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Tra il 1897 ed il 1899, la trasformazione politica operata da Rosano fu sostenuta apertamenta da Il Mattino di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, quotidiano di area crispina, fondato nel 1892 grazie ad una grossa liquidazione accordata a Scarfoglio dal banchiere ed editore Matteo Schilizzi. Il giornale napoletano, espressione degli interessi dell’aristocrazia fondiaria, iniziò con definire Giolitti “soldato fedele della Sinistra” e “apostolo incrollabile delle idee liberali”, e contribuì a portare in poco tempo nell’area giolittiana i deputati che negli anni passati avevano gravitato nel gruppo di Nicotera, riaggregando le clientele, intorno ad Alberto Aniello Casale, che in seguito divenne deputato e consigliere provinciale. Il quotidiano di Scarfoglio si distinse succesivamente anche per la difesa di Peppuccio Romano dalle accuse mossegli dai socialisti.
Alberto Casale, originario di Sessa Aurunca, di famiglia possidente, era diventato il principale leader dei giolittiani napoletani, favorendo l’alleanza tra il direttore e fondatore del quotidiano Il Piccolo, Rocco de Zerbi ed il conte Giusso, contro il duca Gennaro Sambiase Sanseverino di San Donato, ed aveva organizzato una propria clientela personale nel circolo politico da lui fondato nel quartiere Avvocata, dove poteva contare su una base di 3000 voti, a cui si aggiungevano i voti delle associazioni da lui controllate dei Maestri Elementari, e l’Associazione del personale municipale, una macchina elettorale potente se si considera che il comune di Napoli contava 4000 dipendenti.
Ai giolittiani Rosano e Casale, si unì quindi anche Raffaele Corsi, divenuto dopo la sua elezione, in pochi anni, uno dei politici più influente di Terra di Lavoro, ed il massone Leonardo Bianchi, direttore del manicomio provinciale di Napoli, e deputato di Montesarchio, nel beneventano. Negli anni in cui furono varati gli ingenti investimenti per il risanamento, che ancora oggi caratterizzano la struttura urbanistica umbertina della città di Napoli, intanto era diventato sindaco (tra il 1883 ed il 1889) Nicola Amore, originario di Roccamonfina, che dal 1862 al 1865 era stato questore di Napoli.
La città, duramente colpita dal colera, ben cinque volte nei primi 24 anni dall’unità d’Italia in poi, e dopo l’epidemia della febbre napoletana del 1884, durante la quale morirono 15 mila persone, fu preparata per anni alle grandi opere urbanistiche finanziate dalla legge 15 gennaio 1885, dalle inchieste di Matilde Serao, pubblicate dal giornale Capitan Fracassa, cui fecero seguito gli scritti di Treves, Renato Fucini, Villari e Franchetti. La gara per sventrare e ricostruire la città fu vinta dalla Società per il Risanamento, per una spesa complessiva di 43 milioni, rispetto ai 230 milioni previsti inizialmente e ridotti successivamente a 100 milioni.
La ripetute e ravvicinate crisi delle giunte comunali napoletane, effetto della lotta tra le componenti cattoliche legate alla curia arcivescovile ed i liberali, in cui un ruolo non marginale fu assunto dalla sinistra massonica nicoterina, causò una miriade di giunte comunali che si avvicendarono a pochi mesi mesi di distanza le une dalle altre. In seguito alle polemiche provocate dalle accuse delle opposizioni sulla la gestione degli appalti, denunciate anche da Giorgio Sidney Sonnino sulla Rassegna Settimanale, nella quale usò l’espressione Alta Camorra, riferendosi al sistema che aveva esteso la sua influenza nelle assunzioni pubbliche; per decisione dell’allora ministro dell’Interno, Giovanni Nicotera, fu sciolta l’amministrazione comunale e fu inviato Giuseppe Saredo come Regio Commissario, tra il 1891 ed il 1892.
Saredo fu il primo dei cinque commissari regi che in dieci anni si succederanno nel tentativo di mettere ordine nel caos politico napoletano (gli altri commissari regi saranno Camillo Garroni, tra il 1893 ed il 21 gennaio 1894; Beniamino Ruffo Damiano tra il febbraio e settembre 1895; Ottavio Serena, tra aprile ed agosto 1896; Carlo Guala, tra novembre 1900 e maggio 1901 e Carlo Chiaro, tra giugno e novembre 1901).
Negli ultimi anni dell’Ottocento, in una situazione di effervescenza sociale in tutto il Regno d’Italia, caratterizzati dalle cannonate del generale Bava Beccaris a Milano contro i dimostranti della “protesta dello stomaco”, in cui ci furono 80 morti; anche a Napoli, con i cantieri del Risanamento ancora aperti, aveva cominciato ad organizzarsi un primo nucleo socialista, inizialmente per iniziativa di Luigi Alfani e Pietro Casilli. I socialisti iniziarono a riunirsi nel caffè De Angelis, dove affluivano anche gli studenti delle province più lontane. Tra i primi del nucleo socialista napoletano, Pasquale Guarino, Arturo Labriola, Ettore Croce, Enrico Leone, Ernesto Cesare Longobardi, Giuseppe Caivano. Il cenacolo iniziò a discutere le teorie marxiste, cui contribuì anche Antonio Labriola, più vicino alle posizioni di Kautsky e Bernstein. Il gruppo si affiatò anche per effetto delle persecuzioni della polizia, traslocando più volte di sede.
