Chi è stato il peggior primo ministro della storia d’Italia?

Views: 9

Vi faccio la classifica!

In prima posizione metto il voltagabbana d’Italia (colui che ci voleva mandare nella Prima Guerra Mondiale per iniziare la rivoluzione comunista):

Mussolini: per le violenze, la soppressione delle libertà, le leggi razziali e per aver mandato a morire milioni di persone (e permesso la deportazione di migliaia di ebrei) e le imprese coloniale (con un sacco di crimini di guerra). E tutti i dati parlano chiaro l’Italia non ha prosperato molto (comparata con la Francia degli anni ’30, ad esempio), con una situazione economica al limite della miseria.

Poi il numero due è l’uomo dai mille segreti (di Pulcinella):

Andreotti: per i suoi rapporti con Cosa Nostra (fino al 1980), Gelli e la P2 e gli americani con la CIA (quello dei colpi di stato militari). Perché hanno impedito di processarlo decine di volte con votazioni in parlamento…

Sua Emittenza è il terzo:

Berlusconi: per aver pagato il pizzo alla mafia per i primi mesi della sua presidenza del consiglio (vuol dire che era minacciabile e controllabile, ricordo il governo ha il controllo sulla polizia, se non ha fatto nulla secondo voi che significa!!), per come ha ottenuto la villa di Arcore, per come ha costruito Milano 2, per le leggi vergogna, per come ha usato Mediaset per distruggere l’Italia.

Educazione civica Giappone vs Occidente

Views: 7

Il bambino che deve attraversare la strada.

Se devi attraversare la strada lo fai in corrispondenza delle piazzuole circolari con grafica gialla, nel caso in cui non sia previsto un semaforo.

Dopo aver occupato la piazzuola qualunque automobilista nota che sei giù dal marciapiede e vedendoti sul disco giallo, si fermano per lasciarti passare. Normalmente si dovrebbero fermare anche se non c’è il disco giallo, ma per evitare dubbi nel caso di comportamenti strambi dei bambini, hanno messo un cartello orizzontale in più.

A questo punto il bambino alza la mano per dichiarare le sue intenzioni, nel caso la segnaletica gialla sia poco visibile dal punto in cui si trova l’auto in arrivo o non esista affatto.

Solo dopo aver alzato la mano il bambino attraversa sulle strisce pedonali.

Ora sto pensando a questo bambino già adulto, e con un ruolo nella politica e immagino anche che la sua netiquette sia nettamente diversa da molti politici occidentali che possiedono un’autostima così alta che suscita goliardie strane, una di queste sarebbe bella in dialetto, ma… penso suoni bene anche in italiano: “Ha una faccia tira-schiaffi”.

Alcuni sono anche emeriti somari, e se sei in politica devi cercare di non essere mai nello stesso posto dove sono loro, di fronte a giornalisti, altrimenti il somaro ti fa da maestro.

Comunque è una ruota che gira, figli maleducati quando saranno grandi allevano figli maleducati che saranno prepotenti anche a scuola con fenomeni di bullismo frequenti.

Con i bambini non serve essere severi o cattivi, ma spiegare come stanno le cose, con fermezza se necessario. Solo così ottieni un adulto consapevole.

L’esempio che riporto è uno dei tanti perché è allo stesso tempo una regola stradale curiosa e penso poco nota.

Luciana Littizzetto ha risposto direttamente a Giorgia Meloni, che si è autoproclamata “non ricattabile”.

Views: 8

Cara Melons,

So che questa settimana ne hai già ricevuta una di letterina, quindi vengo da te in pace. Intanto non hai ricevuto un avviso di garanzia, ma una comunicazione di iscrizione al registro degli indagati. Che è come la prima convocazione a una riunione di condominio. Un atto dovuto. Se ti può consolare, nella tradizione dei premier italiani una indagine non si è mai negata a nessuno, quindi tranquillizzati, la magistratura non è contro di te: queste sono le regole.

Eppure tu nel tuo video sembri messa ai ceppi davanti a Torquemada.

