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XVIII legislatura
Nel parlamento con la percentuale più alta di donne, le pluricandidature hanno pesantemente depotenziato il tentativo di inserire quote di genere nella legge elettorale. Ecco il perché.
Venerdì 16 marzo 2018 | POTERE POLITICO
Le donne nel parlamento italiano
Già nella scorsa legislatura avevamo testimoniato un’impennata delle donne in entrambi i rami. Alla camera l’aumento era stato del 50%, passando dal 20,41% della XVI legislatura al 30,7% della XVII. Con l’arrivo della XVIII legislatura la percentuale è destinata a crescere ancora, sino al 34,62%. Per capire quanto sono cambiati i numeri, basta pensare che solamente 10 anni fa, nella XV legislatura (2006-2008), le donne erano la metà, il 17,2%.
Il problema delle pluricandidature
Sulla carta quindi il tentativo del legislatore di assicurare una rappresentanza omogenea dei due sessi è chiara. Ciò ha portato molti giornali in queste settimane a considerare un “fallimento” il non aver raggiunto quota 40% di donne nel parlamento italiano. Purtroppo però, per come è strutturata la legge elettorale, le regole sulle quote di genere sono fortemente depotenziate dalle pluricandidature. Un candidato nei collegi plurinominali può presentarsi in 5 diversi collegi al livello nazionale. In aggiunta a questi può anche correre in un collegio uninominale.
Per spiegarlo facciamo un esempio concreto. Come noto Maria Elena Boschi era la candidata del centrosinistra nel collegio uninominale di Bolzano. Allo stesso tempo però è stata candidata, come permesso dalla legge, in 5 diversi collegi plurinominali: Lazio 1-03, Lombardia 4-02, Sicilia 1-02, Sicilia 2-01 e Sicilia 2 -03. In tutti questi collegi Maria Elena Boschi era capolista, implicando che il secondo in lista fosse un uomo, sempre come richiesto dalla legge. In 4 dei 5 collegi plurinominali in questione il Partito democratico ha ottenuto un solo seggio, assegnato quindi a Maria Elena Boschi. Essendo però vincitrice del collegio uninominale di Bolzano, questi 4 seggi sono andati ai secondi in lista, ovviamente tutti uomini. In pratica, candidando la stessa persona in 5 collegi plurinominali, a cui si può anche aggiungere la candidatura in un collegio uninominale, le quote di genere vengono di fatto aggirate. Solo nel collegio Lazio 1-03, avendo il Pd ottenuto 2 seggi, è rientrata comunque una donna, in quanto l’esclusione della sottosegretaria ha fatto eleggere il secondo (uomo) e terzo candidato (donna) in lista.
È chiaro quindi che tutte le discussioni sulle quote rosa, la parità di genere e simili rischiano di diventare sterili se poi nel concreto ci sono modi per ovviare ai paletti legislativi.