Leggere poesie e caricare il video su YouTube: è legale?

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La poesia e la musica rientrano tra le opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore (oggi lo si chiama, impropriamente, copyright). La legge tutela l’autore di un’opera dallo sfruttamento altrui senza autorizzazione, anche se ciò avviene per scopi non di lucro ma semplicemente artistici, autopromozionali o per mero amore dell’opera stessa (si pensi al fan di Neruda che ami leggere le sue poesie). Nel concetto di «sfruttamento» rientra anche la recitazione in pubblico e tale è la creazione di un video e la sua pubblicazione su YouTube. Il fatto che la poesia venga interpretata con una particolare inflessione della voce, personalizzata con l’accompagnamento di una musica di sottofondo, magari accompagnata da immagini in sequenza non rende il lavoro una nuova creazione; al contrario si commetteranno più violazioni del diritto d’autore per quante sono le opere sfruttate senza autorizzazione (così ad esempio si violerà nello stesso tempo anche i diritti del musicista e del fotografo).

Se la poesia è presa da internet

Il diritto d’autore copre tanto i testi, quanto le immagini, quanto le musiche anche se condivise su internet dallo stesso creatore. La pubblicazione sul web di una poesia, ad esempio, non rende l’opera di pubblico dominio benché l’autore non abbia precisato, a fine del testo, che la creazione è protetta dal diritto d’autore: si tratta di un effetto automatico che scaturisce già dalla legge con la nascita dell’opera. Ciò detto, chi reperisce su internet l’opera letteraria altrui, come una poesia, non può recitarla e trasformarla poi in un video da caricare su YouTube se non ha prima chiesto il permesso all’autore. A proposito, si segnala che, per rendere più facile l’ottenimento dell’autorizzazione dell’autore (specie se questo è deceduto), chi intende utilizzare l’opera altrui deve limitarsi a chiedere la licenzia alla Siae.

Le vecchie poesie sono libere da diritti d’autore

Se invece sono decorsi 70 anni dalla morte dell’autore è possibile utilizzare liberamente l’opera letteraria.

Recitazione di poesie proprie

Se si recita una propria poesia e la si trasforma in video non bisognerà chiaramente chiedere l’autorizzazione a nessuno, ma attenzione alla musica di sottofondo: se non è presa da una banca dati freeware (ossia libera) anch’essa potrebbe ledere l’altrui diritto d’autore. 

Cosa rischia chi recita in pubblico un’opera altrui?

Recitare in pubblico una poesia altrui, o creare un video e pubblicarlo su web con detta recitazione, costituisce un reato. La legge sul diritto d’autore prevede infatti [1] la multa da euro 51 a euro 2.065 per chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma riproduce, trascrive, recita in pubblico, diffonde, vende o mette in vendita o pone altrimenti in commercio un’opera altrui o ne rivela il contenuto prima che sia reso pubblico, o introduce e mette in circolazione nel regno esemplari prodotti all’estero contrariamente alla legge italiana. Alla stessa pena soggiace

  • chi mette a disposizione del pubblico, immettendola su internet, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa;
  • rappresenta, esegue o recita in pubblico o diffonde, con o senza variazioni od aggiunte, un’opera altrui adatta a pubblico spettacolo od una composizione musicale.

La rappresentazione o esecuzione comprende la proiezione pubblica dell’opera cinematografica, l’esecuzione in pubblico delle composizioni musicali inserite nelle opere cinematografiche e la radiodiffusione mediante altoparlante azionato in pubblico.

note

[1] Art. 171-ter legge diritto autore.

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Truffe online: come tutelarsi?

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Notizie di truffe online in danno degli utenti della rete sono sempre più frequenti. Sedicenti imprenditori e negozi inesistenti promettono in vendita beni a prezzistracciatissimi, beni talvolta non esistenti o completamente difettosi. Il commercio elettronico e il business online – accanto ai numerosissimi vantaggi – hanno dato certamente linfa vitale ai truffatori di ogni genere e livello. Sul web non è raro imbattersi in identità rubate, falsi coupon, alberghi e case fantasma. Le truffe online sono così diffuse che alcune ricerche sostengono che l’italiano sia la seconda lingua più parlata nelle email esca per ottenere la rivelazione di dati personali.

Da un punto di vista normativo, gli acquisti compiuti tramite internet si possono collocare tra i cosiddetti contratti conclusi fuori dai locali commerciali.

Ovviamente l’e-commerce e il web hanno rivoluzionato il modo di fare acquisti, dando la possibilità a chiunque di comprare dei beni in qualunque parte del mondo essi si trovino. L’e-commerce ha annullato le barriere fisiche e spaziali, consente di consultare i prezzi di centinaia di venditori dello stesso prodotto e di spuntare, talvolta, offerte molto convenienti. Dietro gli innumerevoli vantaggi dello shopping online certamente si nascondono anche delle insidie. Vale a dire i rischi connessi alle truffe online. Purtroppo, accanto alle aziende serie che utilizzano lo spazio virtuale per la loro attività, si nascondono truffatori più o meno abili e più o meno strutturati che ricavano ingiusti profitti dalla credulità degli utenti del web. Nel mare magnum del web quindi è sempre bene stare vigili e tenere un alto livello di guardia.

