Una vita tutta curve (o Cosa fanno le banche centrali)

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Lo stato della nostra economia può essere emblematicamente spiegato con un episodio: quando Berlusconi, in un periodo di acuta crisi economica, disse che i ristoranti erano pieni, si fu quasi in procinto di fare la rivoluzione. Mi rendo conto che, per chi non è messo in buone condizioni economiche, un’affermazione del genere può essere considerata una presa per i fondelli e, nell’ipotesi più soft, uno sberleffo bello e buono.

In quell’episodio tuttavia si è misurato quanto in Italia quel che conta di più è fare bagarre politica e non risolvere i problemi economici, poiché – se un minimo di preparazione economica la si avesse (e mi riferisco ai politici e non ai cittadini) – non si trascurerebbe mai che la prima regola dell’economia è una regola psicologica: l’ottimismo. E non voglio riprendere Tonino Guerra con l’affermazione che l’ottimismo è il profumo della vita: no, l’ottimismo è il motore dell’economia.

Finché saremo pieni di politici che ci ricordano, come se noi non lo sapessimo già abbastanza bene, che l’economia va male, l’economia non migliorerà mai! Mi spiego meglio: non parlo dell’essere ipocriti, parlo del fatto che i politici non dovrebbero campare delle lamentele, ma dovrebbero proporre soluzioni. Guardatevi in giro e fate mente locale: quanta parte della politica è fatta di accuse e controaccuse, di lamentele, populismi e via dicendo? E quanta parte è fatta dalla messa sul piatto di soluzioni concrete e fattibili?

La politica e i politici di oggi inculcano solo pessimismo su pessimismo. Questa è una delle cause principali, ovviamente non la sola (poiché la situazione italiana è così ingarbugliata che ormai le variabili da considerare sono moltissime), dell’immobilismo della nostra economia.

 A cosa serve l’ottimismo? A riavviare i consumi quando sono fermi o a continuare ad alimentarli quando sono in essere. Una popolazione di consumatori ricettivi incrementa la domanda di prodotti e quindi anche il lavoro richiesto alle aziende, il che si potrebbe convertire in nuove assunzioni giacché per produrre più prodotti serve più personale. Ma perché dico “si potrebbe convertire” e non “si converte”? Perché il condizionale anziché l’indicativo?

La risposta è semplice: nel momento in cui un imprenditore deve decidere se farsi carico o meno di un nuovo stipendio con annessi e connessi, valuta se quest’ottimismo – e quindi la maggiore richiesta di consumo di prodotti – è una costante nel tempo oppure è un “capriccio” momentaneo del consumatore. In quest’ultimo caso, non si prenderà il rischio di assumere un nuovo dipendente che, una volta cessato il consumismo della popolazione, dovrà comunque pagare “a vuoto”; bensì, quel che farà sarà al massimo far fare gli straordinari ai dipendenti già assunti. Ne consegue che non ci saranno nuove persone a beneficiare di un nuovo posto di lavoro.

 Già solo con questi due ragionamenti si è capito come l’ottimismo influenzi, in primis, la produttività di un’impresa e, in secondo luogo, l’aumento dei posti di lavoro. Se invece quest’ottimismo non c’è non si verifica nessuna delle due cose, per il semplice motivo che – anche nel caso in cui gli individui vedessero incrementare il proprio reddito (come sembra, ad esempio, sia avvenuto per le tasche degli italiani nell’ultimo anno) – quei soldini in più non li spenderanno, e invece di andare a finire nella voce Consumo (C) andranno in quella Risparmio (in economia indicato con S, dall’inglese Saving). Lo stesso vale per gli investimenti, interni o esteri: chi investe se non è altamente probabile che l’andamento positivo rimarrà a lungo?

 Ma perché vi parlo di ristoranti e consumi in un post dedicato alle banche?

 Beh, perché in economia tutto è interdipendente. Difatti, l’economia di uno Stato sta bene da tutti i punti di vista quando si trova in una posizione di equilibrio – o ad essa molto molto vicina – tra due indicatori, ossia la curva IS (iniziali delle parole inglesi Investment e Savings) e quella LM (iniziali delle parole inglesi Liquidity e Money), graficamente rappresentate come due rette che si intersecano (nel punto di equilibrio) e che sono matematicamente riassunte, invece, in due equazioni.

 Allora, non voglio fare alta economia, fate solo lo sforzo di seguirmi per qualche riga un po’ più complicata, ma potete capirle tranquillamente e vi servirà per capire un sacco di cose poi. Io, dal mio canto, cercherò di essere il più semplice possibile.

