Lo strapotere dei Benetton e l’interesse degli italiani

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Avete mai sentito parlare della “Compañía de Tierras Sur Argentino” (CTSA)? E’ un’immensa azienda di allevamento che, soprattutto in Patagonia, possiede 941.000 ettari, un territorio grande come il Molise e la Liguria messe insieme. La CTSA venne fondata a Londra nel 1889. Qualche anno prima i popoli originari della Patagonia erano stati sterminati dalle campagne militari dell’esercito argentino e per questo c’era una grande quantità di terra a disposizione. La CTSA riuscì ad accaparrarsi immense estensioni anche grazie a prebende elargite ai governanti del tempo. Per oltre un secolo la CTSA è andata avanti con alti e bassi cambiando proprietari fino a che, nel 1991 sono arrivati i Benetton.

Edizione S.r.l., l’holding dei Benetton è oggi proprietaria di CTSA. I Benetton sono diventati i più grandi proprietari terrieri di tutta l’Argentina quando alla presidenza del Paese c’era Carlos Menem. Il muro di Berlino era appena caduto e in tutto il mondo le parole d’ordine erano “privatizzare”, “mercato”, “smantellamento dello stato sociale”, “liberismo unica via”. Erano gli anni in cui venne teorizzato il Trattato di Maastricht ed una serie di parametri europei ancora, tristemente, in vigore.

I Benetton si comprarono mezza Patagonia ad un prezzo stracciato così come, 8 anni dopo, grazie ai governi Prodi e D’Alema, divennero i “Signori delle autostrade italiane” assicurandosi le concessioni ad un prezzo straconveniente. Era il 1999, i parametri di Maastricht erano stati ulteriormente inaspriti con il Patto di Stabilità e crescita del 1997 ed i governi italiani di “sinistra”, con la scusa di far cassa per presentarsi diligenti a Bruxelles, inaugurarono la grande stagione delle privatizzazioni. Da allora i Benetton hanno fatto oltre 10 miliardi di utili grazie alle autostrade, infrastrutture costruite con le tasse di noi cittadini.

Poche settimane fa un gruppo di nativi mapuche (mapuche, tra l’altro significa “gente della terra”) ha occupato nella provincia argentina di Chubut un appezzamento di terra dei Benetton al grido di: “recuperiamo ciò che è nostro”. Portano avanti politiche di “recupero territoriale”. 150 anni fa sono stati cacciati dalle loro terre e quelle terre sono diventate possedimenti privati di politici e militari argentini, poi di imprese inglesi e oggi di una delle famiglie più influenti d’Italia: i Benetton.

Abbiamo molto da imparare dalla lotta dei mapuche. Anche noi dovremmo recuperare ciò che è nostro, ovvero le autostrade, e per farlo dovremmo essere uniti, al di là delle singole simpatie politiche. I Benetton sono potentissimi e parte del loro potere deriva dal legame con il sistema mediatico italiano.

Un tempo il gruppo Benetton possedeva azioni dei principali quotidiani italiani (Sole 24 ore, gruppo Caltagirone – Messaggero e Mattino, gruppo RCS – Corriere della Sera e Gazzetta dello sport). Poi si sono fatti furbi. Hanno capito che avere quote dirette dei giornali sarebbe stato oggetto di attacco e così le hanno cedute. Ma la loro influenza non si è ridotta, anzi. Oggi i Benetton possiedono il 2,1% di Mediobanca la quale possiede quasi il 10% di RCS, il gruppo editoriale della Gazzetta e del Corriere della Sera, tuttavia le pressioni più grandi sui media le esercitano, come sempre, con i soldi delle pubblicità.

United Colors of Benetton e Autogrill (anch’esse aziende della holding Edizione) investono moltissimo in pubblicità sulla carta stampata e la carta stampata, che vive una crisi senza precedenti, ha bisogno di quel denaro. E ancora: nel 2018 il Giro d’Italia (organizzato da RCS sport) è stato sponsorizzato da Autostrade per l’Italia ed il gruppo Atlantia (asset principale dei Benetton) ha finanziato la penultima edizione de “La Repubblica delle idee”, il festival annuale del quotidiano diventato ormai proprietà degli Elkann-Agnelli.

