Spese mediche: detrazioni solo a chi fa la dichiarazione redditi

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Addio benefici fiscali sulle spese mediche a pensionati e lavoratori dipendenti che non presentano la dichiarazione dei redditi. A dirlo è la Cassazione con una interessantissima ordinanza di poche ore fa [1] che non mancherà di suscitare allerta e attenzione in tutti i contribuenti. Secondo la Corte, solo chi presenta la dichiarazione al fisco può dedurre e detrarre le spese mediche e di assistenza specifica; e ciò perché il sostituto di imposta, ossia il datore di lavoro o l’ente di previdenza, non sono tenuti ad eseguire tali decurtazioni dall’imponibile del contribuente. Una mannaia insomma per chi, avendo un reddito basso, ha fino ad oggi usufruito della possibilità – che la legge gli riconosce – di sottrarsi agli obblighi dichiarativi con l’Agenzia delle Entrate. Ma procediamo con ordine e vediamo perché le deduzioni e detrazioni per spese mediche spettano solo a chi fa la dichiarazione dei redditi.

Chi ha un solo reddito di lavoro dipendente con una sola azienda o una pensione e non è titolare di altri redditi, è di fatto esonerato dalla presentazione della dichiarazione; è il datore di lavoro o l’ente previdenziale che, in tali casi, comunica al fisco i dati reddituali del contribuente e liquida le imposte al suo posto. Il sostituto è infatti in grado di conoscere le entrate del sostituito d’imposta, trattandosi di un soggetto monoreddito.

Per usufruire però delle deduzioni e delle detrazioni fiscali degli oneri per spese mediche è necessario che il contribuente proceda alla presentazione della dichiarazione dei redditi, poiché solo da essa può risultare quale sia il «reddito complessivo lordo», sul quale operare la deduzione o la detrazione degli oneri ammessi dalla legge. Quindi il datore di lavoro o l’ente di previdenza non commette alcun errore se non sconta dalle tasse tali spese.

Questo non toglie però che il contribuente esonerato dalla dichiarazione dei redditi non possa ugualmente scegliere di presentarla; potrebbe al limite farlo nella versione semplificata del modello 730. Presentando la dichiarazione dei redditi, anche quando non si è obbligati, si ha diritto a usufruire di una serie di benefici fiscali (deduzioni e detrazioni) che altrimenti si perderebbero.

Soprattutto coi redditi minimi è sempre consigliabile presentare la dichiarazione dei redditi perché ciò dà diritto a numerosi rimborsi. Tutto ciò è confermato dalla sentenza in commento. La Cassazione avverte: caro lavoratore o pensionato, stai ben attento perché se sostieni spese mediche e non hai presentato la dichiarazione, non puoi scontare tali oneri dalle tasse valendoti solo della dichiarazione che ha fatto, al tuo posto, il sostituto di imposta (il datore o lente di previdenza).

Risultato: le spese mediche e di assistenza specifica sono sì deducibili ma solo se il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi perché è con tale documentazione che è possibile risalire al reddito complessivo lordo su cui operare la deduzione degli oneri prevista dalla legge.

note

[1] Cass. ord. n. 25904/17

Imu 2018: come si calcola e chi paga l’imposta sulla casa

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L’Imu è una delle tre imposte comunali, insieme a Tari e Tasi, che il proprietario di un immobile deve saldare ogni anno. Ma non tutti i contribuenti che hanno una casa di proprietà sono tenuti al pagamento dell’Imu: ci sono, infatti, delle esenzioni che riguardano, in particolare, le abitazioni principali. Ma vediamo nel dettaglio come si calcola l’Imu 2018 e chi paga l’imposta sulla casa.

Imu 2018: chi paga l’imposta

È tenuto al pagamento dell’Imu 2018, cioè dell’imposta sulla casa, chi detiene un immobile a titolo di proprietà oppure in usufrutto o in comodato d’uso.

