Quali cartelle esattoriali non si pagano più?

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Ti è arrivato un sollecito di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e non sai come orientarti? Nel foglio con il dettaglio delle somme sono indicate diverse cartelle di pagamento insolute e alcune di queste risalgono a diversi anni fa, tanto da averne perso ormai memoria? È molto probabile che tu ti stia chiedendo ora quali cartelle esattoriali non si pagano più. Un dubbio più che legittimo: non è raro – anzi è la regola – che l’Esattore invii ai contribuenti, con un’unica intimazione di pagamento, la sintesi di tutte le imposte da questi dovute, anche quelle ormai cadute in prescrizione ma che nessun giudice ha mai cancellato. Un comportamento deprecabile: e questo perché non ci dovrebbe essere bisogno di un tribunale per eliminare dal totale ciò che non è dovuto. Tanto più se si tiene conto che l’ente della riscossione dovrebbe sapere quali cartelle sono fuori termine e non sono esigibili. Del resto, non si tratta di conti difficili: nella peggiore delle ipotesi, la prescrizione può arrivare a massimo dieci anni, proprio quanti le dita delle due mani. Mani che evidentemente il fisco sa usare quando deve prendere ma non quando deve contare la prescrizione.

Cartelle condonate

Prima di indicare l’elenco delle cartelle che, per causa del decorso del tempo, non si pagano più, ricordiamo che il Governo Conte ha condonato tutti i debiti iscritti a ruolo tra il 2000 e il 2010 di importo fino a mille euro. Questi non vanno pagati. La cancellazione dagli elenchi dell’Esattore avviene in automatico, senza richiesta del contribuente. Nella stessa cartella possono essere riportati anche più ruoli, per cui il totale della cartella può superare mille euro: l’importante è che il singolo tributo non sia maggiore di mille euro.

Del condono beneficiano tutti i contribuenti, ricchi e poveri. Il condono ovviamente riguarda sia le cartelle prescritte (che altrimenti non andrebbero comunque pagate) che quelle non prescritte.

Controlla l’estratto della cartella

Ogni cartella o intimazione di pagamento deve essere “motivata”, deve cioè contenere un dettaglio in cui sono indicati gli estremi delle imposte non versate (o che si assumono non essere state versate). Lì troverai alcuni dati utili ai fini che ci interessano in questa sede:

  • il tipo di tassa (Imu, Irpef, Iva, bollo, ecc.) e il relativo codice;,
  • l’anno a cui il tributo non versato si riferisce ed in cui andava pagato;
  • l’importo del tributo iscritto a ruolo;
  • gli oneri di riscossione e gli interessi
  • il numero di ruolo e la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo;
  • il nome dell’ente impositore (Agenzia Entrate, Comune, Regione, Inps, ecc.);
  • il responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo a cui rivolgerti.

Se invece hai ricevuto una intimazione di pagamento (quella con cui ti viene sollecitato un pagamento che avresti dovuto già fare entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale e che evidentemente non hai eseguito) troverai anche:

  • il numero della o delle cartella/e di pagamento non versate;
  • la data di notifica della stessa.

Se non riesci a trovare questi dati o hai perso la cartella puoi sempre chiedere un estratto di ruolo online o allo sportello in cui troverai tutti i dettagli che ti servono.

Ciò che ti interessa di più per stabilire quali cartelle non si pagano più è la data di riferimento dell’imposta o, nel caso di intimazione di pagamento, la data di notifica dell’ultima cartella.

Se questa data supera i termini che a breve vedremo, vuol dire che si è formata la prescrizione e che quindi non devi pagare nulla. Il tutto però a condizione che nel frattempo tu non abbia mai ricevuto una raccomandata con un sollecito, la quale avrebbe l’effetto di interrompere i termini e farli decorrere da capo.

Irpef

Se la cartella di pagamento indica che non hai pagato l’Irpef, non sono da pagare le somme che si riferiscono a più di 10 anni da quando hai ricevuto la cartella stessa. Se invece si tratta di una intimazione di pagamento, devono essere decorsi 10 anni dalla notifica della cartella.

Ci sono però molte recenti sentenze secondo cui il termine di prescrizione dell’Irpef è di 5 anni. Al momento la Cassazione non ha sposato questa tesi più favorevole al contribuente ma è verosimile che prima o poi si esprimerà sul punto.

Iva

Se la cartella dice che non hai pagato l’Iva e questa si riferisce ad arretrati di più di 10 anni fa non devi pagare. Stesso discorso per l’intimazione di pagamento che si riferisce a cartelle spedite più di 10 anni fa.

Imposta di bollo e di registro

Anche l’imposta di bollo e di registro si prescrivono in 10 anni. Pertanto, non sono da pagare tutte le cartelle che chiedono il pagamento per arretrati di almeno 11 anni fa.

Imu, Tasi e Tari

Le tre imposte collegate alla casa, ossia l’Imu, la Tasi e la Tari (l’imposta sui rifiuti) sono di competenza comunale e come tutte le imposte locali cadono in prescrizione dopo cinque anni. Pertanto, se ti è arrivata una cartella con l’Imu di sei anni fa o una intimazione di pagamento per una cartella a titolo di Tari che ti è stata notificata oltre cinque anni fa non sei tenuto a pagare.

Contributi previdenziali

Stesso discorso per i contributi previdenziali, quelli cioè dovuti a Inps e Inail. Anche qui la prescrizione è di cinque anni.

