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Di chi è il Golfo del Messico (o Golfo d’America)?
Secondo il diritto internazionale la maggior parte delle acque del bacino non è sotto il controllo degli Stati Uniti

Da diverse settimane si discute della decisione presa dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump di cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America. Se ne è parlato soprattutto su un piano politico e tecnico, riflettendo sulla legittimità e sull’applicabilità della decisione a livello nazionale e internazionale. Ma nel dibattito che si è sviluppato è emersa anche una questione territoriale specifica, più sostanziale: quale tra le nazioni che si affacciano sul golfo – Messico, Stati Uniti e Cuba – abbia in effetti maggiore sovranità su quel tratto di mare.
È piuttosto frequente che tra stati costieri ci siano controversie riguardo ai rispettivi diritti sulla fascia di mare su cui ciascuno stato si affaccia. Le convenzioni del diritto internazionale stabiliscono, in linea generale, che quei diritti sono esercitati con attenuazioni sempre maggiori man mano che ci si allontana dalla terraferma. Tenendo in considerazione i confini stabiliti da quelle convenzioni, la maggior parte delle acque del golfo si trova al di fuori delle zone marittime controllate dagli Stati Uniti.
Secondo dati riportati dal New York Times e calcolati da Sovereign Limits, un database di confini internazionali territoriali e marittimi, il Messico ha diritti sul 49 per cento del golfo, gli Stati Uniti sul 46 per cento e Cuba sul 5 per cento.

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare suddivide gli spazi marini in «zone marittime». Il mare adiacente alla costa di uno stato costituisce le cosiddette «acque territoriali», su cui lo stato esercita una sovranità pari a quella esercitata sul proprio territorio: si estendono per un massimo di dodici miglia marine, cioè circa 22 chilometri.
Dalla costa fino a un massimo di duecento miglia marine, cioè 370 chilometri, si estende poi la «zona economica esclusiva» (Zee). Su questa zona la sovranità dello stato costiero è limitata allo sfruttamento economico delle risorse biologiche, come i pesci, e di quelle minerarie, come i giacimenti di petrolio e gas naturale nel fondale marino. Oltre questo limite si trovano le «acque internazionali», su cui nessuno stato può esercitare sovranità, ma a seconda dei casi può esercitare diritti soltanto sulle risorse del fondale marino.
L’area del Golfo del Messico è composta approssimativamente per il 44 per cento di zona economica esclusiva del Messico, per il 39 per cento di zona economica esclusiva degli Stati Uniti e per il 5 per cento di zona economica esclusiva di Cuba. Il golfo è il nono bacino al mondo per estensione (compresi oceani e mari), e viene spesso definito negli Stati Uniti come la sua “terza costa” (oltre a quella orientale e quella occidentale). È un importante centro di attività economiche: nel golfo gli Stati Uniti hanno circa metà dei propri impianti di lavorazione e raffinazione del petrolio, e pescano circa il 40 per cento del pesce che la popolazione mangia.
Il Golfo del Messico si chiama così da oltre 400 anni, da molto prima della nascita dell’omonimo stato moderno del Messico, che ereditò il nome da una parola usata dagli Aztechi per indicare la capitale del loro impero. La denominazione “Golfo del Messico” era riportata già in mappe del 1586 e del 1591. In precedenza quel tratto di mare era chiamato “Golfo del Nord” (il centro delle operazioni dei conquistatori europei era in America centrale e in Sudamerica) o “Mare della Nuova Spagna”. Il nome Golfo del Messico si è poi consolidato nel Seicento.