La strage di Bronte dell’Agosto 1860: per non dimenticare le vergogne di Garibaldi e Nino Bixio

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Time Sicilia

di Ignazio Coppola

Sembra incredibile che, ancora oggi, la Sicilia non si sia ancora liberata dal ricordo di questi due assassini. Ancora oggi le statue (soprattutto di Garibaldi) campeggiano in tante città della nostra Isola. E ancora oggi scuole e vie portano i nomi di questi due gaglioffi. Ricordiamo, in questo articolo, una strage che ancora oggi brucia

Dal 6 al 10 Agosto del 1860 esattamente 156 anni fa, a Bronte, Nino  Bixio, su mandato di Giuseppe Garibaldi, si rendeva protagonista di un atto scellerato ed infame che la storia quella vera e non quella paludata della storiografia ufficiale e scolastica ci ha tramandato e condannato come “l’eccidio di Bronte”.

Ciò val bene per ricordare e non diminticare su come i “liberatori” alla Nino Bixio intendevano trattare i siciliani e soprattutto, i contadini illusi dalla promesse dei decreti garibaldini sulla assegnazione delle terre, convinti che, finalmente, con l’arrivo di Garibaldi e delle camicie rosse potessero legittimamente essere garantiti i principi di libertà e di giustizia sociale.

In quel maledetto e torrido Agosto del 1860 ai siciliani ed ai brontesi, speranzosi che per loro le cose sarebbero cambiate in meglio, mal gliene incolse. A farli ravvedere dalle loto aspettative provvide alla bisogna il paranoico generale garibaldino – il già citato Bixio – che certo dei siciliani non aveva gran considerazione e stima, se è vero che, alla moglie Adelaide, durante l’impresa dei mille, così ebbe tra l’altro testualmente  a scrivere a proposito della Sicilia e dei siciliani:

“Un paese che bisognerebbe distruggere e gli abitanti mandarli in Africa a farsi civili”.

E’ con questo stato d’animo e questa predisposizione nei confronti dei siciliani che Bixio si presentò a Bronte prendendo, per tre giorni, alloggio al collegio Capizzi. La mattina del 6 agosto, con due battaglioni di bersaglieri, Bixio decise di ristabilire l’ordine che era stato turbato nei giorni precedenti dai popolani e dai contadini-vassalli della ducea di Nelson che, illusi, si erano ribellati rivendicando il diritto all’assegnazione delle terre ed al riscatto sociale promesso loro dai truffaldini decreti garibaldini.

All’avanzata di Garibaldi in Sicilia e con l’illusoria promessa di una più equa distribuzione delle terre furono molti, infatti, i paesi della Sicilia che, come Bronte, insorsero al grido “Abbassu li cappeddi, vulimi li terri”. Tra questi, Regalbuto, Polizzi Generosa, Tusa, Biancavilla, Racalmuto, Nicosia, Cesarò, Randazzo, Maletto, Petralia, Resuttano, Montemaggiore, Capaci, Castiglione di Sicilia, Centuripe, Collesano, Mirto, Caronia, Alcara Li Fusi, Nissoria, Mistretta, Cefalù, Linguaglossa, Trecastagni e Pedara.

Le aspettative del popolo e dei contadini nei confronti dei “cappeddi” ( i latifondisti ed i ricchi proprietari terrieri) furono represse in quei paesi con il piombo e nel sangue da quei garibaldini che avevano promesso loro terre, libertà e giustizia. Quello stesso piombo che, 34 anni dopo, nel 1894, l’ex garibaldino Francesco Crispi, che era stato prima segretario di Stato e teorico della spedizione dei Mille e successivamente, dopo l’Unità, divenuto presidente del Consiglio, ordinò di scaricare sui contadini siciliani che rivendicavano le terre e reprimendo così nel sangue con centinaia di vittime innocenti l’epopea dei Fasci Siciliani.

A distanza di anni con pedissequa ferocia, di fatto, si riproponeva, ancora una volta, in un bagno di  sangue, la logica della difesa del privilegio e della conservazione perché nell’ottica gattopardiana nulla cambiasse, prima con Garibaldi e poi con Crispi

Ma torniamo ai fatti e al grido di libertà dei contadini e dei cittadini di Bonte. Su pressione del console inglese di Catania, John Goodwin, a sua volta sollecitato dai fratelli Thovez amministratori della ducea per conto  della baronessa Bridport, Garibaldi, costi quel che costi, per reprimere la rivolta di quei brontesi che avevano avuto l’impudenza di ribellarsi agli inglesi suoi protettori e finanziatori dell’impresa dei Mille, invia per risolvere la questione ed assolvere questo sporco lavoro, come era nelle sue attitudini ed abitudini, il suo fedele luogotenente Nino Bixio.

