Mutuo senza interessi

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Ti piacerebbe avere un mutuo gratis, ossia un mutuo senza interessi? Stando alle ultime sentenze della Cassazione e dei giudici di merito è tutt’altro che difficile quando un consulente accerta che è stato applicato un tasso di interessi superiore all’usura. E ciò vale sia che l’usura riguardi gli «interessi moratori» (quelli che scattano in caso di ritardato pagamento) che gli «interessi corrispettivi» (quelli cioè addizionati alla normale rata del mutuo). In presenza di una clausola illegittima (come ad esempio quella che prevede l’anatocismo o l’usura), il contratto di mutuo non è nullo, ma gli interessi non sono più dovuti. Risultato: un prestito senza interessi è per definizione «gratuito». Ma procediamo con ordine e vediamo come trasformare il proprio finanziamento in un mutuo senza interessi.

Come calcolare l’usura

La prima cosa da fare è affidare, a un tecnico del settore, il contratto e gli estratti conto del proprio prestito affinché valuti se il tasso di interesse applicato dalla banca è superiore all’usura. Sono «usurari» gli interessi che superano del 50% il tasso medio, determinato con decreto del Ministero del Tesoro ogni tre mesi.

Quale strategia contro la banca?

A questo punto bisognerà scegliere la strategia: attaccare o difendersi? In altre parole conviene attendere che sia la banca a fare la prima mossa e a notificare un atto di precetto al debitore oppure si vuole agire per primi con un’azione volta alla dichiarazione della nullità della clausola sugli interessi? La scelta può essere rimessa al debitore il quale, in entrambe le situazioni, dovrà anticipare le spese dell’accertamento (consulenza tecnica).

Come fa il giudice a capire che c’è stata usura?

Giova segnalare una sentenza del Tribunale di Padova [1] secondo cui il giudice può condannare la banca per gli interessi usurari sul conto corrente o sul finanziamento semplicemente riportandosi alla consulenza tecnica d’ufficio eseguita dal consulente del giudice. Ciò basta per far scattare la restituzione delle somme versate dal cliente sino a quel momento a titolo di interessi e la segnalazione alla Procura della Repubblica per il reato di usura [2] ai danni dei vertici della banca. Il giudice che aderisce alla Ctu, infatti, non deve spiegare, in modo specifico, le ragioni del suo convincimento: gli basta indicare le motivazioni della perizia.

Mutui gratis se la mora supera il tasso usura

Un’ordinanza della Cassazione di qualche giorno [3] fa ha stabilito che, in presenza di interessi moratori superiori all’usura, il cliente deve restituire soltanto il capitale senza alcun tipo di interessi. Se in un contratto di mutuo il tasso moratorio (quello previsto per il ritardato pagamento delle rate) è sopra la soglia d’usura, ma gli interessi corrispettivi (cioè quelli “normali” dovuti alla banca) sono inferiori alla predetta soglia, la banca deve restituire tutti gli interessi (sia moratori sia corrispettivi) pagati dal cliente e il mutuo diventa gratuito: pertanto il cliente è tenuto a restituire solo il capitale. Un bel vantaggio che va a colpire soprattutto i mutui di lunga durata, sui quali la voce «interessi» pesa particolarmente.

Questo principio appena affermato dalla Cassazione è tuttavia in contrasto con numerose altre sentenze precedenti secondo le quali, in presenza di interessi moratori usurari, l’istituto di credito è tenuto a restituire soltanto quelli moratori, mentre il cliente resta obbligato a versare quelli corrispettivi (sotto la soglia dell’usura).

Dunque, secondo l’ultima posizione assunta dalla Suprema Corte, in caso di usura, anche se ad essere sopra la soglia è soltanto il tasso moratorio, scatta la gratuità completa del mutuo. Per cui non bisogna pagare né gli interessi moratori, né quelli corrispettivi; e, se già corrisposti, questi vanno restituiti al mutuatario.

note

[1] Trib. Padova, sent. n. 2352/17.

[2] Art. 644 cod. pen.

[3] Cass. ord. n. 23192/17 del 4.10.2017.

