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Oggi si festeggiano i tuoi due anni. Oggi si celebra la vita.Due anni per nulla scontati.Due anni in cui si celebra ogni nuovo giorno.Con oggi sono esattamente due anni che mi insegni a campare. Che ti guardo e penso al miracolo che sei e che mi racconti in ogni istante della tua straordinaria esistenza. Che mi ricordi che sei la meraviglia, la scoperta, la speranza e, ancora, di nuovo meraviglia. Due anni che mi commuovo nel guardarti. Che anche se non sei bello, però sei simpatico. Che mi perdo nei ricordi dei momenti più bui. Che mi angoscio al pensiero che sei lì fuori, ogni momento, al fronte a combattere la tua strenua, sfiancante, interminabile battaglia contro la stupida malattia della tua stupida genetica del tuo stupido corpo col bug. Che mi riempio di te e della tua inqualificabile follia.Dei tuoi sorrisi.Del tuo sorprendente attaccamento alla vita in stile Coccobill. Due anni in cui, al fronte, ci hai portati tutti con te, ma solo per insegnarci ad affrontare le difficoltà che la vita, prima o poi, ti pone davanti. Sì, perché prima di te eravamo diversi, più deboli, più arrendevoli, più tante altre cose che non siamo più. E che grazie a te non saremo mai più. Ci hai resi certamente più padre e più madre di com’eravamo.Sempre un po’ una chiavica di genitori ma una chiavica di genitori più cazzuti. Quanti miracoli hai ricevuto e operato in questi due anni, piccolo rompicoglioni difettato di papà?Quante cose ci hai insegnato pur non sapendo davvero fare manco il cazzo? Eppure, tutto ciò che non sapevi e non sai fare, lo hai non saputo fare benissimo. Uno straordinario professionista del non so fare una mazza. Che fenomeno enorme che sei.Unico come il difettuccio che ti porti appresso. E non mi riferisco a tua madre. Ed ovviamente nemmeno a tuo padre. Che sarei io. Credo. O a tuo fratello. O sì? No.Mi riferisco al fatto che hai scelto l’originalità anche nella malattia e questo fa di te un piccolo mostriciattolo speciale, unico, rompicoglioni.Sono passati solo due anni. Sembrano venti. E nonostante questo faccia di me un padre alle soglie dei settant’anni, la memoria di ogni istante di questi due anni per dieci è limpida, arcigna ed ogni immagine, frase o pensiero scolpiti, purtroppo o per grazia di Dio, nei miei destabilizzanti ricordi. E mi riportano alla notte della tua nascita, quando vedendoti ti considerai un usurpatore di attenzioni che avrebbe solo potuto essere un intruso nel mio cuore pieno d’amore tutto per tuo fratello. Mi riportano alla preghiera, rivolta al Padreterno, che mi desse un cuore abbastanza grande affinché io potessi amare anche te, come lui. Non una briciola in meno. E mi riportano alla telefonata, al ricovero, al ritorno a casa, al nuovo ricovero, al mondo che si frantumava sotto ai piedi, alle parole dei medici, in uno stanzino freddo, che mi spiegavano che era tardi, eri grave, che non saresti arrivato al domani. E mi riportano al ritorno a casa, in macchina, da solo, di notte, col cuore squartato in mille pezzi come un puzzle di dolore che non potevo rimettere a posto. La preghiera, disperata, aggrappato alla statuetta della Madonnina che è da sempre sotto casa mia e che mai avevo considerato più di un semplice punto di riferimento per indicare l’entrata o l’uscita dal palazzo. La notte al telefono a chiedere dei valori, dei numeri sui macchinari, sulla frequenza dei suoi respiri, quella dei suoi battiti. Le lacrime. Il buio. Un buio così profondo e intenso da inghiottire ogni piccola goccia di voglia di vivere. E mi riportano alla mattina successiva, all’uomo che non doveva essere in quell’ospedale, in quel reparto, che vedendomi mi chiese se fossi il papà del bambino arrivato la notte prima. Il cuore che mi si ferma. L’uomo che mi sorride, mi tranquillizza, mi dice che il bambino sta bene. E poi torna dentro, sparisce in un reparto in cui nessuno lo aveva mai visto, nessuno sapeva chi fosse e a cui nessuno aveva dato informazioni sul mio bambino. Era il suo angelo, oppure nessun altro. E mi passa per il cazzo se c’è chi non crede in queste cose e chi mi potrebbe pure prendere per il culo perché pensa che queste siano solo fantasie di poveri fanatici mentecatti che si appoggiano ad amici immaginari per sentirsi meglio. O meno peggio. Genny ha avuto il suo miracolo quella mattina e da allora, ogni suo giorno, è stato il miracolo che lui ha regalato e regala a noi. Con la sua, sempre più, straordinaria faccia di cazzo, ha fatto in modo che la mia preghiera, la mia prima preghiera del suo primo giorno di vita su questo pianeta deprimente e cattivo, venisse ascoltata. E ora, ma non da ora, il mio cuore non lesina amore per lui. È oggi non viene prima, ma non viene nemmeno più dopo, suo fratello. Genny è la gioia fatta persona. Persona assemblata in maniera difettosa, a quanto pare, ma brillante come la luce del sole nel mese di agosto. Quindi pure fastidioso. E tra una cantata da vattiente e un’Ave Maria buttata in mezzo all’improvviso, questo è cazzo che mi diventa veramente Cardinale e a quel punto non dovrò più preoccuparmi di vedere come sistemarlo spingendolo a menarsi nell’insegnamento…PS: Il Cardinale ha deciso di cantarsi la canzoncina del “tanti auguri a te” in playback per non disturbare troppo le altre persone sul treno a cui aveva, precedentemente nelle prime sei ore di viaggio, sfrantummato i coglioni in maniera devastante. Buon compleanno a papà. Continua così. E ‘mparat a fa’ coccos oltre che ha rompere il cazzo alla gente…
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