Il grafico qui sotto rappresenta l’equilibrio macroeconomico (quindi quello riferito a uno Stato e non, per esempio, a una singola impresa e al suo andamento economico-finanziario).

 Come spiega il grafico, la curva IS rappresenta l’equilibrio nel mercato dei beni (leggasi, commercio) mentre la curva LM l’equilibrio nel mercato finanziario (leggasi, per semplificare, nel mondo delle valute, delle monete). Il punto di equilibrio cui tendere perché il Paese goda di una situazione economica ottimale è quello di intersezione, indicato con il punto A. I due parametri su cui si muovono le curve IS e LM sono la produzione Y (o anche reddito, inteso come reddito del Paese) indicata sull’asse orizzontale e il tasso di interesse i indicato sull’asse verticale.

Quindi, in breve, IS è quella combinazione di produzione e tasso di interesse che garantisce l’equilibrio nel mercato dei beni e servizi, mentre LM è quella combinazione di produzione e tasso di interesse che garantisce l’equilibrio nel mercato monetario.

Ma Y da cosa è composto? Y è sì la produzione, ma è ancora più semplicemente il reddito. Il reddito di uno Stato intendo. Esso si compone così: Y=C+I+G+X dove

  • C è il consumo (prevalentemente privato, quindi i soldi che mettete/mettiamo in circolazione andando a fare acquisti, sia di beni di prima necessità che di beni “superflui”)

  • I sono gli investimenti

  • G è la spesa pubblica (in questo caso la si intende comprendendo le tasse, o meglio al netto delle tasse. Vale a dire che le tasse T sono un’entrata mentre la spesa pubblica è denaro che esce, di conseguenza il denaro che effettivamente rimane nelle tasche dello Stato è dato dalla sottrazione T-G)

  • X sono le esportazioni nette, ossia esportazioni meno importazioni. Questo perché siamo in un mercato aperto, che quindi commercia con l’estero; altrimenti, se fossimo in un mercato chiuso in se stesso, il reddito dello Stato sarebbe composto solo da consumo, investimenti e spesa pubblica.

La matematica ci insegna che quando uno degli addendi cambia, cambia anche il risultato finale. Quindi se il consumo diminuisce, con gli altri fattori rimasti invece invariati, anche il reddito diminuisce e allora il punto della curva IS in cui si piazza l’economia dello Stato non è più A (quindi l’equilibrio) bensì un altro punto che però non si interseca più con LM in quello che è il punto di equilibrio. Siamo finiti in un punto di “disequilibrio”.

 Perciò, lo Stato, per tornare al punto di intersezione con la curva LM cosa deve fare? Deve intervenire sulle altre componenti del reddito, quindi per esempio sulla spesa pubblica (ad es. taglia le pensioni o gli stipendi degli statali, o fa nuova edilizia statale, ecc.) o aumenta le tasse, oppure prova ad aumentare le esportazioni, di modo che alla fine dei conti il risultato torni ad essere quello iniziale. In pratica, la variazione del consumo viene contemperata dalla variazione di un altro componente, con il risultato finale che mantiene l’equilibrio.

Tutti gli interventi che lo Stato fa o può fare su C, I, G e X prendono il nome di “politica fiscale”. Quindi, quando si parla di politica fiscale solo rispetto alle tasse si riduce notevolmente il significato che economicamente ha questa espressione.

 Ma se non si riesce o non si può momentaneamente intervenire sulla curva IS per riavvicinarsi al punto di equilibrio, è possibile intervenire e quindi far spostare in qualche modo la curva LM? Sì, e in questo caso tutti gli interventi che si fanno sulle componenti di quest’altra equazione prendono il nome di “politica monetaria”.

Ed ecco qui che entra in gioco la banca, per l’esattezza la Banca Centrale. Nell’immaginario collettivo, quella che stampa la moneta. Ma se la stampa non è per diletto o per evitare che i soldi finiscano; la Banca Centrale quando stampa un tot di moneta lo fa per assecondare o contrastare i movimenti della curva LM rispetto alla curva IS. Insomma, la nostra realtà economica è tutta una questione di curve!