Tutto lecito sia chiaro, a parte il Ponte Morandi crollato e quei morti che non si possono dimenticare.

Non sono uno statalista, degli oltre 260.000 euro che ho restituito alla collettività tagliandomi lo stipendio da parlamentare, circa 210.000 euro li ho versati in un fondo a sostegno delle piccole e medie imprese private. Tuttavia, quel che ci dovrebbe rammentare il dramma del Covid-19 è l’importanza dello Stato! Uno dei modi che abbiamo per rafforzare lo Stato è la gestione pubblica di asset strategici come le autostrade svendute ai potenti di turno in cambio di pochi denari e parecchi finanziamenti ai partiti.

È dura, lo so. Tutto ciò che era pubblico e funzionava è stato smantellato per gridare “privato è sempre meglio” ed il potere di gruppi industriali e finanziari come i Benetton è immenso. Ma qui si vede la forza della Politica e soprattutto la maturità e l’unione del nostro popolo.

L’infodemia, la circolazione ossessiva di informazioni che caratterizza il mondo di oggi, è un pericolo. Sappiamo un mucchio di cose, siamo esperti di gossip, ci indigniamo per le gaffe dei politici ma poi dimentichiamo troppo in fretta quel che conta davvero per il nostro futuro e, nel caso di autostrade, per la nostra sicurezza.

Revocare le concessioni ai Benetton non è solo un atto di giustizia e di rispetto verso i morti di Genova e le famiglie, è un atto politico che diverrebbe un precedente drammatico per i capitalisti senza scrupoli.

Revocando le concessioni ai Benetton le multinazionali, finalmente, saprebbero che in Italia nessuno, nemmeno chi ha incassato 10 miliardi di utili negli ultimi 10 anni, potrà sentirsi al di sopra dell’interesse generale del Popolo italiano.
Coraggio!

Alessandro Di Battista

False profezie

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«Al sud l’epidemia avrebbe arrecato danni incalcolabili, dicevano». Ricordate l’incipit di quel post che forse in molti avrete letto, non su queste colonne?
Cosa è successo un mese dopo quel post e tre dall’arrivo del virus?
Il sud è ancora in piedi ma deve ringraziare l’assessore Gallera, dicono. Cioè, dice: perché ci crede solo lui. C’era un forte rischio ecatombe perché «i nostri cittadini non rispettano le regole, dicevano». Però, strano ma vero, abbiamo rispettato le regole con la più bassa percentuale di infrazioni ai DPCM. Il principale pericolo, narrato dalla cronaca di questi ultimi mesi era rappresentato dalla presunta impossibilità del sistema sanitario meridionale di reggere ”l’urto”, qualora fosse arrivato.
«I nostri ospedali non all’altezza, dicevano» ma hanno dimostrato eccellenza. Quella del Cotugno di Napoli, faro per l’Italia e il mondo. Del GOM di Reggio Calabria, autore di una nuova terapia che spegne l’infiammazione da Covid in 120 ore. Dei ricercatori dell’Istituto Zoopotrofico di Puglia e Basilicata che hanno sequenziato due ceppi di Sars Cov-2.
Di queste eccellenze si dirà che torneranno a timbrare il cartellino per poi andar a fare la spesa, perché «i nostri medici, infermieri ed operatori sanitari sono noti assenteisti cronici». Intanto l’indice di contagio è crollato ma alcuni esperiti, giustamente, dicono che la lotta al virus è in discesa ma in corso.
Altri, quelli che ci hanno salvato, dicono che l’R0 è 0,5: ovvero, per infettarti devi incontrare due infetti allo stesso tempo, difficile. Ed è merito loro che hanno gestito tutto bene, continuano a ribadirlo.
Di quelli bravi, talmente bravi che in tre mesi tra il loro operato governativo/politico e l’inferiorità (presunta) del sud hanno preferito raccontare quest’ultima, in uno storytelling profondo come una pozzanghera in debito di pioggia.
Intanto siamo ancora qui. Ma non siamo più gli stessi. La pandemia ci ha aiutato, si fa per dire, a ricordare che siamo un grande popolo, perché l’avevamo dimenticato.
Un popolo generoso che ha inviato alle regioni in difficoltà cibo, donazioni, medici ed infermieri. Oculato, perché 32 nuovi posti di intensiva a Messina sono costati 2,7 milioni, non i 25 investiti altrove. Un popolo finalmente più felice perché il virus fa meno paura, ormai. Ma non smemorati, perché lo sappiamo che il cammino è ancora lungo. E consapevoli, di tre cose. La prima: ci hanno usato per distrarre le masse. La seconda: i Gallera li battiamo con la satira, che come diceva Dario Fo «è un punto di vista e un pò di memoria».La terza: non siamo perfetti, ma questo lo sapevamo già.
Ringraziamo l’assessore alla sanità lombarda per averci salvato, e facciamo (ancora!) attenzione: siamo passati in vantaggio ma la partita con il Covid non è finita.

