Crepet e lo stupro di Palermo: “Il carcere? Cosa servirebbe a quei ragazzi”

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 Sono stati condannati in primo grado i ragazzi responsabili dello stupro di gruppo di Palermo, avvenuto in un cantiere del Foro Italico, il 7 luglio 2023, a danni di una diciannovenne. In misura significativamente inferiore, però, rispetto alle richieste dei pm al processo: i giovani dovranno scontare pene tra i 7 e i 4 anni, mente La procura aveva chiesto condanne tra i 12 e i 10 anni e 8 mesi. Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, commenta la vicenda in un’intervista a Repubblica: “Siamo nel 2024, non possiamo ragionare come se fossimo all’inizio del Novecento. Questi giovani non hanno scusanti, sono dei delinquenti e da delinquenti vanno trattati”. Tuttavia “il carcere, così come è strutturato in Italia, non credo sia il luogo più adatto per fare capire a questi giovani la gravità di ciò che hanno fatto”. Cosa servirebbe? Nelle carceri “la pena non servirà a nulla”, per “capire cosa hanno fatto” questi giovani “dovrebbero essere condannati a trascorrere per anni interi il loro tempo in un centro antiviolenza e aiutare le donne che hanno subito violenza. Oltre che andare a mungere le vacche”, commenta Crepet. Lo psichiatra invita a tutti a concentrarsi sulle responsabilità delel famiglie nella crescita dei giovani. “Non esistono, indipendentemente dai ceti sociali di appartenenza. Lei pensa che la figlia del dentista di Palermo che frequenta ambienti chic della città, faccia una vita così diversa? Forse correrà meno rischi perché di sera sarà accompagnata dal fidanzato con la Mercedes”, commenta Crepet ch sui “colpevoli” siega: “Siamo noi. Da trenta anni ripeto che la scuola va riformata, che vanno investiti tanti soldi, e soprattutto dovremmo togliere i materiali digitali ai ragazzini”. Le famiglie sono le grandi assenti? “Se mio padre mi sgancia 100 euro per andare a fare una serata. Chi è questo padre? Come fai a chiamarlo padre?”. Alla ragazza vittime dello stupro Crepet consiglia di “andare in un contesto completamente diverso da quello in cui vive, magari al nord, dove confrontarsi con ragazzi e ragazze diversi per cultura e formazione. Rimanere a Palermo frequentando gli stessi gruppi non credo possa portare a un futuro sereno”. La ragazza è stata accusata di esporsi troppo. “I social sono fatti per esporre e non per mediare e il processo non è sull’esposizione della giovane. Il fatto che questa ragazza dopo che ha subito lo stupro non abbia trovato meglio da fare se non ricominciare ad apparire sui social, purtroppo fa parte non del mondo magico di Amelie, ma del mondo distopico secondo cui se non hai niente da fare, passi tutto il tempo sui social. Ma attenzione, questo non c’entra niente con lo stupro, perché si stuprava anche quando i social non esistevano”, commenta lo psichiatra.

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 Fonte iltempo.it