La farsa europeista a Bologna di Lepore e Prodi

Views: 0

Una manifestazione pro-riarmo mascherata da pacifismo divide Bologna e tradisce la sua storia politica. Lepore e Prodi, tra ambiguità istituzionale e subalternità agli interessi privati, spingono la città verso un futuro estraneo alla sua identità.

La farsa europeista di Bologna: un’altra città

Davanti all’edicola, La Repubblica — il giornale che ha demonizzato la manifestazione ai Fori Imperiali e che ne ha confinato il resoconto in quattordicesima pagina — rammenta ai passanti che Prodi “dà la spinta” alla manifestazione convocata per oggi dal duo Lepore & Funaro. Inutile ogni circonfusione genericamente euro-pacifista: il timbro della manifestazione è chiaro. Non è contro il riarmo, ma a favore, seppure con putibonda ipocrisia.

Prodi è l’uomo che ha allineato l’Italia ai dettami di Maastricht, che ha smantellato l’economia mista, che ha guidato l’allargamento brevi manu della UE ad Est. Se in tempi recenti aveva tenuto una posa defilata rispetto al fanatismo euro-atlantico e anti-russo, il riarmo è stata l’occasione per rientrare a tutto tondo, e con l’elmetto, nel deep state dal quale proviene. Anche aprendo la caccia alla Schlein e alla sua imminente defenestrazione.

Altro che profilo istituzionale ed euro-municipale. Una manifestazione politica perfettamente inserita nell’operazione guidata dal giornale di Gedi e dall’apparato militare-industriale a cui fa capo: costruire il consenso al riarmo nazionalista senza parlarne, depistando l’attenzione del fu popolo di sinistra — ora benpensante — su innocue foglie di fico. Vera e propria circonvenzione (se non “circoncisione”) di incapaci.

La narrazione egemonica e la cancellazione del dissenso

Evidentissimo, malgrado le pinocchiesche giustificazioni di Lepore, l’intento di sovrapporre la narrazione mainstream a quella della manifestazione del 5 aprile, oscurandola. Da giorni La Repubblica non fa che pompare l’evento con maliziose interviste a circonvenuti d’occasione: qualche sindacalista, qualche oscuro aderente dell’Arci in rotta con l’organizzazione, qualche cooperatore. Interviste che vorrebbero significare modi spontanei di adesione, ma che dissimulano una povertà politica imbarazzante.

La grande cultura politica del socialismo municipale, del cooperativismo prampoliniano, dell’antifascismo e del comunismo emiliano portata all’ammasso e ridotta a una confusa congerie di banalità europeiste. Imbarazzante come i sindacati (non solo la CISL, ma ahinoi anche la CGIL) e la Lega delle cooperative abbiano aderito all’evento. Landini (della cui intelligenza ho sempre dubitato) si è sfilato dalla manifestazione del 5 aprile con l’argomento che il sindacato non aderisce a manifestazioni di partito. Eppure non ha esitato ad accodare l’organizzazione a una manifestazione ordita da un giornale la cui proprietà è una controparte naturale (e per giunta delle peggiori).

Le coop hanno organizzato pullman per portare i consumatori dai serrapiattisti. Scelte divisive, scellerate e contro-natura. Se molti hanno restituito la tessera della CGIL, in tanti ci troveremo a dover restituire quella della coop. In formato bombe e carrello.

Il tradimento istituzionale e la fine della rappresentanza

C’è veramente da chiedersi in qualità di che cosa Lepore abbia impegnato la municipalità in questa messa in scena. Non mi risulta ci sia stata una unanime deliberazione consiliare. Dunque, una scelta monocratica, del tutto arbitraria (per non dire autocratica), come tale divisiva rispetto alla cittadinanza. Il fatto che le spese di allestimento siano sostenute da sponsor privati, senza gravame per la finanza comunale, rende ancor più manifesto il peccato. Chi sono i finanziatori, e quali benefici si aspettano dalla loro oblazione?

Comune e interessi privati: un miscuglio confusionario, se non torbido. Il Comune è il depositario universale della cittadinanza e, se opera come istituzione, non può escluderne parti e disporle sul piano dell’inimicizia.

Ma al di là dell’aspetto formale, è un delitto che il logo della città medaglia d’oro della Resistenza e delle stragi nazifasciste — da Marzabotto al 2 agosto — la città che ha inventato i servizi sociali, sia esposto a copertura di una manifestazione intenta a obnubilare l’enormità del riarmo. Una vergogna.

Lepore è giovane, non ha alle spalle un curriculum politico come usava un tempo, ma solo amministrativo. Ho sempre dubitato della sua preparazione e di certa ubiqua fragilità circa i fondamentali della vocazione. Non stupisce che a Roma, dai serrapiattisti, facessero bella figura tanti sindaci PD con fascia tricolore (anche questo un abuso formale). Da diverso tempo gli amministratori sono il nerbo ormai esclusivo del PD come organizzazione. Ed essi sono naturaliter sulla linea PD: infatti, sono eletti dalla parte benestante delle città, che satura quasi per intero un elettorato che non va oltre il 50% degli aventi diritto.

Decisivo, per essere eletti, è il sostegno degli interessi economici, che sono centrali nell’evoluzione della città. Rebus sic stantibus, riesco anche a capire certi comportamenti. Non onorare certi contratti significherebbe affidare la guida ad altri incumbent surrogatori. La ZTL esiste ed è difficile, se non eroico, prescinderne. Ma c’è modo e modo. A paragone di Lepore, un nano, il cacicco De Luca è un gigante.

A Bologna un sindaco, libero di fare tutti i commerci che vuole, dovrebbe quantomeno parlare come De Luca, se vuole essere in linea con la storia della città — non come una zelante Picierno qualsiasi. Avrebbe dovuto impegnare la città in una disamina priva di pregiudizi sul conflitto russo-ucraino e convocare, come ha fatto De Luca, pubbliche posizioni sullo sterminio di Gaza. Invece ha messo la città alla coda di un quotidiano. Interesse privato in pubblico ufficio.

Con ciò, il Lepore non solo ha messo a repentaglio l’unitarietà della rappresentanza civica, ma anche il patto politico a sostegno della sua elezione. Un danno irreversibile, a meno di clamorose autocritiche. Da adesso una parte rilevante della città si sentirà esclusa, io con essa.

La Bologna che tanto abbiamo amato è oggi orfana di una degna rappresentanza. È un’altra Bologna, quella che vive in noi. Non quella di Lepore e Prodi, e di altri meno illustri predecessori immediati, ma la città di Zanardi, Dozza, Fanti, Zangheri e Imbeni.

Dalle riflessioni social di Fausto Anderlini

Kulturjam

Lascia un commento