Doveva andare diversamente, dicevano.
Non è stato così.

Enrichè081

Spazzacorrotti

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Report 18/05/2020

Premessa: la così detta Spazzacorrotti è opera del Movimento 5 Stelle.

Tra le questioni irrisolte in passato dai VERI DELINQUENTI c’erano le donazioni anonime fatte alle fondazioni con dentro politici, che lasciavano intuire finanziamenti illeciti. La Spazzacorrotti ha obbligato ad elencare i donatori, un attimo dopo, per sfuggire ai controlli molti politici sono scappati dalle fondazioni che avevano fatto nascere, pur di non far venire alla luce i donatori. Ieri sera in conclusione Report ha detto che Rousseau è tra le poche fondazioni/associazioni che dichiara i donatori, ma anche Report segue l’andazzo generale, addosso al 5 Stelle, quindi il problema ora sono i fornitori, cosa mai richiesta dalla legge. Ma, considerata la trasparenza del Movimento credo che usciranno anche i fornitori, privacy permettendo. Ne approfitto per rammentare ai tanti di che pasta è fatta il resto:

Lega Nord.
Vice ministro EDOARDO RIXI condannato per peculato per spese pazze in Liguria e a maggio 2019 Matteo Salvini lo nomina subito responsabile nazionale Trasporti e Infrastrutture della Lega.
MASSIMILIANO ROMEO capo gruppo della Lega al senato condannato per spese pazze in Lombardia,
UMBERTO BOSSI 8 condanne,
STEFANO GALLI condannato per peculato e truffa,
ANGELO CIOCCA condannato per spese pazze (oggi eurodeputato)
STEFANO GALLI condannato per peculato e truffa,
ANGELO CIOCCA condannato per spese pazze (oggi eurodeputato)
ELENA MACCANTI, condannata per peculato,
ARMANDO SIRI, condannato bancarotta fraudolenta.
PAOLO TIRAMANI, (deputato) condannato per rimborsopoli,
FABRIZIO CECCHETTI, deputato Lega condannato, per spese pazze in Lombardia,
JARI COLLA, condannato per rimborsopoli Lombardia,
MAURIZIO AGOSTINI, arrestato con cocaina purissima insieme al complice albanese “clandestino”…
Arrestato sindaco leghista di Legnano GIANBATTISTA FRATUS, per corruzione elettorale e turbativa d’asta,
Arrestato l’unico sindaco leghista della Campania CIRO BORRIELLO, per corruzione,
Foggia, arrestato il sindaco leghista ANTONIO POTENZA di Apricena “Favoriva imprenditori amici per gli appalti”,
STEFANIA FEDERICI, leghista doc arrestata per aver sottratto oltre un milione di euro a malati gravi di cui era amministratrice di sostegno.
Arrestato PAOLO ARATA, ex consulente di Salvini per l’energia.
In cella anche Nicastri, “re” dell’eolico,
Arrestato CASIMIRO LIETO, l’autore che la Lega voleva come direttore di Rai1,
MATTEO SALVINI, condannato per razzismo, condannato per «oltraggio a pubblico ufficiale»
