Da 0 a 10: le 5 cessioni immediate, i due acquisti inutili, il passo indietro di ADL e la bugia di Gattuso

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(di Arturo Minervini) –

Zero al grande vuoto. Quello visibile agli occhi, quello quasi assordante nelle orecchie, quello che racconta un freddo al cuore mai provato prima nella storia. Prima di ogni analisi, bacchetta tattica, proposte di rivoluzione assoluta, bisogna fermarsi a ragionare su questo San Paolo asettico come una camera iperbarica. C’è chi pensa che un piatto che si rompe non tornerà mai più come prima, altri che rimettere insieme i cocci possa dargli più valore. Che il piatto si sia rotto è palese. Che sia necessario rimboccarsi le maniche per tornare a vivere a pieno un sentimento pugnalato lo è altrettanto. Napoli ha bisogno dei tifosi. Il San Paolo ha bisogno di tornare a ruggire come nel racconto di Yaya Tourè, che pare adesso una macabra profezia del contrappasso. Quello che era Inferno per gli altri, è divenuto Inferno per lo stesso Napoli.

Uno il gol segnato da un Napoli che fatica terribilmente ad andare in gol. Appena 28 in campionato, gli stessi del Bologna, 5 in meno del Cagliari, 2 in meno del Sassuolo, 20 (VENTI!!!) in meno dell’Atalanta. Nella spaventosa involuzione generale, questa squadra ha grattato via dalla pelle quella cattiveria fondamentale che serve per competere a certi livelli, ha subito supinamente un destino che ha scritto con mani piene zeppe di peccati, bugie e mugugni. Ha simulato più di Meg Ryan in ‘Harry ti presento Sally’ una serenità che nascondeva un temporale emotivo che sta avendo effetti catastrofici.

Due acquisti oggi, anzi ieri. Anzi l’altro ieri. Perché era già tardi, perché è già tardi, perché mentre scrivo è sempre più tardi. La scelta cervellotica di Ancelotti di ritenere completo quel centrocampo si è rivelata cicatrice mai sanata, mela rubata dall’albero per un peccato originale che attende fonte battesimale per essere sanato. Come la Juve con Kulusevski, come il Milan con Ibra, i tempi d’attesa dovevano essere azzerati, un fast-pass per provare a salire sulla giostra che contava. Ed invece, stiamo ancora a raccontare di trattative. Confusione generale. Ora arriverà un mediano ed un difensore, ma chi li avrà voluti? A quale Napoli serviranno? A quello di oggi? A quello di domani? E chi sarà l’allenatore? Troppe domande, poche risposte.

Tre pietre sul cuore. A smorzare ogni entusiasmo, ad affievolire ogni sentimento. C’è l’orrore puro di tre disgrazie ritrovatesi nella stessa serata, colpe troppo gravi per essere espiati in 90’ di troppa confusione. Una confusione che è prende le sembianze di Hysaj che si ritrova titolare quando in estate aveva già annunciato l’addio. Il caos nella testa di Elseid che lascia a Lukaku il sinistro in occasione del primo gol è inaccettabile a certi livelli. La paura di scegliere è il fardello più grande che questo Napoli si trascina da tempo. Troppo tempo.

Quattro fisso, come un prefisso da comporre in una cabina telefonica di cui sembra voler assumere le sembianze. Clark Joseph Kent nelle postazioni telefoniche stradali svelava al mondo la sua vera natura, Fabiàn ha ormai assunto il travestimento del super-eroe che fa la strada nel percorso inverso, ricordando più Medio-Man che un Super-Uomo. Difficile spiegare, difficile accettare l’indolenza, quasi fastidiosa, dello spagnolo che, a prescindere dalle attenuanti sulla posizione in campo, da settimane si trascina svagato sul prato verde. Orologio molle che omaggia Salvador Dalì e la sua Patria, nostalgia o debolezza al richiamo di sirene iberiche. Ma qui siamo belli che stufi.

