Dedicata………

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Possono piacere non possono piacere,chi li considera bravi e’ onesti,chi li considera incapaci.

Ma diciamo la verita il movimento 5S ha dato uno scossone alla stagnante politica degli ultimi decenni.per chi li ha votati,non li ha votati,li votera’,non li votera’.questi ragazzi/e hanno coinvolto milioni di persone,anche quelle persone che non la pensano come loro,quindi un grazie lo dovrebbero dare anche chi non la pensa come i 5S,se non era per loro molta gente si era allontanata dalla politica.posso capire la paura del cambiamento,dell’orticello,dell’amico,ma un GRAZIE e’ dovuto.accetto tutte le idee politiche.ma non accetto e’ provo tanta tristezza per chi simpatizza con la LEGA un partito di territorio( nord est ) un partito che ci ha sempre offesi,derisi,discriminati,giudicati deliquenti,ladri,scansafatiche,evasori.per quando riguarda evasori,che io sappia loro sono i piu grandi evasori,i piu grandi ladri.un popolo che mi ha sempre affascinato i “pellirossa” chiamava RINNEGATO chi tradiva le propre origini per un pugno di soldi o una pinta di whisky.

Quindi le origini non si devono mai dimenticare.

Da premettere che io rispetto tutti,nord,centro,sud.ma chi manca di rispetto verso un popolo non merita nulla ( anzi merita come disprezzo UNA PERNACCHIA. “sit a shifezz ra schifezz”DON GENNARO EDUARDO DE FILIPPO.

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188 si e 13 no

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di Marco Travaglio

Scorrendo la mazzetta dei quotidiani, cresce il dubbio che sia tornato Il Male con i suoi falsi d’autore, tipo “Arrestato Ugo Tognazzi: è il capo delle Br”. Avete presente la direzione del Pd sul referendum? Era descritta come una conta drammatica dall’esito incertissimo, una tonnara all’ultimo sangue tra Sì e No in un partito diviso a metà, spaccato, dilaniato, sull’orlo della scissione e della cacciata del segretario.

La Stampa: “Referendum, l’imbarazzo del Pd: il partito quasi costretto al Sì. Tantissime voci critiche”. Sapete com’è finita? 188 Sì e 13 No (i superstiti delle tantissime voci critiche, soffocate nottetempo nel sangue). Del resto sarebbe stato ben curioso se il Pd, favorevole al taglio da quando si chiamava Pci, promotore nel 2008 di un ddl identico a quello del M5S (200 senatori e 400 deputati) se non per le firme in calce (Zanda e Finocchiaro), che un anno fa aveva votato la riforma alla Camera con tutti gli altri, se la fosse rimangiata.

Ma l’inconsolabile Riportino Folli non ci vuole stare e riattacca su Repubblica la tiritera del “gran numero di esponenti di primo piano per il No” (13 a 188) e si consola con “i miliardi del Mes sanitario al più presto”, che non c’entrano una mazza e in Europa non vuole nessuno (tranne forse Cipro).

Libero: “Il Pd è così malmesso che basta Zingaretti a fargli ingoiare il Sì”, ma fra indicibili “sofferenze, mal di pancia e difficoltà” (188 a 13).

Il manifesto: “Il sofferto Sì di Zingaretti” (188 a 13).

La Stampa: “La sofferenza dei referendum” (188 a 13). Una sofferenza quasi pari a quella di Mattarella, “seccato” (l’ha saputo il Messaggero) perché Conte, rispondendo a una domanda alla festa del Fatto, ha osato dire che è un ottimo presidente e, se volesse, lo sarebbe anche in un secondo mandato: bella “seccatura”.

Sul Riformista Emma Bonino vuole “salvare la democrazia da questo scempio populista”: vedi mai che tagliando i parlamentari lei resti fuori dopo appena 9 legislature (più 4 europee).

Sul Messaggero Carlo Nordio spiega che il referendum sarà “senza vincitori né vinti” (quindi non vince il Sì o il No) e “comunque il Parlamento subirà conseguenze impreviste, forse il suo stesso scioglimento” (certo, come no).

Il Corriere intervista un fake di Zanda, che dichiara restando serio: “Se oggi il referendum riguardasse la mia proposta del 2008 voterei ugualmente No”, cioè l’altro Zanda gli fa proprio ribrezzo.