Non è tenuto al pagamento dell’Imu chi possiede:

  • un immobile adibito ad abitazione principale (la prima casa);
  • un’unità immobiliare appartenente ad una cooperativa sociale a proprietà indivisa, adibita ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci;
  • un fabbricato destinato ad alloggio sociale;
  • una casa assegnata ad uno dei coniugi a seguito di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (in pratica ogni coniuge avrà una sola abitazione principale);
  • un immobile unico posseduto, e non affittato dal personale Forze armate, Polizia, militari, Vigili del fuoco e personale con carriera prefettizia, per il quale non è richiesta come condizione, la dimora abituale e della residenza anagrafica;
  • un’unica unità immobiliare ad uso abitativo all’estero rientrante nelle categorie da A1 ad A9 purché il proprietario sia iscritto all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), sia titolare di una pensione nel Paese di residenza e non abbia affittato o concesso in comodato d’uso l’immobile.

Altre esenzioni dall’Imu vengono decise dai singoli Comuni, ad esempio a favore di proprietari o di usufruttuari anziani o disabili che trasferiscono la residenza in una casa di riposo, o per i proprietari di una casa concessa in comodato a parenti entro il primo grado purché utilizzata come abitazione principale.

Imu 2018: come si calcola

Il punto di partenza per calcolare la base imponibile dell’Imu 2018 è il valore dell’immobile. Occorre moltiplicare la rendita in vigore all’inizio dell’anno, rivalutata di un 5% per un coefficiente che varia a seconda del tipo di immobile:

  • 160 per fabbricati del gruppo A (ad eccezione dell’A/10) e delle categorie C/2, C/6 e C/7;
  • 140 per fabbricati del gruppo B e delle categorie C/3, C/4 e C/5;
  • 80 per fabbricati delle categorie A/10 e D/5;
  • 60 per fabbricati del gruppo D (ad eccezione dell’appena citato D/5. Il moltiplicatore è elevato a 65;
  • 55 per fabbricati della categoria C/1.

Chi affitta una casa a canone concordato può beneficiare di uno sconto del 25%sull’Imu per l’abitazione data in locazione.

Per quanto riguarda i terreni agricoli, la base imponibile dell’Imu 2018 si calcola moltiplicando il reddito all’inizio dell’anno rivalutato del 25 per uno di questi due coefficienti:

  • 110 per terreni di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola;
  • 130 per tutti gli altri terreni.

Calcolo Imu 2018: le aliquote

Ci sono due tipi di aliquote da conoscere per sapere come si calcola l’Imu 2018:

  • l’aliquota variabile: si tratta dell’imposta per la seconda casa e per altri tipi di proprietà. È fissata allo 0,76% ma i Comuni, con apposita delibera del Consiglio, possono modificarla al rialzo o al ribasso;
  • l’aliquota ordinaria: è l’imposta per l’abitazione principale di lusso e per le relative pertinenze. In generale è dello 0,4% ma, anche in questo caso, i Comuni possono decidere di alzarla o di abbassarla.

Imu 2018: quando si paga

Le scadenze per il pagamento dell’Imu 2018 sono:

  • 16 giugno: andrà versato il 50% dell’imposta dovuta;

16 dicembre: entro questa data andrà pagato il saldo dell’imposta dovuta per tutto l’anno con conguaglio sulla prima rata.

Imu 2019: come si calcola e chi paga l’imposta sulla casa

Leggere poesie e caricare il video su YouTube: è legale?

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La poesia e la musica rientrano tra le opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore (oggi lo si chiama, impropriamente, copyright). La legge tutela l’autore di un’opera dallo sfruttamento altrui senza autorizzazione, anche se ciò avviene per scopi non di lucro ma semplicemente artistici, autopromozionali o per mero amore dell’opera stessa (si pensi al fan di Neruda che ami leggere le sue poesie). Nel concetto di «sfruttamento» rientra anche la recitazione in pubblico e tale è la creazione di un video e la sua pubblicazione su YouTube. Il fatto che la poesia venga interpretata con una particolare inflessione della voce, personalizzata con l’accompagnamento di una musica di sottofondo, magari accompagnata da immagini in sequenza non rende il lavoro una nuova creazione; al contrario si commetteranno più violazioni del diritto d’autore per quante sono le opere sfruttate senza autorizzazione (così ad esempio si violerà nello stesso tempo anche i diritti del musicista e del fotografo).

