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Sessant’anni fa fu assassinato uno dei più importanti attivisti per i diritti delle persone nere, in circostanze di cui si discute ancora oggi

Il 21 febbraio di sessant’anni fa Malcolm X stava per tenere un discorso all’Audubon Ballroom di New York, una popolare sala da ballo nel quartiere di Harlem. Era un posto che Malcolm X conosceva piuttosto bene: nel decennio precedente, durante il quale era diventato uno dei più noti e popolari attivisti per i diritti umani e delle persone nere, aveva organizzato in quella sala diversi comizi.
Prima che iniziasse a parlare, un uomo lanciò una bomba fumogena rudimentale verso il palco, dove Malcolm X era già salito. Due uomini della sicurezza si avvicinarono per capire cosa stesse succedendo: Malcolm X alzò le braccia e indietreggiò. A quel punto, un altro uomo salì sul palco e gli sparò al petto, facendolo cadere a terra; altri due si avvicinarono ai lati del palco e gli spararono alle gambe, mentre un agente della polizia di New York sotto copertura provava a soccorrerlo. Malcolm X fu infine ucciso con ventuno colpi d’arma da fuoco davanti alla moglie Betty Shabazz, incinta, e a tre delle sue figlie: aveva 39 anni.
Entrare armati all’interno dell’Audubon Ballroom non era difficile: seguendo una prassi che osservava già da tempo, Malcolm X aveva ordinato di non perquisire le persone che partecipavano ai suoi eventi, nel timore che questi atteggiamenti potessero scoraggiarli.
Due persone riuscirono a fuggire, mentre una delle guardie del corpo sparò a una terza, Thomas Hagan (conosciuto anche come Mujahid Abdul Halim o Talmadge Hayer), che venne subito arrestato e imprigionato.
Faceva parte della Nation of Islam, il gruppo di cui Malcolm X era stato riconosciuto come leader fino all’anno prima: esiste ancora oggi, ed è conosciuto perché teorizza la liberazione delle persone nere attraverso un’interpretazione originale e restrittiva della religione islamica. I sospetti ricaddero subito sulla Nation of Islam anche perché il 14 febbraio, una settimana prima del discorso ad Harlem, un commando aveva lanciato alcune bombe molotov attraverso le finestre della casa di Malcolm X nel Queens, a New York, mentre lui e la sua famiglia stavano dormendo. Malcolm X e la moglie attribuirono la responsabilità dell’attentato a Elijah Muhammad, la persona che aveva preso il suo posto come leader dell’organizzazione.
Nel giro di circa dieci giorni furono arrestati e accusati di essere gli autori materiali dell’omicidio anche altri due membri della Nation of Islam: Muhammad A. Aziz. e Khalil Islam, che peraltro era stato per qualche anno l’autista di Malcolm X. L’11 marzo del 1966 tutti e tre furono giudicati colpevoli e quindi condannati al carcere.
Malcolm X sale su un’auto all’esterno del Temple 7, un ristorante halal frequentato da musulmani, Harlem, New York, agosto 1963. (Richard Saunders/Pictorial Parade/Getty Images)
L’omicidio generò fin da subito diversi dubbi tra i suoi sostenitori: Malcolm X era da tempo sotto stretta sorveglianza della polizia locale e del governo federale, che lo vedevano come una possibile minaccia per via delle sue visioni radicali e del grande ascendente che era in grado di esercitare sui suoi sostenitori. Per questo motivo, sul suo assassinio circolarono da subito varie teorie alternative, tra cui quella secondo cui l’FBI e la polizia di New York fossero in qualche modo coinvolte nella sua morte.
Queste supposizioni furono alimentate anche dalle contraddizioni dei racconti di alcuni testimoni oculari, che dissero di aver visto Islam, Aziz o entrambi in altri posti nel momento dell’assassinio. Fin dall’inizio Aziz e Islam portarono dagli alibi credibili, sostenuti dalle testimonianze dei loro familiari e amici, ma ci soltanto nel 2021, dopo che avevano scontato vent’anni di carcere, furono esonerati e liberati. La loro scarcerazione fu resa possibile grazie a un documentario d’inchiesta prodotto da Netflix, Chi ha ucciso Malcolm X?, che l’anno prima aveva fatto riaprire il caso. Nell’ottobre la città di New York accettò di pagare un risarcimento da 26 milioni di dollari alle famiglie di Aziz e Islam.