Dev’essere un fake pure il Galli della Loggia intervistato dalla Verità: “Mattarella non doveva dare l’incarico a uno sconosciuto senza identità”, cioè a Conte, indicato due volte in due anni dalla maggioranza parlamentare; la prossima volta incarichi Galli della Loggia, noto frequentatore di se stesso.

Poi c’è il piano per il Recovery Fund: da mesi leggiamo che “il governo è in ritardo” (rispetto a cosa non si sa: la consegna è a ottobre) e non ha progetti, ma solo vecchi “fondi di magazzino per svuotare i cassetti”. Ora scopriamo sul Messaggero che “Parte l’assalto ai fondi Ue. Già ‘sforati’ i 209 miliardi”: cioè i progetti sono troppi. Il “ritardo” fa il paio con quello delle scuole, che riaprono il 14 settembre (a parte il Trentino che anticipa e la Campania che ritarda, come peraltro ogni anno), ma tutti ne scrivono come se fossero già spalancate da settimane.

E ovviamente non funziona nulla (Repubblica: “Scuola, partenza a metà”): studenti seduti su casse dell’ortofrutta e soffocati da mascherine di plexiglass, cattedre di cartapesta occupate da passanti presi a caso per insegnare, genitori a rotelle che inseguono la Azzolina e Arcuri, cose così. Intanto la Raggi s’è lasciata sfuggire nientemeno che il Tribunale dei Brevetti (ha solo tutti i ministeri e tutte le ambasciate) e la finale di Coppa Italia (senza pubblico: slurp): “Roma, capitale delle occasioni perse”, “Ennesimo schiaffo per una città senza più appeal” (Repubblica), “Il disinteresse della Raggi per la città che governa” (Messaggero).

Il Corriere si arrapa ogni giorno per “il piano segreto” di metà febbraio sul Covid “ignorato” e “negato” dal governo: peccato che non sia segreto (se ne parla da fine marzo) e non sia un piano sul Covid, ma uno studio-oroscopo con vari scenari fino a 66mila morti (per fortuna evitati proprio perché il governo non lo ignorò).

Salvini scrive al Corriere per chiedere spiegazioni dal governo, ma non si capisce bene su cosa: difficilmente uno che attacca Conte per aver disposto il lockdown del 10 marzo (con 631 morti, 10mila infetti e 5mila ricoverati) può rinfacciargli di non averlo fatto a metà febbraio (con due contagiati in tutt’Italia e zero morti); e poi si scopre che il “piano nascosto alle Regioni” fu consegnato a Speranza dal delegato nel Cts della Lombardia (Matteo, ritenta: sarai più fortunato).

L’unico che non ha ancora capito niente è Fontana, che sul Giornale deduce dai verbali del Cts che “avevamo ragione noi” e “la Lombardia ha sempre detto la verità” (in quei verbali c’è di tutto, tranne quello che dice lui, ma poi con calma sua moglie e suo cognato glielo spiegano).

Seguono, sul Giornale, i consueti pronostici sulla caduta di Conte, che da due anni ha i minuti contati: sfumate per ora le opzioni Draghi, Franceschini, Giorgetti, Di Maio, Sassoli, Bertolaso, Guerini e forse Scalfarotto, ora si scalda “Gualtieri per il dopo Conte”.

Se tornasse Il Male con un falso giornalone dal titolo “Arrestato Gigi Proietti: è il capo dell’Isis”, tutti commenterebbero: “Embè?”.

FQ 9 settembre

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Lui è Giorgio Di Folco.

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Durante una diretta Facebook, si è così espresso sul massacro di Willy Monteiro:

«Ah piccolo Willy, che ci facevi alle 2 di notte in giro? Tu non sei piccolo, sei piccolo di età, ma già sei uno scafato (..) è morto per sua scelta (..) Piccolo Willy, come questi stronzetti che a mezzanotte stanno ancora a Mcdonald’s in giro, bambini di 15 anni, se fate sta fine, è normale. Bambino, a casa a giocare. Non bambino a mezzanotte in giro, se no muore (..) Per me sempre immigrato sei, perché in Italia non esistono persone nere. Rimarrai sempre un immigrato, anche se hai una cittadinanza. Per me sei italiano quando sei bianco (..) Adesso non deve essere martirizzato da voi. Ci sono tanti italiani che ogni giorno vengono massacrati da “mao mao”. Entrano nelle case, violentano vecchie, spaccano la testa a tante persone italiane».

