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Ci sono episodi di malasanità che coinvolgono un singolo medico, altri in cui la responsabilità è di una struttura sanitaria. Ci sono, però, dei casi in cui a dover rispondere in prima persona è direttamente il Ministero della Salute. E il cittadino che ha subìto un danno non deve avere il timore di denunciare e di pretendere il risarcimento di un danno dal Ministero: di cause vinte contro il Ministero della Salutece ne sono state diverse. Quindi, non è detto che sia sempre il più potente ad avere la meglio. Ogni tanto, più spesso di quello che si pensa, l’utente ottiene giustizia.
Certo, bisogna armarsi di pazienza. Le cause vinte contro il Ministero della Saluteevidenziano nella maggior parte dei casi che i tempi per ottenere un risarcimento sono tutt’altro che immediati. Ma vale la pena tentare e attendere. Lo dimostrano le sentenze che riportiamo in queste articolo. Sono solo alcune in cui il Ministero è stato condannato a risarcire il danno di chi, ad esempio, è stato contagiato da epatite C con una trasfusione sbagliata o di chi è riuscito a convincere un tribunale delle conseguenze negative avute da un vaccino.
Vediamo, intanto, quali sono le responsabilità del dicastero che gestisce la sanità pubblica ed una carrellata di cause vinte contro il Ministero della Salute. Sono solo alcune, dicevamo. Ma servono a far capire a chi legge che ci sono dei precedenti favorevoli e che, quindi, vincere una causa è possibile.
Ministero della Salute: quali responsabilità sulle trasfusioni
Con una sentenza piuttosto recente [1], la Corte d’Appello di Roma ha stabilito che è competenza del Ministero della Salute l’esercizio del controllo e della vigilanza sulla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e sull’uso degli emoderivati. Significa che il Ministero si rende responsabile di eventuale errori in materia e, dunque, spetta a lui l’eventuale risarcimento dei danni di epatite e di infezione da Hiv per omesso controllo.
I giudici hanno, dunque, respinto il ricorso con cui il Ministero aveva attribuito alle singole Regioni ogni responsabilità in materia di sanità.
C’è da aggiungere che sul tema dell’accertata omissione delle attività di controllo e di vigilanza si era già espressa la Cassazione [2]. Per la Suprema Corte, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto e l’esistenza di una patologia in un soggetto emotrasfuso, tale omissione può ritenersi causa dell’insorgenza della malattia. Quindi, conclude la Cassazione, solo se il Ministero controlla o vigila la pratica può evitare il verificarsi dell’evento.
Causa vinta contro il Ministero della Salute per epatite da emotrasfusione
Ci sono voluti 35 anni, ma alla fine ce l’ha fatta a vincere la causa contro il Ministero della Salute un cittadino del Napoletano che, nel 1982, fu sottoposto ad un’emotrasfusione e, dopo poco tempo, iniziò a manifestare i sintomi di epatite C.
L’uomo decise di rivolgersi al tribunale per avviare una causa contro il Ministero e pretendere il risarcimento del danno.
In primo grado la sua richiesta venne respinta [3] (ed eravamo già nel 2008), così l’utente presentò ricorso alla Corte d’Appello. Qui ebbe più fortuna: i giudici accolsero la richiesta [4] e condannarono il Ministero della Salute al pagamento di 162.014,40 euro, oltre alla rivalutazione, gli interessi e le spese di giudizio. Era il 2014.
Questa volta fu il dicastero a puntare i piedi e a rivolgersi alla Cassazione alludendo ad un mancato nesso di causalità tra l’emotrasfusione e la malattia. In sostanza, il Ministero sosteneva che non era dimostrabile il legame tra l’insorgere dell’epatite C e la trasfusione. Tuttavia, la Suprema Corte [5] decise di condannare il Ministero al pagamento del risarcimento riconosciuto dalla Corte d’Appello e delle spese di giudizio (altri 2.600 euro). Perché? Lo abbiamo spiegato poco fa: perché, come più volte stabilito dalla giurisprudenza, il Ministero della Salute è tenuto ad esercitare l’attività di controlloe di vigilanza in ordine alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso di emoderivati. Inoltre, lo stesso Ministero risponde in base al Codice civile [6] per omessa vigilanza dei danni derivanti da epatite e da infezione Hiv contratte da soggetti emotrasfusi.
Concludendo: dopo 35 anni il cittadino ha vinto la causa contro il Ministero della Salute perché quest’ultimo non ha dimostrato di avere assunto i compiti imposti dalla legge. La struttura sanitaria in cui sono avvenute le trasfusioni (in questo caso l’Università Federico II di Napoli) non ha alcuna responsabilità in quanto le sacche di sangue utilizzate provenivano dal Ministero e non sono state contestate delle negligenze da parte del personale sanitario.
Causa vinta contro il Ministero della Salute: il maxirisarcimento per sangue infetto
Non arrendersi mai. Con questo spirito un gruppo di cittadini che hanno ricevuto sangueo emoderivati infetti hanno presentato un ricorso a Strasburgo per chiedere giustizia. E la tenacia è stata (in parte) premiata: la Corte europea per i diritti umani ha condannato lo Stato italiano (e quindi si parla di causa vinta contro il Ministero della Salute) al pagamento complessivo di 10 milioni di euro a 371 pazienti italiani infettati da epatite B e C e dal virus dell’Hiv per trasfusioni contaminate tra gli anni ’70 e gli anni ’90. C’è da dire, però, che in tutti questi anni circa 4.500 persone sono decedute senza vedere un soldo. E che nel nostro Paese sono 120mila i pazienti viventi infettate da una trasfusione di sangue.
