Imputati napoletani non comprendono l’italiano: il giudice acconsente al traduttore

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C’è sempre una prima volta. Il giudice Francesca Preziosi, del tribunale di Macerata, ha acconsentito di concedere agli imputati napoletani (sotto processo per spaccio) un interprete poiché non comprendo l’italiano. Così, come viene riportato dal Corriere del Mezzogiorno, l’avvocato di Civitanova ed originario di Napoli, Andrea Di Buono, sarà il primo incaricato nella storia giudiziaria ad interpretare gli atti del processo. Il tutto a titolo gratuito.

Si legge sul Corriere:

Questa singolare decisione — che dovrebbe farci riflettere sul livello preoccupante di alfabetizzazione che tocca vasti strati della nostra popolazione — contiene una nota positiva: il riconoscimento del napoletano come lingua. Un riconoscimento che riprende quello già effettuato, qualche anno fa, dall’Unesco.

La lingua italiana è stata imposta alle popolazioni del Sud più di 150 anni fa dalla famiglia dei Savoia. Ma, in realtà, il napoletano più che un dialetto è una lingua ufficiale a tutti gli effetti.

Pochi sanno che alla corte dello Zar Nicola II il napoletano al pari del francese era la lingua della diplomazia, e che in napoletano discorrevano lo zar di Russia e Ferdinando II di Borbone. Chi ancora oggi pensa che il napoletano sia un dialetto, quindi, sbaglia, perché è una vera e propria lingua.

La lingua è, d’altronde, parte fondamentale di una cultura. Lo sappiamo bene noi in Italia, ma se guardiamo oltre i nostri confini possiamo trovare diversi esempi. Come quello della Catalogna in Spagna, che fa della lingua la strenua difesa della sua cultura.

Probabilmente dovremmo fare nostro l’insegnamento dei catalani che, attraverso la difesa della loro lingua, proteggono la loro cultura e riaffermano la loro identità. Non dobbiamo più ritrovarci, insomma, di fronte a casi nei quali rivendicare la lingua napoletana possa essere considerata dimostrazione di ignoranza e non espressione di ricchezza culturale.

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