Di fronte alle polemiche, poi, il fenomeno ha ovviamente frignato e piagnucolato: “Le mie improvvide dichiarazioni sono state dettate sulla base di una falsa notizia e me pervenuta, che parlava di una lotta tra due bande d’immigrati irregolari e spacciatori”.

Ora vi domando: questo fascistello moralmente empio e verosimilmente mononeuronale, che si autodefinisce “videomaker” e che neanche arretra di fronte a un ragazzino massacrato, secondo voi ha un passato politico?

La risposta non è difficile. Questo Giorgio Di Folco, noto come “Giorgio Pistoia”, è – scrive Repubblica – “ex componente del direttivo locale della Lega (di Cassino) e attualmente simpatizzante del partito di Matteo Salvini”.

Strano, eh? La Lega ha proprio un sesto senso per certa gente. E viceversa.

Mi viene il vomito.

Andrea Scanzi

Riflessioni

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A voi, a voi del veneto, e siete in 22000, che prendete il reddito di cittadinanza, votate lega, e , vi vantate d’aver fottuto il governo, davanti ad amici più coglioni di voi, che annuiscono alla vostra bravura. Siete due tipi di coglioni, voi perché state togliendo il pane dalla bocca di altri bisognosi veramente, ed i vostri amici, perché non capiscono che qualcuno gli sta portando via dalle tasche quei pochi euro che hanno guadagnato onestamente…Non piangete più. Dovrete stare zitti, quando le destre, con salvini, vi toglieranno il reddito, quando vi toglieranno i 100€ in più in busta paga, quando stracceranno il decreto dignità , che significa, il ritorno ai mille tipi di contratto lavorativi, anche di una ora al giorno, quando le banche , verranno a prendervi la casa per un debito di diecimila euro. Zitti. Vedete, non c’era mai stato un governo che aiutasse i poveri, e, la classe media. Ora, dopo che é stato al governo, e, l’avete , in gran parte rifiutato, per seguire un salvini, una meloni, ed un berlusconi, ora, se cade il governo che fa per voi, verrà il governo che tanti di voi anelano, il governo a trazione fascio-leghista. Auguri.

A voi, calabresi muti e rancorosi, a voi che vi straziate la vita per la lontananza dei vostri figli da casa, per l’assenza di ospedali, di lavoro, a meno che non siate in combutta con un mammasantissima.
A voi che in centinaia di migliaia prendete il reddito di cittadinanza , ma votate la destra fascista, ed , addirittura, il partito che vi sputa in faccia in ogni occasione, salvo , poco prima delle elezioni, perché , poco prima , basta mettere una felpa con scritto prima Reggio, o , crotone, o, cosenza, o, catanzaro, e , li votate! Almeno a Napoli, ed ai napoletani, pare, che gli é entrato in testa che i leghisti non si legano con i napoletani.

A voi pugliesi, che avete subito scoperto il giochetto dei Fitto di ritorno, come nuovo, praticamente. Uno che é nato politico, di padre in figlio, come i cavalli di razza, ma , sarebbe da dire tale padre, quale figlio, difatti, s’é fatto quattro anni di condanna, che loro, la galera , manco la sfiorano, voi, provate a rubare un panino, prendete tre anni paroparo, se lo fate per due volte, vi danno cinque anni da scontare in carcere. Ma Fitto no, fitto non é compatibile con il regime carcerario, ma , perché , c’è qualcuno che é compatibile? Almeno i pugliesi stanno dimostrando un occhio vigile, ricordano i danni alla sanità , con furti, della giunta Fitto, e, dopo un apprezzamento, causato dalle mancanze di Emiliano, hanno riflettuto, ed ora , sembra , che appoggino il nuovo vero, la Laricchia.

