Come le banche truffano i clienti

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Si sente spesso parlare di truffe e imbrogli delle banche. C’è chi ha le prove (lo ha raccontato alla nostra redazione Vincenzo Imperatore in una intervista pubblicata due anni fa in Trucchi delle banche italiane), c’è chi lo dice solo perché non vuole pagare e allora “ogni scusa è buona”, c’è chi infine è riuscito a vincere una causa contro il proprio istituto di credito e, quindi, fa da profeta al resto della nazione. Certo, quando si dice che le banche truffano i clienti si chiama in causa il penale ed, allora, è necessario dimostrare gli estremi del raggiro. Più facile è invece la prova del semplice illecito civile, quell’inadempimento contrattuale o quell’abuso rispetto al diritto dei consumatori che, tuttavia, non consente margini per sporgere querela ma, a tutto voler concedere, consente di liberarsi – all’esito di una causa – del debito. Ritornando all’intervista che abbiamo fatto a Imperatore, abbiamo appreso però che più di una pratica potrebbe definirsi borderline e integrare gli estremi del raggiro, tanto da far pensare a una “congiura” ordita dagli apici ai danni dei risparmiatori.  Quali sono questi irregolarità? Vediamo dunque come le banche truffano i clienti.

Come le banche truffano i clienti con il codice 72H e manovre su tassi di interesse

Si sa che le banche non possono modificare in modo unilaterale le clausole del contratto con il cliente che riguardano tassi di interesse

Fatta la legge, fatta la trappola. Cosa fanno le banche (secondo il racconto di Vincenzo Imperatore)? Quella che viene definita «Manovra massiva sui tassi di interesse». Massiva, addirittura. Che sarà mai?

Funziona più o meno così. I vertici dell’istituto di credito programmano, con largo anticipo (di norma, all’inizio del trimestre), un progressivo e millimetrico incremento dei tassi di interesse passivi. Aumenti minimi, ma che comportano grosse cifre per i forzieri della banca. Come difendersi? Bisogna avere una delle qualità che pochi correntisti hanno: la costanza. È quella che permette di leggere puntualmente gli estratti conto trimestrali con o senza calcolatrice (a seconda dell’abilità del correntista) per verificare se il saldo debitorio, con l’applicazione degli interessi, è quello corretto.

Sapete quanti italiani possiedono il dono della costanza? Appena il 3%. Solo 3 correntisti su 100 si rendono conto di questa manovra surrettizia e fraudolenta, peraltro solo dopo l’arrivo a casa degli estratti conto trimestrali, cioè con 90 giorni di ritardo, durante i quali, comunque, la banca ha succhiato dal conto come Dracula dalla giugulare. Questo 3% bussa alla porta della propria filiale (col pugno se il campanello non funziona) per chiedere spiegazioni. Oppure decide di scagliarsi contro il primo impiegato allo sportello, davanti alla fila dei clienti. Possibilmente alzando la voce, in modo che tutti capiscano.

Ecco il punto: immaginate la figura che fa la banca quando un cliente protesta ad alta voce perché si è sentito truffato. Se voi foste il cliente in coda, cosa pensereste? È proprio il vostro pensiero e quello degli altri che preoccupa l’istituto di credito. Quello che si chiama «rischio reputazionale», ossia che il proprio nome venga screditato pubblicamente. Tradotto: un fuggi-fuggi di clienti.

Ed ecco che si arriva alla parte di James Bond, al codice segreto: non è «007» ma è «72H». Non comporta licenza di uccidere – per carità – ma sì quella di truffare i clienti.

Quel codice equivale ad una riserva di denaro, disponibile presso tutte le filiali (dai 500 ai 10mila euro), da «regalare» (o meglio sarebbe dire, da restituire) al cliente alla prima contestazione, entro 72 ore, in modo da placarne l’ira. Insomma, un cliente calmo non crea dei problemi. E un cliente che non crea dei problemi è sempre un buon cliente.

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E poi, si tratta appena del 3%. Se l’altro 97% subisce, che problema c’è?

Ma il vero discorso che rivela Vincenzo Imperatore nell’intervista a La Legge per Tuttiparlando del codice 72H è quello della solita piaga italiana: con una somma di denaro si può fare tutto, come il mettere a tacere qualsiasi contestazione, evitando ai colpevoli le sanzioni dell’ordinamento. Basta pagare. Il cliente ringrazia. Due volte, se a Natale riceve il pacco dono, con panettone e spumante. Più è generosa la banca, più sta zitto il cliente.

Come le banche truffano i clienti con i titoli tossici

Altro che la penicillina: quando la banca vuole infilare dei titoli tossici non ci sono dei medicinali che tengano.

Ogni cittadino italiano che voglia investire in titoli, obbligazioni, azioni, ecc. è garantito da una legge europea chiamata “Mifid”. Ogni volta che un consumatore-investitore sottoscrive un contratto quadro per acquistare dei valori mobiliari, deve compilare un questionario in cui viene fotografato il suo “profilo di rischio” nonché viene presa consapevolezza delle sue conoscenze del mercato finanziario. In pratica, la banca deve acquisire informazioni su:

  • l’obiettivo dell’investimento del cliente (un rischio basso, con rendimenti ridotti oppure un rischio elevato con possibilità di guadagno più alte, ma anche più aleatorie);
  • quanto il consumatore è esperto e competente in materia di investimento, affinché sia sufficientemente informato, di volta in volta, prima della proposta di acquisto di ogni titolo.

