“QUELLE RAPINE AGLI ITALIANI DELL’INPS”: GIORDANO SMASCHERA LA GRANDE TRUFFA DEI SIGNORI DELL’ASSEGNO

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venerdì 24 marzo 2017

Pubblichiamo Posta Prioritaria, la rubrica in cui Mario Giordano risponde alla missiva di un lettore.

Caro Giordano, negli anni Novanta l’ Inps incamerò “enne” anni di contributi da lavoratori che, come me, impiegata di concetto per 10 anni in un’ azienda a suo tempo monopolista in Italia si vide annullare tali importi perché “troppo vecchi”. Possibile? Ma se c’ è gente che riscuote pensioni per 40 anni relative a versamenti molto più agée… Ma c’ è di più: chi voleva, poteva proseguire a versare contributi volontari fino al raggiungimento dell’ età pensionabile (pari a 120 euro mensili attuali) mentre per coloro che, come me, non si sono fatti convincere, gli importi versati in moneta legale sono stati fagocitati dalle casse Inps. Preciso che non pretendo la pensione con il sistema contributivo, come ora si predica, ma semplicemente la restituzione di quanto versato, maggiorato, logicamente degli interessi maturati in 44 anni, periodo nel quale l’ Inps li ha usati come ha voluto… Lo Stato, quando il cittadino non versa quanto richiesto, provvede al sequestro dei beni, mentre il cittadino servo della gleba deve abbozzare e stare zitto nel caso sia lo Stato a non osservare le norme relative ai contributi. Bel Paese che pretende di esportare altrove la democrazia… Quale democrazia? Ma mi faccia il piacere, come diceva Totò…

La questione è nota, ma non per questo meno urticante: il fatto che l’ Inps abbia trattenuto i contributi versati dalle persone che non hanno raggiunto la soglia minima per avere la pensione è una rapina. Non ci sono altri modi per definirla. Se si comportasse in questo modo un gestore di risparmi privati verrebbe arrestato, non crede signora Carla? C’ è solo una cosa che lei sbaglia: non è vero che lo Stato “non osserva la norme”. Lo Stato le norme, in casi come questo, le osserva eccome. Peccato che le norme non stiano proprio dalla parte dei cittadini. Non di tutti, almeno. Perché non le sarà sfuggito, amica di Torino, che proprio mentre lei perdeva tutti i suoi contributi c’ erano persone che sono riuscite ad avere la pensione pur avendo lavorato assai meno anni di lei. Le faccio un esempio? Il 1 agosto 1983 andò in pensione un bidella di Lissone. Aveva 32 anni e aveva lavorato nella scuola appena 11 mesi. Appena assunta, infatti, aveva fatto il ricongiungimento con contributi versati nel settore artigianale a Messina (dove pare si fosse occupata di tappezzeria) e questo fece scattare la famosa clausola delle baby pensione (14 anni, 6 mesi, 1 giorno). Da allora la signora vive felicemente con un assegno mensile. Anche grazie ai soldi suoi. Ed è tutto perfettamente, maledettamente legale, mi creda.

Ludopatia: la rilevanza nel diritto penale

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La Cassazione ha stabilito che la ludopatia può ridurre la capacità di intendere e volere di un soggetto, qualora questo sia spinto a commettere il reato dal bisogno incontrollabile di giocare d’azzardo. In questi casi, infatti, il reo non è capace di intendere completamente il significato delle proprie azioni, sicché, atteso il disturbo psichico presente, può giustificarsi una diminuzione di pena.

Cos’è la capacità di intendere e volere

Secondo il nostro sistema penale, l’autore di un reato può essere punito solo se ha commesso l’illecito con capacità di intendere e volere [1]. In poche parole, la legge esige che il colpevole, al momento del fatto, abbia inteso il significato delle sue azioni e, nonostante ciò, abbia commesso il crimine. Solo in questo modo si può giustificare un rimprovero in capo all’autore del reato e. quindi, l’irrogazione di una sanzione penale. Se invece un soggetto commette un reato senza avere la capacità di intendere e volere, allora non può essere punito, proprio perché non può essere rimproverato.