BARTOLOMEO FALCO,, arrestato per droga,
MATTEO BRAGANTINI, condannato per, truffa ai danni della regione Piemonte e per propaganda di idee razziste.
LUCA COLETTO, condannato per propaganda di idee razziste
MARONI ROBERTO, 2 condanne
SALVATORE CAPUTO, detto Salvino, avvocato del movimento “Noi con Salvini” è stato arrestato insieme al fratello Mario candidato alle ultime elezioni all’Ars sempre con la Lega.
DAMIANO GENOVESE, arrestato, era stato eletto ad Avellino con la Lega mentre suo padre Amedeo è da anni all’ergastolo perché ritenuto il capo del clan Partenio.
ROBERTO COTA L’ex presidente del Piemonte, è stato condannato per rimborsopoli Piemonte,
GIANFRANCO NOVERO patteggia per peculato,
RENZO BOSSI, condannato rimborsopoli al Pirellone,
MARIO CAROSSA ha patteggiato per rimborsopoli,
GIOVANNA QUAGLIA, spese pazze in Piemonte patteggia,
MICHELE MARINELLO, spese pazze in Piemonte patteggia,
ENRICO CAVALIERE, condannato,
ELE MARINELLO, spese pazze in Piemonte patteggia,
LAURA FERRERI, moglie di Giorgetti condannata per truffa alla regione Lombardia, ha patteggiato la condanna,
CESARE POZZI, accusato di peculato ha sottratto 40 mila euro una signora di 80 anni di cui è stato il tutore, ha patteggiato,
FABIO RIZZI, braccio destro di Maroni, consigliere regionale Lega, arrestato per appalti truccati,
PAOLO ORRIGONI, arrestato, candidato per il comune di Varese con l’appoggio della Lega che a suo sostegno schierò i big del partito.
CLAUDIO BORGHI condannato per irregolarità bancarie,
ANTONIO IANNONE, condannato per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio ha patteggiato,
FLAVIO TOSI, condannato per razzismo,
ENRICO CORSI, condannato per propaganda di idee razziste.
MAURIZIO FILIPPI, condannato per propaganda di idee razziste,
Ex ministro BUSSETTI, false missioni e trasferte per motivi privati: dovrà restituire 24mila euro di rimborsi
Da non dimenticare che
hanno truffato lo stato per 49 milioni,

Fratelli d’Italia
GIUSEPPE CARUSO, Fratelli d’Italia arrestato per la ‘ndrangheta a Piacenza,
RAFFAELE STANCANELLI, Fratelli d’Italia, condannato,
SALVATORE RONGHI, Fratelli d’Italia, condannato,
FABRIZIO BERTOT, Fratelli d’Italia, condannato,
FRANCO MARIA BOTTA, ha patteggiato per rimborsopoli,spese pazze,
LUCA ROMAGNOLI, Fratelli d’Italia condannato
GIANNI ALEMANNO, condannato per corruzione e finanziamento illecito,
ALESSANDRO NICOLO’ capogruppo alla regione Calabria, Fratelli d’Italia arrestato,
LUCA CAVALIERI Assessore di Fratelli d’Italia va a cocaina, ma trova i carabinieri. Il suo partito predica la tolleranza zero verso tutte le droghe,
GIANCARLO PITTELLI, arrestato,
ROBERTO ROSSO,arrestato,

