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Da 0 a 10: Adl batte 4 colpi da 130 mln, la reazione bestiale di Conte, Osimhen con la ‘truffa’ araba e lo scandalo del cantiere al Maradona


26.08.2024 02:27 di Arturo Minervini


Kvaratskhelia incanta, Di Lorenzo commuove: è una notte magica al Maradona per la prima vittoria del Napoli di Conte. E che David Neres!


Zero punti a Verona e pareva già, per alcuni, una sentenza passata in giudicato. Perché a Napoli regna un masochismo perverso, il tentativo di qualcuno di darsi un ruolo in una storia che altrimenti li relegherebbe ai margini del racconto. Scelgono di fare i gufi e sono obbligati a restare coerenti. Non c’è mai una reale analisi, una conoscenza dei fatti, la volontà di comprendere, no. Oscillano sulla loro Wrecking Ball come Miley Cyrus e provano a demolire tutti. Poi scopri che il Milan perde a Parma, rischiando di prenderne sette, la Roma crolla in casa con l’Empoli, può perdere perfino l’Atalanta dei miracoli. È il calcio d’agosto, ve l’avevo detto ragazzi, basta un battito d’ali per cambiare i destini di una partita. C’è fragilità, c’è il chiacchiericcio del mercato, ci sono i gufi che si son presi (forzatamente) un giro di pausa.

Uno l’assist di Kvara che non c’entra niente la partita, pretende un racconto autonomo alla stessa. Sembra una stella cadente nella notte Di (San) Lorenzo quel pallone che spiove sul piede del capitano come un desiderio realizzato, una richiesta dall’alto che viene accolta dagli dei. In quel pallone, lanciato dove non c’era ancora nulla al momento del lancio, c’è la visione anticipata dell’artista del futuro. Come lo scultore che immagina nel marmo la sua opera, il poeta che guarda il foglio e ci legge già la sua poesia, il sognatore che guarda delle melanzane e ci vede già una parmigiana. Kvara è uno sguardo benevole su ciò che sarà, i greci dicevano Mellonta Tauta: le cose che accadranno. Kvara è così: una garanzia di giocate, basta solo saper attendere.

Due scivolate nella stessa azione, di Lobotka e Anguissa. Sembra niente, ma è stato un sussulto, un fremito, un ricordo adolescenziale come una puntata di Beverly Hills. È che non eravamo più abituati all’ardore, ci eravamo quasi rassegnati a quel pattume cerebrale della passata stagione. In fondo il calcio è una cosa semplice, lottare per arrivare prima degli altri ad avere il possesso del pallone. Pensate che sia un caso? Guardate il terzo gol di Simeone: anche quello arriva da una palla recuperata con una scivolata. Non è una squadra, è un omaggio a Tullio de Piscopo: “Scivola, come un’onda libera ti porta via…”

Tre punti. Boccata d’aria. Vittoria. Al Maradona, e chi se lo ricordava più come fosse. Vincere non è un rimedio, ma è sicuramente la strada più corta per accelerare certi processi. Li chiamano enzimi, quelli che favoriscono le reazioni biologiche. E questo Napoli è come Piero Pelù, che osserva il suo corpo che cambia. È Gregor Samsa, che si sveglia un mattino e non sente più la necessità di fare il 70% di possesso palla. Una metamorfosi voluta da Conte, avviata da Conte, stimolata da Conte. Che può divenire meno dolorosa, iniziando a inanellare qualche partita vinta.

Quattro acquisti da 30 milioni e più: Buongiorno, Lukaku, Neres e (speriamo) McTominay sono l’all-in di Aurelio De Laurentiis. La grande domanda che ci eravamo posti: ‘Prende Conte, ma poi deve comprare’ ha trovato risposta. Ed è stata forte, perentoria, netta: il patron non lascia, ma raddoppia. Vuole consegnare all’allenatore una rosa con i giocatori richiesti, anche a costo di ‘sporcare’ il bilancio (sperando di piazzare Osimhen). Siamo dinanzi a qualcosa che non ha precedenti nella storia del Napoli: acquisti, come quello di Lukaku, che sai già in anticipo non saranno mai plusvalenze. Spiazzante, come una persona che non confonde mai le stalagmiti con le stalattiti (io faccio sempre confusione). In attesa di piazzare Osimhen, con gli arabi che ora fiutano l’affare e vogliono strapparlo ad un prezzo di saldo. Che fregatura sarebbe.