 Abbiamo già detto che LM sta per “liquidity” e “money”. Per liquidità intendiamo il denaro sonante, quello che circola, quindi banconote e spiccetti 🙂

E non è assolutamente vero che più moneta circola e meglio è! Difatti, dovete considerare il denaro come un qualunque altro bene che può essere barattato: se prima barattavamo un kg di zucchine con un kg di melanzane, adesso quel kg di zucchine lo barattiamo con una monetina di due euro. Ecco, se iniziate a considerare la moneta come un semplice bene, potete capire perché non è sempre cosa buona che ce ne sia tanto in circolazione.

Mi spiego ancora meglio: pensate alla frutta di stagione. Questa, nella sua stagione, è generalmente in grande quantità per cui tendenzialmente costerà di meno perché facilmente reperibile. Una volta passata la sua stagione, la quantità di frutti disponibile diminuisce facendo sì che il prezzo aumenti, perché quel frutto è divenuto una merce più rara. Riprendendo la moneta e ipotizzando che sia questa il frutto di stagione, se la moneta in circolazione (banconote e spiccetti) diventa troppa essa perderà di valore. Questo significa che se oggi ho 10 euro e per un mese la banca centrale inietta moneta a più non posso nel mercato, io il mese successivo avrò sempre in mano quella moneta da 10 euro ma varrà di meno e potrò comprarci quello che prima avrei avuto ad esempio con soli 9 euro. Tradotto in soldoni (scusate il gioco di parole): se c’è troppa moneta in circolazione, il mio potere d’acquisto cala!

 Ora, tornando alla curva LM, sostanzialmente in base alla posizione che questa curva acquisisce nel grafico (posizione legata o alla congiuntura economica generale che per esempio porta a ridurre i consumi o le esportazioni, o alla politica fiscale del governo o a entrambe, e che quindi è assolutamente interdipendente dalla curva IS), la Banca Centrale di ogni Paese decide quando aumentare la liquidità di moneta e quando ridurla.

Per aumentare la liquidità, sostanzialmente la Banca batte moneta. Ma per ritirarla? Generalmente, l’opzione usata è quella delle obbligazioni di Stato(ricordate i Bot che negli anni ’80 hanno invaso la vita degli italiani e vi hanno fatto sentire ricchissimi?!). Il meccanismo è molto semplice: tu cittadino se vuoi comprare un’obbligazione mi paghi in moneta, quindi io banca centrale a te do il foglietto con l’obbligazione e tu dai a me le banconote e gli spiccetti che quindi ritiro dalla circolazione e mi metto in cassaforte, fino a quando non ci sarà nuovamente bisogno che io li ri-immetta nel mercato. Il problema di queste obbligazioni è che tu, cittadino, le compravi perché ti assicuravano un rendimento futuro a scadenza, quindi la banca centrale non ti avrebbe solo restituito il prezzo che avevi pagato bensì ti avrebbe dato denaro aggiuntivo. In pratica, per ritirare denaro dalla circolazione la banca finiva per indebitarsi.

Al contempo, tu cittadino eri invogliato a comprare più Bot se il rendimento (leggi tasso di interesse) era più alto: ricordate l’asse verticale del grafico che vi ho segnalato su? Quindi, anche la curva LM come quella IS dipende dal tasso di interesse (più alto è più l’obbligazione diventa per me appetibile!).

Quando la Banca centrale immette moneta parliamo di politica monetaria espansiva, quando la ritira è politica monetaria restrittiva.

 Spero che fin qui sia tutto chiaro.

Ora, dove sta l’inghippo?

Sta nel fatto che il grafico IS-LM non è uguale per ogni Paese, bensì ogni Stato c’ha il suo, e dipende dalla propria capacità industriale, da quella commerciale soprattutto di IMPORT-EXPORT, dalla ricchezza pro-capite, e via dicendo. Ne consegue, che sia la politica fiscale (curva IS) sia quella monetaria (curva LM) dovrebbero essere “mosse” a livello nazionale: tutto in genere dipende dalle decisioni statali che vengono eseguite, nel caso della politica fiscale, dal governo (inteso in senso lato) e, nel caso di quella monetaria, dalla Banca centrale.

Su questo trend ci muovevamo fino a quando in Italia vi era la lira, e sebbene non fosse ben presente a nessuno di noi, la nostra Banca centrale doveva operare sulla base della nostra curva LM di modo da completare e complementare le politiche governative che invece operavamo sulla curva IS. Era quindi tutta una questione di bilanciamento ed equilibrio. Fino a quando le due politiche dialogavano, il Paese poteva funzionare. A modo suo, ma poteva farlo.

