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di Marco Travaglio
Ascanso di equivoci e a prova di cretini (che il coronavirus sta preoccupantemente moltiplicando), noi siamo strafelici per il nuovo ospedale inaugurato alla Fiera di Milano.
Come saranno strafelici i malati di coronavirus che fra cinque giorni, quando la struttura aprirà, vi troveranno finalmente un posto letto di terapia intensiva, fra le migliaia di lombardi che attendono invano da giorni o da settimane un ricovero o anche solo un tampone, sempreché siano nel frattempo sopravvissuti.
Il numero dei fortunati vincitori è ancora incerto, ma non appare comunque esaltante: il prode assessore Gallera garantisce “tra i 12 e i 24 posti”.
Cifra piuttosto misera da qualunque parte la si guardi.
Misera in termini assoluti: i posti di terapia intensiva della sola Lombardia sono passati in un mese di emergenza da 700 a 1600: dunque l’ospedalino in Fiera aggiunge appena uno 0,7-1,4%.
Misera in rapporto all’enfasi da Minculpop dei media forzaleghisti, roba da battaglia del grano, da bonifica delle paludi pontine e da conquista di Addis Abeba.
Libero: “La resa del Conte. Il Nord combatte il virus per conto proprio. Lombardia e Veneto in rivolta. Fontana si fa l’ospedale da solo”. Il Giornale: “Miracolo a Milano: finito il superospedale”, “Abbiamo creato un modello per tutto il Paese” (editoriale di una firma super partes: Bertolaso), “L’ospedale simbolo della riscossa dove chi si ammala ritroverà il respinto”, “Un hub post-emergenza”. La Verità: “Milano e Bertolaso fanno il miracolo: ‘La più grande rianimazione d’Italia’”.
Misera, soprattutto, rispetto al budget (50 milioni e rotti) e agli annunci.
Il 12 marzo il geniale “governatore” Attilio Fontana parlava di “un ospedale da campo modello Wuhan da 600 posti letto di terapia intensiva in una settimana”.
Il 13 era già sceso a “500 letti”, ma accusava la Protezione civile di “non voler fornire quanto promesso” e s’impegnava a “fare da soli con fornitori internazionali”. Il 16 ingaggiava per la bisogna Guido Bertolaso che – assicurava il garrulo Gallera – “ha una fama internazionale e un nome che ha un peso sulla scena mondiale e può avere accesso a rapporti con aziende e governi”. Intanto Fontana, quello che faceva da solo, tornava a piatire dalla Protezione civile.
Il 17 B., dal confino in Costa Azzurra, donava 10 milioni e San Guido, ringraziandolo per il “gesto d’amore”, diceva che la somma bastava per il “reparto da 400 posti di terapia intensiva in Fiera”.
I posti scendevano e i fondi crescevano (10 milioni da Caprotti, 10 da Moncler, 10 da Del Vecchio, 2,5 da Giornale e Libero, 1,5 dell’Enel e molte donazioni private anonime) e i respiratori arrivavano.
Ma non grazie a Bertolaso, bensì alla famigerata Protezione civile (“ce ne mandano 200”, trillò il loquace Gallera) e all’orrido commissario Arcuri (“ci ha assicurato materiali”, ammise l’acuto Fontana).
Il 29 marzo Salvini twittò giulivo: “Promessa mantenuta, miracolo realizzato: 53 posti letto che possono arrivare a 241”, come se 600 o 500 fosse uguale a 241 o a 53.
Ma era ancora ottimista, perché anche i 53 restano un sogno: il dg del Policlinico, Ezio Belleri, ricevendo in dono cotanto prodigio, precisa che i 53 si vedranno forse “alla fine della prima fase dei lavori”, mentre al momento siamo fra i 12 e i 24.
Che il sagace Fontana, facendo buon peso, porta a “28 posti”.
Non proprio la “terapia intensiva più grande d’Italia” strombazzata all’inaugurazione dell’altroieri dal governatore mascherato.
A proposito: che diavolo hanno inaugurato l’altroieri, visto che il grosso del presunto ospedale è ancora un cantiere e i letti “pronti subito” (cioè fra cinque giorni) sono tra un ventesimo e un decimo della metà di quelli annunciati?
Nello stesso lasso di tempo (14 giorni) le donazioni private di Fedez, Ferragni &C. han consentito di ampliare di 13 posti la rianimazione del San Raffaele senza tanto clamore.
Ancor meglio ha fatto il Sant’Orsola di Bologna, che in soli 6 giorni ha creato un nuovo padiglione di terapia intensiva da 30 posti senza rompere i maroni a nessuno né consultarsi con Fontana&Bertolaso.
A Bergamo, in meno di due settimane, gli alpini con l’aiuto di russi, cinesi e cubani han tirato su un ospedale da campo da 140 posti, fra terapia intensiva e subintensiva, che è il decuplo del miracolo a Milano (quindi, col metro di Fontana&C., dev’essere il più grande della galassia). E l’han fatto in silenzio, senza grancasse, trichetracche e cotillon. E senza cerimonia di inaugurazione, cioè senza quell’immondo e contagioso assembramento di assessori, politici, giornalisti, cineoperatori, fotografi, saprofiti, umarell e professionisti del buffet accalcati l’uno sull’altro visto alla Fiera di Milano: roba che, se fosse avvenuta per strada, li avrebbero arrestati tutti in blocco per epidemia colposa o forse dolosa.
Subito dopo, Attilio The Fox s’è scagliato contro la ministra Lamorgese, pericolosamente competente e rea di aver precisato che i bambini hanno diritto al passeggio almeno quanto i cani.
Quindi noi restiamo strafelici se a Milano c’è un nuovo ospedale, sia pure da 12/24 posti che si riempiranno in tre secondi.
Ma, con 50 milioni di donazioni, si poteva fare qualcosina in più (o è normale che ogni posto letto costi 4 o 2 milioni?).
Avremmo preferito se chi ha inaugurato il Berto-Hospital non ne avesse chiusi a decine nell’èra Formigoni e ne avesse aperto qualcuno coi miliardi regalati alle cliniche private. E ora preferiremmo che la giunta lombarda si assumesse le proprie responsabilità, anziché tentare goffamente di nascondere dietro le parate e le trombette il record mondiale di morti della Lombardia e la Caporetto della sua “sanità modello”.
Gli ospedali, anche di un solo posto letto, sono utilissimi. Purché i mercanti in Fiera non li trasformino in baracconate elettorali.