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Rumore di ragazzi per strada: il Comune è responsabile

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Quando hai comprato casa era un quartiere tranquillo: la notte si dormiva e finanche i vicini erano rispettosi del sonno altrui. Tutt’ad un tratto, si è aperto un ristorante di tendenza. Subito dopo un longue bar. I due punti di ritrovo hanno richiamato numerosa gente. Così altri locali, nelle vicinanze, sono stati inaugurati in pochi mesi. Infine anche una discoteca. Insomma, quella che un tempo era una zona quieta è diventata ora centro della movida cittadina. Il rumore prodotto di sera supera anche quello di mezzogiorno. In pochi anni la tua tranquillità è stata rovinata dagli schiamazzi notturni dei giovani riversati sulle strade, dal traffico e dai clacson delle auto che tentano di uscire dal parcheggio nel quale sono rimaste chiuse. Inutile dire che, in queste condizioni, o vendi casa o isoli l’appartamento; ma questo richiede soldi e qualcuno, in qualche modo, deve risarcirti. Chi? I proprietari di tutti i locali? Impossibile fare causa ai numerosi bar e ristoranti. Meglio sarebbe bussare alla porta di una sola persona. E questa è il sindaco. Difatti, secondo una tanto recente quanto interessante sentenza del tribunale di Brescia [1], in caso di rumore di ragazzi per strada, il Comune è responsabile. Ma procediamo con ordine.

Gli schiamazzi notturni dei ragazzi, su di giri per gli alcolici e per l’euforia da discoteca, non ti fanno dormire? Hai provato a dirlo ai titolari dei locali, ma questi ti hanno detto che la loro responsabilità si limita a ciò che avviene all’interno delle loro quattro mura; non si estende certo a ciò che succede dopo la cena o dopo l’aperitivo, tanto più se avviene per strada o sull’altro lato del marciapiedi. Con chi prendersela? Solo il Comune – riferisce la sentenza in commento – ha il potere di prevenire e reprimere gli schiamazzi notturni dei giovani per strada; se non lo fa, l’amministrazione locale è tenuta a risarcire ai residenti tutti i danni, sia quelli non patrimoniali (per le notti insonni), sia quelli patrimoniali (per il rifacimento degli infissi e il montaggio dei pannelli isolanti).

La sentenza è certamente unica nel suo genere. Sino ad oggi, infatti, la giurisprudenza – compresa la Cassazione – ha sempre riconosciuto la responsabilità del gestore del locale anche per il rumore provocato al di fuori dello stesso, sul ciglio della strada. Il titolare del ristorante o del bar deve invitare gli avventori ad avere rispetto degli inquilini che dormono la notte e può evitare la condanna solo se dimostra di aver adottato tutti i mezzi necessari per evitare gli schiamazzi, ad esempio tramite un cartello posto all’esterno del locale e l’espresso avviso da parte del personale [2].

A detta, invece, del tribunale di Brescia, il Comune non solo deve risarcire il danno da movida ai residenti, ma deve anche mandare la polizia municipale a far sloggiare i giovani dalla stradina del centro storico all’ora di chiusura dei baretti, riportando le immissioni sonore in strada entro la soglia della normale tollerabilità.

Ma a quanto ammonta il danno per una notte insonne? Nel caso di specie il giudice ha liquidato 50 euro a famiglia per ogni sera in cui i proprietari non hanno potuto guardare la tv, leggere e perfino parlare fra loro: il bene giuridico leso è il diritto alla normale vita familiare e alle abitudini quotidiane come estrinsecazioni del più generale diritto alla salute sancito dalla Costituzione. A ciò si aggiungono le spese per gli infissi isolanti.

note

[1] Trib. Brescia sent. n. 2621/17.

[2] Cass. sent. n. 9633 del 5.03.2015; Cass. sent. n. 37196/2014.

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Come posso far cancellare da Facebook un’immagine di mio figlio?