In primo luogo è da dire che è preferibile procedere all’acquisto tramite le piattaforme famose di e-commerce. Infatti, l’uso di feedback e l’adozione di restrittive politiche privacy rendono alcune piattaforme di e-commerce una garanzia di affidabilità. Alcune di queste piattaforme (pensiamo ad Amazon) consentono a venditori terzi di affiliarsi al loro marketplace così da ampliare l’offerta merceologica, ma garantendo direttamente la sicurezza della transazione. Infatti, come può facilmente intuirsi, quando l’accordo sulla vendita di un bene avviene tra due controparti in maniera autonoma ed indipendente, non possono esserci le medesime tutele che può offrire appunto l’intermediazione della piattaforma.

Nell’approccio all’e-commerce, dunque, bisogna farsi guidare da prudenza e buonsenso. La prima regola fondamentale è dare la preferenza a siti certificati ufficiali e dunque diffidare da quei siti che fin dalla grafica lasciano presagire male. Bisogna altresì stare molto in allerta in caso di prezzi molto bassi. Il prezzo eccessivamente conveniente deve essere un campanello di allarme e deve indurre, quantomeno, ad effettuare dei confronti con altri siti. Inoltre, cosa fondamentale, è appurare che il sito dal quale si sta acquistando esista davvero, abbia una partita iva, una sede, un indirizzo fisico al quale eventualmente rivolgere lamentele o richieste. Prima di completare l’acquisto, poi, è opportuno verificare l’attendibilità del venditore attraverso i motori di ricerca o sui socialnetwork: generalmente, infatti, le notizie di un sito truffaldino si diffondono velocemente in rete.

Le aziende di e-commerce che operano sul mercato sono comunemente molto apprezzate dagli utenti. Pensiamo appunto ad Amazon ed Ebay, tanto per citare due colossi. Ma accanto ad essi esiste una miriade di attività ben organizzate che, ciascuna secondo le proprie modalità, gestiscono il commercio online. La serietà, la puntualità nella consegna, le corrette politiche di reso e di rimborso fanno di esse i negozi del futuro, o se vogliamo anche del presente.

Tasse da pagare a novembre: ecco tutte le scadenze fiscali

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Oltre ad essere il mese dei morti, ben potrebbe dirsi che Novembre è anche il mese delle tasse. Molte, infatti, sono le scadenze fiscali e le tasse da pagare a Novembre 2017. Vediamo, dunque, calendario alla mano, quali sono le date da “segnare in rosso” e quali le scadenze fiscali da non farsi sfuggire.

Novembre 2017: ecco le tasse da pagare

Il calendario delle scadenze fiscali di Novembre 2017 si apre già dal 10 Novembre. E’ questo infatti il termine ultimo fissato per la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati contenuti nelle dichiarazioni integrative 730/2017 e dei relativi modelli 730-4 integrativi.

Da segnare in rosso è anche la data del 15 Novembre 2017. Si tratta, infatti, dell’ultimo giorno utile per regolarizzare, con maggiorazione degli interessi legali e della sanzione ridotta a un decimo del minimo, i versamenti non effettuati o effettuati solo parzialmente e scadenti il 16 Ottobre 2017 (cosiddetto ravvedimento breve).

16 Novembre 2017: tutti gli adempimenti fiscali

Ricchissimo di impegni fiscali da non farsi assolutamente sfuggire è 16 Novembre 2017.

Entro la scadenza del 16 Novembre 2017 i contribuenti titolari di partita Iva dovranno versare la rate delle imposte da dichiarazione dei redditi dichiarazione Iva relativi al periodo d’imposta 2016 in caso di rateizzazione di saldo e acconto. Sempre per quanto riguarda gli adempimenti Iva, entro la scadenza del 16 Novembre 2017, sarà necessario effettuare i seguenti adempimenti periodici:

  • versamento Iva di competenza Ottobre 2017 per i contribuenti con obbligo di liquidazione Iva mensile. Il versamento deve essere effettuato con modello F24 e codice tributo 6010 nella sezione erario;
  • versamento Iva di competenza terzo trimestre 2017 per i contribuenti a liquidazione Iva trimestrale. Il codice tributo da utilizzare in questo caso è 6033.

Per quanto concerne i sostituti di imposta, entro la scadenza del 16 Novembre, dovranno procedere con il versamento delle ritenute Irpef alla fonte a titolo di acconto sui redditi da lavoro dipendente e assimilati corrisposti nel mese di Ottobre, comprensivi di addizionali comunali e regionali. Sempre con riferimento agli adempimenti Irpef, è bene rammentare che entro la stessa data (16 Novembre 2017) bisogna versare le ritenute alla fonte operate sui redditi da lavoro autonomo, provvigioni per rapporti di commissione, agenzia, mediazione e rappresentanza corrisposti ad Ottobre 2017. Il versamento dovrà essere effettuato con modello F24 utilizzando il codice tributo 1040, periodo di competenza 10/2017. Lo stesso modello F24 può essere utilizzato per il versamento dei contributi Inps dovuti dal datore di lavoro sulle retribuzioni di Agosto 2017. Con riferimento agli adempimenti Inps in scadenza il 16 Novembre 2017, inoltre,  artigiani e commercianti dovranno procedere con il versamento della terza rata dei contributi fissi.

27 Novembre 2017 e presentazione del modello Intrastat

Il 27 Novembre 2017 saranno chiamati in cassa i contribuenti che effettuano operazioni di cessioni o prestazioni di servizi con operatori intracomunitari per la presentazione degli elenchi riepilogativi Intrastat. L’adempimento riguarda i contribuenti con obbligo mensile o che effettuano operazioni intracomunitarie per un importo maggiore a 50 mila euro a trimestre. I dati da trasmettere con gli elenchi riepilogativi Intrastat riguardano cessioni e\o prestazioni di servizi Intra UE relative a operazioni del mese di Ottobre 2017.