Forza Italia
BERLUSCONI Silvio (PDL) – 2 amnistie (falsa testimonianza P2, falso in bilancio Macherio); 1 assoluzione per depenalizzazione del reato (falso in bilancio All Iberian); 3 processi in corso (frode fiscale Mediaset, intercettazioni Unipol, processo Ruby). 5 prescrizioni (Lodo Mondadori, All Iberian, Consolidato Fininvest, Falso in bilancio Lentini, processo Mills).
MALOSSINI MARIO, Forza Italia, condannato
RAFFAELE FITO, parlamentare del Pdl e capolista dei berlusconiani alla Camera in Puglia, è stato riconosciuto colpevole di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio.
GIANCARLO GALAN, Patteggiamento e condanna per corruzione sugli appalti per il MOSE,
ROBERTO FORMIGONI, 2 condanne, una per diffamazione e una per corruzione,
MAURIZIO LUPI, ha patteggiato per peculato,
ANTONELLO ANGELERI, condannato per falso in atto pubblico e abuso in atti d’ufficio.
MARCO BOTTA, condannato, rimborsopoli Piemonte,
CRISTIANO BUSSOLA, ha patteggiato per spese pazze in Piemonte,
LUCA PEDRALE, ha patteggiato per rimborsopoli Piemonte,
FRANCESCO TOSELLI, spese pazze in Piemonte, patteggia,
ALTERO MATTEOLI, condannato per corruzione,
FABIO ALTITONANTE, sottosegretario lombardo di Forza Italia arrestato,
NICOLA COSENTINO, condannato, arrestato,
GIANCARLO GALAN, patteggia per corruzione, condannato anche dalla Corte dei Conti ad un risarcimento danni pari a 5,8 milioni di euro per le vicende legate al Mose.
CHIARA LAZZARINI, arrestata con l’accusa di corruzione e elettorale e turbativa d’asta
MAURIZIO COZZI, arrestato, per Turbata legalità degli incanti, turbata libertà di scelta del contraente e corruzione elettorale
LARA COMI, arrestata. L’esponente di Forza Italia è accusata di finanziamento illecito, corruzione e truffa aggravata proprio ai danni del Parlamento europeo,
MARCELLO DELL’UTRI, ha patteggiato (fatture false e frode fiscale); ha poi subito una condanna definitiva a 7 anni di reclusione (concorso esterno in associazione mafiosa) e un’altra condanna definitiva 8 mesi (abuso edilizio), una condanna in pria 4 (frode fiscale),
GIUSEPPE CIARRAPICO, Condannato per truffa aggravata e continuata ai danni di INPS e INAIL, multa per violazione legge tutela “lavoro fanciulli e adolescenti”, condannato per falso in bilancio e truffa, condanna per diffamazione, condannato per bancarotta fraudolenta, condannato per finanziamento illecito, condannato per il crac “valadier”, condannato in appello per assegni a vuoto e in seguito reato depenalizzato, condanna in primo grado per abuso ed in seguito prescritto, condannato per truffa e violazione della legge sulle trasfusioni, rinviato a giudizio per ricettazione, indagato per truffa ai danni di palazzo Chigi.

Vittorio Sgarbi, in politica dal 1990. Ha 10 condanne. Ha cambiato 12 volte partito. Lo manteniamo da 29 anni! Non so dove metterlo!

RAZZA PREDONA

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di Marco Travaglio

Anche se ogni tanto litighiamo, sono un po’ amico di Massimo Giannini, specialmente da quando fu cacciato dalla Rai dell’Innominabile e lo difesi. E ieri il suo editoriale su La Stampa mi ha fatto male. Non per me, che non c’entro niente. Per lui. Dopo mezza vita passata a denunciare giustamente i conflitti d’interessi politico-affaristico-editoriali di B., tentava di negare il conflitto d’interessi politico-affaristico-editoriale dei suoi editori Agnelli-Elkann. E, così, senza volerlo, lo confermava. Diversamente da B, la Real Casa torinese non ha mai avuto bisogno di entrare direttamente in politica: fin dalla fondazione oltre un secolo fa, è sempre stata “governativa per definizione”, come diceva il capostipite Giovanni Agnelli. Perché ha sempre avuto ai suoi piedi quasi tutti i governi, convinti – anche in cambio di tangenti e buona stampa – che “quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia” (Gianni Agnelli). E infatti anche La Stampa, salvo rare parentesi, è sempre stata governativa. Almeno fino a due anni fa, quando andarono al governo due partiti – 5Stelle e Lega – troppo selvaggi per piacere ai soliti salotti, anche se poi Salvini vi è stato subito cooptato. Intanto la Real Casa si comprava pezzo dopo pezzo pure Repubblica, fino alla brutale cacciata di Verdelli e all’arrivo di Molinari, sostituito a La Stampa da Giannini.