Multe stradali e sanzioni amministrative

Le multe stradali, come tutte le sanzioni amministrative, hanno un termine di prescrizione di cinque anni. Non vanno quindi pagate le cartelle notificate oltre questo termine.

Bollo auto

Chiude in bellezza la tassa automobilista. “In bellezza” perché è quella che si prescrive prima: solo tre anni a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla scadenza del tributo. Questo significa che del bollo non versato nel 2017 ti liberi solo il 31 dicembre 2020.

Cosa fare se la cartella non deve essere pagata

Se ti arriva una cartella per una tassa ormai prescritta o una intimazione di pagamento per cartelle notificate prima dei suddetti termini puoi rivolgerti al giudice competente e impugnarla per prescrizione. Verifica bene prima di non aver ricevuto, in precedenza, dei solleciti di pagamento che potrebbero aver interrotto la prescrizione.

In realtà se si tratta di una cartella di pagamento puoi chiederne la sospensione all’Agente della riscossione seguendo il meccanismo che ti abbiamo spiegato in Sospensione della cartella di pagamento. In questo caso, se non ricevi riposta entro 220 giorni la cartella si considera annullata.

Invece se hai nel cassetto da molti anni delle cartelle e, in questo periodo, alcune di queste si sono prescritte non puoi ricorrere al giudice perché il termine per farlo è di 60 giorni dalla loro notifica. Allora dovrai attendere un eventuale e successivo sollecito di pagamento e impugnare quest’ultimo. Se non ricevi nulla, tanto meglio per te.

FONTE

Calamite da frigo illegali

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Fin quando sono il souvenir di un viaggio, con l’icona di una cattedrale, di un monumento o di uno scorcio della città non c’è nulla da temere. Ma quando le calamite da frigo diventano la fedele riproduzione di un cibo, allora bisogna stare attenti. Già, perché con una sentenza a sorpresa – che cambierà d’oggi in poi l’aspetto dei nostri elettrodomestici – la Cassazione [1] ha detto che esistono calamite da frigo illegali.

La pronuncia parla chiaro: le calamite possono essere pericolose. Già, ma quali?

Non si tratta di una singola partita ritirata dal commercio perché ritenuta pericolosa (magari perché non a norma, difettosa o con colori che stingono). Né la Cassazione ha voluto fomentare la fake news sulle calamite da frigo cancerogene. Per capire quali sono le calamite da frigo illegali bisogna prima conoscere un reato di cui non tutti parlano. La legge [2] in particolare vieta la produzione, l’importazione, l’esportazione o la vendita di prodotti che, avendo un aspetto diverso da quello che sono in realtà, compromettono la sicurezza o la salute dei consumatori. Tali prodotti sono quelli che, pur non essendo alimentari, hanno forma, odore, aspetto, imballaggio, etichettatura, volume o dimensioni tali da far prevedere che i consumatori, soprattutto i bambini, li possano confondere con cibo e pertanto li portino alla bocca, li succhino o li ingeriscano con conseguente rischio di soffocamento, intossicazione, perforazione o ostruzione del tubo digerente.

Come dire: esistono le fake news ed esistono anche i fake food, il cibo finto.

Bene: proprio alla luce di ciò, la Cassazione ha giudicato illegali le calamite da frigo tanto perfette da risultare indistinguibili dai normali prodotti alimentari. Quindi banditi i magneti a forma di banana, ciambelle americane, muffin, macarons, caramelle, pancake, panini al prosciutto, pancarrè con nutella (già, perché le hanno fatte anche così e – almeno in foto – sembrano identiche all’originale), toast. E – aggiungiamo noi – lo stesso dicasi per numerose riproduzione di frutta finta fatta di cera o di plastica che, a quel punto, non potrebbe stare nei nostri centro tavola. Eppure c’è chi li vende.

Di certo, la polizia non può venire a casa di tutti gli italiani a sequestrare i fake food – anche perché, a tutto voler concedere – non è il consumatore ad essere responsabile per l’acquisto ma il produttore o il venditore di tali oggetti.

A questo punto veniamo al caso deciso dalla Cassazione.

Se le calamite raffiguranti alimenti sono troppo realistiche scatta per il commerciante l’incriminazione penale

Tutto nasce da un sopralluogo fatto a Palermo. La polizia passa davanti a un negozio cinese e trova esposte migliaia di calamite «raffiguranti prodotti alimentari di varia natura». La merce viene subito messa sotto sequestro. Per la donna scatta l’accusa di aver messo in vendita oggetti pericolosi sia per adulti che per bambini. Evidentemente gli agenti avranno scambiato il negozio cinese per un fruttivendolo e avranno provato ad addentare i magneti (e dire che c’è chi si diverte a raccontare le barzellette sui carabinieri).

I giudici, messi alle strette, hanno dovuto applicare la legge: e così è stato confermato il capo di imputazione. Visto che la legge c’è, va anche applicata. Secondo la sentenza in commento, il pericolo per i consumatori c’è, almeno alla luce delle caratteristiche delle calamite che per forma, odore, aspetto, imballaggio e dimensioni apparivano come veri alimenti.

Veniamo alle sanzioni: la legge prevede l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a 500mila euro, ma nel caso di specie l’imputata se l’è cavata solo con 700 euro.

La lezione da imparare è chiara per tutti: mai mettere in commercio prodotti con grosse potenzialità ingannatorie tali da simulare il cibo commestibile.

FONTE

[1] Cass. sent. n. 381/19 dell’8.01.2018.

[2] Art. 1 e 5 D.Lgs. 73/1992.