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L’Eccidio delle Fosse Ardeatine è un’esecuzione di massa di cittadini italiani eseguita il 24 marzo 1944 dalle autorità tedesche che occupavano Roma.
Il movimento di resistenza italiano progettò e condusse un’azione militare ben organizzata contro le autorità occupanti di Roma e, il 23 marzo 1944 in via Rasella a Roma, accanto a un corpo in marcia della polizia tedesca, venne fatta esplodere una bomba.
Morirono 33 poliziotti e 67 rimasero feriti. Nell’azione furono coinvolti 18 soldati del distaccamento partigiano “GAP”, Gruppi di Azione Patriottica, comandato da Rosario Bentivegna.
Il Comandante della XIV Armata, Eberhard von Mackensen, e il Tenete militare di Roma, Kurt Meltzer, decisero di organizzare una strage di massa contro la popolazione di Roma.
Si decise, infatti, che per ogni tedesco morto nell’esplosione sarebbero stati uccisi dieci italiani, entro 24 ore dall’accaduto.
Il giorno successivo le unità di polizia romane, sotto il comando di Erich Priebke e Karl Hass, prelevarono 335 italiani (di cui 57 ebrei) dai carceri e dalle strade.
Alle 14:00, diversi gruppi di persone furono condotte alle Fosse Ardeatine. In gruppi di cinque, furono portati nel suddetto complesso minerario e barbaramente uccisi. Secondo i calcoli alla fine dell’esecuzione, furono uccise 335 persone. Successivamente, le grotte furono fatte saltare in aria.
La popolazione di Roma non fu avvertita della rappresaglia; le autorità tedesche chiesero che gli autori dell’esplosione della bomba fossero trovati solo molto tempo dopo l’esecuzione. L’evento ricevette un ampio clamore pubblico solo dopo la liberazione di Roma nel giugno 1944. Il recupero delle salme iniziò nel mese di luglio e continuò fino alla fine di settembre.
Nel 1945, un tribunale militare inglese condannò i generali von Mackensen e Meltzer per strage e li condannò a morte. Entrambi riuscirono a ottenere un appello e a commutare la sentenza. Von Mackensen venne rilasciato nel 1952. Meltzer morì in prigione lo stesso anno.