Se la poesia è presa da internet

Il diritto d’autore copre tanto i testi, quanto le immagini, quanto le musiche anche se condivise su internet dallo stesso creatore. La pubblicazione sul web di una poesia, ad esempio, non rende l’opera di pubblico dominio benché l’autore non abbia precisato, a fine del testo, che la creazione è protetta dal diritto d’autore: si tratta di un effetto automatico che scaturisce già dalla legge con la nascita dell’opera. Ciò detto, chi reperisce su internet l’opera letteraria altrui, come una poesia, non può recitarla e trasformarla poi in un video da caricare su YouTube se non ha prima chiesto il permesso all’autore. A proposito, si segnala che, per rendere più facile l’ottenimento dell’autorizzazione dell’autore (specie se questo è deceduto), chi intende utilizzare l’opera altrui deve limitarsi a chiedere la licenzia alla Siae.

Le vecchie poesie sono libere da diritti d’autore

Se invece sono decorsi 70 anni dalla morte dell’autore è possibile utilizzare liberamente l’opera letteraria.

Recitazione di poesie proprie

Se si recita una propria poesia e la si trasforma in video non bisognerà chiaramente chiedere l’autorizzazione a nessuno, ma attenzione alla musica di sottofondo: se non è presa da una banca dati freeware (ossia libera) anch’essa potrebbe ledere l’altrui diritto d’autore. 

Cosa rischia chi recita in pubblico un’opera altrui?

Recitare in pubblico una poesia altrui, o creare un video e pubblicarlo su web con detta recitazione, costituisce un reato. La legge sul diritto d’autore prevede infatti [1] la multa da euro 51 a euro 2.065 per chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma riproduce, trascrive, recita in pubblico, diffonde, vende o mette in vendita o pone altrimenti in commercio un’opera altrui o ne rivela il contenuto prima che sia reso pubblico, o introduce e mette in circolazione nel regno esemplari prodotti all’estero contrariamente alla legge italiana. Alla stessa pena soggiace

  • chi mette a disposizione del pubblico, immettendola su internet, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa;
  • rappresenta, esegue o recita in pubblico o diffonde, con o senza variazioni od aggiunte, un’opera altrui adatta a pubblico spettacolo od una composizione musicale.

La rappresentazione o esecuzione comprende la proiezione pubblica dell’opera cinematografica, l’esecuzione in pubblico delle composizioni musicali inserite nelle opere cinematografiche e la radiodiffusione mediante altoparlante azionato in pubblico.

note

[1] Art. 171-ter legge diritto autore.

Autore immagine: 123rf com

Truffe online: come tutelarsi?

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Notizie di truffe online in danno degli utenti della rete sono sempre più frequenti. Sedicenti imprenditori e negozi inesistenti promettono in vendita beni a prezzistracciatissimi, beni talvolta non esistenti o completamente difettosi. Il commercio elettronico e il business online – accanto ai numerosissimi vantaggi – hanno dato certamente linfa vitale ai truffatori di ogni genere e livello. Sul web non è raro imbattersi in identità rubate, falsi coupon, alberghi e case fantasma. Le truffe online sono così diffuse che alcune ricerche sostengono che l’italiano sia la seconda lingua più parlata nelle email esca per ottenere la rivelazione di dati personali.

Da un punto di vista normativo, gli acquisti compiuti tramite internet si possono collocare tra i cosiddetti contratti conclusi fuori dai locali commerciali.

Ovviamente l’e-commerce e il web hanno rivoluzionato il modo di fare acquisti, dando la possibilità a chiunque di comprare dei beni in qualunque parte del mondo essi si trovino. L’e-commerce ha annullato le barriere fisiche e spaziali, consente di consultare i prezzi di centinaia di venditori dello stesso prodotto e di spuntare, talvolta, offerte molto convenienti. Dietro gli innumerevoli vantaggi dello shopping online certamente si nascondono anche delle insidie. Vale a dire i rischi connessi alle truffe online. Purtroppo, accanto alle aziende serie che utilizzano lo spazio virtuale per la loro attività, si nascondono truffatori più o meno abili e più o meno strutturati che ricavano ingiusti profitti dalla credulità degli utenti del web. Nel mare magnum del web quindi è sempre bene stare vigili e tenere un alto livello di guardia.

In primo luogo è da dire che è preferibile procedere all’acquisto tramite le piattaforme famose di e-commerce. Infatti, l’uso di feedback e l’adozione di restrittive politiche privacy rendono alcune piattaforme di e-commerce una garanzia di affidabilità. Alcune di queste piattaforme (pensiamo ad Amazon) consentono a venditori terzi di affiliarsi al loro marketplace così da ampliare l’offerta merceologica, ma garantendo direttamente la sicurezza della transazione. Infatti, come può facilmente intuirsi, quando l’accordo sulla vendita di un bene avviene tra due controparti in maniera autonoma ed indipendente, non possono esserci le medesime tutele che può offrire appunto l’intermediazione della piattaforma.