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Scorrendo la timeline di Facebook ti sei accorto che una persona ha pubblicato una foto dove appare anche tuo figlio in primo piano. L’immagine è stata scattata nel corso di una festa di bambini. Anche se eri presente e hai assistito agli scatti provenienti da vari smartphone – come di solito succede in queste occasioni, specie se c’è in mezzo una torta di compleanno – non hai negato il permesso a fotografare tuo figlio (essendo minorenne spetta a te l’ultima parola); tuttavia nulla poteva farti pensare che le immagini sarebbero state pubblicate su internet. La cosa ti dà fastidio, non solo perché nessuno ti ha mai chiesto il permesso ed è compito di ciascun genitore preservare la privacy dei propri bambini, ma anche e soprattutto perché sai bene che le foto dei bambini su Facebook vengono usate dai pedofili. È tua intenzione agire per ordinare l’immediata cancellazione dell’immagine da internet. Così ti chiedi come fare rimuovere un’immagine di mio figlio da Facebook. In questo articolo ti suggeriremo come fare senza bisogno, almeno in prima battuta, di ricorrere a un avvocato, partendo da un importante precisazione: pubblicare le foto di minorenni su internet è vietato se non c’è il consenso dei genitori. E ciò a prescindere dall’uso che si fa della foto. Quindi, se anche il papà o la mamma hanno tacitamente acconsentito che, nelle foto, entrasse anche il proprio bambino – autorizzazione che può essere concessa anche in modo tacito, ossia non opponendo divieti – questo non significa che il consenso prestato si estenda anche alla pubblicazione, tantomeno sul web.

Raccogli le prove della pubblicazione della foto

Prima però di avviare tutte le attività necessarie a togliere da Facebook la foto di un minorenne, ti consiglio di procurarti innanzitutto le prove: ti potrebbero servire in un successivo momento qualora fossi costretto a ricorrere alle vie legali e volessi chiedere il risarcimento del danno. Acquisire le prove in questa fase può essere necessario qualora il responsabile possa modificare il proprio profilo o renderlo a te invisibile.

La prima cosa da fare è realizzare uno screenshot, ossia a fotografare la pagina di Facebook in cui compare la foto di tuo figlio. Dovrai cioè andare sul profilo del colpevole e trasformare quello che vedi in un file immagine (da conservare con cura).

Hai altri metodi, sicuramente meno pratici, ma anche più funzionali, che ti consentono di archiviare le prove dell’altrui colpevolezza. Il primo modo è stampare la pagina Facebook dove c’è la foto di tuo figlio e farla autenticare da un notaio. Il secondo modo è portare l’immagine a una stazione dei carabinieri o della polizia postale, lì sporgere denuncia e allegare l’immagine chiedendo alle forze dell’ordine di certificare la corrispondenza della stampa con l’immagine a video (essendo pubblici ufficiali le loro dichiarazioni hanno pieno valore di prova). Il terzo metodo è quello di chiedere a un amico di accertarsi egli stesso del fattaccio in modo da poter testimoniare in un eventuale processo.

Apri la segnalazione su Facebook

Detto ciò, vediamo come rimuovere un’immagine di tuo figlio da Facebook. Sicuramente avrai già provato a contattare l’autore della pubblicazione chiedendogli, “con le buone”, l’immediata cancellazione. È suo dovere farlo: non conta il fatto che il profilo sia chiuso o che l’immagine sia visibile solo a pochi contatti. La pubblicazione della foto di un minore è sempre vietata a prescindere dagli scopi e dalle intenzioni.

Pubblicare una foto di minori senza autorizzazione dei genitori viola non solo la legge italiana e tutte le convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo, ma anche le condizioni contrattuali di Facebook stesso . Quindi, se il responsabile non ti ha dato ascolto, puoi “denunciarlo” al social network aprendo una segnalazione ufficiale a questo link. Clicca su «foto e video». Per segnalare una foto o un video:

  • clicca sulla foto o sul video per ingrandirne la visualizzazione.
  • posiziona il cursore sulla foto o sul video e clicca su Opzioni in basso a destra;
  • clicca su Segnala foto per le foto o Segnala video per i video;
  • seleziona l’opzione che descrive meglio il problema e segui le istruzioni visualizzate sullo schermo.

