Trump è molto cattivo. Trump non vuole bene ai globalisti, Trump non vuole gli accordi globalisti (TTIP, TTP) e vuole anche uscire dal Nafta. Trump non ama la Vespa, il pomodoro pachino e il cioccolato italiano (noi italiani si sa siamo famosi per le nostre vaste coltivazioni di cacao). Di questo passo, sui media (che amano Trump, non dimentichiamolo) si dirà che Trump mangia anche i bambini (dopotutto si sa: lui adora Putin e Putin è un famoso comunista russo che odia i globalisti, e come tutti i comunisti mangia i bambini).
Ora nel caso in cui qualche lettore non adori pendere dalle labbra di certi nostri illustri inviati in America, esiste un’altra realtà che si dovrebbe considerare. Già un’analisi molto interessante dibatteva dei differenti standard di lavoro (e regole su assunzioni/licenziamenti) che sussistono tra Europa e Stati Uniti. In questa notevole analisi si argomentava sul rischio lapalissiano di un sistema di lavoro meno tutelato (e quindi ampi licenziamenti “selvaggi”).
Già nel 2016 l’allora critico accordo del TTIP dipingeva uno scenario piuttosto pericoloso per le produzioni di qualità italiana (ora parlo di cibo).
Per semplificare, una lettura più interessante potete trovarla sui documenti originali, dove il governo globalista del premio Nobel per la pace Obama (che ha stabilito un record anche nelle morti accidentali da bombardamento di droni) prevedeva una maggior libertà per gli esportatori di autoveicoli europei (ricordiamoci che noi in Italia non abbiamo più una azienda che fa auto chiamata Fiat, ma solo i suoi stabilimenti, mentre la sede fiscale è altrove). In cambio l’amministrazione del pacifista Obama chiedeva ampi spazi per esportare la produzione alimentare agricola americana. Un vantaggio per i produttori (non italiani) di auto (che possono ulteriormente automatizzare i processi produttivi) a sfavore delle tante perle di qualità nel settore agroalimentare (parlo di quelle supportate da Coldiretti per fare un nome) che hanno un’occupazione importante (leggasi anche voti alle elezioni, se qualche politico stesse leggendo).
Se il TTIP fosse stato firmato così com’era in soldoni avremmo avuto i venditori di autoveicoli contenti e una larga fetta di agricoltori schiacciata (diciamola tutta, buttati fuori dal mercato) da un dumpingcommerciale di cibo made in Usa prodotto con standard alimentari e farmacologici (leggasi ormoni o Ogm) che l’Unione Europea ha, sino ad oggi, con molta fatica tentato di arginare. Senza dimenticare che i famosi prodotti copia (tipo il ben noto parmesan) esistono e sarebbero stati importanti qui (certo cambiando il nome per non infrangere gli standard di etichettatura) a, sicuramente, un prezzo più basso e quindi comunque a danno delle nostre produzioni.
Il cattivo Trump ha deciso di bloccare le importazioni di Vespe, di acqua San Pellegrino (che è di un gruppo svizzero, la Nestle) e altre realtà del cibo di qualità.
In verità i dazi per esportare alcuni di questi prodotti sono già cresciuti nel tempo quindi non è che Trump si è svegliato oggi e zac ha distrutto le nostre esportazioni.
E c’è da ricordare che Trump sta minacciando di applicare nuovi dazi. In realtà l’uomo più orocrinito del mondo fa i suoi interessi sovranisti (come il TTIP era rappresentante degli interessi delle Big Agropharma). Come ben spiega questo articolo il suo concetto è semplice: “O tu italiano te magni la mia mucca all’ormone, o la spaghettata alla salsa di pomodoro pachino, il piccolo italiano di broccolino la fa con il pachino californiano”.
Trump quindi è cattivo e non vuole bene a noi italiani (consideriamo che queste idee il presidente le ha suggerite ad ampio raggio, non certo contro di noi)?