Compilare il questionario è come andare dal compianto Mike Bongiorno: è una specie di quiz a risposta multipla, dove il cliente può dire:

Si”, “No ma li conosco”, “No e non li conosco”, “Non risponde”.

Facciamo un esempio? «Allegriaaa!»

Allora, attenzione amici ascoltatori: la domanda è questa per chiunque intenda effettuare investimenti, anche all’operaio che ha portato in banca solo 100 euro.

Hai mai investito in Fondi, gestioni patrimoniali o polizze assicurative?

  1. Si
  2. No, ma li conosco
  3. No, e non li conosco
  4. Non risponde.

Sulla base delle risposte fornite, verrà elaborato il profilo di rischio, con cinque diversi possibili risultati:

  • profilo cauto;
  • profilo prudente;
  • profilo bilanciato;
  • profilo dinamico;
  • profilo aggressivo.

Così, chi vuol investire solo in Bot, titoli di stato, rendimenti certi, avrà un profilo prudente; chi invece vuole acquistare derivati avrà un profilo aggressivo.

Qual è la risposta esatta, amici ascoltatori? Tutte. Perché il profilo di rischio èsistematicamente manipolato dal dipendente di banca delegato a compilare il questionario. Il quale, puntualmente, mette la «X», cioè la crocetta, su risposte diverse da quelle fornite dal cliente, in modo che risulti fuori un profilo più esperto di quello effettivo. Nei fatti in banca c’è una percentuale minima di profili cauti. Sono quasi tutti medio-esperti.

Torniamo alla gag:

«Lei ha mai investito, signor concorrente?»

«No».

«Risposta sbagliataaaa», pensa l’impiegato, che mette la crocetta sulla casella del “Si”.

Il concorrente, cioè il cliente, può però verificare la sua risposta in qualsiasi momento, andando in banca e chiedendo al «signor No» che gli venga esibito il proprio profilo di rischio: se questo non corrisponde a quello effettivo può pretendere che venga cambiato.

Ma perché tutto questo? Facile, ci spiega Imperatore. Con un profilo esperto, si possono rifilare al cliente titoli ad alto rischio, quelli «tossici» come si dice in gergo. Insomma, la spazzatura.

Come le banche truffano i clienti con il mutuo ipotecario

La legge stabilisce che, quando si chiede un finanziamento per l’acquisto di una casa (quello che si conosce come mutuo ipotecario) l’importo finanziabile non può superare l’80% del valore dell’immobile da acquistare e sul quale verrà poi concessa l’ipoteca. Se tale tetto viene superato, il mutuo è nullo.

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Che significa? Che, da un lato, la banca si garantisce la possibilità di ottenere, con maggiore sicurezza, la restituzione delle somme date in prestito. E che, dall’altro, la famiglia non deve sostenere una spesa superiore alle proprie possibilità. In più, consente che, in caso di inadempimento, la vendita all’asta della casa possa coprire la perdita subìta dall’istituto di credito, senza che l’economia nazionale ne venga pregiudicata.

Questo in teoria. Ma, nella pratica, cosa succede?

Chi è a corto di soldi ma deve acquistare una casa dovrà chiedere un finanziamento il più vicino possibile al totale da pagare al venditore. La banca, come minimo, gli darà un abbraccio e stringerà con lui un tacito accordo per aggirare la legge. In che modo?

Di norma, prima di concedere un mutuo, l’istituto di credito delega un proprio perito per valutare il valore dell’immobile. Ebbene, tali perizie vengono artificiosamente gonfiate. Così, per esempio, se per acquistare una casa occorrono 100 mila euro e, per legge, la banca potrebbe concederne al cliente solo 80mila (cioè l’80% di 100mila euro), l’unico modo per erogare un prestito di 100mila euro è quello di far apparire il valore dell’immobile pari a 125mila euro (l’80% di 125mila è, infatti, 100mila).

Risultato: il cliente ottiene il finanziamento per tutto l’importo da versare al costruttore e la banca, a fronte di un prestito più ampio, consegue maggiori interessi e più utili.

Faccio fatica a pensare che c’erano funzionari di agenzia o di banca che erogassero mutui con soglie al di sotto dell’80%”, ci rivela Imperatore.

La magistratura, però, ci ha già messo del suo, stabilendo che, in questi casi, il contratto di mutuo è nullo

Secondo Vincenzo Imperatore, questa pratica è stata utilizzata a lungo dagli istituti di credito, specie tra gli anni ’80 e ’90, quando si faceva credito a chiunque, anche a chi non possedeva le condizioni economiche per sostenere le rate e l’integrale restituzione del prestito. Si finanziava tutto: l’acquisto, la ristrutturazione, il notaio. Il reddito del mutuatario, verificato dallo sportello, era presunto e non certo.