Attenzione però: Facebook prende in considerazione solo le segnalazioni per bambini con meno di 13 anni. Quindi se tuo figlio non ha superato 12 anni e vuoi chiedere la rimozione di un’immagine che lo vede ritratto devi compilare questo modulo.

Se invece tuo figlio ha un’età compresa fra i 13 e i 17 anni, per quando la tua preoccupazione di genitore possa essere comprensibile, Facebook dichiara di non poter intervenire; la segnalazione può essere effettuata solo dal diretto interessato, ossia dal giovane salvo che questi non sia in grado, mentalmente o fisicamente, di effettuare lui stesso la segnalazione. Ti consigliamo di parlare con tuo figlio del problema e di aiutarlo a inviare la sua richiesta di rimozione del contenuto.

La legge americana però è diversa da quella italiana e da noi si diventa maggiorenni solo a 18 anni. Quindi, puoi proseguire la lettura di questo articolo.

Denuncia alla polizia postale

Se Facebook non prende in considerazione la tua richiesta e il colpevole ha ignorato il tuo messaggio, puoi fare una denuncia alla polizia postale o ai carabinieri. In questo caso sporgerai querela contro il responsabile, chiedendo che si proceda penalmente nei suoi confronti. In tale ipotesi sappi che potrai anche agire per ottenere il risarcimento del danno per conto di tuo figlio.

Come posso far cancellare da Facebook un’immagine di mio figlio?

 

Comprare auto con fermo amministrativo si può?

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Hai visto un’auto di seconda mano e intendi acquistarla. Hai definito tutti gli accordi economici con il venditore, il passaggio di proprietà e la data in cui andrai a prendere la macchina. Quel giorno firmerete il contratto e il trasferimento sarà definitivo. Ti sorge però un dubbio: e se l’auto ha un fermo amministrativo? Come fare a saperlo prima di pagare? Cosa rischierebbe il nuovo proprietario se la polizia lo dovesse fermare? Il tuo sospetto è che non sia possibile comprare un’auto con fermo amministrativo, e quindi neanche venderla: così ti sei fidato, sino a questo momento, delle dichiarazioni del venditore. Ma è meglio stare in campana e fare gli opportuni controlli. Ecco quindi qualche suggerimento per districarsi in situazioni come questa.

Si può comprare un’auto con il fermo amministrativo?

In teoria, l’auto con il fermo amministrativo può essere venduta e, quindi, anche acquistata. L’importante è che l’acquirente sia al corrente del blocco. Il venditore ha l’obbligo di informarlo prima di firmare il contratto. Diversamente si può chiedere la risoluzione del contratto: ossia si può ricorrere al giudice per ottenere il rimborso del prezzo pagato (e il risarcimento dell’eventuale danno) dietro restituzione del mezzo.

L’auto con il fermo amministrativo, infatti, non può circolare; per cui la vendita è viziata da un grave ed essenziale inadempimento.

C’è qualcuno che compra le auto con il fermo amministrativo?

Quando l’automobilista non ha i soldi per pagare le cartelle esattoriali (anche a rate) e quindi cancellare il fermo amministrativo, perde definitivamente l’uso dell’auto, né la può rottamare (infatti con il fermo in corso, l’auto non può essere radiata). In alcune Regioni poi, anche con il fermo, si deve pagare il bollo auto. Senza contare che, chi non ha un garage ove lasciare l’auto, dovrà anche rinnovare l’assicurazione nonostante il fermo (è lo scotto di lasciare l’auto su una strada pubblica). Approfittando di questo vicolo cieco per l’automobilista-debitore, alcuni concessionari si offrono di acquistare le auto sottoposte a fermo pagando prezzi bassissimi; ciò avviene quando il fermo è stato iscritto per somme di valore non superiori al valore del mezzo stesso. In questo modo il proprietario, che altrimenti non saprebbe come uscire dalla situazione, ottiene una somma per poter acquistare un’altra macchina (attenzione: ciò non toglie che l’Agente della riscossione non possa sottoporre a fermo anche quest’ultima). Dall’altro lato, la concessionaria estingue il debito con l’Esattore e poi rivende l’auto di seconda mano a un prezzo inferiore a quello di mercato, facendo un buon utile.