Tutte le scadenze fiscali del 30 Novembre 2017

Dulcis in fundo, anche la fine del mese rappresenta una giornata ricchissima di adempimenti fiscali e tasse da pagare. Ecco l’elenco completo.

  • Entro il 30 novembre 2017  sarà necessario procedere al versamento del secondo acconto delle imposte da dichiarazione dei redditi. Più nel dettaglio, sarà necessario effettuare i versamenti di Irpef, Irap, Ires, cedolare secca, imposta sostitutiva, Ivafe e Ivie relativi al periodo d’imposta 2016 ovvero derivanti da dichiarazione dei redditi 2017.
  • La fine del mese segna anche la scadenza per l’Invio delle Lipe trimestrali 2017: tale adempimento (che potrà essere effettuato solo in via telematica) riguarda l’invio della comunicazione delle liquidazioni Iva trimestrali del terzo trimestre 2017.
  • Il 30 novembre 2017 è anche la data di scadenza per le rate di rottamazione cartelle Equitalia, voluntary disclosure e liti fiscali pendenti. Più precisamente, per quanto riguarda la rottamazione delle cartelle Equitalia, entro la scadenza del 30 novembre 2017 è necessario pagare la terza rata del debito oggetto di definizione agevolata. Il 30 Novembre 2017 rappresenta, inoltre, il termine ultimo per il versamento della terza rata per chi ha aderito alla voluntary disclosure, oltre che il termine per il pagamento della seconda rata di definizione agevolata delle liti fiscali pendenti con l’Agenzia delle Entrate.

note

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Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana: composizione e funzioni

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Si sente sempre parlare del consiglio dei ministri, delle sue elezioni, delle sue riunioni, ma non tutti sanno da chi è composto e quali funzioni svolge. Il consiglio dei ministri della repubblica italiana è l’organo collegiale che riunisce tutti i ministri (con e senza portafoglio) sotto la direzione del presidente del consiglio (attualmente Paolo Gentiloni) e svolge funzioni relative al potere esecutivo. Vediamo con ordine quali sono la composizione e le funzioni del consiglio dei ministri della repubblica italiana.

Cos’è il consiglio dei ministri?

ll consiglio dei ministri della repubblica italiana è uno degli organi che compongono il governo e, precisamente, l’organo collegiale che riunisce i ministri sotto la presidenza del capo di governo [1]. Esso è, naturalmente, presieduto dal presidente del consiglio ed è composto da tutti i ministri con e senza portafoglio. Ad eccezione del sottosegretario alla presidenza del consiglio (che esercita le funzioni di segretario del collegio), nessun altro sottosegretario di stato ha titolo per partecipare alle sedute del consiglio.

Il consiglio dei ministri è convocato dal presidente che decide anche l’ordine del giorno: la verbalizzazione delle riunioni è curata dal sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio il quale è tenuto anche a curare la conservazione del registro delle deliberazioni.

In caso di assenza o impedimento temporaneo del presidente, le riunioni del consiglio dei ministri sono presiedute dal vicepresidente e, qualora vi siano più vicepresidenti, dal più anziano secondo l’età. Poiché il vicepresidente è una figura eventuale nella composizione del governo, se non è stato nominato, le sue funzioni sono svolte dal ministro più anziano per età (vi è un apposito regolamento che disciplina sia la partecipazione alle riunioni del consiglio sia le modalità di convocazione dello stesso) [2].

Che funzione ha il consiglio dei ministri?

Il nostro ordinamento non riconosce all’organo di vertice del governo un ruolo preminente rispetto a quello degli altri ministri, riservando quindi all’intero consiglio dei ministri (inteso come organo collegiale) le funzioni più rilevanti del potere esecutivo. Spettano, infatti, a quest’ultimo:

  • le deliberazioni sui disegni di legge di iniziativa governativa [3];
  • l’adozione degli atti aventi forza di legge(ovvero decreto legge e decreto legislativo) e dei regolamenti governativi [4];
  • la decisione di impugnare gli statuti regionali [5];
  • l’azione o la resistenza in giudizio nei conflitti di attribuzione e nel giudizio in via principale di fronte alla corte costituzionale;
  • la risoluzione dei conflitti tra i singoli ministri;
  • la nomina dei più alti funzionari dell’apparato civile e militare (quali prefetti, ambasciatori, capi di stato maggiore ecc.).

Ciò significa che l’Italia ha voluto affidare le decisioni più importanti (e le funzioni più delicate) non al singolo ma ad un collegio che fosse maggiormente rappresentativo della collettività e che garantisse l’adozione di decisioni maggiormente imparziali.

Il consiglio dei ministri determina la politica generale del governo e, ai fini della sua attuazione, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa [6]; esso delibera, inoltre, su ogni altra questione relativa all’indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere.

note

[1] Art. 92 Cost.

[2] regolamento adottato con decreto del presidente del consiglio il 10.11.1993, previa deliberazione del  consiglio stesso.

[3] Art. 71 Cost.

[4] Artt. 76 e 77 Cost.

[5] Art. 123 Cost.

[6] Art.2 L. n.400 del 1988.

Qual è l’orario minimo part time?