Appena giunto, come primo atto, il “liberatore” (degli interessi degli inglesi e non dei contadini e dei siciliani), Bixio decretò lo stato d’assedio e la consegna delle armi imponendo una tassa di guerra, dichiarando il paese di Bronte colpevole di “lesa umanità” dando inizio a feroci rappresaglie senza concedere alcuna minima garanzia e guarentigia  alla cittadinanza. I nazisti ottant’anni dopo prenderanno lezioni da questi metodi dei “liberatori” garibaldini.

Bisognava dimostrare ai “padroni” inglesi che nessuno poteva toccare impunemente i loro interessi. E il paranoico “servo” con i suoi metodi criminali li accontentò appieno. Si passò ad una farsa di processo e tutto fu liquidato in poco tempo senza riconoscere alcun diritto alla difesa discutendo e dibattendo il tutto in appena quattro ore.

Alla fine, alle 8 di sera del 9 Agosto, calpestando ogni simulacro  di garanzia, era già tutto deciso con la condanna a morte di cinque cittadini che niente avevano avuto a che fare con i tumulti e le rivolte delle precedenti giornate che avevano turbato la tranquillità ed il sonno degli inglesi in quel di Bronte.

I cinque, la mattina del giorno dopo il 10 agosto, nella piazzetta della chiesa di San Vito, finirono vittime innocenti dinanzi al  plotone d’esecuzione. L’avvocato Nicolò Lombardo notabile del paese che, da vecchio liberale, con tanta speranza aveva atteso lo sbarco garibaldino sognando un futuro migliore per la sua terra dovette ricredersi in quell’attimo che la scarica di fucileria spense quel suo sogno e per l’avvenire il sogno di tanti siciliani. Con lui morirono Nunzio Spitaleri Nunno, Nunzio Samperi Spiridione, Nunzio Longhitano Longi, Nunzio Ciraldo Fraiunco. Quest’ultimo era lo scemo del paese che sopravvisse alla scarica di fucileria e invocando vanamente la grazia fu finito cinicamente con un colpo di pistola alla testa dall’ufficiale che aveva comandato il plotone

Dopo la feroce esecuzione, a monito per la popolazione di Bronte, i corpi delle vittime rimasero esposti ed insepolti per parecchio tempo.

Ma non era finita. A questo primo processo sommario ne seguì un altro altrettanto persecutorio e vessatorio nei confronti di coloro che avevano arrecato oltraggio ai grossi proprietari terrieri e agli inglesi della ducea. Il processo che si celebrò presso la Corte di Assise di Catania si concluse nel 1863 con 37 condanne esemplari di cui  25 ergastoli. Giustizia era stata fatta. I poveracci non avrebbero più alzato la testa.

Il 12 Agosto, dopo avere fatto affiggere nei giorni precedenti, a suo nome, un proclama indirizzato ai Comuni della provincia di Catania con il quale invitava i contadini a stare buoni e a tornare al lavoro nei campi pena ritorsioni e feroci rappresaglie, Nino Bixio ribadiva:

“Gli assassini e i ladri di Bronte sono stati puniti e a chi tenta altre vie crede di farsi giustizia da sé, guai agli istigatori e ai sovvertitori dell’ordine pubblico. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole”.

Proclami e avvisi tendenti ad rassicurare baroni, latifondisti, proprietari terrieri e soprattutto gli inglesi che, con Garibaldi e Bixio, non c’era alcun pericolo di rivolte sociali. La rivoluzione garibaldina aveva mostrato il suo volto. Gli interessi della borghesia, dei latifondisti, degli inglesi che facevano affari in Sicilia e di quei settentrionali che in nome di Vittorio Emanuele in futuro li avrebbero fatti erano salvi e salvaguardati dalle camicie rosse.