Nell’approccio all’e-commerce, dunque, bisogna farsi guidare da prudenza e buonsenso. La prima regola fondamentale è dare la preferenza a siti certificati ufficiali e dunque diffidare da quei siti che fin dalla grafica lasciano presagire male. Bisogna altresì stare molto in allerta in caso di prezzi molto bassi. Il prezzo eccessivamente conveniente deve essere un campanello di allarme e deve indurre, quantomeno, ad effettuare dei confronti con altri siti. Inoltre, cosa fondamentale, è appurare che il sito dal quale si sta acquistando esista davvero, abbia una partita iva, una sede, un indirizzo fisico al quale eventualmente rivolgere lamentele o richieste. Prima di completare l’acquisto, poi, è opportuno verificare l’attendibilità del venditore attraverso i motori di ricerca o sui socialnetwork: generalmente, infatti, le notizie di un sito truffaldino si diffondono velocemente in rete.

Le aziende di e-commerce che operano sul mercato sono comunemente molto apprezzate dagli utenti. Pensiamo appunto ad Amazon ed Ebay, tanto per citare due colossi. Ma accanto ad essi esiste una miriade di attività ben organizzate che, ciascuna secondo le proprie modalità, gestiscono il commercio online. La serietà, la puntualità nella consegna, le corrette politiche di reso e di rimborso fanno di esse i negozi del futuro, o se vogliamo anche del presente.

Tasse da pagare a novembre: ecco tutte le scadenze fiscali

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Oltre ad essere il mese dei morti, ben potrebbe dirsi che Novembre è anche il mese delle tasse. Molte, infatti, sono le scadenze fiscali e le tasse da pagare a Novembre 2017. Vediamo, dunque, calendario alla mano, quali sono le date da “segnare in rosso” e quali le scadenze fiscali da non farsi sfuggire.

Novembre 2017: ecco le tasse da pagare

Il calendario delle scadenze fiscali di Novembre 2017 si apre già dal 10 Novembre. E’ questo infatti il termine ultimo fissato per la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati contenuti nelle dichiarazioni integrative 730/2017 e dei relativi modelli 730-4 integrativi.

Da segnare in rosso è anche la data del 15 Novembre 2017. Si tratta, infatti, dell’ultimo giorno utile per regolarizzare, con maggiorazione degli interessi legali e della sanzione ridotta a un decimo del minimo, i versamenti non effettuati o effettuati solo parzialmente e scadenti il 16 Ottobre 2017 (cosiddetto ravvedimento breve).

16 Novembre 2017: tutti gli adempimenti fiscali

Ricchissimo di impegni fiscali da non farsi assolutamente sfuggire è 16 Novembre 2017.

Entro la scadenza del 16 Novembre 2017 i contribuenti titolari di partita Iva dovranno versare la rate delle imposte da dichiarazione dei redditi dichiarazione Iva relativi al periodo d’imposta 2016 in caso di rateizzazione di saldo e acconto. Sempre per quanto riguarda gli adempimenti Iva, entro la scadenza del 16 Novembre 2017, sarà necessario effettuare i seguenti adempimenti periodici:

  • versamento Iva di competenza Ottobre 2017 per i contribuenti con obbligo di liquidazione Iva mensile. Il versamento deve essere effettuato con modello F24 e codice tributo 6010 nella sezione erario;
  • versamento Iva di competenza terzo trimestre 2017 per i contribuenti a liquidazione Iva trimestrale. Il codice tributo da utilizzare in questo caso è 6033.

Per quanto concerne i sostituti di imposta, entro la scadenza del 16 Novembre, dovranno procedere con il versamento delle ritenute Irpef alla fonte a titolo di acconto sui redditi da lavoro dipendente e assimilati corrisposti nel mese di Ottobre, comprensivi di addizionali comunali e regionali. Sempre con riferimento agli adempimenti Irpef, è bene rammentare che entro la stessa data (16 Novembre 2017) bisogna versare le ritenute alla fonte operate sui redditi da lavoro autonomo, provvigioni per rapporti di commissione, agenzia, mediazione e rappresentanza corrisposti ad Ottobre 2017. Il versamento dovrà essere effettuato con modello F24 utilizzando il codice tributo 1040, periodo di competenza 10/2017. Lo stesso modello F24 può essere utilizzato per il versamento dei contributi Inps dovuti dal datore di lavoro sulle retribuzioni di Agosto 2017. Con riferimento agli adempimenti Inps in scadenza il 16 Novembre 2017, inoltre,  artigiani e commercianti dovranno procedere con il versamento della terza rata dei contributi fissi.