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La legge non stabilisce un numero minimo di ore per il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale: a questo “vuoto normativo” suppliscono, però, i contratti collettivi, che prevedono dei tetti orari minimi per il dipendente part time. Bisogna però osservare che ci sono dei contratti collettivi nazionali che non prevedono un monte ore minimo per il tempo parziale:

  • il ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo di Cifa e Confsal;
  • il ccnl alimentare e panificazione;
  • il ccnl acconciatura-estetica- centri benessere;
  • il ccnl artigiani e pmi.

Mancando una disciplina del lavoro a tempo parziale che consente l’assenza di un orario minimo, è possibile assumere un dipendente anche per farlo lavorare soltanto un giorno alla settimana, oppure soltanto per alcune settimane nel mese, o, ancora, per alcuni mesi nell’anno.

Tuttavia, bisogna prestare particolare attenzione: l’assenza di un orario minimo non consente la stessa flessibilità che invece consente il nuovo contratto di prestazione occasionale (nuovi voucher) o il lavoro a chiamata. Vediamo perché.

Orario minimo ma predeterminato

Nonostante i contratti collettivi elencati non prevedano un monte ore minimo per il tempo parziale, questo non significa che il datore di lavoro possa chiamare il dipendente quando vuole: l’orario part time, difatti, per quanto esiguo deve essere organizzato e deve esserci una continuità nello svolgimento della prestazione di lavoro.

Se, ad esempio, il lavoratore presta la propria attività per poche ore tutti i sabati, sicuramente la continuità dell’attività sussiste, per quanto l’orario sia ridotto; lo stesso vale nel caso in cui il dipendente lavori per una settimana al mese, o per pochi mesi all’anno.

I contratti di lavoro a tempo parziale che non dispongono un orario minimo, quindi, devono comunque indicare con precisione la collocazione delle ore di lavoro: l’accordo collettivo, in particolare, prevede che nel contratto di lavoro part time sia contenuta una puntuale indicazione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.

Variazione dell’orario di lavoro

Il datore di lavoro non può utilizzare il contratto part time “minimo” senza indicare l’orario di lavoro: non può quindi decidere di chiamare il lavoratore a sua discrezione, perché il dipendente deve conoscere in anticipo il suo orario. Pertanto, se il datore di lavoro non è in grado di stabilire quando potrebbe aver bisogno del dipendente, il contratto a tempo parziale senza il tetto orario minimo non è adatto, ma dovrà utilizzare il lavoro a chiamata (ricordando che il lavoratore non può avere più di 24 anni o meno di 55 anni), oppure il nuovo contratto di prestazione occasionale.

È comunque possibile ottenere un minimo di flessibilità, aumentando le ore di lavoro inizialmente previste da contratto, con l’inserimento di apposite clausole elastiche: le clausole elastiche, nel dettaglio, possono consentire sia l’aumento dell’orario di lavoro che la sua variazione. Queste clausole devono però essere previste in un’apposita pattuizione scritta, anche contestuale al contratto di lavoro.

Clausole elastiche e lavoro supplementare

Se le clausole elastiche comportano un aumento dell’orario di lavoro stabilito nel contratto comportano, secondo la maggior parte dei contratti collettivi, una maggiorazione della paga oraria.

Il contratto collettivo intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo [1], ad esempio, prevede una maggiorazione del 15%. La maggiorazione non è dovuta se la modifica è definitiva e accettata dal lavoratore, o se richiesta da lui stesso. Il contratto collettivo prevede inoltre l’obbligo di preavviso di almeno 2 giorni lavorativi e che il lavoro supplementare non ecceda il limite del 25% della normale prestazioneannua part time.

Se gli accordi collettivi non prevedono nulla, si deve applicare una maggiorazione pari al 15%, secondo quanto stabilisce il testo unico sui contratti [2].

note

[1] Art. 156 Ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo  Cifa e Confsal.

[2] D.lgs. 81/2015.

Halloween

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Festa macabra celebrata nella notte fra il 31 di ottobre e il primo di novembre

contrazione scozzese settecentesca dell’inglese [Allhallow’s-even], ‘Vigilia di Ognissanti’.

Di anno in anno questo nome, con la festa che descrive, anche dalle nostre parti si afferma con forza sempre maggiore. Sappiamo tutti sfatarla affermando che il suo volano è stato economico, anzi consumistico, ma in Halloween c’è qualcosa di estremamente curioso.

Gli antropologi mi perdoneranno l’essenzialità della trattazione: si sente dire comunemente che si tratta di un’antica festa celtica (Samhain), una festa di capodanno che segnava la fine dei raccolti e l’inizio della stagione fredda, periodo in cui è importante stringersi e affermare la comunità. Si svolgeva fra il 31 ottobre e il 1° novembre, in quello che si credeva un interregno fra i due anni, momento in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si toccavano. E i nostri avi romani, che dinanzi a feste e divinità straniere non facevano mai una piega, vi riconobbero i meccanismi di certe liturgie che loro celebravano durante i Lemuria o i Parentalia: tutte feste in cui gli spiriti dei morti venivano esorcizzati, celebrati, placati.