Che rischio se compro un’auto con il fermo amministrativo?

Chi acquista un’auto con fermo amministrativo non eredita il debito in forza del quale l’Agente della Riscossione ha iscritto il fermo medesimo. Per cui – tanto per fare un esempio pratico – non sarà costretto a pagare le cartelle esattoriali insolute. Tuttavia l’acquirente non può ugualmente circolare con l’auto sottoposta a fermo amministrativo benché il debito non sia suo; tale divieto permane fin quando detto debito non viene estinto. L’acquirente dovrebbe attendere che il venditore estingua il debito per poter tornare a circolare; in alternativa potrebbe estinguere il debito del precedente proprietario per tornare a circolare subito, salvo poi rivalersi su di questi per ottenere il rimborso.

Che rischio se circolo con un’auto acquistata con il fermo amministrativo?

Chi viene trovato a circolare con un veicolo sottoposto a fermo rischia una multa di 776 euro (massimo 3.111 euro), con la confisca del mezzo. Più precisamente gli organi di polizia compilano il verbale di contestazione relativamente alla sanzione pecuniaria e lo trasmettono all’Agenzia delle Entrate. Non si rischia quindi alcun procedimento penale, ma si perde per sempre l’automobile.

Come sapere se un’auto usata ha un fermo?

L’acquirente che voglia evitare brutte sorprese può controllare egli stesso se l’auto ha un fermo o meno. A tal fine deve richiedere al Pra una visura sull’auto fornendo il numero di targa. La verifica può essere fatta da chiunque; non ci sono limiti di privacy. Si può anche delegare un’agenzia pratiche auto.

Spese mediche: detrazioni solo a chi fa la dichiarazione redditi

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Addio benefici fiscali sulle spese mediche a pensionati e lavoratori dipendenti che non presentano la dichiarazione dei redditi. A dirlo è la Cassazione con una interessantissima ordinanza di poche ore fa [1] che non mancherà di suscitare allerta e attenzione in tutti i contribuenti. Secondo la Corte, solo chi presenta la dichiarazione al fisco può dedurre e detrarre le spese mediche e di assistenza specifica; e ciò perché il sostituto di imposta, ossia il datore di lavoro o l’ente di previdenza, non sono tenuti ad eseguire tali decurtazioni dall’imponibile del contribuente. Una mannaia insomma per chi, avendo un reddito basso, ha fino ad oggi usufruito della possibilità – che la legge gli riconosce – di sottrarsi agli obblighi dichiarativi con l’Agenzia delle Entrate. Ma procediamo con ordine e vediamo perché le deduzioni e detrazioni per spese mediche spettano solo a chi fa la dichiarazione dei redditi.

Chi ha un solo reddito di lavoro dipendente con una sola azienda o una pensione e non è titolare di altri redditi, è di fatto esonerato dalla presentazione della dichiarazione; è il datore di lavoro o l’ente previdenziale che, in tali casi, comunica al fisco i dati reddituali del contribuente e liquida le imposte al suo posto. Il sostituto è infatti in grado di conoscere le entrate del sostituito d’imposta, trattandosi di un soggetto monoreddito.

Per usufruire però delle deduzioni e delle detrazioni fiscali degli oneri per spese mediche è necessario che il contribuente proceda alla presentazione della dichiarazione dei redditi, poiché solo da essa può risultare quale sia il «reddito complessivo lordo», sul quale operare la deduzione o la detrazione degli oneri ammessi dalla legge. Quindi il datore di lavoro o l’ente di previdenza non commette alcun errore se non sconta dalle tasse tali spese.

Questo non toglie però che il contribuente esonerato dalla dichiarazione dei redditi non possa ugualmente scegliere di presentarla; potrebbe al limite farlo nella versione semplificata del modello 730. Presentando la dichiarazione dei redditi, anche quando non si è obbligati, si ha diritto a usufruire di una serie di benefici fiscali (deduzioni e detrazioni) che altrimenti si perderebbero.

