternità della istituzione del Garante dei diritti per la persona del disabile. Bene farebbe il Sindaco invece di inveire contro chi lo mette dinanzi al sua inconsistente  azione politica a prendere atto del fatto che il tempo delle promesse è finito. 

Aversa non merita la deriva verso cui sta andando. Aversa non merita un Sindaco che si compra titoli pur di apparire, facendo credere che la nostra città per suo merito è entrata nell’albo delle 100 mete del turismo d’Italia. Se cosi fosse il Sindaco avrebbe dovuto fare approvare la mozione sulla promozione turistica di Aversa proposta dalla consigliera Mazzoni e non rigettarla, in tal caso la nostra città avrebbe avuto il ruolo di capofila in un tavolo di concertazione della promozione turistica dell’Agro. 

Cosa Troveranno i turisti che giungeranno in città attraverso la guida delle 100 Mete d’Italia sul nostro territorio? In quale percorso di promozione dei valori dell’italianità saranno guidati? chi racconterà loro le bellezze dei nostri monumenti, la loro storia, le meraviglie dell’arte di cui siamo circondati. In quali percorsi di artigianalità saranno guidati e quali sono le aziende che hanno aderito al progetto? Quali i prodotti sono stati posti al centro dei percorsi del gusto? Chi offrirà loro la dovuta ospitalità? Il Sindaco invece di preoccuparsi delle scelte di voto della Mazzoni in Consiglio Comunale  tragga spunto dalle idee da questa promosse , tutte indirizzate al bene dei cittadini. La smetta il Sindaco di comportarsi da padrone della casa comunale  e di inveire contro chi non la pensa come lui. Il suo torni ad essere un servizio alla comunità e non agli amici degli amici. Pensi al PUC rimasto lettera morta, solo perché non si è trovato la quadra sulle ulteriori aggressioni al territorio. Pensi ad una città soffocata dal traffico e dallo smog, alla pessima qualità dell’aria che i cittadini aversani respirano come da fonti ARPAC, ad un commercio svilito per la mancanza di una seria programmazione. Pensi alla corretta gestione del patrimonio comunale, alle aree standard sottratte alla collettività , ai mancati servizi a supporto del Tribunale Metropolitano. Pensi al vergognoso dissesto delle strade aversane, ai soprusi che i cittadini e non subiscono dai parcheggiatori abusivi.

Pensi soprattutto alla raccolta differenziata scesa di 10 punti rispetto allo scorso anno. Pensi alle cose serie invece che accanirsi contro una consigliera di opposizione che ha cercato sempre di fare il suo dovere in modo leale, rispettando sempre ed in primis la sua figura di primo cittadino. Bene avrebbe fatto il Sindaco a chiedere scusa alla consigliera Mazzoni, invece di negare la vile aggressione. Negare di essere violento è tipico degli uomini che per nascondere la loro pochezza aggrediscono invece di proporre come le donne sono abituate a fare anche e soprattutto in politica. Una cosa è certa non basta una fascia tricolore a fare un Sindaco, ma soprattutto non basta un paio di pantaloni a fare un uomo”.

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Aversa: portavoce M5S “aggredita” dal Sindaco

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Sono ricorrenti, purtroppo, le aggressioni nei confronti dei portavoce al consiglio comunale del MoVimento 5 Stelle.

Ahimè, purtroppo, ancora più ricorrenti sono le aggressioni ai Portavoce donne al consiglio comunale del MoVimento 5 Stelle.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono

In primo luogo non penso sia accettabile e giustificabile qualunque tipo di aggressione, ancor di più all’interno di un luogo istituzionale, in questo caso la Casa Comunale, simbolo di Democrazia e di presenza dello Stato sul territorio.

Vivendo in un Paese Democratico comprendo la differenza di veduta nell’amministrare la Cosa Pubblica ma non comprendo e non tollero: le urla, gli stati d’animo agitati e soprattutto l’aggressione anche solo verbale, lasciando scosse le persone che rappresentano i cittadini nelle istituzioni. 
Ma cosa più importante, in secondo luogo, non capisco come ai nostri giorni, ancora ad essere prese particolarmente di mira siano sempre le Donne.

È intollerabile che all’interno delle istituzioni regni ancora questa forma di maschilismo.

È intollerabile una lotta a difesa dei diritti delle donne fatta solo ed esclusivamente a scopi propagandistici visto che nella realtà tali diritti non si rispettano.
È inammissibile che una Donna debba ancora tornare a casa particolarmente scossa solo perché un uomo si è permesso di urlare e provocare stati d’animo di tale agitazione.

Per questa ragione esprimo la massima solidarietà alla portavoce del Movimento 5 Stelle al Consiglio Comunale di Aversa, mia amica personale oltre che amica di battaglie comuni, Maria Grazia Mazzoni, in quanto amica, per il ruolo istituzionale che ricopre, ma soprattutto in quanto Donna.

Spero, infine, che tutto ciò sia da monito affinché episodi del genere non si ripetano mai più, che la Democrazia nella sua più alta forma regni nelle istituzioni locali e quindi si rispettino le Donne sia in quanto persone sia per il ruolo istituzionale che rivestono.
Maria Grazia ti abbraccio affettuosamente.

