Fuoco e sigilli sulla Maddalena.

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Fuoco e sigilli alla Maddalena di Aversa

“Aversa è una città che sembra uscita da un racconto di Calvino. Fortezze al posto del cuore e nugoli di strade scarne che si piegano su sé stesse confondendo direzioni e traiettorie. Fai fatica ad orientarti e quando arrivi non sai mai bene da dove sei venuto”.

Aversa. Ci piace immaginarla così: una città che sembra uscita da un racconto di calvino. Chiese, arte, nugoli di strade che si piegano su sé stesse. Cittadella normanna, aragonese, angioina… Ma chi ha “rubato” la nostra cultura? Chi ci ha fatto dimenticare la nostra storia, la memoria? Chi chiude gl’occhi per non farci vedere che Aversa, con le adeguate infrastrutture, avrebbe tutte le potenzialità per diventare una piccola Firenze?

Quello che sta avvenendo all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di Santa Maria Maddalena è qualcosa di agghiacciante. Ti lascia con l’animo gelato.

Aversa, si sa, è nota per essere stata in passato una vera e propria “cittadella della follia”: la Casa della Santissima Annunziata, che nel XIV secolo fungeva da ricovero per malati, bisognosi e dissennati; l’OPG, da prima sito nella sede dell’antico castello aragonese e poi trasferito nell’ex palazzo della cavalleria, dove si trova tutt’ora; Il manicomio, istituito, nel 1813, da Gioacchino Murat nel ex convento di Santa Maria Maddalena, e successivamente ampliato, fu il primo manicomio dell’Italia meridionale istituzionalizzato. Ad Aversa si è tenuto, nel XIX secolo, il secondo Congresso dei freniatri Italiani. Aversani sono il noto alienista Gaspere Vigilio e il suo allievo Filippo Saporito. Persino il ben più noto criminologo Cesare Lombroso teneva conto degli studi di Virgilio sulle cause costituzionali che all’epoca si riteneva fossero alla base di alcune patologie mentali. Poi c’è stato il periodo basagliano: la liberazione, i “matti” finalmente, per legge, venivano dimessi da i manicomi, riacquistavano i diritti civili ed erano affidati ai servizi territoriali. Ma anche qui qualcosa non è andato come doveva: la legge Basaglia è nota per essere rimasta una legge monca. Ad Aversa solo sul finire degli anni ’90, ormai a quasi trent’anni dall’emanazione della suddetta legge, sono stati dimessi gli ultimi pazienti dalla Maddalena, che da allora versa in stato d’incuria e d’abbandono. Encomiabile è stato, in quel periodo, il lavoro fatto da Franco Rotili e Giovanna Del Giudice per l’organizzazione dei servizi territoriali della città; prezioso, indispensabile si è rivelato l’apporto di altri professionisti e delle associazioni che con il loro fare cultura, attività sociale, hanno favorito, accompagnato, il ritorno degli ex internati a una vita “normale”.

Fuoco e sigilli alla Maddalena di AversaFuoco e sigilli alla Maddalena di Aversa

Questa è una memoria pesante da sostenere, difficile da guardare, ingombrante da gestire, facile da “cancellare”, che però potrebbe dare nuovo lustro e dignità alla città. Dicevamo: all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di Santa Maria Maddalena negli ultimi giorni si è verificato l’ennesimo incendio, probabilmente di natura dolosa. La zona interessata è stata quella dell’ex falegnameria. Le fiamme sono divampate solo all’interno del pozzo, non hanno toccato le strutture. Pare che all’inizio a dare l’allarme sia stata una persona che abita nei pressi della Maddalena. Immediatamente sul posto sono arrivati i vigili del fuoco e alcuni membri del Comitato “la Maddalena che vorrei”. Tale Comitato, chiamato dalla stessa persona che ha dato l’allarme, da circa due anni tenta di accendere i riflettori sullo stato di abbandono in cui versa il complesso promuovendone la riqualifica socio-culturale. Una volta giunti in loco la scena che tutti i presenti si sono trovati davanti, è stata a dir poco paradossale: le autobotti dei vigili del fuoco non potevano accedere alla parte antica della struttura per andare a spegnere le fiamme a causa dei cancelli fatti ripristinare, per motivi di sicurezza, negli ultimi mesi, dall’ASL, proprietaria della struttura. I cancelli non potevano essere sfondati. Ci sono volute diverse ore per trovare le chiavi. Se l’incendio fosse stato più vasto probabilmente avrebbe devastato l’intero complesso. Sui giornali sono comparse immediatamente le prime confuse notizie di cronaca. Il mattino dopo sono arrivate sul posto tre volanti dei carabinieri e i vigili del fuoco per i normali accertamenti. Inizialmente si ipotizzava anche la possibile presenza di un cadavere nel pozzo, sono stati chiamati i corpi speciali che si sono calati all’interno della cisterna, nella quale c’erano, tra gli altri rifiuti, un divano ed un frigorifero bruciato; diversi locali della falegnameria, dopo la chiusura ordinaria dei cancelli, probabilmente prima che venisse appiccato il fuoco, sono stati intenzionalmente devastati: alcuni materiali ritrovati infondo al pozzo provenivano da lì. Le autorità presenti sul luogo con l’accordo dell’ente sanitario hanno messo i sigilli a una parte molto ampia dell’ex manicomio.