Abbi pazienza, ma tu pensavi che liberare uno come Almasri, un libico torturatore, un assassino, uno contro cui il tribunale dell’Aja ha spiccato un un mandato di cattura per crimini contro l’umanità potesse passare inosservato?

Se tu adesso fossi all’opposizione, te ne staresti zitta?

No, non credo.

Ti trasformeresti in un razzo missile dai meloni di mille valvole.

Ti spunterebbero tre file di denti come Alien, le vene del collo grosse come salsicce di Brà.

Eh no, perché quando eravate all’opposizione avete detto più volte voi “dimissioni” di quanto Liorni abbia detto ghigliottina.

Adesso fate le vittime (…)

Un attimo prima Almasri è in Italia e un attimo dopo, Sim sala bin Salman, è in Libia, libero e felice di prenderci per il culo..

Liberato per ragioni di sicurezza nazionale, io sapevo che per la sicurezza dovremmo arrestarli i criminali, non liberarli.

Lo avessi almeno mandato in Albania, già che ci abbiamo speso tutti quei soldi.

Ora, sappiamo che la democrazia ha i suoi lati oscuri, i suoi accordi sottobanco, le sue ragioni di Stato.

Tu sei più furba di me diecimila volte, ma se trattassimo l’immigrazione come un problema, non come IL problema, se pensassimo a quelle persone come uomini e donne che chiedono aiuto e non come a un esercito invasore, forse quelli come Almasri avrebbero meno armi per ricattarci.

Tu dici di non essere ricattabile.

Certo, non in Italia, ma nel resto del mondo sì.

Ti svelo un segreto: perché non puoi andare d’accordo con tutti e, soprattutto, non puoi fare accordi con i banditi perché quelli restano banditi e alla fine ti fregano.”

Storia delle targhe italiane:

Views: 13

Genesi ed evoluzione delle targhe italiane: la storia nostrana e quella dell’automobile unite in un umile rettangolo di metallo.

Pur non essendo un componente delle vetture in senso stretto, le targhe automobilistiche sono fondamentali per la loro circolazione su strada quanto un motore, l’impianto frenante o il volante. Se per le rilevanti parti meccaniche sono la fisica e l’ingegneria a decretarne l’indispensabile necessità, nell’altro caso è la legge a parlare: senza la targa, infatti, non è possibile utilizzare un automezzo sulle strade pubbliche.
Ma quello che oggi appare come una fattualità ormai comprovata dalla lunga consuetudine è in realtà un’esigenza presentatasi solo in un secondo momento nella storia dell’automobile.
Quando i veicoli a motore hanno iniziato a circolare su strada in Germania, infatti, le targhe non esistevano ancora. Le prime forme di targhe sono comparse in Francia nel 1893, quando il numero di vetture era aumentato al punto di rendere necessario ideare un metodo per distinguerle e catalogarle: dipinte a mano e fissate sul posteriore del veicolo, nel corso degli anni successivi le targhe si diffusero con grande velocità.
Sarà però l’Olanda a detenere il titolo di primo Stato ad aver adottato un vero e proprio regolamento scritto per stabilire delle regole riguardo alla circolazione delle automobili.

Le origini delle targhe: molte lettere, pochi numeri

Concentrando la nostra attenzione sulla realtà del Bel Paese vediamo come le targhe giungono nella Penisola al principio del Ventesimo secolo, tuttavia, almeno agli albori, esse venivano apposte solamente sui mezzi di trasporto pubblico.
Trascorre solo qualche anno e, con il Regolamento di Circolazione per gli Automobilisti (una sorta di codice stradale ante litteram), compare per la prima volta l’obbligo di apporre una targa su ciascun veicolo, anche privato.
Da quel momento in poi vengono valutati dei criteri uguali per tutti per il rilascio delle targhe, che prevedono la registrazione del mezzo presso alcuni uffici situati nella propria provincia di residenza, e modificato il numero delle targhe da apporre su di esso, che da una passarono a due, una sulla parte anteriore e una sulla parte posteriore dell’automezzo.