Quasi 900 pazienti infettati si sono rivolti tra il 2012 ed il 2013 alla Corte di Strasburgo dopo avere chiesto invano un risarcimento al Ministero della Salute tra il 1999 ed il 2008. Lamentavano il mancato accesso al riconoscimento del danno, le procedure troppo lunghe e la mancata applicazione delle sentenze in materia. I ricorsi accolti sono stati, come detto, 371, nella maggior parte per la violazione da parte dello Stato italiano del diritto alla vita dei ricorrenti a causa dell’eccessiva durata dei procedimenti. A ciascuno di loro spetta un risarcimento per danni morali compreso tra i 20mila ed i 35mila euro.
Causa vinta contro il Ministero della Salute: si può chiedere il pignoramento?
Un episodio simile a quello accaduto a Napoli ha fatto vincere una causa contro il Ministero della Salute ad un uomo della provincia di Pescara che, nel 1983, contrasse l’epatite C in seguito ad un’emotrasfusione praticata all’ospedale di Chieti. La Commissione medica ospedaliera accertò le responsabilità nel 2004 e nel 2007 si avviò il processo per la richiesta di un risarcimento del danno. Il Tribunale dell’Aquila [7]condannò l’Asl di Chieti ed il Ministero al pagamento di 103.110 euro (il 50% a testa). L’uomo ha ottenuto anche una pensione di invalidità.
Il problema si presentò nel momento in cui al cittadino non venne corrisposto quanto determinato dal giudice. L’Asl, attraverso la compagnia di assicurazione, pagò il dovuto ma non così il Ministero, nonostante la sentenza fosse passata in giudicato senza alcuna impugnazione. All’avvocato del danneggiato non è rimasto che presentare un atto di pignoramento per tentare di recuperare quanto dovuto presso la Banca d’Italia.
E se il Ministero dicesse che non ci sono i soldi? Non sarebbe una giustificazione valida: sarebbe possibile avviare un giudizio di non ottemperanza al Tar e chiedere la nomina di un commissario ad acta a cui affidare la gestione del risarcimento.
Causa vinta contro il Ministero della Salute per danni da vaccino
Tra le polemiche più infuocate tra un settore della società ed il Ministero della Salute c’è sicuramente quella che riguarda le vaccinazioni obbligatorie. Il pugno di ferro imposto dall’ex ministro Beatrice Lorenzin per ammettere nelle scuole dell’obbligo solo bambini e ragazzi che abbiano rispettato il piano sulla distribuzione dei sieri ha sollevato un coro di proteste da parte di chi ritiene che i vaccini siano dannosi per i propri figli. Ma è vero che quella puntura può pregiudicare la salute di una persona?
A quanto pare può succedere, almeno secondo quanto determinato da alcune sentenze. C’è, ad esempio, quella riguardante una causa vinta contro il Ministero dalla Salutedalla famiglia di un bambino affetto da autismo ed al quale era stato un vaccino esavalente prodotto da una multinazionale. Il Tribunale di Milano [8] ha condannato il Ministero a versare a vita un assegno bimestrale in quanto sarebbe stata stabilita la sussistenza di un nesso causale tra la vaccinazione e la malattia. Sulla perizia del medico legale incaricato dal Tribunale, si legge che probabilmente il disturbo autistico sia stato concausato dal vaccino, sulla base di un polimorfismo che lo ha reso suscettibile alla tossicità di uno o più ingredienti.
Anche in questo caso la famiglia aveva chiesto in vano un risarcimento al Ministero. Da qui la decisione di rivolgersi ai giudici. I responsabili legali del dicastero non hanno presentato ricorso in appello e, quindi, la sentenza è diventata definitiva.
Sempre a Milano, in tempi più recenti, c’è stata un’altra causa vinta contro il Ministero della Salute per simili motivi. Riguarda il caso di una donna della provincia di Pavia, vaccinata circa sei mesi dopo la nascita, nel 1975. Poco dopo, l’allora neonata cominciò ad accusare dei disturbi e ad avere delle crisi epilettiche sempre più frequenti, a cui si sono aggiunte altre forme di disabilità.
Solo nel 2009 è stato appurato che la forma di encefalopatia di cui soffre la paziente è da associare alla somministrazione del vaccino, circostanza che portò al padre, nel ruolo di amministratore di sostegno, a fare causa al Ministero della Salute. Dopo un primo round favorevole, anche la Corte d’Appello ha condannato il Ministero al versamento del risarcimento. Pure in questo caso la sentenza è passata in giudicato perché il Ministero non ha fatto ricorso in tempi utili.
note
[1] Corte Appello Roma, sent. n. 2270/2017.
[2] Cass. sent. n. 581/2008.
[3] Trib. Napoli, sentenza n. 6136/2008.
[4] Corte Appello Napoli, sent. del 03.05.2014.
[5] Cass. sent. n. 22832/2017.
[6] Ex. Art. 2043 cod. civ.
[7] Trib. L’Aquila, sent. del 20.05.2010.
[8] Trib. Milano, sent. del 23.09.2014.