27 Novembre 2017 e presentazione del modello Intrastat

Il 27 Novembre 2017 saranno chiamati in cassa i contribuenti che effettuano operazioni di cessioni o prestazioni di servizi con operatori intracomunitari per la presentazione degli elenchi riepilogativi Intrastat. L’adempimento riguarda i contribuenti con obbligo mensile o che effettuano operazioni intracomunitarie per un importo maggiore a 50 mila euro a trimestre. I dati da trasmettere con gli elenchi riepilogativi Intrastat riguardano cessioni e\o prestazioni di servizi Intra UE relative a operazioni del mese di Ottobre 2017.

Tutte le scadenze fiscali del 30 Novembre 2017

Dulcis in fundo, anche la fine del mese rappresenta una giornata ricchissima di adempimenti fiscali e tasse da pagare. Ecco l’elenco completo.

  • Entro il 30 novembre 2017  sarà necessario procedere al versamento del secondo acconto delle imposte da dichiarazione dei redditi. Più nel dettaglio, sarà necessario effettuare i versamenti di Irpef, Irap, Ires, cedolare secca, imposta sostitutiva, Ivafe e Ivie relativi al periodo d’imposta 2016 ovvero derivanti da dichiarazione dei redditi 2017.
  • La fine del mese segna anche la scadenza per l’Invio delle Lipe trimestrali 2017: tale adempimento (che potrà essere effettuato solo in via telematica) riguarda l’invio della comunicazione delle liquidazioni Iva trimestrali del terzo trimestre 2017.
  • Il 30 novembre 2017 è anche la data di scadenza per le rate di rottamazione cartelle Equitalia, voluntary disclosure e liti fiscali pendenti. Più precisamente, per quanto riguarda la rottamazione delle cartelle Equitalia, entro la scadenza del 30 novembre 2017 è necessario pagare la terza rata del debito oggetto di definizione agevolata. Il 30 Novembre 2017 rappresenta, inoltre, il termine ultimo per il versamento della terza rata per chi ha aderito alla voluntary disclosure, oltre che il termine per il pagamento della seconda rata di definizione agevolata delle liti fiscali pendenti con l’Agenzia delle Entrate.

note

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Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana: composizione e funzioni

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Si sente sempre parlare del consiglio dei ministri, delle sue elezioni, delle sue riunioni, ma non tutti sanno da chi è composto e quali funzioni svolge. Il consiglio dei ministri della repubblica italiana è l’organo collegiale che riunisce tutti i ministri (con e senza portafoglio) sotto la direzione del presidente del consiglio (attualmente Paolo Gentiloni) e svolge funzioni relative al potere esecutivo. Vediamo con ordine quali sono la composizione e le funzioni del consiglio dei ministri della repubblica italiana.

Cos’è il consiglio dei ministri?

ll consiglio dei ministri della repubblica italiana è uno degli organi che compongono il governo e, precisamente, l’organo collegiale che riunisce i ministri sotto la presidenza del capo di governo [1]. Esso è, naturalmente, presieduto dal presidente del consiglio ed è composto da tutti i ministri con e senza portafoglio. Ad eccezione del sottosegretario alla presidenza del consiglio (che esercita le funzioni di segretario del collegio), nessun altro sottosegretario di stato ha titolo per partecipare alle sedute del consiglio.

Il consiglio dei ministri è convocato dal presidente che decide anche l’ordine del giorno: la verbalizzazione delle riunioni è curata dal sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio il quale è tenuto anche a curare la conservazione del registro delle deliberazioni.

In caso di assenza o impedimento temporaneo del presidente, le riunioni del consiglio dei ministri sono presiedute dal vicepresidente e, qualora vi siano più vicepresidenti, dal più anziano secondo l’età. Poiché il vicepresidente è una figura eventuale nella composizione del governo, se non è stato nominato, le sue funzioni sono svolte dal ministro più anziano per età (vi è un apposito regolamento che disciplina sia la partecipazione alle riunioni del consiglio sia le modalità di convocazione dello stesso) [2].