Soprattutto coi redditi minimi è sempre consigliabile presentare la dichiarazione dei redditi perché ciò dà diritto a numerosi rimborsi. Tutto ciò è confermato dalla sentenza in commento. La Cassazione avverte: caro lavoratore o pensionato, stai ben attento perché se sostieni spese mediche e non hai presentato la dichiarazione, non puoi scontare tali oneri dalle tasse valendoti solo della dichiarazione che ha fatto, al tuo posto, il sostituto di imposta (il datore o lente di previdenza).

Risultato: le spese mediche e di assistenza specifica sono sì deducibili ma solo se il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi perché è con tale documentazione che è possibile risalire al reddito complessivo lordo su cui operare la deduzione degli oneri prevista dalla legge.

note

[1] Cass. ord. n. 25904/17

Imu 2018: come si calcola e chi paga l’imposta sulla casa

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L’Imu è una delle tre imposte comunali, insieme a Tari e Tasi, che il proprietario di un immobile deve saldare ogni anno. Ma non tutti i contribuenti che hanno una casa di proprietà sono tenuti al pagamento dell’Imu: ci sono, infatti, delle esenzioni che riguardano, in particolare, le abitazioni principali. Ma vediamo nel dettaglio come si calcola l’Imu 2018 e chi paga l’imposta sulla casa.

Imu 2018: chi paga l’imposta

È tenuto al pagamento dell’Imu 2018, cioè dell’imposta sulla casa, chi detiene un immobile a titolo di proprietà oppure in usufrutto o in comodato d’uso.

Non è tenuto al pagamento dell’Imu chi possiede:

  • un immobile adibito ad abitazione principale (la prima casa);
  • un’unità immobiliare appartenente ad una cooperativa sociale a proprietà indivisa, adibita ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci;
  • un fabbricato destinato ad alloggio sociale;
  • una casa assegnata ad uno dei coniugi a seguito di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (in pratica ogni coniuge avrà una sola abitazione principale);
  • un immobile unico posseduto, e non affittato dal personale Forze armate, Polizia, militari, Vigili del fuoco e personale con carriera prefettizia, per il quale non è richiesta come condizione, la dimora abituale e della residenza anagrafica;
  • un’unica unità immobiliare ad uso abitativo all’estero rientrante nelle categorie da A1 ad A9 purché il proprietario sia iscritto all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), sia titolare di una pensione nel Paese di residenza e non abbia affittato o concesso in comodato d’uso l’immobile.

Altre esenzioni dall’Imu vengono decise dai singoli Comuni, ad esempio a favore di proprietari o di usufruttuari anziani o disabili che trasferiscono la residenza in una casa di riposo, o per i proprietari di una casa concessa in comodato a parenti entro il primo grado purché utilizzata come abitazione principale.

Imu 2018: come si calcola

Il punto di partenza per calcolare la base imponibile dell’Imu 2018 è il valore dell’immobile. Occorre moltiplicare la rendita in vigore all’inizio dell’anno, rivalutata di un 5% per un coefficiente che varia a seconda del tipo di immobile:

  • 160 per fabbricati del gruppo A (ad eccezione dell’A/10) e delle categorie C/2, C/6 e C/7;
  • 140 per fabbricati del gruppo B e delle categorie C/3, C/4 e C/5;
  • 80 per fabbricati delle categorie A/10 e D/5;
  • 60 per fabbricati del gruppo D (ad eccezione dell’appena citato D/5. Il moltiplicatore è elevato a 65;
  • 55 per fabbricati della categoria C/1.

Chi affitta una casa a canone concordato può beneficiare di uno sconto del 25%sull’Imu per l’abitazione data in locazione.

Per quanto riguarda i terreni agricoli, la base imponibile dell’Imu 2018 si calcola moltiplicando il reddito all’inizio dell’anno rivalutato del 25 per uno di questi due coefficienti:

  • 110 per terreni di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola;
  • 130 per tutti gli altri terreni.