A tutti quelli che si lamentano dei politici, ma, che, nel momento, nel quale hanno l’opportunità di mandarne a casa 345, spaccano il pelo, eccepiscono elucubrazioni arabescanti, praticamente, fanno i pesci in barile, un po’ qua, un po’ la, e, preferiscono lo status quo. Non voglio più leggere storie del tipo, siamo governati da ladri, da delinquenti, da profittatori. Prendete a maestra la storia del billionaire di Briatore: malgrado le ordinanze del governo, mascherine zero, distanza? ma de che? Scontrini 270, presenze 5000 , ricercate 4000 persone che, furbescamente, ora , hanno infettato i genitori, fratelli, nonni, ma , tanto chi mi trova a me? Coglione! All’ospedale ti trovano, in terapia intensiva. Questi sono gli imprenditori, evasori fiscali, quelli che:, io pago le tasse, e voi? Questi gli italiani presenti e futuri. E, vi giuro, sarà anche colpa mia, ma non mi piacciono per nulla. Per questo ho cambiato il mio credo, e , da ex comunista, ora voto 5stelle, sempre più convinto.Ciao

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“Odio Napoli”

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“Odio Napoli” è un pensiero comune nella testa di molti.
In taluni però c’è il bisogno di ostentarlo questo pensiero, fino a stamparselo sulla maglietta.
Perché quel pensiero lo rivendica con fierezza, con orgoglio.
E uno di questi, accompagnato da 2 bambini, è andato oggi in edicola nella stazione della metropolitana di Milano, e ha trovato dall’altro lato del bancone Carlo, un ragazzo napoletano.

Carlo non ce l’ha fatta e, con educazione, gli ha detto: “non ti servo con questa maglietta addosso, non ce la faccio. Non ti giudico ma non ti servo”.

L’intelligente asintomatico ha risposto: “io da qui non mi muovo”; e allora Carlo, cordialmente, ha detto: “va bene, cambio io cassa”.

Lui, destabilizzato e ferito, ha lanciato alcuni snack dal banco all’indirizzo di Carlo, per poi allontanarsi di fretta, raggiunto dagli incolpevoli ragazzini che erano con lui.

Di quel tipo non mi interessa particolarmente; il suo odio è un suo problema. Mi dispiace solo per i 2 bambini che lo accompagnavano, ai quali non so che spiegazioni avrà mai potuto dare, e che insegnamenti stia praticando.

Sono però fiero del comportamento di Carlo; che è riuscito con eleganza ed educazione a dare una lezione di vita ad un personaggio che difficilmente la comprenderà.

Non pubblico il video che ho ricevuto perché uno dei due bambini ha la mascherina abbassata e si vede un po’ il volto. E nemmeno mi interessa sapere chi è l’intelligente asintomatico che ha collezionato questa straordinaria figura di merda.

Riporto però le parole di Carlo che, pur volendo denunciare l’ignoranza di certe persone, mi sottolinea un passaggio importante:
“con la speranza che questa cosa non generi altro odio ma faccia capire che i pregiudizi stanno rovinando il mondo. Deve passare un concetto, io ho tanti amici milanesi che voglio bene e che stimo, non bisogna fare nemmeno noi di un’erba un fascio, altrimenti restiamo piccoli come questo individuo”.

Sono d’accordo con lui. Le generalizzazioni sono sempre un problema; le subiamo noi e non è giusto farlo con altri. Registrare però un sentimento diffuso di intolleranza, stimolato artatamente da anni dai media e da una certa classe politica, fortemente responsabili, è però doveroso.
Perché questi geni sono anche il loro risultato.

Ed operare i necessari distinguo risulta tra l’altro incredibilmente facile; i novelli Feltrini e Salvini hanno una spiccata verve esibizionistica da farsi riconoscere da soli.
E se non hanno un microfono o una telecamera si stampano i loro piccoli pensieri sul petto.
Poi però incontri i Carlo che ti fanno sentire quello che sei: un essere piccolo piccolo.

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“Odio Napoli”

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“Odio Napoli” è un pensiero comune nella testa di molti.
In taluni però c’è il bisogno di ostentarlo questo pensiero, fino a stamparselo sulla maglietta.
Perché quel pensiero lo rivendica con fierezza, con orgoglio.
E uno di questi, accompagnato da 2 bambini, è andato oggi in edicola nella stazione della metropolitana di Milano, e ha trovato dall’altro lato del bancone Carlo, un ragazzo napoletano.

Carlo non ce l’ha fatta e, con educazione, gli ha detto: “non ti servo con questa maglietta addosso, non ce la faccio. Non ti giudico ma non ti servo”.

L’intelligente asintomatico ha risposto: “io da qui non mi muovo”; e allora Carlo, cordialmente, ha detto: “va bene, cambio io cassa”.