Che funzione ha il consiglio dei ministri?

Il nostro ordinamento non riconosce all’organo di vertice del governo un ruolo preminente rispetto a quello degli altri ministri, riservando quindi all’intero consiglio dei ministri (inteso come organo collegiale) le funzioni più rilevanti del potere esecutivo. Spettano, infatti, a quest’ultimo:

  • le deliberazioni sui disegni di legge di iniziativa governativa [3];
  • l’adozione degli atti aventi forza di legge(ovvero decreto legge e decreto legislativo) e dei regolamenti governativi [4];
  • la decisione di impugnare gli statuti regionali [5];
  • l’azione o la resistenza in giudizio nei conflitti di attribuzione e nel giudizio in via principale di fronte alla corte costituzionale;
  • la risoluzione dei conflitti tra i singoli ministri;
  • la nomina dei più alti funzionari dell’apparato civile e militare (quali prefetti, ambasciatori, capi di stato maggiore ecc.).

Ciò significa che l’Italia ha voluto affidare le decisioni più importanti (e le funzioni più delicate) non al singolo ma ad un collegio che fosse maggiormente rappresentativo della collettività e che garantisse l’adozione di decisioni maggiormente imparziali.

Il consiglio dei ministri determina la politica generale del governo e, ai fini della sua attuazione, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa [6]; esso delibera, inoltre, su ogni altra questione relativa all’indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere.

note

[1] Art. 92 Cost.

[2] regolamento adottato con decreto del presidente del consiglio il 10.11.1993, previa deliberazione del  consiglio stesso.

[3] Art. 71 Cost.

[4] Artt. 76 e 77 Cost.

[5] Art. 123 Cost.

[6] Art.2 L. n.400 del 1988.

Qual è l’orario minimo part time?

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La legge non stabilisce un numero minimo di ore per il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale: a questo “vuoto normativo” suppliscono, però, i contratti collettivi, che prevedono dei tetti orari minimi per il dipendente part time. Bisogna però osservare che ci sono dei contratti collettivi nazionali che non prevedono un monte ore minimo per il tempo parziale:

  • il ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo di Cifa e Confsal;
  • il ccnl alimentare e panificazione;
  • il ccnl acconciatura-estetica- centri benessere;
  • il ccnl artigiani e pmi.

Mancando una disciplina del lavoro a tempo parziale che consente l’assenza di un orario minimo, è possibile assumere un dipendente anche per farlo lavorare soltanto un giorno alla settimana, oppure soltanto per alcune settimane nel mese, o, ancora, per alcuni mesi nell’anno.

Tuttavia, bisogna prestare particolare attenzione: l’assenza di un orario minimo non consente la stessa flessibilità che invece consente il nuovo contratto di prestazione occasionale (nuovi voucher) o il lavoro a chiamata. Vediamo perché.

Orario minimo ma predeterminato

Nonostante i contratti collettivi elencati non prevedano un monte ore minimo per il tempo parziale, questo non significa che il datore di lavoro possa chiamare il dipendente quando vuole: l’orario part time, difatti, per quanto esiguo deve essere organizzato e deve esserci una continuità nello svolgimento della prestazione di lavoro.

Se, ad esempio, il lavoratore presta la propria attività per poche ore tutti i sabati, sicuramente la continuità dell’attività sussiste, per quanto l’orario sia ridotto; lo stesso vale nel caso in cui il dipendente lavori per una settimana al mese, o per pochi mesi all’anno.

I contratti di lavoro a tempo parziale che non dispongono un orario minimo, quindi, devono comunque indicare con precisione la collocazione delle ore di lavoro: l’accordo collettivo, in particolare, prevede che nel contratto di lavoro part time sia contenuta una puntuale indicazione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.

Variazione dell’orario di lavoro

Il datore di lavoro non può utilizzare il contratto part time “minimo” senza indicare l’orario di lavoro: non può quindi decidere di chiamare il lavoratore a sua discrezione, perché il dipendente deve conoscere in anticipo il suo orario. Pertanto, se il datore di lavoro non è in grado di stabilire quando potrebbe aver bisogno del dipendente, il contratto a tempo parziale senza il tetto orario minimo non è adatto, ma dovrà utilizzare il lavoro a chiamata (ricordando che il lavoratore non può avere più di 24 anni o meno di 55 anni), oppure il nuovo contratto di prestazione occasionale.