Così il giornale più vicino al Pd è passato all’opposizione del governo che ha riportato al potere il Pd, insieme al quotidiano governativo per definizione. Il tutto mentre l’editore incassava da Banca Intesa un assegno di 6,3 miliardi garantiti dallo Stato grazie al dl Liquidità dell’orribile governo Conte. Il vicesegretario del Pd Orlando ha fatto due più due, come chiunque osservi i movimenti dei grandi gruppi finanziari ed editoriali: lorsignori, con i loro media al seguito, non ne hanno mai abbastanza e ora vogliono rovesciare il governo per spartirsi comodamente gli 80 miliardi delle due manovre anti-Covid e quelli in arrivo dall’Ue. Nessuno ha mai parlato di ”complotto” o “congiura”, termini evocati da Giannini (che tira in ballo financo gli odiatori di Liliana Segre e di Silvia Romano) e da quel furbacchione di Mieli per ridicolizzare un tema serissimo: qui si tratta di interessi economici, che sarebbero legittimi se non usassero i media per i propri comodi. Conte, pur tutt’altro che ostile alle imprese, è inviso all’establishment lobbistico-finanziario perché non è un premier à la carte (come lo erano quasi tutti i predecessori). E per giunta non è stato scelto dai soliti noti, ma nientemeno che dai barbari 5Stelle.

Infatti viene attaccato ogni giorno con pretesti ridicoli (gli orari e la punteggiatura delle conferenze stampa) e fake news (nulla a che vedere con la legittima critica) da tutti i grandi quotidiani, fino all’altroieri sdraiati su governi infinitamente peggiori. “Nessuno ci ha mai ordinato alcunché”, “i giornalisti non prendono ordini dall’editore”, giura Giannini. Non ne dubitiamo: certe cose non c’è neppure bisogno di ordinarle. Si fanno col pilota automatico, conoscendo i desiderata dell’editore. Che, quando è vero, ha il solo interesse di vendere i giornali. Ma, quando è finto o “impuro”, usa la stampa per fare affari anche tramite la politica. Vale per gli Elkann, Caltagirone, gli Angelucci, Cairo e anche i De Benedetti. Quando scoppiò lo scandalo della soffiata dell’Innominabile all’Ingegnere sul dl Banche, Repubblica non scrisse una riga: censura dell’editore o autocensura dei giornalisti? E le recenti cronache da Coppa Cobram fantozziana dei due giornali della megaditta sul prestito garantito a Fca erano frutto di ordini superiori o di spontanee obbedienze inferiori?

La Razza padrona descritta da Scalfari prim’ancora di fondare Repubblica e poi di venderla a CdB, non è un’invenzione. Giannini assicura che questa è “un’idea rozza” che “non esisteva neanche negli anni 50, quando a Torino la Fiat e il Pci costruivano la trama delle relazioni industriali del Paese”. Sarà, ma allora e anche molto dopo la Fiat (“la Feroce”) aveva “reparti confino”, schedava gli operai per le loro idee e, quando ne moriva uno in fabbrica, La Stampa, sotto dettatura della capufficiostampa Fiat, tota Rubiolo, scriveva che era “deceduto in ambulanza nel trasporto in ospedale”. Negli anni 90 era cambiato il mondo, ma quando sul Giornale mi azzardai a raccontare il processo sulle tangenti Fiat, il condirettore Federico Orlando fu convocato in corso Marconi da Agnelli e Romiti, che gli chiesero di non farmi più scrivere. Montanelli pregò Orlando di non dirmelo neppure e continuai a scrivere liberamente. Un anno dopo, siccome perseveravo, il capufficio stampa Fiat mi convocò per minacciare di stroncarmi la carriera. Me ne fregai, ma solo perché non lavoravo per giornali Fiat. Ne Il Provinciale, Giorgio Bocca racconta un aneddoto su un dirigente Fiat che rende bene l’idea: “Mi trovai in una villa del Monferrato in casa di un dirigente che un po’ brillo abbracciava alle spalle la sua tota

segretaria e le diceva in piemontese: ‘Ninìn, lo senti l’acciaio?’. E lei brancicava nei suoi pantaloni con una mano, senza girarsi…”. Ecco, oggi la sede legale è in Olanda. Ma l’acciaio è sempre lì dietro, in Italia.