E dire che a questi personaggi, come Nino Bixio e Giuseppe Garibaldi, i siciliani con un masochismo degno di miglior causa, hanno dedicato una infinità di via strade, piazze, scuole, monumenti e quant’altro a significativa memoria che da sempre siamo affetti dalla sindrome di Stoccolma, ossia quella di innamoraci dei nostri carnefici.

E’ ora di finirla. Prendendo  coscienza e consapevolezza della nostra vera storia, è giunto il momento di buttare giù lapidi, e disarcionare dai monumenti questi personaggi che, dipinti come falsi eroi, ci hanno depredato della nostra economia, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità. I tribunali della storia che per fortuna sicuramente non sono quelli dei processi sommari di Bronte alla fine certamente condanneranno per i loro crimini questi personaggi: anticipiamo sin da ora  le sentenze e buttiamoli giù dai loro piedistalli.

Per quanto riguarda infine Gerolamo Bixio detto Nino, pochi sanno che, alla fine la giustizia divina, per le sue malefatte, più di quella degli uomini, gli presentò un conto salato, facendolo morire tra atroci dolori, sofferenze e tormenti in preda alla febbre gialla ed al colera a bordo della sua nave (s’era dato ai commerci con l’Oriente) il 16 dicembre del 1873, a Banda Aceh, nell’isola di Sumatra, a quel tempo colonia olandese.

Il suo corpo infetto chiuso in una cassa metallica fu sepolto nell’isola di Pulo Tuan che nella lingua locale significa isola del Signore. Successivamente tre indigeni, credendo di trovare qualche tesoro, disseppellirono la cassa denudarono il cadavere e poi lo riseppellirono vicino ad un torrente. Due di loro, infettati dal colera morirono nel breve giro di 48 ore. Anche da morto Bixio era riuscito a fare delle vittime. Roba da Guinnes dei primati.

I pochi resti del suo corpo ed alcune ossa, grazie al terzo indigeno sopravvissuto alla maledizione, vennero ritrovati nel giugno del 1876. Il 10 maggio del 1877 quello che rimaneva dei resti del massacratore di Bronte veniva cremato nel consolato italiano di Singapore. Il 29 Settembre di quello stesso anno le ceneri giunsero a Genova e seppellite nel cimitero di Staglieno.

L’avvocato Nicolò Lombardo e le altre vittime di Bronte, per loro buona pace, si può dire che per la morte atroce del loro aguzzino e per ciò che ne conseguì, erano state vendicate, alla fine, dalla Giustizia divina. (Avvertiamo i nostri lettori che abbiamo iniziato a raccontare laControstoria dell’impresa dei Mille. 

VERGOGNA SENZA PRECEDENTI – Nessuno era mai arrivato a tanto! Guardate cosa ha fatto Napolitano..

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Se qualcuno ancora pensava che Giorgio Napolitano fosse stato arbitro e garante imparziale della vita democratica del paese, la smentita – persino brutale nella sua chiarezza – arriva da una raffica di intercettazioni della Guardia di finanza.


La voce di Napolitano è nei file audio, le sue parole trascritte nei brogliacci. E questa volta non potranno venire distrutte o cancellate, come Napolitano pretese e ottenne quando a intercettarlo furono i pm palermitani dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia.

Nessuna immunità, stavolta: uno scoop di Panorama rende di pubblico dominio quanto senza clamori era stato depositato agli atti di una inchiesta. E che inchiesta: l’indagine della Procura di Bergamo sui trucchi e le bugie che Giovanni Bazoli, il più importante banchiere italiano, presidente emerito di Banca Intesa, avrebbe messo in atto per indirizzare a suo piacimento la vita di Ubi Banca, il gruppo bancario nato dagli accordi tra finanza bresciana e bergamasca. Di queste manovre si è parlato ampiamente nel novembre scorso, quando i pm bergamaschi hanno comunicato a Bazoli e altri 38 indagati la chiusura delle indagini per ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e illecita influenza sull’assemblea.

Ora Panorama scopre che Bazoli è stato intercettato a lungo dalla Guardia di finanza, e che quelle telefonate raccontano di una rete impressionante di rapporti politici e istituzionali gestiti dal grande banchiere cattolico: Bazoli parla con gli uomini di Enrico Letta e con quelli di Renzi, con direttori di giornali e con ministri, determina o ostacola a suo piacimento nomine e scelte cruciali del governo. In questo instancabile (a dispetto degli 84 anni suonati) attivismo, Bazoli ha un punto di riferimento costante: Giorgio Napolitano.