Nel 609 papa Bonifacio IV isituì la festa di Ognissanti, da celebrare il 13 maggio (data in cui venivano festeggiati i Lemuria romani); il secolo successivo papa Gregorio III la spostò però al 1°novembre, così da installarla sul Samhain celtico. E questa è una tattica ricorrente: la festa pagana viene esaugurata e coperta con una nuova festa riconsacrata alla religione cristiana. Ma con la Riforma luterana (di cui giusto in questi anni ricorre il cinquecentesimo anniversario, auguri Martin) la festa voluta dal papa smise d’esser celebrata nei territori protestanti. Svestiti i panni cristiani, tornò laica, tornò pagana – pur mantenendo un nome cristiano ed evolvendo carsicamente nei secoli fino all’Halloween che conosciamo oggi, coi suoi simboli macabri e le usanze grottesche.

Ma c’è una cosa in particolare che colpisce nell’emersione di una festa del genere dalle nostre parti e in questi tempi così progrediti. Vi rimane intatto uno dei meccanismi antropologici di base di tante feste che riguardano i morti e il contatto con gli spiriti: il gioco drammatico in cui gli spiriti che devono essere placati sono rappresentati dai bambini, più vicini alla nascita, morti ritornati che chiedono un’offerta per la loro benevolenza, per scongiurare la loro funesta rivalsa. Pare straniante, ma anche nel nostrissimo Natale c’è il profilo di un tributo del genere.

Insomma, è una celebrazione meno superficiale di quanto l’analisi economica e la diffidenza verso una festa straniera ci portano a pensare.

Assegno ordinario di invalidità e assegno di invalidità civile

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 Nell’approfondimento che segue ci soffermeremo su due forme assistenziali in grado di garantire alcuni fondamentali diritti dei cittadini  che spesso vertono in condizioni svantaggiate: Assegno mensile di invalidità civile e Assegno ordinario di invalidità.

Prima di esaminare tali fattispecie, offriremo brevi cenni introduttivi relativi all’art. 38 della nostra Costituzione che rappresenta, senza alcun dubbio, il principio ispiratore dell’argomento trattato.

  Cenni di introduzione

L’articolo 38 della Costituzione Italiana ha riconosciuto ad “ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari” il “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Una  garanzia che si spinge, nel secondo comma,  a stabilire nei confronti dei lavoratori il “diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Con il primo comma viene evidenziato come lo Stato si fa carico in prima persona dell’assistenza sociale, cioè di quelle misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non può procurarsi altre entrate, ad esempio perché invalido di guerra o inabile al lavoro per malattia.

Queste misure si sostanziano, tra le altre, in corresponsione di pensioni di invalidità e guerra o in agevolazioni per la fruizione di servizi.

Il secondo comma, del suindicato articolo costituzionale, si occupa, invece,  della previdenza sociale che, a differenza dell’assistenza, concerne i soli lavoratori.

Essa si sostanzia in prestazioni economiche e sanitarie per tutelare il lavoratore, oltre che dai rischi lavorativi di infortuni, invalidità anche da eventi naturali quali la vecchiaia: si tratta quindi di una previdenza sociale obbligatoria, che grava in parte sullo Stato ed in parte sui datori di lavoro, salvo che i lavoratori scelgano di integrare queste misure con forme private di tutela.

Pertanto, lo scopo della previdenza sociale è teso a riconoscere o meglio consentire al soggetto una vita dignitosa.

Nel tempo si sono susseguite numerose disposizioni di legge volte a limitare o condizionare il diritto a queste forme di tutela e tali interventi sono stati ritenuti legittimi per la necessità di contemperare questo diritto con le risorse finanziarie disponibili.

Un’ ulteriore  considerazione risulta necessaria al fine di evidenziare come il principio che ispira l’art.38 della nostra Costi­tuzione non discrimini i soggetti in base alla loro na­zionalità o provenienza, ma, al contrario, comprenda nel concetto di “cittadino inabile” l’individuo presente sul territorio dello Stato senza distinzioni di razza o nazionalità, pur se in ogni caso in presenza di determinati requisiti.

Sul piano concreto tali forme di assistenza hanno as­sunto, nel corso degli anni e per effetto di normative che si sono via via adeguate alle circostanze, natura e agevolazioni sia di tipo economico che di tipo non economico. Alle prime fanno riferimento, per esem­pio, le prestazioni di invalidità civile e quelle di inabi­lità. Alle seconde appartengono tutte quelle agevo­lazioni di tipo fiscale o altre forme di sostegno come l’assistenza sanitaria, i permessi ex L. n.104/92, le quali, seppur non monetizzate per il cittadino, rap­presentano pur sempre un costo per lo Stato.

In particolare, tra le prestazioni di tipo economico figurano l’Asse­gno mensile di invalidità civile e l’Assegno ordinario di invalidità (AOI).

La sostanziale distinzione fra que­sti due tipi di assegno consiste nel fatto che il pri­mo è un assegno slegato dal requisito contributivo o assicurativo e concesso a fronte del solo requisito sanitario ai soggetti che si trovano in uno stato di bi­sogno e, pertanto, con redditi personali al di sotto di determinati limiti, mentre il secondo (AOI) è una prestazione che lega al requisito sanitario anche la sussistenza del requisito contributivo, con un’eviden­te e conseguente differenza di importo e di natura.

Assegno mensile di invalidità civile

L’Assegno mensile di invalidità civile è una prestazio­ne concessa a tutti i cittadini, sia italiani che stranieri, che non hanno o non possono far valere periodi con­tributivi o assicurativi sufficienti ad accedere ad altri tipi di prestazione.

L’art.13, co.1, L. n.118/71, e successive modifiche, ha stabilito che: “Agli invalidi civili di età compresa fra il diciot­tesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui con­fronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è conces­so, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di euro 279,471 per tredici men­silità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’arti­colo 12″.