Trump fa il suo lavoro. Che consiste nell’aumentare l’occupazione (generata tra l’altro anche da leggi sovraniste che, ponendo dazi, possono stimolare la produzione autoctona di prodotti alimentari). Favorire l’esportazione dei prodotti made in Usa. L’occupazione a cui Trump chiaramente mira può essere anche creata imponendo a compagnie straniere o americane (che sono scappate in offshore) di aprire impianti di produzione in Usa. Ford per citare il caso più eclatante.
È un tiranno? Le stesse politiche di “produci qui vendi qui senza sovrattasse” sono state imposte da Cina, India, Brasile (tanto per citare tre membri dei Brics) e le aziende straniere si sono adattate.
Restiamo noi europei con il nostro mito del libero scambio (che non è sostenuto nemmeno dal fratello maggiore americano) a voler imporre libertà per tutti.
E cosa otteniamo? Il mercato dell’acciaio massacrato grazie al dumping cinese (i disoccupati di questi impianti sono certo che troveranno un nuovo lavoro, magari andranno a insegnare liberismo nelle università).
Solo ora l’Unione Europea si accorge che queste regole devono esser modificate, ora che molti impianti di acciaio vanno a chiudere (mandando sul lastrico generazioni di operai, i centri urbani dove esse abitano e tutto l’indotto di piccolo commercio locale). Noi europei abbiamo una visione di libero scambio tutta particolare. Ci bastoniamo le mani perché non vogliamo esportare in Russia (un danno per l’economia italiana misurabile in miliardi) ma accettiamo l’acciaio cinese.
Trump non è certo il presidente più politically correct e illuminato (gentilmente qualcuno mi dica l’ultima volta che in Usa, dopo Kennedy, morto per un incidente con una pallottola, ne abbiamo visto uno). Ma fa il suo lavoro.
Certamente i pii inviati (sottopagati si intende), ai quali forse Trump non sta molto simpatico, spiegheranno come il cattivo mangia bambini Trump voglia affondare l’Italia. Già Nouriel Roubini, economista noto con il soprannome di dottor Doom (si tradurrebbe dottor Tragedia) spiegava alcuni anni fa che la disoccupazione nelle nazioni occidentali può portare a movimenti nazionalisti.
Il concetto era facile da capire per chiunque: “Io italiano perdo il lavoro, o peggio ancora ho lavori pagati con soluzioni che non mi danno sicurezza. Dall’altro lato vedo i miei politici che approvano leggi che abbattono le tariffe doganali e permettono ad aziende straniere di portare qui prodotti più economicamente competitivi. Questi prodotti uccidono l’azienda per cui lavoro (dove magari l’imprenditore si è pure fatto la cresta nei periodi di vacche grasse). Chi mi protegge? Una Clinton? Un Pd globalista?”.
Sarebbe opportuno, a mio avviso, che in Italia si facesse largo una schiera di politici che scelgono, per primo, l’interesse nazionale. E forse che gli italiani valutassero con attenzione, in fase di voto, leggi e progetti che abbiano a che fare con un sano piano industriale nazionale.
Invero dovremmo ringraziare Trump. Con il suo modo di fare, belligerante e “America first”, ci tiene svegli. Ci impone di combattere su tariffe e regole, mettere attenzione su questi temi. Invece di un soffice, morbidoso accordo generale (TTIP) che, una volta firmato, sarebbe diventato vincolante e non avremmo avuto più possibilità di modificare (abbiamo già una Unione Europea, per questo) ecco che potremo discutere ogni singola regola e tariffa, potendo, noi cittadini comuni, esser partecipi e cercare di influenzare gli accordi (Coldiretti con le sue proteste fa, parlando di cibo, un ottimo lavoro).
Si possono anche trascurare i saggi ed esperti che pontificano della cattiveria di Trump (dall’alto, magari, dei loro contratti a tempo indeterminato e lauti stipendi con rimborsi e case pagate). I politici italiani dovrebbero ricordare che, dopo tutto, i loro elettori, sono qui in Italia, non in Cina o America.