Cinque dita di Handanovic sul destro a giro di Lorenzo, la palla rimbalza sul terreno e ritorna tra le braccia di Samir. Poco prima, la carambola impazzita generata dalla disattenzione di Meret aveva avuto esito ben diverso. La stagione del Napoli è anche lì. In un destino girato sempre di spalle, a guardare altrove. È una visuale molto simile alle ‘Nozze di Cana’ al Louvre, che osserva gli occhi dei curiosi rivolgersi di fronte, lì dove attende enigmatica ‘La Gioconda’ che ruba attenzione e catalizza spettatori. Il Napoli nel suo angolino, raccoglie qualche briciola da un destino che ha saputo accanirsi in un momento già ingarbugliato.

Sei-Sei-Sei come il numero del diavolo. Immerso dentro un racconto esoterico, il Napoli guarda in faccia i demoni di un campionato vissuto sulla soglia della mediocrità, con quel numero che è atto satanico dopo 18 gare: 6 vittorie, 6 pareggi e 6 sconfitte. Una discesa verticale, senza paracadute e soprattutto senza nessuno che riesca a trovare la forza di provare ad invertire una traiettoria che ora pare avere una sola destinazione: il suolo.

Sette agli impulsi emotivi di Piotr, unico veramente rivitalizzato dal cambio modulo. Sterza, inventa sul gol di Milik, cambia passo e velocità come nelle giornate migliori. Finalmente brillante e sfacciato, a tratti unico leader di una squadra che gioca a nascondino quando c’è da assumersi qualche responsabilità. Il passato ci ha già tratti in inganno troppe volte con questo polacco con la faccia da eterno ragazzino, quindi nessuna esaltazione. Doveroso, però, riconoscerne la determinazione e l’abnegazione. Fermarsi ora sarebbe doppiamente criminoso. Forza Piotr, è il momento di diventare grande.

Otto centimetri più in basso, una traversa scheggiata, un gol che manca da tempo immemore. Nella centrifuga emotiva della notte di Insigne ci finiscono rabbia, sgomento, senso di impotenza. Ci ha provato, questo sì, ma “Hai fatto il massimo e il massimo non è bastato”. Forse su questo passaggio bisogna concentrarsi: cosa attendersi da Insigne? Ci si può accontentare di qualche guizzo per salvare la sua prestazione? Il suo stipendio che tipo di pretese impone? Come giustificare un gol che manca (su rigore) dal 22 settembre?! Un labirinto dialettico ed analitico impervio come quello della bionda Alice, ma qui di Meraviglie di Lorenzo se ne vedono sempre meno.

Nove alla rivoluzione che si è fatta necessità. Alle cessioni che sono combustibile per un motore ingolfato, rallentato dalla ruggine dei chilometri ormai andati. Al bivio tra innovazione e nostalgia, il Napoli ancora esita e commette già un errore clamoroso. De Laurentiis ora cambi marcia, effettui almeno 5 cessioni per riavviare un progetto arenatosi proprio nella malinconia di quello che poteva essere e non è stato. Di quello che sarà è lui l’unico responsabile, referente troppo solitario che ha pagato la guerra epocale col proprio ego. Che strutturi il club in maniera più responsabile, applichi il principio del ‘Divide et impera’ che vale per tutte le più grandi organizzazioni della storia. Guardi in pochi mesi cosa ha fatto Marotta all’Inter, valuti l’acquisto di un Top Player nei piani dirigenziali e magari pensi ad un clamoroso passo indietro quando si tratta di scelte di campo.

Dieci gare con 8 punti raccolti, 16esimo rendimento in questo lasso di gare. Il dato scioccante ti investe come una nuova condizione, un’eccezionalità che è diventata quasi normalità col passare dei giorni. Assorbita, assimilata, assuefatta. Gattuso racconta una piccola bugia quando si dice soddisfatto della prestazione, perché se fosse sincero sarebbe ancora più grave. Il Napoli subisce tre gol per errori propri, ma lascia tante altre occasioni all’Inter e non mostra mai di essere costruzione solida, temibile, rispettabile. Tutt’altro. Si accompagna di una fragilità che resta sospesa, latente, ma pronta ad accadere in qualsiasi istante. E così è stato.

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