Si tratta, pertanto, di una prestazione di tipo assi­stenziale, non reversibile, concessa in presenza es­senzialmente di due requisiti ossia la parziale riduzione della capacità lavorativa e lo stato di bisogno economico rappresentato dal possesso di redditi assoggettabili all’Irpef inferio­ri a una determinata soglia stabilita annualmente per legge, il cui limite per il corrente anno 2016 è fissato in € 4.800,38.

Altri requisiti necessari per l’ottenimento della pre­stazione sono il requisito anagrafico, che da gennaio di quest’anno deve essere di età compresa fra i 18 e i 65 anni e sette mesi, oltre alla cittadinanza italiana.

Al compimento del 65° anno di età e sette mesi, l’As­segno di invalidità civile si trasforma in Assegno so­ciale. Possono accedere alla prestazione e alle stes­se condizioni economiche e sanitarie dei cittadini italiani anche i cittadini stranieri comunitari iscritti all’anagrafe del comune di residenza, ai sensi del D.L. n.30/07, e i cittadini extracomunitari legalmente sog­giornanti nel territorio dello Stato italiano, titolari del permesso di soggiorno di almeno un anno, anche se privi del permesso di soggiorno CE di lungo periodo.

Tuttavia, considerato che si tratta di una pre­stazione di tipo assistenziale non derivante da dirit­ti contributivi, risulta obbligatoria per tutti la residenza stabile e abituale sul territorio nazionale e l’assenza di svolgi­mento di attività lavorativa.

Ai fini dell’accertamento della condizione di as­senza di svolgimento di attività lavorativa, non è più necessaria l’iscrizione nelle liste speciali di collocamento, essendo sufficiente che l’interes­sato produca annualmente all’Inps una dichiarazione sostitutiva che attesti lo svolgimen­to o meno di prestazioni lavorative. Ciò è previsto dall’articolo 46 e se­guenti del testo unico di cui al decreto del Presi­dente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Qualora tale con­dizione venga meno, lo stesso è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS.

È equiparato al mancato svolgimento di attività la­vorativa anche l’impiego presso cooperative sociali ai sensi della L. n.68/99, successivamente modificata dall’art.1, co.37, L. n.247/07, che regola l’inserimen­to lavorativo temporaneo con finalità formative non­ché la trasformazione, ai sensi del D.L. n.276/03, del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale relativamente ai lavoratori affetti da patologie on­cologiche e, infine, anche lo svolgimento di attività lavorativa, purché produca un reddito non superiore alla soglia di reddito individuale annualmente stabi­lita dalla legge, menzionata prima.

Va specificato che il requisito sanitario deve essere accer­tato dall’apposita commissione medica istituita presso il Centro medico legale dell’Inps territorialmente  competente.

La concessione dell’Assegno mensile di invalidità civi­le si genera obbligatoriamente dal rilascio del certifi­cato medico introduttivo prodotto dal proprio medi­co di base. Una volta ottenuto questo, successivamente, va presentata la domanda esclusivamente on-line e, indipendentemente dal momento in cui il requisito sanitario viene accertato, la prestazione decorre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda, posto che ovviamente siano soddi­sfatti anche i requisiti amministrativi.

Tuttavia, bisogna precisare che,  se nel corso dell’iter di concessione mutano le condizioni di salute, anche a fronte di un peggioramento, non è possibile presen­tare una nuova domanda finché non si sia comple­tato il corso della prima istanza. A tale vincolo non soggiace la domanda di aggravamento presentata da paziente oncologico.

Nel caso di impugnazione di eventuale diniego da­vanti al giudice ordinario, unica strada possibile di opposizione al mancato riconoscimento da esercita­re entro e non oltre sei mesi dalla comunicazione di reiezione della domanda, l’ipotetica nuova domanda deve attendere che si sia concluso l’iter giudiziario e la sentenza sia passata in giudicato.

Altro aspetto fondamentale sul quale risulta necessario o meglio doveroso soffermarsi riguarda l’incompatibilità dell’assegno mensile di invalidità civile con qualsiasi pensione diretta di invalidità erogata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (AGO) delle gestioni sosti­tutive, esonerative ed esclusive, delle gestioni dei lavoratori autonomi, e delle altre Casse e Fondi di previdenza, compresi quelli dei liberi professioni­sti. Tale incompatibilità si estende, ai sensi della L. 412/1991, anche a tutte le prestazioni pensio­nistiche di invalidità contratte per cause di guer­ra, di lavoro o di servizio e, pertanto, anche con le rendite Inail.

In questo caso il titolare di rendita Inail può esercitare la facoltà di opzione se l’Assegno è più conveniente, senza perderne il diritto, opzione che quindi può esse­re rivista in qualunque momento. L’onere della comu­nicazione all’Inps di eventuale incompatibilità spetta al titolare invalido, anche se tale circostanza si verifica successivamente alla concessione dell’assegno.

Assegno ordinario di invalidità

L’Assegno ordinario di invalidità (AOI), istituito con la L. n.222/84, si basa su presupposti totalmente diversi dall’assegno mensile di invalidità civile, essendo una pre­stazione legata al principio della riduzione della ca­pacità lavorativa superiore ai 2/3 e alla presenza di un certo numero di contributi previdenziali, almeno cinque anni nell’intero arco lavorativo, di cui almeno tre nei cinque anni che precedono la presentazione della domanda. Anche in questo caso si tratta di una prestazione non reversibile, e cioè non trasferibile ai familiari superstiti, sebbene nel caso di decesso del titolare sia possibile per loro richiedere una pensio­ne indiretta.