Le prime targhe erano bianche con caratteri neri e/o rossi e rimasero più o meno così fino al 1927. Di questo periodo rimangono tuttora solo due esemplari superstiti, una GENOVA 83 conservata al Museo dell’Automobile di Torino e un’altra PADOVA 2 presente nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
All’epoca ovviamente non si immaginava che le automobili avrebbero avuto un successo straordinario, e per questo ben presto si decise di eliminare il nome completo della città per far posto a targhe composte da un numero, di solito in rosso, che indicava la provincia di provenienza e accanto ad esso il numero di immatricolazione.

Le targhe nere: 1927-1985

Un grande salto avviene nel 1927 quando, nell’ambito di una serie di riforme alla legislazione provinciale, il Partito Fascista modifica anche l’impostazione delle targhe, esse si configuravano con una sigla di due lettere rappresentanti la provincia: la prima corrispondeva alla prima lettera del capoluogo, la seconda una delle lettere seguenti (ad eccezione di Roma che conteneva il nome completo) e a seguire un numero progressivo da 1 a 999 999 (si passerà poi all’introduzione di lettere, superato il milione).

Alcune curiosità caratterizzano la scelta delle lettere per le province. La regola più logica sarebbe stata usare le due lettere iniziali del nome, come MI, TO, NA ma ci furono eccezioni, alcune più logiche, come VC (Vercelli) che cedette la VE a Venezia e altre meno, come Potenza in PZ invece che PO e BG per Bergamo al posto di BE. L’originaria sigla FU di Fiume fu cambiata in FM perché ricordava troppo la dizione che sui documenti, all’epoca, indicava una persona deceduta, mentre Cuneo da CU divenne ben presto CN.

Il 28 febbraio 1927 venne introdotta anche la prima targa in metallo con sfondo nero e caratteri bianchi su una sola linea: i numeri erano sulla sinistra e la sigla della provincia sulla destra; l’anno dopo fu aggiunto anche il simbolo del fascio littorio. Ebbe così inizio l’era delle targhe nere per le automobili che sarebbe proseguita ininterrottamente fino alla metà degli anni ‘80.

Nel 1931 si registrò un altro sostanziale cambiamento con l’introduzione della targa posteriore su due righe (provincia sulla prima riga, simbolino e, a seguire, la sequenza dei numeri) e poi, dal ‘34, della targa anteriore, più piccola, su una sola riga (numeri a sinistra e sigla della provincia a destra). Questa combinazione rimase immutata fino al dopoguerra: solo lo stemma del fascio venne sostituito nel ‘45 dal simbolo dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra (corona di spine con tre baionette all’interno).

Anche lo stemma dei mutilati ebbe però vita breve perché dal 1 gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione, nelle targhe anteriori e posteriori comparve lo stemma della Repubblica Italiana: una stella a cinque punte all’interno di una ghirlanda e con al centro le lettere ‘RI’.
Confermato invece il formato e il colore nero delle targhe con caratteri alfanumerici bianchi. Soltanto nella zona A del Territorio Libero di Trieste, conteso tra Italia e Jugoslavia, si usarono per alcuni anni delle targhe con caratteri neri su fondo bianco.
Dal 1951 al 1976 le targhe italiane rimasero nere (dal ‘54 anche a Trieste, tornata definitivamente all’Italia), sempre con il formato su due righe per quelle posteriori e su una per quelle anteriori.

Si approntarono solamente piccole modifiche sullo stile dei caratteri (diventati più lineari) e sui materiali: nel 1963, infatti, le targhe diventarono di plastica, più economica del metallo. La prima targa di plastica italiana, RE 66715, viene apposta su una spiaggina Fiat 500 Ghia Jolly. Nel 1976 un’altra svolta a suo modo ‘epocale’, l’ultima riguardante le targhe nere. Se quelle anteriori restarono pressoché immutate, quelle posteriori conobbero una profonda modifica con il cambio del colore della provincia da bianco ad arancione e l’applicazione di una seconda sigla della provincia, in bianco e in piccolo, prima dei numeri.