Fatto Quotidiano – 19 maggio 2020

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È da vomito il titolo in cui Libero e Il Giornale usciranno nelle edicole domani. Intenzionati a sostenere che loro schifano il diritto costituzionale alla libertà religiosa e inventandosi deliri sulla «divisa del nemico jihadista», i due quotidiani che vengono vergognosamente finanziati con denaro pubblico defecheranno queste porcate pensate per eccitare leghisti, razzisti e nazisti:



A firmare quelle porcate è la stessa gente che tirava in ballo la “libertà di culto” nel sostenere che le chiese cattoliche dovessero poter ignorare le disposizioni sanitarie per la prevenzione del coronavirus.
Ma quanto odio deve pervadere le loro menti se a farli schiumare di rabbia è l’idea che una ragazza italiana non sia più tenuta prigioniera dai suoi rapitori? Direbbero lo stesso se ad essere stata rapita fosse loro figlia?

Fate sapere al capitan Cazzaro chi ha scarcerato .

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Detenuti scarcerazione Autorizzazione a firma Magistrato Rosanna CALZOLARI Moglie di Roberto COTA – Lega nord
Chi ha firmato il provvedimento di scarcerazione?
Guardate chi è Rosanna Calzolari, moglie di quello che comprava le mutande verdi in Piemonte con i soldi della Regione…
Quando la matematica non è un’opinione

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QUESTO E’ GILETTI.

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Giletti: “E no ministro, devo chiudere, ha solo un minuto.”

Bonafede: “Mi faccia rispondere per cortesia, mi faccia spiegare…”

Giletti: “E no, devo collegarmi con altri ospiti, non ho tempo.”

Dopo doveva dare spazio per 15(un monologo) minuti al plurievasore Briatore .

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BUONA FEDE.

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di Marco Travaglio

Tutto potevamo immaginare, nella vita, fuorché di vedere il centrodestra (e dunque anche l’Innominabile e la sua Italia Morta) schierato come falange macedone in difesa di Nino Di Matteo, il magistrato più vilipeso e osteggiato (soprattutto dal centrodestra, ma non solo) degli ultimi vent’anni. Del resto, questa vicenda che lo contrappone al ministro Alfonso Bonafede è tutta un paradosso. Il Guardasigilli viene accusato di cedimenti alla mafia e alle scarcerazioni dagli stessi che gli davano del “giustizialista”, “manettaro” e per giunta colluso col “grillino” Di Matteo. Tant’è che l’altra sera, a “Non è l’Arena: è Salvini”, s’inchinavano deferenti a Di Matteo il capitano “Ultimo” (il neoassessore dell’immacolata giunta Santelli in Calabria, che Di Matteo fece a pezzi in varie requisitorie per la mancata perquisizione al covo di Riina) e l’ex ministro Claudio Martelli, che lo definì “uno stupido, forse anche in malafede” che “naviga nel caos” e “non escludo che si inventi delle balorde” nel processo Trattativa che “finirà in un nonnulla” (infatti, tutti condannati). Una lezione di legalità resa ancor più credibile da maestri del calibro di Flavio Briatore (imputato per evasione fiscale) e dello stesso Martelli (pregiudicato per la maxitangente Enimont). Gl’imputati, ovviamente assenti, erano due pericolosi incensurati: Bonafede e il suo capo uscente del Dap Francesco Basentini, che la vulgata salviniana e dunque gilettiana vuole colpevoli delle decine di scarcerazioni di detenuti (opera di altrettanti giudici di sorveglianza iper “garantisti”), quando tutti sanno che il Dap è corresponsabile solo in quella del fratello del boss Zagaria, scarcerato da un giudice di Sassari con la scusa del Covid e spedito a casa sua a Brescia (epicentro Covid).