Quindi possiamo confermare che l’AOI è una prestazio­ne che si rivolge ai lavoratori dipendenti, ai lavo­ratori autonomi e ai lavoratori parasubordinati. Non è prevista, invece, per i dipendenti del pub­blico impiego, per i quali sono state istituite altre forme di assistenza.

Inoltre, a differenza dell’Assegno di invalidità civile, l’AOI non è legato al requisito dell’età, ma vincolato, come det­to, alla sussistenza del requisito sanitario e ammini­strativo.

Per una maggiore chiarezza sul punto si osserva che, un lavoratore che abbia diritto all’AOI dal 1° giugno 2016 deve aver maturato almeno cinque anni di contributi nell’intera sua car­riera lavorativa, di cui almeno tre nel periodo compreso fra il 1° giugno 2011 e il 1° giugno 2016.

Sul merito del requisito sanitario, va chiarito che il concetto della riduzione della capacità lavorati­va di almeno 2/3 non è sovrapponibile al più ge­nerico concetto di invalidità.

Da ciò deriva che le tabelle di riferimento per la valu­tazione medico legale dell’invalidità civile non sono utili ai fini della concessione dell’AOI, poiché è  ne­cessario che la Commissione medica preposta valuti la riduzione della capacità di lavoro del richiedente in relazione a occupazioni confacenti le attitudini specifiche dell’assicurato. Ne consegue che tale cri­terio è strettamente correlato alla particolare situazione dell’individuo e che il giudizio medico le­gale deve tenere presente, oltre alla condizione pu­ramente sanitaria, anche un complesso di elementi relativi alla personalità e alla storia del lavoratore, come sesso, età, livello raggiunto, adattabilità e, non ultimo, l’usura lavorativa in relazione alle attività possibili e non soltanto in relazione al lavoro effetti­vamente prestato.

Per quanto riguarda invece il requisito contributivo, dal calcolo dei periodi utili vanno esclusi i periodi di congedo parentale, il lavoro subordinato eventual­mente prestato all’estero, se non coperto da assicu­razioni in convenzioni internazionali, il servizio milita­re per il periodo eventualmente eccedente il servizio di leva, la malattia superiore ai dodici mesi e i periodi di iscrizione a forme obbligatorie di previdenza che non producano il diritto a pensione. In presenza di tali circostanze, i periodi interessati sono considerati neutri, con l’effetto di dilatare il quinquennio di rife­rimento per il periodo neutro corrispondente.

Come per l’assegno mensile di invalidità civile, anche per l’AOI la prestazione decorre, indipenden­temente dal momento in cui il requisito sanitario vie­ne accertato, dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Va fatto notare che l’AOI ha carattere temporaneo e una durata inizialmente triennale, può essere confer­mato solo su domanda dell’interessato, da presentar­si entro sei mesi dalla scadenza naturale della presta­zione e dopo tre conferme consecutive, compreso il primo riconoscimento, l’AOI diviene definitivo.

Ai sensi dell’art.9, co.1, L. n.222/84, l’Ente erogato­re dell’assegno, in questo caso l’Inps, può disporre però in ogni momento un nuovo accertamento, in­dipendentemente sia prima della scadenza naturale dell’assegno che successivamente all’avvenuta con­ferma definitiva. In ogni caso la revisione sanitaria è d’obbligo qualora il titolare dell’AOI abbia prodotto un reddito da lavoro dipendente, autonomo, pro­fessionale o d’impresa superiore a tre volte il tratta­mento minimo, poco più di € 1.500,00 per il corrente anno 2016, nell’anno precedente all’erogazione del­la prestazione.

L’AOI, come si è appena visto, è compatibile con l’attività lavorati­va, e ciò deriva anche dal fatto che la norma argina il requisito sanitario per la concessione a 2/3 della ca­pacità lavorativa, riconoscendo pertanto un possibi­le spazio residuo per svolgere altra attività retribuita.

Non è invece compatibile con il trattamento di disoccupazione la c.d. NASpI. È tuttavia possibile per il lavoratore esercitare la facoltà di opzione per il trattamento più conveniente.

Vale la pena segnalare, però, che se il lavoratore che ha optato per il trattamento di disoccupazio­ne rinuncia alla NASpI e ottiene il ripristino dell’A­OI, tale scelta ha carattere irreversibile e non è più possibile accedere alla trattamento di disoc­cupazione eventualmente residuo non goduto.

Spunti conclusivi

In riferimento a tali forme assistenziali assistiamo ad una trasformazione della concezione mutualistica dell’assistenza sociale. Infatti, tale forma di assistenza in passato era riservata solo ad una circoscritta  categoria di lavoratori o di soggetti assicurati.

Attualmente, invece, ci troviamo di fronte ad una concezione più inclusiva, basata piuttosto sul principio della solidarietà di tutti nei confronti di quegli individui più svantaggiati, con l’obiettivo di costruire uno stato sociale che tuteli la dignità umana e assicuri a tutti i suoi componenti, indipendentemente  dalla loro condizione contributiva e assicurativa, forme di assistenza tali da garantire un sostegno economico e una reale partecipazione alla vita sociale della comunità.

scritto il 17/06/2016 da Studio Cafasso

http://www.cafassoefigli.it/notizie/2456/assegno-ordinario-di-invalidit-e-assegno-di-invalidit-civile

Invalidi civili – Incompatibilità dell’assegno mensile di assistenza

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Incompatibilità e cumulabilità dell’assegno mensile d’invalidità civile con altre prestazioni pensionistiche erogate a titolo d’invalidità.

