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Bruxelles, 25 marzo 2011.
L’allora premier Silvio Berlusconi rappresentò l’Italia al Consiglio europeo in cui furono definiti i contenuti del Meccanismo Europeo di Stabilità, meglio conosciuto come MES.
Il principale partito della maggioranza di governo si chiamava Popolo della Libertà, di cui Giorgia Meloni – ops – faceva parte.
Il secondo si chiamava Lega.
Roma, Palazzo Chigi, 3 agosto 2011.
Il Consiglio dei Ministri del governo Berlusconi approvò il disegno di legge per la ratifica del Mes.
Di quel governo la Meloni non era una portaborse, un’usciera e neppure un sottosegretario.
No, era proprio ministro. Ministro per la Gioventù.
Tra gli altri ministri presenti, Umberto Bossi (Lega) alle Riforme, Roberto Calderoli (Lega) alla Semplificazione, Ignazio Benito Maria La Russa (Pdl, oggi Fratelli d’Italia) alla Difesa.
Sempre Roma, Camera dei deputati, 19 luglio 2012.
L’ultima parola spetta al Parlamento.
Nel frattempo è cambiato il governo: non c’è più Berlusconi, ma Monti.
La Lega, dopo aver firmato il decreto, con la coerenza che già allora gli era propria vota contro.
Il Pdl: 83 favorevoli, 20 astenuti e 2 contrari. Tra questi due c’è Giorgia Meloni? L’anti-Mes? La paladina anti-euro? No, nient’affatto.
Quel giorno Giorgia era assente, tanto per non perdere le buone abitudini.
E Salvini? Bene, Salvini, pagato 16.000 euro al mese per fare l’europarlamentare, in quei giorni era su Italia 7Gold con una polo firmata Oues Velàa (la traduzione padana di Usmate Velate, comune di 10.000 abitanti della provincia di Monza e della Brianza) a tenere un “Padanotiziario” (gulp!) in cui sparava a zero sul Sud e sull’Italia.
Ora è più chiaro perché siamo dalla parte di Conte?
E, soprattutto, perché questi due li chiamiamo cialtroni.