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Questa volta gioco in casa, ad Aversa, il luogo dove abito, e vi racconto dell’enorme complesso dell’ex manicomio, fulgido esempio di ingegno Borbonico e che ora giace fra abbandono, orrore, incuria e storia secolare.
Aniello Napolano
Inferno Op di Aversa
L’ospedale fu abbandonato definitivamente nel 1999 dopo una lenta dismissione, iniziata con la legge Basaglia del 1978. Da allora la natura dell’immenso giardino si è impossessata di nuovo degli usci, dei muri e delle pareti fino a coprire intere ali di questa cittadella che mi appare ora come una bocca aperta , spalancata verso un cielo ingeneroso urlando il proprio dolore.
Il mio giro dell’inferno parte, ironia della sorte, dal padiglione Virgilio. Questo padiglione versa, a tanti anni dalla chiusura, in uno stato di grave e totale abbandono, soprattutto la parte del corpo più antico ormai segnato dai crolli che si sono succeduti negli anni.
La splendida chiesa ed il chiostro sono duramente divorati dal tempo, dall’incuria e dai ripetuti atti vandalici. La chiesa, in particolare, non ha più il tetto ed il pavimento è invaso da una vegetazione cresciuta quasi ad altezza uomo. Gli altari laterali in pregiato marmo cadono a pezzi (o sono stati in alcuni casi “fatti a pezzi”), i confessionali sono a brandelli sepolti dalle macerie e dalla vegetazione, tranne uno che, come un uomo che affoga, affiora tra le piante che cominciano ad avvilupparlo visto che la vegetazione selvatica ha invaso anche il chiostro e si è ripresa ciò che aveva perso secoli fa.
Il più antico manicomio di epoca moderna
Nel tempo questa struttura ha cambiato molte volte denominazione: Pazzeria degli incurabili, Reale Casa de’ matti, Reale manicomio della Maddalena, Real Ospedale Psichiatrico di Aversa, Ospedale psichiatrico S. Maria Maddalena
La prima pietra “ideale” però di questo complesso parte da Napoli. La prima sede manicomiale del Regno era infatti ubicata nel cinquecentesco Ospedale “degli Incurabili” di Napoli, il primo ospedale in senso moderno d’Europa, e che aveva al proprio interno anche una sezione dedicata ai malati di mente chiamata senza mezzi termini “Pazzeria”
In età borbonica però ci si accorse della sua inadeguatezza e la necessità di creare degli spazi appositamente attrezzati e configurati anche se fu, tuttavia, il Re di Napoli Gioacchino Murat nel 1813 che con un Regio decreto che mise mano alla questione e fondò le “Reali Case de’ matti”.
Il fatto che molte di queste Case fossero ospitate in antichi conventi e ne mantenessero la struttura non è un caso visto che la loro creazione coincise con un periodo storico di grandi espropri di possedimenti ecclesiastici. Murat stesso non fece eccezione visto che nel 1809 nel quadro di una riforma di ammodernamento dello Stato confiscò più di un centinaio di monasteri destinandoli ad uso civile rimanendo cosi anche dopo la fine del periodo Napoleonico e la “Restaurazione”
Aversa non fece eccezione ed il primo nucleo fu sistemato nel confiscato convento della Maddalena.
La dottrina del “Trattamento morale”
Questa casa di cura è importante anche (e soprattutto..) perchè si specializzò nella cura con metodi innovativi e non repressivi, attraverso il “Trattamento morale”
Questo trattamento fu messo a punto da due grandi alienisti francesi: Jean Etienne Dominique Esquirol e Philippe Pinel. I due teorizzarono un trattamento di cura per “I folli” fatto di una organizzazione di vita quasi monastica, con regole ed orari ma anche divertimenti e svaghi con occupazioni in attività varie come ascolto di musica, attività teatrali etc.
Ai giorni nostri parleremmo di un percorso di riabilitazione fatto di socializzazione e di reinserimento in società.
Questo percorso risulta ancor più strabiliante e davvero rivoluzionario se pensiamo che le cure primordiali per i folli erano fatte di salassi, purghe “per permettere l’evacuazione delle parti folli del sé”, bagni gelati, punizioni e contenzione. I Borbone, dopo la restaurazione, una volta tornati sul trono dopo gli eventi rivoluzionari, non cancellarono questi metodi curativi intuendone la portata rivoluzionaria ed, anzi, ne fecero un vanto del Regno in tutta Europa, facendo assurgere Napoli a Capitale all’avanguardia nella cura delle malattie mentali.
La legge Basaglia e il declino
Con gli anni settanta del ‘900, si fecero largo le nuove idee progressiste sulla malattia mentale e piano piano il manicomio aversano perse d’importanza. Le prime avvisaglie della fine fu la famosissima legge del 1978 del Servizio Sanitario Nazionale, ma la vera svolta si ebbe con la famosissima legge 180, più conosciuta come Legge “Basaglia”. Da li un lento declino fino a quando l’Ospedale psichiatrico fu svuotato nel 1998 e chiuse definitivamente nel 1999.
Fu la fine di un’epoca di cui si doveva preservare la memoria e le testimonianze mentre invece tutto sembra destinato a cadere nell’oblio, sotto macerie abbandonate.
Tutto giace nell’abbandono
A svariati anni dalla chiusura, l’Ex Ospedale Psichiatrico di Aversa giace ancora in uno stato di grave e totale abbandono. Il corpo principale del complesso, quello più antico, è ormai fatiscente.
Fra segni di crolli e cedimenti strutturali preoccupanti, passeggiare fra i vari padiglioni e il chiostro rinascimentale segnati dall’incuria naturale (e di qualche vandalo) è veramente un colpo al cuore che rende difficile raccontare la bellezza degli scaloni monumentali, delle architetture borboniche senza sentirsi rattristati di ciò che era e ciò che sarebbe potuto essere.
Una tristezza e nel contempo un senso di angoscia ed inquietudine profonda che ci avvolge quando passeggiamo verso l’uscita fra gli immensi saloni vuoti, i lunghissimi corridoi dalle pareti scrostate, i grandi finestroni con le sbarre arrugginite. Esplorare questo gigante morente, entrare nel suo ventre e perdersi nei suoi meandri polverosi, silenziosi e semibui è una esperienza veramente forte.
Riutilizzare l’area si può e si potrà, ma recuperare tutto quello che si è perduto è impossibile, quella bellezza, il mistero di quello che lentamente sta morendo, i racconti di chi ha vissuto qui parte o tutta la propria vita.
Noi ci auguriamo che possa essere salvata almeno la memoria di questo luogo e di ciò che è stato.