 Hanno diritto all’assegno mensile di assistenza gli invalidi civili a cui sia stata riconosciuta un’infermità fisica o mentale tale da provocare una riduzione della capacità di lavoro, con percentuale pari o superiore al 74% fino al 99%.

L’assegno mensile di invalidità civile è incompatibile con:

  • le pensioni dirette di invalidità erogate a qualsiasi titolo dall’assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori (INPS), e da altri enti, ai lavoratori   dipendenti e autonomi (art. 9, Legge 26 febbraio 1982, n. 54 ; art.1, comma 12, Legge 12 giugno 1984, n. 222 ).
  • pensioni dirette di invalidità per causa di guerra, di lavoro (INAIL) o di servizio,  quindi anche con la rendita INAIL (Circolare INAIL, n. 54/93 – art. 3 Legge 407/90 – art. 12, Legge n. 412/91 – Decreto 553/92)
  • indennità di accompagnamento INAIL, INPS e altri Enti

Scelta fra diverse provvidenze economiche opzionabili:
Nel caso di incompatibilità con altre provvidenze economiche, è possibile operare una scelta fra le diverse provvidenze economiche opzionabili: è infatti data facoltà all’interessato di optare per il trattamento economico più favorevole. La facoltà di opzione deve essere esercitata entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento del trattamento pensionistico incompatibile (D.M. 553/92).

Solo nel caso di pluriminorazioni, l’assegno è cumulabile con:

  • la pensione dei ciechi assoluti
  • l’indennità di accompagnamento per ciechi assoluti
  • la pensione dei ciechi parziali
  • l’indennità speciale per ciechi parziali
  • la pensione dei sordi civili
  • indennità di comunicazione per sordi civili

Differenza tra assegno mensile per invalidità civile e assegno ordinario di invalidità (IO)

L’assegno mensile per invalidi civili, pur essendo materialmente erogato dall’INPS, non è subordinato alla presenza di requisiti contributivi, trattandosi di una prestazione assistenziale.

Infatti, possono essere considerati invalidi civili tutte le persone, indipendentemente dall’età, e dall’attività lavorativa, in presenza di una qualsiasi menomazione: perdita o anomalia di una struttura o di una funzione, sul piano anatomico, fisiologico, psicologico. La visita medica per l’accertamento dell’invalidità civile è effettuata dalle commissioni mediche dell’ASL.

L’assegno ordinario di invalidità (Categoria IO), invece, pur basandosi sugli stessi requisiti di stato di salute (infermità fisica o mentale tale da provocare una riduzione permanente della capacità di lavoro, non inferiore a due terzi), è subordinato anche alla presenza del seguente requisito: contribuzione pari a 5 anni, di cui almeno 3, versati nei cinque anni precedenti la domanda; essere assicurato presso l’INPS da almeno 5 anni. Si tratta, dunque, di una prestazione previdenziale e la visita per l’accertamento dell’invalidità viene effettuata dalla commissione medica dell’INPS. In altre parole, questo beneficio può essere richiesto soltanto da coloro che svolgono attività lavorativa.

Incompatibilità tra le due provvidenze economiche
Si tratta, dunque, di due provvidenze economiche distinte e incompatibili fra loro. Pertanto, chi percepisce l’assegno mensile di invalidità civile non ha diritto all’assegno ordinario di invalidità (IO), così come chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità non ha diritto all’assegno mensile concesso per invalidità civile. Resta salvo il diritto di opzione.
RIFERIMENTI NORMATIVI

  • Legge 26 febbraio 1982, n. 54: Conversione in legge e modifica del Decreto Legge 22.12.1981, n. 791, art. 9: Disposizioni in materia previdenziale (G.U. del 01.03.1982, n. 58)
  • Legge 12 giugno 1984, n. 222: Revisione della disciplina dell’invalidità pensionabile (Pubblicata nella G. U. del 16 Giugno 1984 , n. 165)
  • Legge 29 dicembre 1990, n. 407: Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993 (G.U. del 31.12.1990, n. 303)
  • Legge 30 dicembre 1991, n. 412: Disposizioni in materia di finanza pubblica (G.U. del 31.12.1991, n. 305)
  • Ministero dell’Interno – Decreto Ministeriale 31 ottobre 1992, n. 553 :Regolamento recante disposizioni per l’accertamento delle condizioni reddituali e degli obblighi di comunicazione da parte dei mutilati ed invalidi civili, dei ciechi civili e dei sordomuti, nonché per l’eventuale revoca delle prestazioni e per la disciplina del diritto di opzione, in attuazione dell’art. 3, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (G.U. n. 24 del 30 gennaio 1993)
  • Circolare n. 54 del 9 dicembre 1993Legge 29 dicembre 1990, n. 407, articolo 3 – Decreto Ministeriale n. 553 del 31 ottobre 1992. Incompatibilità dell’assegno mensile erogato dal Ministero dell’interno agli invalidi civili parziali con le prestazioni ed i trattamenti pensionistici di invalidità erogati da Enti e gestioni previdenziali. Facoltà di opzione.

 

di Gabriela Maucci

https://www.superabile.it/cs/superabile/invalidi-civili–incompatibilita-dellassegno-mensile-di-assi.html

 

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