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Alle prime elezioni postunitarie alla Camera del Regno d’Italia, del 27 gennaio e 3 febbraio 1861, poterono votare solo i maggiori di 25 anni, in grado di leggere e scrivere, che avevano pagato le imposte per un importo non inferiore a 40 lire. Avevano diritto di voto, anche non avendo pagato le imposte, i professori, gli ufficiali, i magistrati. Dei 22 milioni di italiani dell’epoca, gli aventi diritto al voto furono 418.696, ma di questi, seguendo la decisione del papa di astenersi dal voto,solo 239.583 italiani votarono effettivamente, l’1% della popolazione.
Il sistema elettorale, basato sul doppio turno di collegio uninominale, ricalcato su quello in vigore nel regno sardo-piemontese, era stato introdotto nel 1848 dallo statuto albertino, ed era basato sul suffragio per censo e capacità, secondo la logica “chi sa – chi ha”. Con l’inserimento del Veneto, nel 1886, il numero dei deputati passò da 443 a 493 collegi, e nel 1870, con l’acquisizione del Lazio, a 508 collegi. Il sistema di voto basato sui collegi uninominali con il ballottaggio fu utilizzato fino al 1882, e poi ripreso nel 1892.
Alle elezioni del 1861 prevalse una larga maggioranza moderata che faceva capo a Cavour (46%), con 342 deputati, la sinistra garibaldina, democratica e repubblicana, e l’Estrema, non andò oltre i 62 deputati complessivi (20,4%).
Ben 16 seggi, su 443 totali, spettarono alla provincia di Terra di Lavoro nelle prime elezioni. Nell’ex Regno delle due Sicilie, solo Napoli aveva un numero più alto di seggi: 18. La provincia, in base al numero di abitanti, fu di conseguenza suddivisa in sedici collegi: Cassino, Sora, Formia, Piedimonte d’Alife, Sessa Aurunca, Caiazzo, Pontecorvo, Teano, Capua, Santa Maria C.V., Caserta, Aversa, Airola, Cicciano, Acerra, Nola.
Con la riforma Depretis, nel 1882 il sistema elettorale venne cambiato per favorire l’organizzazione del consenso attraverso liste di partito nazionali, spezzando il notabilato che aveva caratterizzato la formazione della prima classe politica italiana postunitaria, introducendo lo scrutinio di lista su collegi plurinominali, con l’espressione delle preferenze ai candidati. Il nuovo sistema fu adottato nelle elezioni del 1882, 1886 e 1890 (fino alla XXIV legislatura).
Fu abbassato il limite d’età da 25 a 21 anni e dimezzato (19,80 lire di imposta) il criterio del “censo”. Il diritto di voto fu esteso anche a coloro che avevano superato il biennio elementare obbligatorio (oppure frequentato la scuola reggimentale durante il periodo di leva), introdotto dalle legge Coppino nel 1876. La provincia di Terra di Lavoro , ebbe assegnati 14 seggi e suddivisa in tre nuovi collegi elettorali: 5 seggi a Caserta I (Capoluogo Caserta), 5 seggi a Caserta II (Capoluogo Capua) d’Alife), 4 seggi a Caserta III (Capoluogo Cassino).
Le successive elezioni del 1886 e del 1890 non mutarono il quadro circa la prospettiva di costruzione di una dimensione “nazionale” del Parlamento e di affermazione dei partiti nella società: così si riaprì il dibattito e, con la legge del 5 Maggio 1891, con la riforma Rudinì, alle elezioni del 1892 si ritornò all’uninominale, cogliendo l’occasione per ridisegnare in modo sostanziale anche la stessa geografia dei collegi. Fu modificata anche la regola riguardante i ballottaggi: per essere eletti al primo turno era necessario ottenere la maggioranza assoluta, a condizione che avessero partecipato al voto almeno un sesto degli iscritti alle liste elettorali. Con il ritorno all’uninominale, gli elettori aventi diritto al voto nel 1892 furono 2.934.445 (il 9,67% della popolazione). La provincia di Caserta passò da 15 a 13 collegi, su 508 totali.