Nel bel mezzo di quel frittomisto di urla belluine miste a notizie vere, verosimili e farlocche, fatto apposta per non far capire nulla, ha chiamato Di Matteo per raccontare la sua versione della mancata nomina a capo del Dap a metà giugno 2018. I lettori del Fatto sapevano già tutto. Il 27 giugno 2018 Antonella Mascali la raccontò insieme alle esternazioni di alcuni boss al 41-bis contro l’ipotesi di Di Matteo al Dap. Poi Marco Lillo criticò Bonafede per la “figuraccia” fatta con Di Matteo. L’altra sera l’ex pm ha evocato le frasi dei boss a proposito della presunta retromarcia del ministro sulla sua nomina al Dap. E, anche se non ha fissato alcun nesso causale fra le due cose, Giletti l’ha dato per scontato. Noi ovviamente non eravamo presenti ai tre colloqui (uno telefonico e due al ministero) intercorsi fra Bonafede e Di Matteo. E non ne conosciamo i particolari.

Ma già due anni fa ci facemmo l’idea di un colossale equivoco fra due persone in buona fede. Ecco la cronologia. Quando nasce il governo Salvimaio, voci di stampa parlano di Di Matteo al Dap o in un altro ruolo apicale del ministero della Giustizia. E fanno impazzire i boss (che evidentemente preferivano le precedenti gestioni). Il 3 giugno il corpo speciale della polizia penitenziaria (Gom) sente alcuni di loro inveire contro l’arrivo del pm anti-Trattativa. E il 9 giugno annota quelle frasi in una relazione al Guardasigilli e ai pm. Il 18 giugno, già sapendo quel che dicono i boss, Bonafede chiama Di Matteo per proporgli l’equivalente della direzione Affari penali (che già era stata di Falcone con Martelli) o il Dap. Il 19 giugno Di Matteo incontra Bonafede e dà un ok di massima per gli ex-Affari penali (questa almeno è l’impressione del ministro): ruolo che il Guardasigilli s’impegna a liberare riorganizzando il ministero e ritiene più consono alla storia di Di Matteo, oltreché alla sua esigenza di averlo accanto per le leggi anti-mafia/corruzione che ha in mente (all’epoca il problema scarcerazioni non era all’ordine del giorno). Il pm invece ritiene l’incontro solo interlocutorio. Bonafede offre il Dap a Basentini, ma in serata Di Matteo lo chiama chiedendo un nuovo incontro. E lì, il 20 giugno, gli dice di preferire il Dap e di non essere disponibile per l’altro incarico, forse per aver saputo anche lui delle frasi dei boss. Bonafede insiste per gli ex-Affari penali, imbarazzato perché il Dap l’ha già affidato al suo collega. Invano.
Il 27 giugno il Fatto pubblica le frasi dei boss: a quel punto, come osserva Lillo sul Fatto, Bonafede potrebbe accantonare Basentini e richiamare Di Matteo per dare un segnale ai mafiosi; ma, per non mancare alla parola data, non lo fa. In ogni caso l’ipotesi che la contrarietà dei mafiosi l’abbia influenzato è smentita dalla successione dei fatti, oltreché dalla logica: chi vuol compiacere i boss non offre a Di Matteo il posto di Falcone, ucciso proprio per il ruolo di suggeritore di Martelli agli Affari penali, non al Dap. Ma Di Matteo si convince, memore dei mille ostacoli incontrati nella sua carriera, che “qualcuno” sia intervenuto sul ministro per bloccarlo. Intanto Bonafede continua a sperare di portarlo con sé. Ma ormai il rapporto personale è compromesso, anche se poi Di Matteo non manca di sostenere le riforme di Bonafede (voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione ecc.) e la recente nomina a vicecapo del Dap del suo “allievo” Roberto Tartaglia, giovane pm del processo Trattativa. Un’altra mossa che a tutto può far pensare, fuorché a un gentile omaggio a Cosa Nostra.

Fatto Quotidiano – 5 maggio 2020