Nel 1977 Hagan aveva peraltro fatti i nomi di altri quattro uomini che sosteneva avessero agito assieme a lui, ma alla fine le sue dichiarazioni non avevano portato da nessuna parte.
Le circostanze dell’omicidio di cinquant’anni fa continuano a essere dibattute ancora oggi: a novembre tre figlie di Malcolm X avevano fatto causa alla CIA, l’agenzia di intelligence statunitense, all’FBI, l’agenzia investigativa della polizia federale, e alla polizia di New York accusandole di avere avuto una responsabilità nell’omicidio del padre. Secondo l’accusa, nei giorni precedenti all’omicidio le autorità avrebbero adottato un piano per rendere Malcolm X vulnerabile: in particolare, avrebbero arrestato le sue guardie del corpo e avrebbero chiesto agli agenti in borghese presenti nella Audubon Ballroom di non intervenire.
Malcolm X si chiamava Malcolm Little, ma decise di eliminare il suo cognome perché reputava lo reputava un’eredità dello schiavismo e del colonialismo. Durante un’intervista spiegò: «Mio padre non conosceva il suo vero cognome. Lo ricevette da suo nonno che a sua volta lo ricevette da suo nonno che era uno schiavo e che ricevette il cognome dal suo padrone». Nacque nel 1925 a Omaha, in Nebraska, ed ebbe un’infanzia molto complicata: suo padre fu ucciso quando aveva sei anni, e poco tempo dopo sua madre fu ricoverata in una clinica psichiatrica.
Nel 1946 Malcolm X fu arrestato per alcuni furti in appartamento e fu condannato a otto anni di prigione. Finì nel carcere di Charlestown, vicino Boston, dove entrò in contatto con i principi della Nation of Islam, si convertì e trascorse la maggior parte del tempo che gli rimaneva da passare in prigione a leggere e studiare. Quando uscì dal carcere, nel 1952, era già diventato uno dei membri più importanti dell’organizzazione.
Malcolm X divenne famoso in tutti gli Stati Uniti cinque anni dopo, quando Johnson Hinton, un membro della Nazione Islamica, fu picchiato e arrestato dalla polizia di New York. Malcolm X riuscì in poche ore a radunare una folla davanti alla stazione di polizia. Insieme a un avvocato chiese di vedere Hinton, ma la polizia negò di averlo in custodia. Quando le persone all’esterno della stazione di polizia diventarono diverse centinaia, i poliziotti cambiarono idea e permisero a Malcolm X di incontrare Hinton, che fu infine trasportare in ospedale.
Per tutto il decennio successivo Malcolm X fu invitato in varie occasioni in radio e in televisione, e le sue dichiarazioni finirono spesso pubblicate sui giornali. Nel 1964 però interruppe i rapporti con la Nazione islamica per alcune tensioni con il leader dell’organizzazione, Elijah Muhammad. Cominciò un lungo viaggio in diversi paesi del mondo e tornò negli Stati Uniti nel febbraio del 1965, poco prima di morire.
Oggi Malcolm X è uno dei principali simboli della cultura nera americana: è considerato uno dei più influenti figure del movimento per i diritti degli afroamericani, insieme a intellettuali e attivisti come Martin Luther King, Rosa Parks, Angela Davis, Stokely Carmichael, Huey Newton, Frantz Fanon ed Eldridge Cleaver.
Nel 1992 la sua vita fu raccontata in un apprezzato film diretto da Spike Lee e interpretato da Denzel Washington, che l’anno successivo ottenne una candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista. Il titolo di un altro famoso film di Lee, Fa’ la cosa giusta – Do the right thing, in inglese – arriva da una citazione di Malcolm X.