A maggior ragione perché la Banca centrale poteva, quando necessario, intervenire anche sulla curva IS. Come? Attraverso la svalutazione, ossia la diminuzione di valore della moneta nazionale, che quindi rendeva più competitivi i nostri prodotti all’estero rispetto ad altri aumentando le nostre esportazioni, e quindi facendo aumentare anche la voce delle esportazioni nette (X) presente tra quelle che abbiamo detto essere le componenti di IS.

 Con l’ingresso nella zona euro, cosa è successo? È successo che la curva IS è rimasta nazionale mentre quella LM è diventata unica e soprattutto sovranazionale. Ciò si traduce nel fatto che, siccome la politica monetaria è solo una, magari essa è adatta alla curva IS della Francia o della Germania mentre non è adatta e quindi potenzialmente nociva per la curva IS italiana.

A maggior ragione perché, come da trattato istitutivo, il compito della Banca centrale europea (BCE) NON è assolutamente quello di fare una politica monetaria “tradizionale” o sostenere l’economia europea. No. Il compito principale della BCE è mantenere l’inflazione (quindi la variazione del livello dei prezzi) all’interno di un determinato range. Vale a dire che la BCE batterà moneta o la ritirerà dal mercato (prevalentemente attraverso il meccanismo delle obbligazioni che vi ho raccontato prima) solo e unicamente se questo serve a stabilizzare l’inflazione. Per cui, poco le importa se l’Euro si apprezza o si deprezza, e quindi di come vanno o non vanno le esportazioni.

 Ricordate il periodo in cui si diceva l’Euro è forte? Sì, l’Euro era forte (quindi la moneta era apprezzata) e ciò rendeva conveniente per gli europei, ad esempio, acquistare i beni americani o comunque venduti in dollari. Però, con la bocca piena de “l’Euro è forte, l’Euro è forte, olé!” non ci si rendeva conto (o si faceva finta di non rendersene conto) che l’altra faccia della medaglia era che, mentre i beni venduti in dollari erano appetibili, quelli venduti in euro no. Ne conseguiva che aumentavano le nostre importazioni, ma le esportazioni no (e prima abbiamo visto che a contare nel reddito dello Stato, Y, sono le esportazioni!!!)! Ciononostante, ovviamente, la BCE non si è posta il problema di svalutare. L’euro è rimasto forte per molto tempo.

 Quanto detto non significa che la BCE non possa, in determinate circostanze, venire incontro alle esigenze commerciali dell’eurozona (badate, dell’eurozona nel complesso, non del singolo Paese: la curva LM è solo una!); può farlo purché questo non vada in collisione con il suo compito fissato da Trattato. Infatti, L’articolo 127, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sancisce che: “L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali […] è il mantenimento della stabilità dei prezzi. [ndr. livello dell’inflazione]”.

E successivamente precisa che, “fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali dell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del Trattato sull’Unione europea”

Nb. Il SEBC (Sistema europeo di banche centrali) è composto dalla BCE e dalle Banche centrali di tutti i Paesi membri dell’UE (non solo quelle dei Paesi entrati nell’Euro).

 Questa “critica” alla BCE non significa che il controllo dell’inflazione non sia importante, tutt’altro. Significa però che la politica monetaria è stata privata di moltissimi strumenti che ci sarebbero stati utili…

L’aspetto inflazionistico è importante perché tenendo sotto controllo l’inflazione si impedisce che la moneta che abbiamo in saccoccia perda valore e quindi garantiamo il nostro potere d’acquisto. L’esempio storicamente più noto dei danni dell’inflazione è quello della Germania degli anni ’20, in cui si verificò un fenomeno di iperinflazione dovuto al fatto che la banca centrale tedesca stampava banconote a gogò per poter far fronte al pagamento dei debiti di guerra nonché alle riparazioni (annotatevi mentalmente questo fatto, perché nei prossimi articoli “economici” ci torneremo parlando di JP Morgan & Co.!). Quindi la liquidità di moneta era tantissima e questo portò, nel novembre 1923, il marco a valere un bilionesimo [1/1.000.000.000.000] di quanto valeva nel 1914.

Per fare un paragone, un po’ grossolano ma comunque d’effetto, è come se mille miliardi di euro di adesso fra dieci anni valessero solo un euro. Chiaro il concetto? No? In pratica, se io fossi una miliardaria adesso ma il sistema fosse il balìa dell’inflazione, fra dieci anni, pur tenendo in cassaforte i miei bei miliardi (quindi non sperperandoli a destra e a manca, che è tutt’altra storia!), con quei bei miliardi potrei comprarmi fra dieci anni appena appena un pezzo di pane.