L’intercettazione Bazoli-Napolitano depositata agli atti porta la data del 19 marzo 2015, quando l’ex leader della destra Pci ha lasciato il Quirinale da poco più di un mese. Ma il rapporto tra i due, tra il vecchio comunista e il banchiere cattolico, è di ben più antica data. Secondo quanto risulta al Giornale, telefonate tra Bazoli e Napolitano sono state intercettate anche mentre il secondo era Presidente della Repubblica, ma non sono state registrate in ossequio alle prerogative della massima carica dello Stato. Poi il 3 febbraio Sergio Mattarella entra al Quirinale, e da quel momento le chiacchiere di Napolitano non sono più inviolabili.

Ed ecco, il brogliaccio delle «fiamme gialle», che racconta come Napolitano si adoperi per creare un asse anche tra Bazoli e il suo successore, Mattarella. «Napolitano specifica di avere fatto riferimento (parlando con Mattarella) anche al dialogo di questi anni tra loro, e prima ancora con Ciampi. Napolitano dice che questi (Mattarella) ha apprezzato, ed ha detto che considera naturale avviare uno stesso tipo di rapporto, schietto, informativo e di consiglio. Bazoli dice che lo cercherà per canali ufficiali nei prossimi giorni, Napolitano dice speriamo bene anche perché ha sentito fare un nome folle, ovvero di quel signore che si occupa o meglio è il factotum della 7». È un chiaro riferimento a Urbano Cairo, che punta in quei giorni a conquistare il Corriere della Sera, di cui la banca di Bazoli è azionista: la scalata riuscirà, nonostante l’opposizione di Napolitano, ma intanto Bazoli ha ottenuto che Napolitano gli aprisse un canale anche con il suo successore: il 27 marzo Bazoli, che in quel momento è già indagato, viene accolto da Mattarella al Quirinale con tutti gli onori.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/politica/trame-re-giorgio-intercettato-telefono-col-banchiere-1358547.html

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V.Raggi ha compiuto un gesto senza precedenti. Neanche una riga sui giornali. Guardate cos’ha fatto..

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lunedì 17 aprile 2017

La Giunta Raggi ha approvato venerdì scorso una variazione di Bilancio da 78 milioni di euro. Più risorse per salario accessorio, scuole, sociale e mercati, con oltre 66 mln di maggiori spese. Le maggiori risorse – si legge in una nota del Campidoglio- saranno destinate al salario accessorio dei dipendenti capitolini, alla ristrutturazione e manutenzione di scuole e asili nido, alla riqualificazione già annunciata dei mercati rionali, alle politiche sociali (per servizi a disabili e minorenni e per i centri antiviolenza sulle donne), alla messa in sicurezza della collina di Monteverde. Sono i capitoli principali della variazione al Bilancio di previsione 2017-2019 approvata venerdì scorso dalla Giunta capitolina con cui si stanziano, tra parte corrente e in conto capitale, oltre 78 milioni di euro in più per il solo anno in corso. Sul fronte delle maggiori entrate, ammontano a oltre 55 milioni quelle correnti e l’avanzo di amministrazione a destinazione vincolata. A queste si aggiungono più di 17,5 milioni sostanzialmente derivanti da una maggiore quantificazione del Fondo di Solidarietà Comunale, comunicata dal Ministero dell’Interno. E infine vanno sommati circa 5,5 milioni di entrate in conto capitale. La manovra prevede oltre 66 milioni di maggiori spese, per la parte corrente, e 12 milioni di euro di nuovi investimenti per il 2017.