Ora, oltre a chiedersi chi ha fatto questo e perché, sarebbe utile domandarsi: chi ha permesso ciò e come si è arrivati a tale punto. La Maddalena è un pezzo di storia non solo della città, ma dell’intera nazione. Nei manicomi c’è passata tutta la storia d’Italia: umanità, sofferenza, ma anche sviluppo e prosperità. Gli ospedali psichiatrici erano organizzati come delle piccole cittadelle, pensate per funzionare in maniera totalmente autonoma. Il loro impatto sull’economia dell’area in cui sorgevano è paragonabile a quello che oggi, in altri luoghi, hanno grandi aziende come la FIAT. Molte persone del hinterland aversano trovavano impiego all’interno del frenocomio dove, grazie al lavoro degli internati, venivano anche lavorate materie prime e prodotte manifatture. L’ex manicomio di Santa Maria Maddalena, a pari di molte altre strutture che caratterizzano il contesto urbano, può essere, se viene adeguatamente utilizzato e riqualificato, con i suoi diciassette ettari, un volano per la cultura, l’economia e lo sviluppo del territorio.

Ieri siamo stati a lungo sul posto. Parlando con le persone che giravano lì intorno, o semplicemente con i curiosi che davano uno sguardo all’accaduto, ci siamo resi conto che tutti sapevano cos’è stata e cos’è la Maddalena. Molti suggerivano: “bisogna fare questo o quello”, poi con un briciolo d’amarezza aggiungevano: “è colpa dei politici, è colpa dell’ente proprietario, è colpa dello Stato”, ma cosa ha fatto, nel suo piccolo, ogni singolo cittadino per mantenere e preservare la memoria dell’ex manicomio e dell’intera città? Fino a quando si ragionerà con una logica secondo cui “sono solo cose vecchie” nulla cambierà. I cittadini e le istituzioni dovrebbero fare pace con la loro memoria, con la loro storia, con la loro identità. Il passato è importante. La Maddalena per troppo tempo, negli ultimi anni, è passata inosservata. Tutti vedevano, ma molti hanno preferito chiudere gli occhi, non vedere, non entrare, non capire.

La cultura è un volano per l’economia, se viene adeguatamente impiegata dalle giuste competenze, produce posti di lavoro, migliora la qualità della vita, crea, anche grazie alla ricerca, benessere, sviluppo sano e altra cultura. La memoria è costituita dalla storia e dal quotidiano. Si alimenta continuamente di fatti accaduti. Attraverso la memoria si fa cultura e la cultura migliora la qualità della vita. Troppe volte i genitori si lamentano che non c’è lavoro, che i propri figli sono costretti ad andare altrove: giovani e meno giovani perdono la speranza. Luoghi tangibili come la Maddalena non solo conservano tra le loro mura la storia e la memoria, ma sono contenitori di speranza e potenzialità; se venissero adeguatamente riqualificati, con attività socio-culturali che ne rispettino l’identità, potrebbero diventare un volano per lo sviluppo e dare nuova linfa al territorio.

La responsabilità di questo processo, di tali luoghi non è di questo o di quello, ma appartiene a tutti.

di Grazia Martin

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