Cinque di recupero della ripresa, pallone vagante, risultato già in ghiacciaia. Se non sei figlio di Diego Simeone, magari quella palla la lasci passare. Ma Giovanni è figlio di Diego Simeone e una cosa la sa: non esiste pallone per cui non valga la pena lottare. Lo aggancia, poi lo affida al genio di Kvara e Neres, per poi occuparsi in prima persona di spingerlo nella porta bolognese. Esulta rabbiosamente il Cholito, uno che attraverserebbe l’inferno per quella maglia lì. Nel pallone dei mercenari, fa sempre un certo effetto.

Sei minuti e la vita ti ricorda che l’amore non è un concetto collocabile temporalmente. Ci mette qualche giro di lancette, un drilbbling accennato, uno scatto abbozzato e poco più David Neres per aprire una crepa nel cuore dei tifosi. Al minuto 94’ riceve palla, la controlla col sinistro, sembra fermarsi, ma invece fa il primo scatto, poi tocca il pallone ancora col mancino, poi accade ciò che non si può spiegare. L’esitazione. Il brasiliano tiene in fondo pure la faccia che sembra muoversi al rallentatore. In quell’esitazione, il difensore viene inghiottito, è perduto, vinto, battuto. Come il nemico di De Gregori. E tu, in sei minuti, sai bene che è successo ancora: ti sei innamorato. E nelle cuffie, a tutto volume, per tutta la notte, suona una canzone che fa così: Di Sere….. Neresssss, che non c’è tempo, non c’è spazio…. Eppure lui ci passa.

Sette al Comune di Napoli, che pensa bene di fermare l’attacco del Bologna piazzando un cantiere sul lato sinistro della difesa del Napoli. Ah, non era un cantiere? Non c’era un divieto assoluto di transito? Quel che ho visto non era una struttura invalicabile? Mi state dicendo che la scritta ‘Buongiorno’ non era un cortese saluto dell’amministrazione ai cittadini che passavano da quelle parti? Quindi quell’Alessandro lì, con quel corpo che porta a spasso non è fatto di cemento armato? Appartiene alla stessa specie degli altri che erano sul terreno di gioco? Che mistero incredibile è l’essere umano. Che difensore pazzesco abbiamo comprato. E lo so, che se avesse gli occhi a mandorla avremmo pensato tutti ad uno che è passato da queste parti qualche tempo fa…

Otto a Di Lorenzo, ai violini, agli ultimi baci che non sono stati ultimi, alle lacrime. Che sono cadute, eccome se son cadute. Proprio come quel pallone spiovuto dal cielo, che Giovanni s’è andato a prendere con una voglia, una fame, un tempismo che è roba da far vedere in tutte le scuole calcio. “L’importanza del braccetto nella fase offensiva” si intitola il tutorial, prossimamente su tutte le piattaforme streaming. Dopo il gol, invece, non c’è più niente che si possa insegnare o razionalizzare. C’è solo un uomo, il cuore che esplode nel petto come un chicco di mais in padella, una curva che ha occhi solo per te. La meraviglia del pallone, che cuce storie e vite, vite e storie. Che scrive e cancella, ma non dimentica mai. Che notte Giovà: Nun è overo ca è fernuta tu stai cca’…

Nove al bonus bebè di Kvaratskhelia, che passa da padre a padrone nel giro di pochi giorni. Dal volo in Georgia per la nascita del piccolo Damiane, al rientro da tiranno a Napoli, asfaltando la difesa del Bologna con giocate da dominatore assoluto. Una traversa, l’assist caduto dal cielo a miracol mostrare, la cavalcata in stile valchiria col finale da Apocalypse Now per la squadra di Italiano. Quando lo vedi in campo aperto, quando lo vedi nello stretto, quando lo vedi attaccare a testa bassa capisci subito, se sei fatto di sangue pulsante, che quella visione è un ricordo da tutelare, preservare, come una razza in via d’estinzione. Tali sono i fuoriclasse nel pallone: tale è il georgiano, per appartenenza dalla nascita. Auguri e figli Kvara.

Dieci alle facce dei calciatori del Napoli all’inizio del secondo tempo, che pare di passeggiare in piena notte tra i peggiori bar di Caracas. L’avidità pallonara, il grande imprinting di Conte, il principio secondo cui ogni pallone è un pallone buono a cui donare la vita, quella sportiva. Diverse istantanea da ricordare nella prima di Antonio al Maradona: l’esultanza incontenibile al primo gol, l’attentato alla panchina, che per poco non spacca in due con un pugno, dopo un contropiede in cui Politano sceglie il tiro invece di servire compagni meglio piazzato. Lo stesso ‘cazzotto’, parole sue, che il Napoli ha subito a Verona e che, col senno del poi, è stato una lezione utile per tutti. Una reazione bestiale del suo Napoli. Che ogni giorno che passa, gli somiglierà sempre di più.

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