Autostrade Story, puntata 1: una privatizzazione a senso unico, con vincitore già scritto

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Autostrade Story è la storia della concessione autostradale ottenuta dai Benetton più di 20 anni fa. Una concessione a condizioni di favore senza eguali. Il post di oggi è la prima puntata. Con questo e quelli che seguiranno andremo a ripercorrere tutte le fasi che hanno portato alla condizione in cui ci troviamo oggi, che ha consentito al concessionario di ottenere profitti mostruosi a fronte di scarsi investimenti in sicurezza. Dobbiamo ricordare come è nata questa concessione e chi sono le persone, politici e non, che ne hanno la responsabilità storica e morale. 

Condividete il più possibile queste informazioni. E’ tempo di cambiare.

Come si è potuti arrivare a una tragedia immane come quella del Ponte Morandi?

Dai rilievi della procura di Genova continuano a emergere particolari agghiaccianti sulla gestione lacunosa di Autostrade per l’Italia non solo del ponte, poi crollato, ma di larga parte della rete autostradale. “Gravi inadempienze e sistema di falsificazione di report e atti pubblici”: più l’inchiesta va avanti, più il quadro diventa desolante.

Di fronte a certe evidenze torniamo a chiederci: come si è arrivati a questo punto? Come è stato possibile che una holding concessionaria di beni dello Stato potesse arrivare indisturbata a tale livello di incuria? Perché nessuno si è mai opposto agli appetiti di un gruppo finanziario che puntava al mero profitto?

Per rispondere a certe domande, bisogna ripercorrere la storia dall’inizio e riviverla a puntate. Partendo proprio da quegli anni ’90 in cui scattò una vera e propria rivoluzione nella storia delle autostrade italiane.

E’ il 1993 quando una legge stabilisce che le concessionarie autostradali non devono più essere necessariamente a maggioranza pubblica. Così, negli anni seguenti, attraverso una serie di delibere del Cipe, inizia l’inesorabile processo che avrebbe portato alla privatizzazione delle autostrade italiane. E successivamente, alle regalìe con tanto di coccarda alla famiglia Benetton.

Nel 1997, il concedente (Anas) e il concessionario (Società Autostrade, allora sotto il controllo pubblico dell’Iri) stipulano una nuova convenzione che sposta le scadenze vent’anni più in là (dal 2018 al 2038): questo nuovo “patto” si rivelerà il trampolino di lancio per il passaggio dal pubblico al privato.

Passaggio che si consuma nel 1999, anno dell’inizio della grande abbuffata per la galassia finanziaria dei Benetton, ingolosita dall’affare avendo già investito in Autogrill. Tra gli asset che Iri decide definitivamente di privatizzare, c’è appunto quello delle autostrade. Con il beneplacito della politica di allora, si consuma un capolavoro di quel capitalismo di relazione che marchia a fuoco la finanza di quegli anni.

Viene di fatto imbastita una “non gara” che porta la cordata Schemaventotto Spa, capeggiata proprio dai Benetton, ad avere la strada spianata di fronte ai grandi investitori stranieri, che infatti non si presentano nemmeno, eccezion fatta per un gruppo australiano Macquarie, chiamato a fare la vittima sacrificale. Con poco più di 6mila miliardi di lire, la famiglia veneta si assicura una vacca da mungere che le frutterà un’autentica fortuna nei vent’anni successivi.

Ma c’è un particolare non trascurabile. Con quel passaggio di mano non viene istituito un regolatore indipendente chiamato a vigilare sull’attuazione degli investimenti e sui livelli di sicurezza della rete autostradale.

Autostrade Spa, da società pubblica, aveva sempre controllato sé stessa. Nel 1999 viene privatizzata, ma il regime di controlli rimane quello di prima. Nasce da lì lo scenario nefasto di incuria che ci viene raccontato dalle cronache giudiziarie di oggi.

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