Lui, destabilizzato e ferito, ha lanciato alcuni snack dal banco all’indirizzo di Carlo, per poi allontanarsi di fretta, raggiunto dagli incolpevoli ragazzini che erano con lui.

Di quel tipo non mi interessa particolarmente; il suo odio è un suo problema. Mi dispiace solo per i 2 bambini che lo accompagnavano, ai quali non so che spiegazioni avrà mai potuto dare, e che insegnamenti stia praticando.

Sono però fiero del comportamento di Carlo; che è riuscito con eleganza ed educazione a dare una lezione di vita ad un personaggio che difficilmente la comprenderà.

Non pubblico il video che ho ricevuto perché uno dei due bambini ha la mascherina abbassata e si vede un po’ il volto. E nemmeno mi interessa sapere chi è l’intelligente asintomatico che ha collezionato questa straordinaria figura di merda.

Riporto però le parole di Carlo che, pur volendo denunciare l’ignoranza di certe persone, mi sottolinea un passaggio importante:
“con la speranza che questa cosa non generi altro odio ma faccia capire che i pregiudizi stanno rovinando il mondo. Deve passare un concetto, io ho tanti amici milanesi che voglio bene e che stimo, non bisogna fare nemmeno noi di un’erba un fascio, altrimenti restiamo piccoli come questo individuo”.

Sono d’accordo con lui. Le generalizzazioni sono sempre un problema; le subiamo noi e non è giusto farlo con altri. Registrare però un sentimento diffuso di intolleranza, stimolato artatamente da anni dai media e da una certa classe politica, fortemente responsabili, è però doveroso.
Perché questi geni sono anche il loro risultato.

Ed operare i necessari distinguo risulta tra l’altro incredibilmente facile; i novelli Feltrini e Salvini hanno una spiccata verve esibizionistica da farsi riconoscere da soli.
E se non hanno un microfono o una telecamera si stampano i loro piccoli pensieri sul petto.
Poi però incontri i Carlo che ti fanno sentire quello che sei: un essere piccolo piccolo.

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30 AGOSTO 1868. UN COLPO ALLE SPALLE

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(di Nadia Verdile)

Michelina Di Cesare, uccisa nello scontro a fuoco, venne denudata insieme ai compagni uccisi con lei e fotografata. Vollero immortalarla come monito al presente ma la consegnarono all’eternità. I corpi esposti nudi al pubblico ludibrio nella piazza principale di Mignano. Sfigurata, tumefatta, forse violentata mentre moriva o subito dopo morta, fu consegnata alla storia con i denti digrignati, in una smorfia di dolore che raccontava tutto della sua vita.
Finiva così, in una notte di tempesta, alla fine di agosto, la vicenda umana, pubblica e privata, di Michelina Di Cesare, nata povera, vissuta povera, usata perché povera.
Finiva così, con una fucilata alla schiena la lotta armata di una donna che aveva sepolto i genitori, il marito, la sorella, che aveva abbandonato il figlio, che aveva ucciso, rapito, rubato, sparato.
Amato.
Finiva così il sogno di giustizia e libertà di una donna nata per caso, in un paese abusato, in un Regno rubato.

Quando ho iniziato a studiare Michelina conoscevo di lei quello che avevo letto in rete. Dunque poco. Ho studiato moltissimi libri sul brigantaggio, su Michelina sempre e solo le stesse informazioni riportate nella cronaca dei documenti della polizia: scorribande, rapimenti, furti. In pratica non avevo niente, ma veramente niente, per scrivere la sua biografia, per raccontare la sua storia. Per qualche giorno ho pensato di desistere. Poi ho preso d’assalto i documenti d’archivio. Non quelli dei processi, quelli giudiziari che sono più o meno citati da tutti, ma quelli dello Stato Civile. È stato così che Michelina è venuta fuori con la sua storia familiare, quella vera che ha fatto cadere i copia e incolla che da anni si ripetono in tutte le narrazioni che la riguardano. Sbagliate le date, i dati sulla famiglia, quelli sul suo matrimonio, sbagliati i nomi. Sbagliato il rapporto di parentela con chi la tradì. L’hanno addirittura raccontata come una donna che leggeva Ivanhoe di Walter Scott mentre lei non sapeva né leggere né scrivere. Insomma, tutti hanno scritto senza mai aver letto le carte d’archivio.
Chi erano le brigantesse? Sui monti, nei boschi, alla macchia, decine e decine di giovani donne combatterono una guerra nella guerra. Alcune scelsero, altre furono costrette, altre ancora capitarono in quelle scelte senza averne consapevolezza, per mera necessità. In questo contesto si inserisce la vicenda personale e poi pubblica di Michelina Di Cesare. Ricostruire la sua vita prima del suo ingresso nella banda di Francesco Guerra sembrava quasi impossibile. Finora non si era cimentato nessuno. Le notizie pervenute raccolte in molti testi, cartacei e on line, sono spesso imprecise, errate e a volte molto fantasiose. Ho cercato di restituire verità su di lei e sulla sua famiglia, sulla sua vicenda matrimoniale e sui tempi effettivi del suo “battesimo” nel mondo dei briganti. Michelina scelse per necessità, per bisogno di libertà, per sete di giustizia e per solitudine.
Poi si innamorò, ma quella fu un’altra storia.

