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L’Agenzia delle Entrate Riscossione si avvale di una particolare procedura di pignoramento di stipendi, pensioni e conti correnti, ordinando direttamente all’ente creditore di versare le somme a proprio favore, sulla base del credito vantato in relazione a cartelle esattoriali e avvisi di addebito (pignoramento art. 72-bis Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973).
L’atto di pignoramento di crediti verso terzi notificato dall’Agenzia Entrate Riscossione spesso si limita ad intimare genricamente il pagamento di una somma complessiva per“tributi/entrate” senza specificare a che titolo siano dovuti tali importi: non è infatti indicato se si tratta di imposte, multe, contributi previdenziali, altre sanzioni amministrative ecc.
Ebbene la mancata indicazione dettagliata dei crediti, della loro natura, degli importi, delle relative cartelle e delle date di notifica costituisce grave motivo di illegittimità del pignoramento, da contestare con opposizione agli atti esecutivi. Poiché nell’esecuzione forzata esattoriale gli unici atti che rendono edotto il debitore del contenuto del titolo esecutivo sono la cartella di pagamento ed eventualmente l’avviso di mora, è necessario quantomeno il riferimento a tali atti, i quali a loro volta indicano, specificandone la fonte e la natura, il credito per il quale si procede a riscossione.
E’ quanto affermato da una recentissima sentenza della Cassazione [1] che di fatto dichiara illegittimi tutti i pignoramenti di crediti verso terzi effettuati dall’Agenzia Entrate Riscossione, dato che tutti sono privi del dettaglio sui crediti oggetto di esecuzione forzata.
Il pignoramento presso terzi dell’Agenzia Entrate Riscossione è nullo se non è indicato il dettaglio dei crediti.
L’illegittimità del pignoramento discende dalla violazione del codice di procedura civile [2], secondo cui il pignoramento presso terzi deve contenere l’indicazione del creditoper il quale si procede.
L’Agente della Riscossione non ha poteri di fede privilegiata
Secondo la Suprema Corte, non vale a superare tale illegittimità, l’allegazione, all’atto di pignoramento, dell’elenco delle cartelle di pagamento: «Non può dirsi che le indicazioni sui crediti possano ritrarsi per relationem dal corpo dell’atto di pignoramento notificato. Non vi è infatti dimostrazione che con tale atto sia stato effettivamente notificato all’opponente anche l’elenco delle cartelle per cui si procede. In realtà non vi è alcuna ragionevole sicurezza che tale elenco facesse effettivamente parte dell’atto di pignoramento, posto che esso non reca alcun timbro di unione a tale atto, contiene una data apparente posteriore a questo, redatto su un documento separato rispetto a quello principale, è posto dopo la parte conclusiva ed è anche privo di alcuna autonoma sottoscrizione».
È stata quindi respinta la tesi di Equitalia, secondo la quale l’effettiva allegazione, all’atto di pignoramento, dell’elenco delle cartelle di pagamento per cui si procedeva non potesse essere posta in discussione, stante la fede privilegiata di cui godono i fatti accertati dal pubblico ufficiale.
L’atto di pignoramento presso terzi dell’Agenzia Entrate Riscossione non è un atto pubblico e non ha fede privilegiata.
Secondo i giudici, l’atto di pignoramento presso terzi, anche quando è predisposto nelle forme previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 72-bis in tema di esecuzione esattoriale, ha la natura di atto esecutivo e, quindi, di atto processuale di parte. La fede privilegiata è riservata ai soli atti pubblici, sicché si rivela infondata l’affermazione secondo cui il pignoramento eseguito dall’agente di riscossione fa piena fede, fino a querela di falso, dell’attività compiuta per la sua redazione, inclusa l’effettiva allegazione dei documenti ivi menzionati.
Piena conferma di ciò si trae anche dalla norma secondo cui le funzioni demandate agli ufficiali giudiziari sono esercitate dagli ufficiali della riscossione.
In sostanza, nell’ambito dell’attività dell’ufficiale di riscossione, occorre distinguere il caso in cui egli esercita le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, rispetto alle quali assume la veste di pubblico ufficiale ed è conseguentemente dotato dei poteri di fidefacienza, dal caso in cui agisce quale operatore privato ed e’ quindi sprovvisto dei citati poteri.
Mentre la notificazione dell’atto di pignoramento costituisce funzione tipica dell’ufficiale giudiziario, sicché all’agente di riscossione che ad esso si sostituisce vanno riconosciuti gli stessi poteri, altrettanto non può dirsi per la stesura dell’atto medesimo, che non rientra fra le attribuzioni dell’ufficiale giudiziario, ma costituisce un atto di parte.
Consegue, dunque, che le affermazioni contenute nell’atto di pignoramento presso terzi predisposto dall’ufficiale di riscossione non godono, al pari di quelle contenute in un qualsiasi atto processuale di parte, di alcuna presunzione di veridicità fino a querela di falso.
Illegittimità del pignoramento di crediti presso terzi: principio di diritto
La Cassazione ha quindi enunciato il seguente importantissimo principio di diritto:
“L’atto di pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 72-bis in sede di esecuzione esattoriale, sebbene preordinato alla riscossione coattiva di crediti erariali, non acquisisce per ciò stesso la natura di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti degli articoli 2699 e 2700 cod. civ., conservando invece quella di atto processuale di parte. Consegue che l’attestazione ivi contenuta delle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l’atto (nella specie, concernente l’allegazione di un elenco contenente l’indicazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione) non è assistita da fede pubblica e non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto avviene quando l’agente di riscossione esercita – Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ex articolo 49, comma 3, – le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, ad esempio notificando il medesimo atto“.
note
[1] Cass. sent. n. 26519 del 09.11.2017.
[2] Art. 543 cod. proc. civ.