È comunque possibile ottenere un minimo di flessibilità, aumentando le ore di lavoro inizialmente previste da contratto, con l’inserimento di apposite clausole elastiche: le clausole elastiche, nel dettaglio, possono consentire sia l’aumento dell’orario di lavoro che la sua variazione. Queste clausole devono però essere previste in un’apposita pattuizione scritta, anche contestuale al contratto di lavoro.

Clausole elastiche e lavoro supplementare

Se le clausole elastiche comportano un aumento dell’orario di lavoro stabilito nel contratto comportano, secondo la maggior parte dei contratti collettivi, una maggiorazione della paga oraria.

Il contratto collettivo intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo [1], ad esempio, prevede una maggiorazione del 15%. La maggiorazione non è dovuta se la modifica è definitiva e accettata dal lavoratore, o se richiesta da lui stesso. Il contratto collettivo prevede inoltre l’obbligo di preavviso di almeno 2 giorni lavorativi e che il lavoro supplementare non ecceda il limite del 25% della normale prestazioneannua part time.

Se gli accordi collettivi non prevedono nulla, si deve applicare una maggiorazione pari al 15%, secondo quanto stabilisce il testo unico sui contratti [2].

note

[1] Art. 156 Ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo  Cifa e Confsal.

[2] D.lgs. 81/2015.

Halloween

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Festa macabra celebrata nella notte fra il 31 di ottobre e il primo di novembre

contrazione scozzese settecentesca dell’inglese [Allhallow’s-even], ‘Vigilia di Ognissanti’.

Di anno in anno questo nome, con la festa che descrive, anche dalle nostre parti si afferma con forza sempre maggiore. Sappiamo tutti sfatarla affermando che il suo volano è stato economico, anzi consumistico, ma in Halloween c’è qualcosa di estremamente curioso.

Gli antropologi mi perdoneranno l’essenzialità della trattazione: si sente dire comunemente che si tratta di un’antica festa celtica (Samhain), una festa di capodanno che segnava la fine dei raccolti e l’inizio della stagione fredda, periodo in cui è importante stringersi e affermare la comunità. Si svolgeva fra il 31 ottobre e il 1° novembre, in quello che si credeva un interregno fra i due anni, momento in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si toccavano. E i nostri avi romani, che dinanzi a feste e divinità straniere non facevano mai una piega, vi riconobbero i meccanismi di certe liturgie che loro celebravano durante i Lemuria o i Parentalia: tutte feste in cui gli spiriti dei morti venivano esorcizzati, celebrati, placati.

Nel 609 papa Bonifacio IV isituì la festa di Ognissanti, da celebrare il 13 maggio (data in cui venivano festeggiati i Lemuria romani); il secolo successivo papa Gregorio III la spostò però al 1°novembre, così da installarla sul Samhain celtico. E questa è una tattica ricorrente: la festa pagana viene esaugurata e coperta con una nuova festa riconsacrata alla religione cristiana. Ma con la Riforma luterana (di cui giusto in questi anni ricorre il cinquecentesimo anniversario, auguri Martin) la festa voluta dal papa smise d’esser celebrata nei territori protestanti. Svestiti i panni cristiani, tornò laica, tornò pagana – pur mantenendo un nome cristiano ed evolvendo carsicamente nei secoli fino all’Halloween che conosciamo oggi, coi suoi simboli macabri e le usanze grottesche.

Ma c’è una cosa in particolare che colpisce nell’emersione di una festa del genere dalle nostre parti e in questi tempi così progrediti. Vi rimane intatto uno dei meccanismi antropologici di base di tante feste che riguardano i morti e il contatto con gli spiriti: il gioco drammatico in cui gli spiriti che devono essere placati sono rappresentati dai bambini, più vicini alla nascita, morti ritornati che chiedono un’offerta per la loro benevolenza, per scongiurare la loro funesta rivalsa. Pare straniante, ma anche nel nostrissimo Natale c’è il profilo di un tributo del genere.

Insomma, è una celebrazione meno superficiale di quanto l’analisi economica e la diffidenza verso una festa straniera ci portano a pensare.

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