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30 AGOSTO 1868. UN COLPO ALLE SPALLE

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(di Nadia Verdile)

Michelina Di Cesare, uccisa nello scontro a fuoco, venne denudata insieme ai compagni uccisi con lei e fotografata. Vollero immortalarla come monito al presente ma la consegnarono all’eternità. I corpi esposti nudi al pubblico ludibrio nella piazza principale di Mignano. Sfigurata, tumefatta, forse violentata mentre moriva o subito dopo morta, fu consegnata alla storia con i denti digrignati, in una smorfia di dolore che raccontava tutto della sua vita.
Finiva così, in una notte di tempesta, alla fine di agosto, la vicenda umana, pubblica e privata, di Michelina Di Cesare, nata povera, vissuta povera, usata perché povera.
Finiva così, con una fucilata alla schiena la lotta armata di una donna che aveva sepolto i genitori, il marito, la sorella, che aveva abbandonato il figlio, che aveva ucciso, rapito, rubato, sparato.
Amato.
Finiva così il sogno di giustizia e libertà di una donna nata per caso, in un paese abusato, in un Regno rubato.

Quando ho iniziato a studiare Michelina conoscevo di lei quello che avevo letto in rete. Dunque poco. Ho studiato moltissimi libri sul brigantaggio, su Michelina sempre e solo le stesse informazioni riportate nella cronaca dei documenti della polizia: scorribande, rapimenti, furti. In pratica non avevo niente, ma veramente niente, per scrivere la sua biografia, per raccontare la sua storia. Per qualche giorno ho pensato di desistere. Poi ho preso d’assalto i documenti d’archivio. Non quelli dei processi, quelli giudiziari che sono più o meno citati da tutti, ma quelli dello Stato Civile. È stato così che Michelina è venuta fuori con la sua storia familiare, quella vera che ha fatto cadere i copia e incolla che da anni si ripetono in tutte le narrazioni che la riguardano. Sbagliate le date, i dati sulla famiglia, quelli sul suo matrimonio, sbagliati i nomi. Sbagliato il rapporto di parentela con chi la tradì. L’hanno addirittura raccontata come una donna che leggeva Ivanhoe di Walter Scott mentre lei non sapeva né leggere né scrivere. Insomma, tutti hanno scritto senza mai aver letto le carte d’archivio.
Chi erano le brigantesse? Sui monti, nei boschi, alla macchia, decine e decine di giovani donne combatterono una guerra nella guerra. Alcune scelsero, altre furono costrette, altre ancora capitarono in quelle scelte senza averne consapevolezza, per mera necessità. In questo contesto si inserisce la vicenda personale e poi pubblica di Michelina Di Cesare. Ricostruire la sua vita prima del suo ingresso nella banda di Francesco Guerra sembrava quasi impossibile. Finora non si era cimentato nessuno. Le notizie pervenute raccolte in molti testi, cartacei e on line, sono spesso imprecise, errate e a volte molto fantasiose. Ho cercato di restituire verità su di lei e sulla sua famiglia, sulla sua vicenda matrimoniale e sui tempi effettivi del suo “battesimo” nel mondo dei briganti. Michelina scelse per necessità, per bisogno di libertà, per sete di giustizia e per solitudine.
Poi si innamorò, ma quella fu un’altra storia.

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