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Prima di spiegare i metodi di recupero crediti per le bollette non pagate e quali sono le conseguenze per l’utente è necessario un chiarimento. Le società fornitrici sono ormai sempre società private e non pubbliche amministrazioni. Sicché non c’è alcun rischio che l’utente possa ricevere una cartella esattoriale. Questo strumento è in mano solo all’agente della riscossione che, per i crediti erariali (ossia le imposte dovute allo Stato), è Agenzia Entrate Riscossione, mentre per i crediti locali (le imposte dovute a Regioni e Comuni) si tratta spesso di società private.
La cartella di pagamento, lo ricordiamo in via incidentale, racchiude in sé le caratteristiche di un titolo esecutivo e di un precetto: è come una sentenza di condanna e un ultimo avvertimento, contro cui tuttavia il debitore può presentare opposizione al giudice entro 60 giorni se si tratta di imposte, 30 se si tratta di sanzioni amministrative (come le multe stradali), 40 se si tratta di contributi previdenziali o assistenziali.
Bollette non pagate: la sospensione del servizio
Sicuramente la prima arma di autodifesa delle società della luce, del telefono e del gas è la sospensione del servizio. Tuttavia è necessario prima che l’utente sia stato diffidato con una raccomandata con la quale gli sia dato un termine per adempiere. La semplice indicazione dell’insoluto, riportata sulla bolletta successiva, non è quindi sufficiente.
Nel caso della bolletta elettrica, prima della materiale interruzione dell’utenza si procede con una riduzione graduale della potenza.
Se l’utente presenta una contestazione scritta contro la bolletta e, subito dopo, un ricorso online all’Autorità Garante (che oggi, per luce, acqua e gas è l’Area), l’utenza non può essergli sospesa prima della definitiva decisione del procedimento.
Chiaramente, chi è passato a diverso operatore non rischia alcun distacco, né la nuova società può subordinare l’attivazione del contratto al pagamento del debito residuo maturato con la società concorrente.
Bollette non pagate: la società di recupero crediti e i call center
Di solito, specie nel caso di telefonia, la riscossione degli importi insoluti viene affidata a società esterne di recupero crediti. Queste sono solite attivare dei contatti informali con l’utente a mezzo del telefono (tramite call center) o con lettere di sollecito spedite mediante posta ordinaria.
In teoria, dopo questo passaggio – che non è obbligatorio – il creditore potrebbe agire in tribunale per ottenere un decreto ingiuntivo. Ma non succede quasi mai, almeno per piccoli importi. In più, se l’utente ha sollevato delle contestazioni fondate, la società erogatrice non ha mai piacere di sottoporre le proprie pratiche commerciali o le clausole contrattuali all’autorità giudiziaria.
Si tenga peraltro conto che spesso le tecniche di conclusione del contratto non sono mai completamente trasparenti e limpide. Quando si tratta di offerte promosse dai call center, alla registrazione telefonica con la memorizzazione del consenso dell’utente, la società fornitrice deve far seguire la spedizione del contratto; senonché quest’ultimo viene inviato con posta semplice o email, senza pertanto che vi sia la prova dell’effettivo ricevimento del documento. Sicché l’utente potrebbe dire di non aver mai avuto copia delle condizioni generali e di non averle mai firmate. Questo imporrebbe alla società una prova contraria di difficile (se non impossibile) reperimento.
Bolletta non pagata: arriva l’ufficiale giudiziario e il pignoramento?
Le tecniche di “convincimento” che usano i call center per invogliare gli utenti a pagare subito si basano su affermazioni non sempre corrette e veritiere. Abbiamo a volte sentito gli utenti lamentarsi del fatto che sarebbe stato loro minacciato, da un impertinente operatore, l’arrivo dell’ufficiale giudiziario e il pignoramento dello stipendio. Nulla di vero. A differenza della cartella esattoriale, la bolletta non è un titolo esecutivo e non legittima quindi l’esecuzione forzata. Il creditore deve pertanto farsi prima autorizzare dal giudice con un ordine di pagamento, chiamato decreto ingiuntivo oppure avviare un vero e proprio giudizio.
Abbiamo anche assistito a metodi di recupero crediti che l’Antitrust ha definito illegali: la notifica di atti di citazione innanzi ad autorità giudiziarie incompetenti per territorio e lontani dal foro di residenza del consumatore (l’unico in realtà legittimato a decidere). Tanto al solo scopo di disincentivare l’utente dal difendersi e portarlo a pagare prima dell’udienza. In realtà, poi, alla notifica della citazione non seguiva mai l’iscrizione a ruolo del giudizio (adempimento quest’ultimo necessario per dar ufficialmente il via alla causa).
Peraltro, non c’è ragione, per la società fornitrice, di inviare una citazione ben potendo attivarsi con la richiesta di un decreto ingiuntivo, sicuramente più rapido. Il decreto ingiuntivo viene emesso senza la presenza della controparte, al solo deposito di una prova scritta come la bolletta.
Chi riceve un atto di citazione dovrebbe quindi, già solo per questo, diffidare. Quest’ultimo ha infatti un costo irrisorio (circa 12 euro per la notifica) tuttavia non dà inizio alla causa senza l’iscrizione a ruolo. Così vi si ricorre solo come stimolo, ma senza il proposito di avviare un giudizio (quasi sempre molto più costoso del credito da recuperare).
La prescrizione
Non dimentichiamo in ultimo che le società di recupero crediti devono fare sempre i conti con l’intervenuta prescrizione dei crediti. Prescrizione che è di cinque anni solo per le bollette del telefono mentre è di due anni per luce, acqua e gas. Peraltro le lettere di sollecito inviate con posta ordinaria non interrompono la prescrizione al contrario delle raccomandate.