La nascita del movimento socialista in Campania portò alla ribalta per la prima volta una formazione politica che non basava il proprio fine sulle clientele o sui valori personali. Durante lo scontro con la Francia per i dazi doganali, a Napoli scoppiarono rivolte sociali per il pane e per protestare contro l’aumento del grano, con scontri con i carabinieri e morti, come negli episodi delle manifestazioni spontanee del 1893 e del maggio del 1898, cui seguirono gli arresti di alcuni attivisti del partito socialista napoletano. Il 6 gennaio 1894, nello stesso giorno in cui inaugurata la sede del Fascio dei Lavoratori, da cui nascerà in agosto la Camera del Lavoro napoletana, la polizia effettuò una massiccia retata, sequestrando gli elenchi degli iscritti.
Nel 1899 il foglio socialista La Propaganda, attraverso gli scritti del deputato Giacomo De Martino, e la rubrica “Contro la Camorra”, curata per il foglio da Walter Mocchi, iniziò una campagna contro il sistema di potere che si era creato in città ed in particolare contro Alberto Casale, avversario dei socialisti nel collegio della Vicaria, accusato di essere un intrallazzatore. Giacomo De Martino, attaccò la gestione amministrativa di Celestino Summonte, sindaco di Napoli tra 1898 ed il 1899, chiedendo un’inchiesta.
La Propaganda denunciò anche gli interessi coagulatisi soprattutto intorno alle società finanziarie che si erano specializzate nel finanziamento degli appaltatori delle province di Napoli e Caserta, come la Società Assicurazioni Diverse (SAD), di cui era presidente Raffaele Corsi ed amministratore Massimo Levi, già Banca Filangieri che, grazie ai sostegni politici, garantiti da Casale e da Summonte, era riuscita ad entrare nelle quote di importanti società appaltatrici, come la Società napoletana per le imprese elettriche, la Società per il Risanamento, la Società per i Magazzini Generali di Napoli, la Società Napoletana di Navigazione a vapore.
Casale replicò alle accuse intentando una causa per diffamazione al giornale, che finì clamorosamente per dare ragione a La Propaganda, che vendette 20.000 copie del numero in cui si annunciava la vittoria al processo. Alberto Casale si dimise da deputato e consigliere provinciale. Dopo il successo del processo intentato da Casale, alle elezioni del 1900, il socialista Ettore Ciccotti riuscì ad essere eletto nel collegio di Vicaria.
L’eco delle polemiche portà, subito dopo il natale del 1900, l’ invio a Napoli di cinque commissari incaricati dal governo per chiarire se effettivamente ci fossero intrecci affaristici-malavitosi. Tra i membri della commissione, anche l’ex Regio Commissario Giuseppe Saredo. I commissari, nonostante il clima in città, i tentativi di ostacolarne il lavoro messi in atto dall’onorevole Pietro Rosano, dal prefetto Tommaso Tittoni, con l’appoggio de quotidiano Il Mattino e di altri giornali napoletani, ascoltarono in dieci mesi 1300 persone con dichiarazioni verbalizzate, ed analizzarono l’operato delle amministrazioni comunali, dal 1860 al 1900.
I lavori si conclusero nel 1901, con la pubblicazione di due di volumi in cui si sosteneva che i mali di Napoli erano causati dal fatto che la parte migliore del ceto politico napoletano era a Roma, lasciando la città nelle mani di mediatori ed intrallazzieri mediocri e di bassa lega. L’inchiesta mise in evidenza le numerose irregolarità compiute dalle amministrazioni: dall’aumento ingiustificato degli organici per soddisfare le clientele dei vari consiglieri di maggioranza, all’approvazione di progetti per l’esecuzione di lavori pubblici, non sempre di pubblico interesse; dalle concessioni agli appaltatori legati ai leader politici, ai contratti privi di parere tecnico; ed ancora favori elargiti dal comune di Napoli a compagnie di navigazione, affidamenti di servizi pilotati, come quello per l’illuminazione pubblica, interferenza nelle nomine dei dirigenti ed un vero e proprio mercato di posti comunali.
Dall’inchiesta Saredo emerse che brogli e compravendite di voti andavano avanti dall’inizio dell’Unità d’Italia, attraverso il ruolo di comitati in cui spesso erano presenti i camorristi e funzionari corrotti, che offrivano voti ai candidati nei collegi, evidenziando una rete di relazioni complesse e reti di interesse che andavano ben al di là del sottoploretariato camorristico, i cui protagonisti erano dei mediatori che facevano la spola con personaggi espressione di un’alta camorra, composta di persone di rango borghese, interessate agli appalti, alle concessioni ed alle cariche nelle pubbliche amministrazioni. Questi soggetti contrattavano gli affari nei circoli e nella stampa.
Le denunce mettevano in evidenza il ruolo di Alberto Casale nelle spese e nelle assunzioni del comune e finirono anche per coinvolgere l’ex sindaco Summonte e l’editore Edoardo Scarfoglio, andando a lambire anche l’onorevole Emanuele Gianturco (in futuro più volte ministro) accusato di ostacolare il lavoro della commissione. L’accusa fu mossa alla Camera del Regno dall’onorevole casertano Alfredo Capece Minutolo di Bugnano, acerrimo nemico di Pietro Rosano..
La vicenda si concluse con un processo per reati contro la pubblica amministrazione in cui, dopo una iniziale condanna a tre anni di reclusione per Alberto Casale e l’ex sindaco Summonte, l’ex assessore De Siena, il segretario del comune ed un paio di ingegneri, si arrivò in seguito al proscioglimento pieno. Il potente politico casertano Pietro Rosano, si suicidò il 9 novembre del 1903.
I socialisti non trassero beneficio dalle inchieste de La Propaganda, alle elezioni del 1904 Ciccotti e De Martino non furono rieletti, sconfitti dai candidati delle forze governative.