Le voci principali per le quali viene aumentata la spesa corrente riguardano il Personale: fondo per il trattamento accessorio (18,4 milioni); politiche sociali: servizi a favore di persone con grave disabilità (4,5 milioni), accoglienza minorenni non accompagnati (4 milioni), Punti Unici di Accesso (3,7 milioni), gestione asili nido in convenzione (1,2 milioni), accoglienza persone con bisogni speciali (700 mila euro) centri antiviolenza sulle donne (279 mila euro), servizio di cura domiciliare nel Municipio I (225 mila euro); beni culturali: “Forma Romae”, sistema informativo sul patrimonio storico, archeologico e architettonico di Roma (1,3 milioni); ambiente: manutenzione del verde nel Municipio X (900 mila euro). Per quanto riguarda la manovra in conto capitale si prevedono, tra gli altri, i seguenti maggiori investimentilavori pubblici: parcheggi su area comunale per la stazione di Acilia-Dragona con realizzazione di un sovrappasso pedonale (2,5 milioni), stabilizzazione dei versanti della collina di Monteverde (2,4 milioni); attività produttive: manutenzione straordinaria, riqualificazione e realizzazione di mercati rionali (4 milioni); scuola: messa a norma del Cfp “Simonetta Tosi” nel Municipio I (500 mila euro), manutenzione straordinaria della scuola elementare “Nino Manfredi” nel Municipio IV (466 mila euro), rifacimento dell’asilo nido “Bolle di sapone” nel Municipio IV (300 mila euro), ristrutturazione della scuola materna “Ruspoli” nel Municipio I per la realizzazione di un asilo nido (250 mila euro), creazione aule di scuola media nell’istituto “Magarotto” nel Muncipio XII (200 mila euro); sociale: completamento centro anziani “San Felice Circeo” nel Municipio XV (200 mila euro).

“Con questa variazione di bilancio abbiamo cercato di rispondere alle esigenze manifestate dalle strutture centrali e territoriali – spiega l’assessore al Bilancio e Patrimonio, Andrea Mazzillo – privilegiando quelle che hanno dimostrato di saper utilizzare al meglio le risorse a disposizione traducendole in prestazioni per i cittadini, manutenzioni urbane e degli edifici pubblici. Inoltre, viene confermata l’attenzione nei confronti di tutti i Municipi della Capitale, che questa amministrazione considera presidi fondamentali per garantire la corretta e puntuale erogazione dei servizi ai quali i romani hanno diritto”.

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Digital detox, impara a spegnere lo smartphone per la salute e la bellezza

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SALUTE E BENESSERE

 Elena Bittante

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 18:00 13 aprile 2017

Staccare la connessione per ritrovarla con noi stessi. Spegnere il cellulare allenta le tensioni, rasserena il sonno e dona un volto radioso. Meno gigabyte e più bellezza

Oggi lo smartphone è diventato la nostra periferica virtuale. La tecnologia connette il mondo e offre servizi ma mostra anche l’altro lato della medaglia nella qualità del sonno e a lungo andare sul nostro viso. L’uso eccessivo del dispositivo incide sulla nostra salute e sulla bellezza soprattutto se utilizzato in determinate ore del giorno. Il riverbero della luce del cellulare è un affaticamento per gli occhi inoltre è uno stimolo costante che non permette al cervello di rilassarsi. Ecco qualche consiglio per iniziare la digital detox.

Giappone, scoppia la crisi delle patatine: scaffali dei supermercati vuoti e fino a 11 euro per un pacchetto

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Le aziende hanno deciso di fermare la produzione degli snack dopo un cattivo raccolto a causa dei tifoni che hanno colpito la regione di Hokkaido
​In Giappone oggi un pacchetto di patatine Calbee al gusto di pizza costa undici euro (1,250 yen). Il motivo? La crisi della produzione di patate dopo un cattivo raccolto a Hokkaido, regione chiave per la produzione. L’azienda ha annunciato lo stop delle vendite provocando l’impennata dei prezzi per un prodotto che di solito viene venduto a meno di due euro. Le foto degli scaffali dei supermercati vuoti sono diventati virali sui social media, anche perché i giapponesi sono golosissimi di patatine: secondo un sondaggio condotto della Asahi tv su 10.000 persone sono il primo e il secondo snack preferiti in Giappone.

La zona di Hokkaido è stata infatti colpita da una serie di tifoni che hanno inginocchiato la coltivazione locale, tanto da spingere la Calbee a bloccare la vendita di 15 tipi di patatine. “Stiamo facendo il possibile per ripartire”, ha detto a Bloomberg Rie Makuuchi, uno dei portavoce dell’azienda. Tra le ipotesi prese in considerazione c’è quella di aumentare le importazioni dagli Stati Uniti. La crisi è estesa a tutte le realtà produttrici del settore: anche la rivale Koike-ya Inc. ha infatti fermato la distribuzione di 9 tipi di snack.