Con la crisi economica, però, molte famiglie, rimaste senza lavoro, si sono anche trovate nella condizione di non poter più restituire i soldi che avevano ricevuto dalle banche e hanno visto ipotecate vendute all’asta le proprie case proprio da chi, prima, aveva consentito loro di violare la legge.

Certo – ammette Imperatore – non si può dire che dietro questo sistema vi sia un disegno predefinito dagli istituti di credito, volto a lucrare più dalla vendita forzata degli immobili che dalla restituzione dei mutui. A chi mai piacerebbe fare causa nel nostro Paese e sostenere estenuanti e infinite, oltreché costose, procedure esecutive immobiliari?

Come le banche truffano i clienti su polizze e assicurazioni

Nel corso dell’intervista, Vincenzo Imperatore ci racconta un’altra pratica degli istituti di credito ai danni dei consumatori, meglio descritta nel suo libro «Così le banche imbrogliano il correntista: io so e ho le prove».

Le banche sono nate per la raccolta e l’erogazione del credito. Questa è la loro mission, la loro funzione primaria. Hanno anche un ruolo fondamentale nell’economia di una nazione, perché consentono alle aziende gli investimenti, le assunzioni, l’aumento del prodotto interno lordo, ma anche, nel piccolo, aiuta le famiglie ad acquistare una casa di proprietà, a far fronte agli impegni economici più urgenti, a sostenere le spese di istruzione per i figli, ecc. Insomma, si tratta di una vera e propria funzione sociale.

Eppure le banche hanno progressivamente abbandonato questa funzione, ritenuta non tanto redditizia, per spostarsi su altri settori economici più appetibili, come la vendita di prodotti finanziari, titoli e sperequazioni borsistiche.

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In buona sostanza, succede questo.

Quando il cliente si presenta in filiale per chiedere un prestito, viene invitato a presentare la propria dichiarazione dei redditi o i bilanci dell’attività commerciale. Che, come spesso accade, non corrispondono alla situazione reale: senza peli sulla lingua, gran parte dell’Italia vive grazie al «nero», quindi i documenti inviati all’Agenzia delle Entrate non fotografano l’effettiva condizione economica del contribuente. Consapevole di ciò, e desiderosa di partecipare alla spartizione della torta, la banca inizia a storcere il naso e a far comprendere al cliente che, con quella dichiarazione dei redditi/bilanci, non è possibile erogare alcun prestito. Allora il consumatore si «scopre», fa presente di avere delle «liquidità non dichiarate». Così, inconsapevolmente, cade nella trappola.

La banca gli propone un investimento, una polizza vita, un fondo o l’acquisto di titoli in garanzia con appoggio su un conto corrente: tutti prodotti coi quali i bilanci delle banche si arricchiscono enormemente, più ancora dei semplici interessi sui prestiti. Insomma, si va al supermercato per compare la carne fresca e si esce fuori con un carrello pieno di altri articoli non necessari.

Certamente, in questi casi, per come spiegato dalla giurisprudenza, tutti i costi dei servizi aggiuntivi si sommano agli interessi praticati sul mutuo e se dal risultato escono fuori dei tassi oltre l’usura, si può ricorrere al giudice . Ma è sempre necessario pagare un avvocato e attivarsi in una causa dalla quale non si sa quando si potrà uscire.

Come le banche truffano i clienti con usura e anatocismo

Chi credeva che il capitolo «usura» sarebbe stato quello più calcato da VincenzoImperatore, nella sua arringa contro il sistema bancario italiano, si sbagliava. Si tratta, invece, di un fenomeno ormai fin troppo sfruttato, anche da chi ha fatto della lotta alle banche il proprio business. C’è una cannibalizzazione del fenomeno, ci rivela. L’usura è una pratica già sufficientemente accertata dalle aule dei tribunali civili e penali e le banche ci vanno caute, stanno molto attente al fine di cautelare la propria reputazione.

Insomma, occhio a quando si parla di usura, avverte Imperatore. Occorre affidarsi a professionisti seri e qualificati, non ad aziende che fanno 62milioni di euro all’anno solo in perizie. Anche queste sono truffe ai danni dei cittadini perché creano aspettative facendo sciacallaggio ai danni dei disperati. Chi acquista la perizia per il calcolo dell’usura ha l’illusione di aver risolto il proprio problema. E invece non è così. Perché dopo dovrà pagare un avvocato, il contributo unificato (cioè le tasse per avviare il giudizio), un consulente tecnico d’ufficio (che effettui i calcoli sul conto corrente per conto del giudice), le varie cancellerie per le copie degli atti giudiziari, l’eventuale esecuzione forzata, ecc. Tutto questo per vedere riconosciuto dal tribunale il diritto a non pagare solo gli interessi usurari, mentre invece il capitale andrà sempre restituito. Insomma, il gioco potrebbe non valere la candela. Ma questo non ve lo dirà nessuno tra quelli che, dalla vostra causa, trarrà beneficio economico. E il rischio è che, se si perde la causa, bisognerà anche pagare le spese legali alla controparte. Oltre al danno, la beffa, come si suol dire.

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