Ma non solo: ci fu la graduale reintroduzione della targa posteriore con tutti i caratteri su una sola riga (non accadeva dall’inizio degli anni ‘30), soprattutto per adattarsi alle vetture di produzione straniera che avevano quasi sempre il vano targa di quel formato. Sorse però la questione dei tanti modelli, specie italiani, con il vecchio vano targa su cui risultava difficoltoso montare targhe rettangolari: il compromesso si trovò realizzando un formato con la sigla della provincia arancione che occupava per intero lo spazio superiore e la combinazione numerica in bianco sulla riga inferiore.

Fra Seconda Repubblica e UE: le targhe di oggi

La definitiva soppressione delle targhe nere italiane avvenne nel 1985 con l’introduzione (anzi la reintroduzione) delle targhe bianche con caratteri neri e il ritorno al metallo (autoriflettente e ben visibile, a proposito fate attenzione a non coprire mai la targa). La plastica si era infatti dimostrata meno resistente alle intemperie e facilmente deformabile.
Dal 2 marzo 1994 al 12 settembre 1999 l’aspetto esteriore rimane pressoché invariato ma la targa posteriore torna a essere costituita da un’unica placca e viene rivoluzionato il sistema di numerazione: scompare la sigla della provincia e la targa si compone di una combinazione di sette caratteri alfanumerici costituiti da lettere nelle prime due e nelle ultime due posizioni e numeri nelle tre posizioni centrali (Esempio: AB123CD)

Nel 1998 viene stabilito che le targhe devono riportare due fasce blu ai lati: in quella di sinistra sono presenti le 12 stelle che rappresentano gli Stati fondatori dell’Unione Europea. In bianco, la lettera “I”, contraddistingue le targhe italiane. Nella fascia blu a destra è possibile, a discrezione del proprietario, inserire l’anno di prima immatricolazione e la sigla della Provincia. La novità più importante della storia italiana delle targhe si ebbe nel 2002, quando la sigla della provincia scomparve definitivamente dal numero identificativo di ciascun veicolo e si adottò, invece, il sistema che è in vigore ancora oggi.
Vengono utilizzate in totale 22 lettere (quelle dell’alfabeto inglese ad esclusione di I, O, Q e U escluse per evitare di fare confusione con i numeri “1” e “0” ) che formerebbero un totale di 234.256.000 possibili combinazioni (non tutte però utilizzabili, alcune lettere e sigle sono ad uso esclusivo di specifiche organizzazioni).
Le targhe vengono assegnate alle province a lotti, seguendo indicativamente la frequenza di immatricolazioni. L’introduzione del sistema di numerazione avvenne quindi gradualmente, via via che le singole province esaurivano le targhe obsolete: le prime immatricolazioni avvennero nelle province di Ancona, Asti e Bergamo il 2 marzo del 1994 e recavano le combinazioni AA 000 DA, AB 000 MD e AA 000 DK, il lotto inaugurale con la combinazione AA 000 AA fu invece assegnato alla provincia di Terni.

Le targhe vengono assegnate alle province a lotti, seguendo indicativamente la frequenza di immatricolazioni. Sinora il numero di autoveicoli immatricolati ha fatto sì che la prima lettera avanzasse di una unità ogni circa 4 anni.
Se dovesse mantenersi inalterata l’attuale media la numerazione sarebbe sufficiente per vari decenni ancora arrivando grosso modo agli anni 2074/2075.
La prima targa assegnata con l’attuale sistema è stata AA000AA, inoltre dal 2013 è possibile personalizzare la propria targa, a patto che rispetti i canoni comuni alle altre; con l’inizio del 2020 la prima lettera delle targhe italiane è passata dalla F alla G. Con questo sistema, è stato calcolato, sarà possibile immatricolare “solo” 134.256.000 auto: una volta raggiunto questo numero di combinazioni sarà necessario trovare un altro metodo per assegnare alle targhe un codice alfanumerico unico e diverso per ogni automobile.

Un “problema” davvero incredibile se si pensa agli albori del mondo dell’automobile: la cronistoria delle targhe ci consente, una volta di più, di poter comprendere quanto l’auto sia stata un oggetto fondamentale nello sviluppo della storia umana tra XX e XXI secolo.

Articolo a cura di Andrea Schinoppi