Come sapete tutti, il malcontento e l’enorme crisi economica generati dall’iperinflazione nella Germania di Weimar crearono il substrato per l’ascesa del nazismo (andate a vedere le prime campagne elettorali di Hitler a cosa guardavano!). Questo evidenzia l’enorme nesso tra l’economia e i destini politici di una Nazione, per cui mi rifaccio al primo concetto di questo articolo: siate ottimisti! Perché l’essere pessimisti noi, danneggia l’economia dello Stato (non ha davvero senso vedere lo Stato come qualcosa di avulso da noi. Parafrasando il Re Sole, “L’État c’est nous!”. Lo Stato è fatto dall’insieme degli individui quindi i comportamenti individuali messi insieme fanno il comportamento collettivo. Pensare che l’eurino che abbiamo in tasca non influenzi un bel nulla significa svilire il valore di quell’eurino ma anche svilire il ruolo che il nostro comportamento individuale ha nel contesto economico generale!).

 Il pessimismo fa solo andar peggio un’economia che già va male, il pessimismo aumenta il populismo. A creare il boom economico in qualunque situazione è stata la forte speranza e la determinazione di potercela fare: guardate solo il New Deal proposto da Roosevelt dopo il crollo di Wall Street nel 1929. Come fece l’America a riprendersi da quel disastro solo Dio lo sa! E non è una battuta, perché in questo caso economia e religione hanno in comune una cosa: la fede! Bisogna aver fede che una ricetta economica funzionerà: se non vi si crede tutti o quasi tutti fin dall’inizio, ne abbiamo già decretato la morte.

Alla fine, per fare un altro parallelo, una delle componenti principali del New Deal era la costruzione di grandi opere, anche quando queste non erano proprio prioritarie per gli Stati Uniti, a volte addirittura inutili. Da noi invece appena si cita il ponte sullo Stretto sembra che si stia delirando, la TAV è figlia del demonio e qualunque altra grande opera che viene proposta viene alla fine “accannata” perché si ha paura (basta la paura, eh, non è necessario il sospetto, figurarsi la certezza… è troppo chiedere!) che si possano verificare episodi corruttivi. Nulla di più probabile della corruzione, vero, ma così l’economia italiana, e quindi l’Italia, e quindi noi tutti, uno per uno, siamo e rimaniamo bloccati dalla paura. Grandioso!

Il New Deal è stata la massima espressione della ricetta keynesiana (andatevi a spulciare l’economista inglese John Maynard Keynes, è un tipo interessante!), secondo la quale uno Stato pur di far ripartire l’economia avrebbe dovuto assumere degli operai anche per fare opere perfettamente inutili come seppellire bottiglie vuote nel terreno e una volta seppellite disseppellirle e poi seppellirle nuovamente. Questo perché? Ovviamente non per dare agli individui un lavoro svilente ma perché nel frattempo lo Stato avrebbe fatto da garante al riavvio dell’economia: assumere persone – sebbene per un lavoro completamente inutile – significava pagar loro degli stipendi, che in parte sarebbero divenuti risparmi per le famiglie ma in parte sarebbero divenuti consumi, e quindi l’operaio sarebbe andato a comprare il pane e avrebbe fatto lavorare (e quindi guadagnare) il fornaio, sarebbe andato a comprare i vestiti e quindi avrebbe fatto lavorare (e quindi guadagnare) l’azienda tessile della sua regione, ecc. In questo modo gli Stati Uniti risorsero…

 L’obiettivo è innescare il circolo virtuoso. Se invece di far girare la ruota, mettiamo sempre i bastoni fra le ruote facendoci prevalentemente condizionare dagli urlatori e dai populisti, forse (ma non ci metto la mano sul fuoco) un giorno diverremo un popolo meno corrotto, tuttavia è pressoché certo che non diventeremo un popolo più ricco.

 L’atteggiamento mentale fa tutto: l’atteggiamento mentale batte moneta!

 P.S.: agli economisti di professione, non rimproveratemi se ho soprasseduto a qualche tecnicismo, a quando sarebbe stato meglio parlare di valuta anziché di moneta, ecc. ma vi chiedo di comprendere l’obiettivo di questo blog: essere comprensibile superando i tecnicismi e creare consapevolezza rendendo accessibili le dinamiche di fondo delle cose. E voi sapete meglio di me che quelli che ho raccontato qui sono i rudimenti dei rudimenti della macroeconomia: siate clementi con me!

https://www.ameimportasoltantodisapere.com

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