Calcolo Imu 2018: le aliquote

Ci sono due tipi di aliquote da conoscere per sapere come si calcola l’Imu 2018:

  • l’aliquota variabile: si tratta dell’imposta per la seconda casa e per altri tipi di proprietà. È fissata allo 0,76% ma i Comuni, con apposita delibera del Consiglio, possono modificarla al rialzo o al ribasso;
  • l’aliquota ordinaria: è l’imposta per l’abitazione principale di lusso e per le relative pertinenze. In generale è dello 0,4% ma, anche in questo caso, i Comuni possono decidere di alzarla o di abbassarla.

Imu 2018: quando si paga

Le scadenze per il pagamento dell’Imu 2018 sono:

  • 16 giugno: andrà versato il 50% dell’imposta dovuta;

16 dicembre: entro questa data andrà pagato il saldo dell’imposta dovuta per tutto l’anno con conguaglio sulla prima rata.

Imu 2019: come si calcola e chi paga l’imposta sulla casa

Leggere poesie e caricare il video su YouTube: è legale?

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La poesia e la musica rientrano tra le opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore (oggi lo si chiama, impropriamente, copyright). La legge tutela l’autore di un’opera dallo sfruttamento altrui senza autorizzazione, anche se ciò avviene per scopi non di lucro ma semplicemente artistici, autopromozionali o per mero amore dell’opera stessa (si pensi al fan di Neruda che ami leggere le sue poesie). Nel concetto di «sfruttamento» rientra anche la recitazione in pubblico e tale è la creazione di un video e la sua pubblicazione su YouTube. Il fatto che la poesia venga interpretata con una particolare inflessione della voce, personalizzata con l’accompagnamento di una musica di sottofondo, magari accompagnata da immagini in sequenza non rende il lavoro una nuova creazione; al contrario si commetteranno più violazioni del diritto d’autore per quante sono le opere sfruttate senza autorizzazione (così ad esempio si violerà nello stesso tempo anche i diritti del musicista e del fotografo).

Se la poesia è presa da internet

Il diritto d’autore copre tanto i testi, quanto le immagini, quanto le musiche anche se condivise su internet dallo stesso creatore. La pubblicazione sul web di una poesia, ad esempio, non rende l’opera di pubblico dominio benché l’autore non abbia precisato, a fine del testo, che la creazione è protetta dal diritto d’autore: si tratta di un effetto automatico che scaturisce già dalla legge con la nascita dell’opera. Ciò detto, chi reperisce su internet l’opera letteraria altrui, come una poesia, non può recitarla e trasformarla poi in un video da caricare su YouTube se non ha prima chiesto il permesso all’autore. A proposito, si segnala che, per rendere più facile l’ottenimento dell’autorizzazione dell’autore (specie se questo è deceduto), chi intende utilizzare l’opera altrui deve limitarsi a chiedere la licenzia alla Siae.

Le vecchie poesie sono libere da diritti d’autore

Se invece sono decorsi 70 anni dalla morte dell’autore è possibile utilizzare liberamente l’opera letteraria.

Recitazione di poesie proprie

Se si recita una propria poesia e la si trasforma in video non bisognerà chiaramente chiedere l’autorizzazione a nessuno, ma attenzione alla musica di sottofondo: se non è presa da una banca dati freeware (ossia libera) anch’essa potrebbe ledere l’altrui diritto d’autore. 

Cosa rischia chi recita in pubblico un’opera altrui?

Recitare in pubblico una poesia altrui, o creare un video e pubblicarlo su web con detta recitazione, costituisce un reato. La legge sul diritto d’autore prevede infatti [1] la multa da euro 51 a euro 2.065 per chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma riproduce, trascrive, recita in pubblico, diffonde, vende o mette in vendita o pone altrimenti in commercio un’opera altrui o ne rivela il contenuto prima che sia reso pubblico, o introduce e mette in circolazione nel regno esemplari prodotti all’estero contrariamente alla legge italiana. Alla stessa pena soggiace

  • chi mette a disposizione del pubblico, immettendola su internet, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa;
  • rappresenta, esegue o recita in pubblico o diffonde, con o senza variazioni od aggiunte, un’opera altrui adatta a pubblico spettacolo od una composizione musicale.