Giappone, scoppia la crisi delle patatine: scaffali dei supermercati vuoti e fino a 11 euro per un pacchetto

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Le aziende hanno deciso di fermare la produzione degli snack dopo un cattivo raccolto a causa dei tifoni che hanno colpito la regione di Hokkaido
​In Giappone oggi un pacchetto di patatine Calbee al gusto di pizza costa undici euro (1,250 yen). Il motivo? La crisi della produzione di patate dopo un cattivo raccolto a Hokkaido, regione chiave per la produzione. L’azienda ha annunciato lo stop delle vendite provocando l’impennata dei prezzi per un prodotto che di solito viene venduto a meno di due euro. Le foto degli scaffali dei supermercati vuoti sono diventati virali sui social media, anche perché i giapponesi sono golosissimi di patatine: secondo un sondaggio condotto della Asahi tv su 10.000 persone sono il primo e il secondo snack preferiti in Giappone.

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VERGOGNA! CACCIANO LA GABANELLI! LA FECCIA MASSONICA CON UN “ESCAMOTAGE” SI VENDICA CON L’UNICA CHE HA SCOPERCHIATO E RESO PUBBLICI I LORO ALTARINI. ECCO TUTTA LA VERITA’

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Nel fuoco incrociato tra consiglieri nel Cda della Rai, non c’è solo il programma Report nel mirino, secondo Carlo Freccero, dei membri in quota Pd. Il programma di Raitre è stato attaccato dall’Unità per l’inchiesta sui presunti affari frutto del salvataggio del quotidiano ex gramsciano. Però il vero obiettivo dei Dem in viale Mazzini non sarebbe tanto Report o l’Amministratore delegato Antonio Campo Dall’Orto, ma la giornalista Milena Gabanelli: “Campo vuole affidare alla più grande giornalista investigativa del Paese la direzione di Rai24, il nuovo supersito della Rai – ha detto Freccero a Repubblica – Ma i consiglieri di maggioranza le tagliano la strada”.

Fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/sfoglio/12358701/carlo-freccero-milena-gabanelli-rai-golpe.html
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HOME  ArticoliPensione a 64 anni con 15 anni di contributiNews Pubblicato il 14 aprile 2017Articolo di Noemi SecciPensione anticipata con salvacondotto con un minimo di 15 anni di contributi per le donne e quota 96 per gli uomini: nuova proposta di legge.

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Pensione a 64 anni con 15 anni di contributi per le nate nel 52 che beneficiano della deroga Amato, o per le donne che hanno maturato 20 annidi contributi entro il 2012 o, ancora, per i lavoratori che alla stessa data hanno maturato quota 96. Sono queste le principali novità che emergono dal progetto di legge sulle pensioni presentato in data odierna dall’On. Gnecchi [1]: il progetto ha infatti lo scopo di abolire le limitazioni del cosiddetto salvacondotto, cioè della deroga che consente a lavoratrici e lavoratori del settore privato di pensionarsi a 64 anni di età. La norma, tra l’altro, abolisce anche il “paletto” del28 dicembre 2011, che rende molto difficile, se non preclude, l’accesso alla pensione a 64 anni per coloro che non risultano occupati come dipendenti del settore privato a tale data; infine, elimina l’adeguamento alla speranza di vita, consentendo il pensionamento a 64 anni esatti e non a 64 anni e 7 mesi e amplia la categoria dei lavoratori destinatari, includendo tutti gli iscritti all’Ago (assicurazione generale obbligatoria) e alle forme sostitutive della medesima.

Ma procediamo per ordine e cerchiamo di capire come funziona, oggi, l’agevolazione che consente dipensionarsi a 64 anni di età, chi può beneficiarne, e che cosa cambierà con la nuova legge.

Salvacondotto per la pensione a 64 anni

Il cosiddetto salvacondotto è un beneficio che consente di pensionarsi a 64 anni di età (64 anni e 7 mesi, nel 2016, per effetto degli incrementi legati alla speranza di vita), senza penalizzazioni, per coloro che sono nati sino al 31 dicembre 1952. Per beneficiare del salvacondotto, però, è necessario possedere:

  • almeno 35 anni di contributi al 31 dicembre 2012 e la quota 96(somma di età e contribuzione) alla stessa data, per gli uomini;
  • almeno 20 anni di contributi al 31 dicembre 2012, per le donne.

Inoltre, possono ottenere l’agevolazione i soli lavoratoridipendenti del settore privato.

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