Nicola Grimaldi

#democrazia #rispetto per le #Donne #M5S

“La FIAT finanzia la FIGC! Ricordate quando la Juve perse l’ultimo scudetto?”

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Il noto scrittore napoletano mette in evidenza alcuni dati ed eventi che non lasciano spazio ad altre interpretazioni.

Angelo Forgione, giornalista e scrittore, attraverso i suoi profili social, evidenzia: “L’ultima volta in cui la Juventus ha perso lo scudetto facendosi rimontare è stato nel 2000, allorché a tre giornate dal termine aveva 5 punti di vantaggio sulla Lazio. I biancocelesti superarono i bianconeri all’ultima giornata, quella del famoso nubifragio di Perugia, dove la Juve perse partita e tricolore. Arbitro dell’incontro, Pierluigi #Collina, oggetto delle critiche juventine per aver atteso la fine del temporale e per non aver rinviato la prosecuzione dell’incontro.

Chi era più potente tra la Juventus e la Lazio? Ma la Lazio, certamente. Strano a dirsi ma è così. Gianni #Agnelli, di fronte al talmente anomalo potentato biancoceleste, alzò bandiera bianca: «Cragnotti può spendere cifre che noi non possiamo permetterci».

Il patron della Roma, Franco Sensi, per rincorrere i cugini e vincere lo scudetto successivo, indebitò fortemente il club, che ancora oggi sconta una zavorra bancaria, quantunque salvato dal fallimento. Come la #Lazio di Cragnotti, che crollò definitivamente nel 2004, piombando nel buco di bilancio che creò spendendo 800 miliardi di vecchie lire sul mercato in dieci anni di creatività finanziaria, pur di vincere in Italia e in Europa.

Restarono a contendersi il potere Juventus, Milan e Inter, e venne Calciopoli, il metodo solo parzialmente scoperchiato con cui le tre squadre condizionavano le designazioni arbitrali. Pagò unicamente la Juve, e il perché va ricercato nella scomparsa di Gianni Agnelli prima e di Umberto Agnelli poi. Per l’Inter nessun processo, anche se lo avrebbe meritato al pari dei torinesi. Lievi sanzioni sportive per il Milan, i cui dirigenti colloquiavano serenamente con l’arbitro Collina, il quale, avviato a fine carriera, firmò un contratto pubblicitario da 1 milione di euro con Opel, allora sponsor del Milan. Insomma, se Collina ammiccava a qualcuno lo faceva al Milan di #Berlusconi e #Galliani.

La bufera Calciopoli passò con l’euforia collettiva della vittoria del Mondiale in Germania, e la Juve tornò dalla Serie B alla A, ma sembrò non essere più la stessa con Giovanni Cobolli Gigli e Jean-Claud Blanc, uomini degli Elkann. Il club, in crisi di identità e risultati, tornò ad essere guidato da un Agnelli, Andrea, che ostentò la numerazione degli scudetti sul campo e minacciò tutto e tutti, compreso la FIGC, di un maxi-risarcimento danni di circa 444 milioni di euro per la diversità di trattamento tra Juventus e Inter. Fatto sta che tra i top sponsor della FIGC, improvvisamente, si inserì la FIAT, con un accordo di 12 milioni in 4 anni, in vista degli Europei del 2012 in Polonia e Ucraina e dei Mondiali del 2014 in Brasile, paesi dove la casa torinese aveva interessi rilevanti. E pazienza che il gruppo Exor, azionista di Fiat e Juventus, holding finanziaria della famiglia Agnelli capeggiata da John Elkann, con il cugino Andrea nel C.d.A., da una parte ritenesse la FIGC colpevole di un danno e dall’altra la finanziasse.

Tutto coincise col ritorno al vertice della Vecchia Signora, macchiato da forti polemiche sugli arbitri, pagati dalla FIGC, pagata dalla FIAT. Polemiche esplose soprattutto dopo un gol non assegnato al Milan nel match-scudetto del Meazza del febbraio 2012 terminato sul risultato di 1 a 1. Al 25° del primo tempo, sull’1 a 0 per i rossoneri, l’arbitro Tagliavento e il guardalinee Romagnoli avevano giudicato in campo un pallone di mezzo metro oltre la linea di porta nel momento in cui il portiere Buffon aveva ricacciato fuori un tiro di Muntari.

Quando il contratto FIGC-FIAT scadde scoppiarono improvvise polemiche, guarda un po’, tra John Elkann e il CT della Nazionale Antonio Conte, ex tecnico juventino, accusato di aver provocato danni fisici allo juventino Marchisio coi suoi metodi di allenamento. I veleni finirono, guarda un po’, non appena fu siglato il rinnovo del contratto di sponsorizzazione tra la FIGC e la FIAT. E niente più minacce di risarcimento danni alla Juventus ma solo la prosecuzione del più grande conflitto di interesse che potesse mai esserci. E ancor lo si tollera.

Juve padrona in Italia e Juve avvelenata in Europa, a Madrid, dove Andrea Agnelli, a 18 anni di distanza dal nubifragio di Perugia, ha chiesto la testa del nemico Pierluigi Collina, ora designatore arbitrale UEFA. Poi ci ha pensato Orsato a far tornare il sorriso in casa Agnelli e le polemiche, sempre le stesse”.

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