La rappresentazione o esecuzione comprende la proiezione pubblica dell’opera cinematografica, l’esecuzione in pubblico delle composizioni musicali inserite nelle opere cinematografiche e la radiodiffusione mediante altoparlante azionato in pubblico.

note

[1] Art. 171-ter legge diritto autore.

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Truffe online: come tutelarsi?

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Notizie di truffe online in danno degli utenti della rete sono sempre più frequenti. Sedicenti imprenditori e negozi inesistenti promettono in vendita beni a prezzistracciatissimi, beni talvolta non esistenti o completamente difettosi. Il commercio elettronico e il business online – accanto ai numerosissimi vantaggi – hanno dato certamente linfa vitale ai truffatori di ogni genere e livello. Sul web non è raro imbattersi in identità rubate, falsi coupon, alberghi e case fantasma. Le truffe online sono così diffuse che alcune ricerche sostengono che l’italiano sia la seconda lingua più parlata nelle email esca per ottenere la rivelazione di dati personali.

Da un punto di vista normativo, gli acquisti compiuti tramite internet si possono collocare tra i cosiddetti contratti conclusi fuori dai locali commerciali.

Ovviamente l’e-commerce e il web hanno rivoluzionato il modo di fare acquisti, dando la possibilità a chiunque di comprare dei beni in qualunque parte del mondo essi si trovino. L’e-commerce ha annullato le barriere fisiche e spaziali, consente di consultare i prezzi di centinaia di venditori dello stesso prodotto e di spuntare, talvolta, offerte molto convenienti. Dietro gli innumerevoli vantaggi dello shopping online certamente si nascondono anche delle insidie. Vale a dire i rischi connessi alle truffe online. Purtroppo, accanto alle aziende serie che utilizzano lo spazio virtuale per la loro attività, si nascondono truffatori più o meno abili e più o meno strutturati che ricavano ingiusti profitti dalla credulità degli utenti del web. Nel mare magnum del web quindi è sempre bene stare vigili e tenere un alto livello di guardia.

In primo luogo è da dire che è preferibile procedere all’acquisto tramite le piattaforme famose di e-commerce. Infatti, l’uso di feedback e l’adozione di restrittive politiche privacy rendono alcune piattaforme di e-commerce una garanzia di affidabilità. Alcune di queste piattaforme (pensiamo ad Amazon) consentono a venditori terzi di affiliarsi al loro marketplace così da ampliare l’offerta merceologica, ma garantendo direttamente la sicurezza della transazione. Infatti, come può facilmente intuirsi, quando l’accordo sulla vendita di un bene avviene tra due controparti in maniera autonoma ed indipendente, non possono esserci le medesime tutele che può offrire appunto l’intermediazione della piattaforma.

Nell’approccio all’e-commerce, dunque, bisogna farsi guidare da prudenza e buonsenso. La prima regola fondamentale è dare la preferenza a siti certificati ufficiali e dunque diffidare da quei siti che fin dalla grafica lasciano presagire male. Bisogna altresì stare molto in allerta in caso di prezzi molto bassi. Il prezzo eccessivamente conveniente deve essere un campanello di allarme e deve indurre, quantomeno, ad effettuare dei confronti con altri siti. Inoltre, cosa fondamentale, è appurare che il sito dal quale si sta acquistando esista davvero, abbia una partita iva, una sede, un indirizzo fisico al quale eventualmente rivolgere lamentele o richieste. Prima di completare l’acquisto, poi, è opportuno verificare l’attendibilità del venditore attraverso i motori di ricerca o sui socialnetwork: generalmente, infatti, le notizie di un sito truffaldino si diffondono velocemente in rete.

Le aziende di e-commerce che operano sul mercato sono comunemente molto apprezzate dagli utenti. Pensiamo appunto ad Amazon ed Ebay, tanto per citare due colossi. Ma accanto ad essi esiste una miriade di attività ben organizzate che, ciascuna secondo le proprie modalità, gestiscono il commercio online. La serietà, la puntualità nella consegna, le corrette politiche di reso e di rimborso fanno di esse i negozi del futuro, o se vogliamo anche del presente.

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