Reddito di cittadinanza: cosa non si può acquistare con la carta

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Cerchiamo di fare, nuovamente, una panoramica sugli acquisti vietati con la carta del reddito di cittadinanza. Il decreto stabilisce che è vietato usarla per acquistare:

  • giochi che prevedono delle vincite in denaro
  • spese presso club privati
  • spese presso gallerie d’arte (o simili)
  • è vietato acquistare navi e imbarcazioni da diporto, vietato anche noleggio e  leasing
  • non si possono acquistare armi
  • non si può acquistare materiale pornografico e servizi per adulti.
  • Vietato l’acquisto di articoli da gioiellerie, pellicce
  • Vietato trasferire denaro ed acquistare servizi finanziari o assicurativi
  • Non si può, infine, trasferire il denaro presente sulla carta.
  • L’uso della carta del Reddito di cittadinanza, quindi, è vietato negli esercizi commerciali che maggiormente vendono beni e servizi vietati (anche se si intende acquistare servizi o beni consentiti).

La tabaccheria molte volte è adibita alla vendita di servizi vietati (giochi a premi con vincite in denaro). Proprio per questo motivo nelle tabaccherie che vendono anche giochi a premi con vincite in denaro l’utilizzo della card non è consentito.

Chiudete gli occhi…..

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19 Gennaio 2020
Guardate questa foto: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, insieme a Putin, Merkel, Macron ed altri, mentre si confronta alla Conferenza di Berlino per arrivare al cessate il fuoco in Libia.
Come si può notare, non ci sono interpreti.
Ora, chiudete li occhi, e sostituite Conte con Salvini…

Spese detraibili solo se pagate con strumenti tracciabili

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La legge di Bilancio 2020 ha stabilito (comma 679 dell’articolo 1 della legge n. 160/2019) che per detrarre al 19% una serie di spese nel prossimo 730, a partire dal 1° gennaio 2020, i pagamenti di alcune prestazioni dovranno essere effettuate con strumenti tracciabili, cioè con bancomatcarta di credito o carte prepagate, assegni bancari e assegni circolari, bonifico bancario o postale.

• le visite mediche specialistiche sostenute in una struttura non convenzionata con il Ssn;
• le rate del mutuo per detrarre gli interessi;
• le spese di intermediazione per l’acquisto della prima casa;
• le spese (visite, medicine, dispositivi) veterinarie;
• le spese funebri;
• le spese per la scuola (servizi di mensa, gite scolastiche, servizi di pre e post-scuola, assicurazioni scolastiche, dispositivi per gli alunni con difficoltà di apprendimento documentate) e per l’Università (affitto per studenti fuori sede, ecc.);
• le spese per l’attività sportiva dei ragazzi tra i 5 e i 18 anni;
• le spese di assicurazione (vita, infortuni, ecc.);
• le spese per addetti all’assistenza per non autosufficienza;
• le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici (c.d. contributo scolastico);
• l’abbonamento al trasporto pubblico locale (tessera metrebus e quant’altro).

Non è l’Arena, Massimo Giletti getta fango sulla Calabria

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Il fango contro la Calabria arriva anche in diretta tv, durante la trasmissione Non è l’arena di Massimo Giletti. Lo dice con rabbia e con ragione il presidente del Consiglio comunale di Catanzaro, Marco Polimeni, collegato con il programma di La7, che più che uno studio o un’arena, sembra una fossa dei leoni, con le belve pronte a divorare chi ci finisce in mezzo. Polimeni resiste e – accusato di aver nominato il nome di Gratteri invano, peraltro citandolo come esempio per i giovani – ribatte a Giletti di volersi sostituire ai pm.

Una accusa che pecca solo per difetto. Giletti da anni ormai (e purtroppo) racchiude in sé il ruolo dei pm, dei giudici e della giuria popolare, con verdetti quasi sempre scontati: i malcapitati sono sempre e solo colpevoli. Il titolo della puntata non è da meno: “Calabria in attesa di giudizio”. Non alcune persone, quelle indagate da Gratteri e a dire il vero non ancora rinviate a giudizio, ma una intera regione che viene criminalizzata.

Giletti, del resto, fa sempre così. Non chiedetegli di informare, è un compito che a lui non interessa. Quello che gli interessa è gettare fango, fare processi in tv, aizzare le folle. E in questo ruolo effettivamente è insuperabile, niente da eccepire. Ma se invece ci mettiamo nell’ottica del “buon giornalismo” allora i conti non tornano, perché ancora non si capisce che cosa c’entrino le urla, le accuse, la messa alla gogna delle persone.

Ho smesso di vedere Giletti da un po’ proprio per questo e per la stessa ragione non mi sono stracciata le vesti quando la Rai ha deciso di non rinnovargli il contratto. Più che mai la tv pubblica dovrebbe impedire che i talk diventino produttori, a ciclo continuo, di antipolitica, qualunquismo, giustizialismo. Questo è invece Non è l’arena di Massimo Giletti, un programma in cui la presunzione di non colpevolezza è questione di archeologia del diritto, mentre la norma è quella del Vecchio Testamento: occhio per occhio, dente per dente…

Giletti ha coltivato un pubblico indisciplinato, rancoroso, convinto che tutti siano responsabili di qualche nefandezza e che le accuse non vadano dimostrate, ma prontamente trasformate in pena.
Oggi quasi tutta la televisione italiana è costruita sul modello del processo. Anche i talent, anche i talk show politici, anche i “chi l’ha visto”, anche i reality. Il processo cannibalizzato dalla tv, si è vendicato divorando tutti i format. Non è l’Arena è una fossa dei leoni, dove il conduttore getta in pasto al pubblico inferocito il capro espiatorio di turno che viene sommariamente processato e poi virtualmente lapidato. E non si tratta di essere innocentisti o garantisti, si tratta di dire basta a un modo di fare televisione che ha generato un Paese di mal informati, pronti a credere al primo che urla di più.

riprendono come esempio, modello. O forse come monito, come a dire: attenti, state zitti, non difendetevi dalle accuse, se no la prossima volta tocca a voi finire nella fossa. C’è da aver paura, da preoccuparsi e da sperare che una nuova televisione possa sorgere: senza urla, senza processi sommari, senza gogne.

Nel 1994 il francese Daniel Soulez Lariviere manda in stampa il saggio Il circo mediatico giudiziario, titolo che è diventato anche espressione emblematica del cortocircuito che si è creato, soprattutto in Italia, tra giustizia e politica. Ma forse neanche Lariviere, per quanto profetico, poteva immaginare che in Italia quel circo diventasse così potente e conquistasse tanto spazio, monopolizzando la maggior parte dell’informazione e dei talk show. Il vulnus da lui denunciato era appena all’inizio, oggi i conduttori si sentono come il Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, pronti a incarcerare anche Cristo purché gli ascolti vadano su.