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Quando gli avvocati hanno l’esclusiva
La legge impone l’iscrizione all’albo degli avvocati solo quando è necessario agire in giudizio, ossia fare una causa. Dinanzi al tribunale e, per le cause superiori a 1.100 euro anche davanti al giudice di pace, il cittadino non può né difendersi da solo, né ricorrere all’ausilio di professionisti che non siano avvocati abilitati (quindi, tanto per fare un esempio, non ci si può far difendere da un commercialista anche se la pratica implica nozioni di diritto commerciale o fiscale). Oggi l’avvocato, per essere tale, non deve solo aver superato l’esame di abilitazione all’esito del periodo di tirocinio, ma deve anche essere iscritto all’albo e alla Cassa forense, nonché avere una propria partita Iva .
L’avvocato ha quindi l’esclusiva su tutte le prestazioni di carattere «giudiziario», ossia quelle che implicano la difesa in giudizio e quelle a ciò collegate come, ad esempio:
- la redazione degli atti di causa: un praticante non può redigere la citazione, farsi pagare, e poi lasciare la successiva fase della difesa in udienza a un collega abilitato;
- l’esecuzione forzata e i pignoramenti;
- l’assistenza dinanzi all’organismo di mediazione nelle ipotesi in cui la mediazione è obbligatoria. In tal caso infatti si tratta di una attività propedeutica alla causa e, quindi, collegata ad essa.
Quando gli avvocati non hanno l’esclusiva
Per tutte le altre attività gli avvocati non hanno “l’esclusiva” benché si tratti spesso di questioni che solo chi è professionista da diversi anni è in grado di risolvere. Ciò però non toglie che un commercialista, un ingegnere, un sindacalista o un idraulico che ne sappia quanto un avvocato non possa fornire un parere legale. Attenzione però: quando l’attività viene fornita a pagamento, chi fornisce la consulenza si assume anche la responsabilità di un eventuale errore e, quindi, sarà tenuto a risarcire il danno al cliente cui abbia consigliato qualcosa di sbagliato (ad esempio, facendo prescrivere un diritto al risarcimento del danno).
Tanto per fare qualche esempio, ecco le attività che possono essere compiute da chi non è avvocato:
- consulenze e pareri legali, purché non finalizzati alla successiva difesa in giudizio;
- redazione di contratti;
- diffide, contestazioni e messa in mora;
- risposta a lettere di diffida, contestazioni e messa in mora;
- querele e denunce;
- redazione di accordi e transazioni;
- conciliazioni laddove la presenza dell’avvocato non è richiesta obbligatoriamente dalla legge;
- richiesta di risarcimento all’assicurazione per un incidente stradale.
Del resto è principio della Comunità europea quello della libertà della prestazione di servizi, rispetto al quale l’imposizione del requisito dell’iscrizione ad albi e Ordini costituisce l’eccezione da interpretarsi sempre in senso restrittivo. Per cui la regola è che le prestazioni professionali possono essere erogate da chiunque, senza perciò rispondere del reato di «esercizio abusivo della professione», salvo nei casi in cui la legge espressamente attribuisce dette attività esclusivamente agli iscritti all’albo.
In apertura abbiamo fatto riferimento a una sentenza della Cassazione [1]. La Suprema Corte ha detto che la «prestazione di opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti agli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, della diretta collaborazione con il Giudice nell’ambito del processo. Al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti agli albi professionali». Pertanto ha «diritto al compenso colui che la esercita anche in difetto di qualsiasi abilitazione specifica». Nel caso di specie i giudici hanno riconosciuto al segretario di un sindacato il diritto al pagamento della parcella per l’attività stragiudiziale da questi svolta in favore di un lavoratore nei confronti del datore di lavoro.
Il diritto alla parcella per chi non è avvocato
La sentenza appena citata riconosce quindi il diritto al compenso per attività di consulenza paralegale fornita da persona non iscritta all’Ordine degli avvocati.
Secondo il codice civile [2] l’esercizio di talune professioni richiede l’iscrizione in albi appositi, con la conseguenza che lo svolgimento di dette attività da parte di soggetti non iscritti – che può addirittura configurare il reato di esercizio abusivo di professione – non dà diritto a compenso, neanche qualora la prestazione sia stata utile al cliente, o abbia raggiunto il risultato da questi desiderato. Il cliente può anzi chiedere la restituzione di quanto eventualmente versato, mentre il professionista non può richiedere neanche il rimborso delle spese sostenute [3].
Tuttavia, secondo il generale principio di libertà nello svolgimento delle professioni, le attività subordinate all’iscrizione a un albo devono essere tassativamente indicate dalla legge. Sono quindi leciti i contratti aventi ad oggetto attività che, sebbene solitamente svolte da professionisti abilitati, non sono espressamente a questi riservate dalla legge, con la sola conseguenza che, in questo caso, non potranno trovare applicazione le tariffe professionali forensi, vincolanti solo per gli iscritti agli albi.
Per quanto attiene specificamente all’attività di consulenza legale, per giurisprudenza costante si ritiene pienamente legittimo il contratto con cui un soggetto non avvocato si impegni a fornire assistenza stragiudiziale, in quanto l’iscrizione è richiesta dalla legge solo per lo svolgimento dell’attività di rappresentanza e difesa in giudizio e non per altre forme di consulenza [4]. La prestazione d’opera intellettuale nell’àmbito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e comunque di diretta collaborazione con il giudice nell’àmbito del processo mentre, al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale, sia che si svolga mediante il compimento di atti difensivi o di semplici pareri, sia pure che comporti contatti con l’altra parte e tentativi di componimento stragiudiziale, non può considerarsi riservata agli iscritti all’albo degli avvocati e procuratori legali. Conseguentemente dà diritto al compenso a favore di colui che la esercita.
note
[1] Cass. sent. n. 12840/2006.
[2] Artt. 2229 e 2231 cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 3794/1982.
[4] Cass. sent. n. 2233/1955, n. 1474/1968, n. 5906/1987.
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