L’infermità mentale nel diritto penale

Secondo la legge, una delle cause che esclude la capacità di intendere e volere è proprio l’infermità mentale. Quest’ultima può essere totale o parziale. Nel primo caso, la patologia annulla totalmente la capacità del soggetto di intendere il significato delle proprie azioni: egli, pertanto, non può essere sanzionato. Nel caso di infermità parziale, invece, la capacità di intendere e volere non sparisce del tutto ma si riduce soltanto, seppur in modo rilevante: di conseguenza la sanzione penale si applicherà regolarmente, ma verrà diminuita dal giudice.

Che succede in caso di ludopatia

Bisogna quindi chiedersi cosa accade in caso di ludopatia. L’impulso compulsivo al gioco d’azzardo rientra nel concetto di infermità mentale? Se commetto un reato indissolubilmente connesso a questo stato psicologico, sono punibile? Oppure la ludopatia comporta solo una diminuzione della capacità di intendere e volere, giustificando esclusivamente una pena ridotta?

La ludopatia viene comunemente inserita nella categoria dei disturbi della personalità. In pratica, si tratta di una patologica deviazione caratteriale che comporta un irrefrenabile bisogno di giocare d’azzardo. La giurisprudenza tende ormai costantemente a ricondurre i disturbi della personalità nell’ambito dell’infermità mentale, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e volere. L’infermità mentale viene dunque intesa in senso ampio: essa non comprende solo i vizi di mente in senso stretto (ossia le patologie organiche e fisiche) ma abbraccia anche i disturbi cosiddetti «borderline», di carattere psichico e comportamentale.

Ne deriva che, in teoria, la ludopatia è idonea a diminuire (o addirittura ad escludere) la capacità di intendere e volere del soggetto e, quindi, a giustificare una riduzione di pena se questi commette un reato. Tuttavia il giudice deve sempre analizzare il caso concreto, al fine di accertare se il disturbo mentale sia stato proprio la causa che ha indotto il soggetto a commettere il crimine.

Il principio appena esposto è stato ribadito, appunto, dalla Cassazione in una recente sentenza [2]. Nel caso di specie, una persona affetta da ludopatia aveva commesso una truffa, utilizzando il denaro proveniente da tale reato per giocare d’azzardo. Tuttavia, non tutti i proventi del delitto erano stati usati per divertirsi al gioco. Per questo motivo, i giudici hanno escluso l’esistenza di un nesso causale tra la spinta patologica al gioco e la truffa commessa. In pratica, la Cassazione ha affermato che il disturbo mentale non era stata l’unica ragione per cui il soggetto aveva commesso la truffa (i proventi erano stati usati anche per pagare alcuni debiti). Di conseguenza, non hanno concesso la diminuzione di pena che l’ordinamento giustifica in caso di ridotta infermità mentale.

Soluzione diversa sarebbe stata adottata se, ad esempio, un soggetto avesse commesso un furto solo per poter giocare d’azzardo nella stessa sera. In questo caso, la ludopatia sarebbe stata proprio la ragione giustificativa del furto stesso. Il soggetto, in pratica, avrebbe commesso il reato solo perché mosso dalla spinta patologica e compulsiva del gioco d’azzardo. Vista la minore capacità di intendere e volere del reo, quindi, sarebbe stata lecita, in tale ipotesi, una diminuzione di pena.

Ludopatia: la rilevanza nel diritto penale

 

Prescrizione cartella di pagamento

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Se hai ricevuto, diversi anni fa, una raccomandata contenente una cartella di pagamento che non hai mai versato è molto probabile che, in tutti questi anni, il credito sia caduto in prescrizione e che nulla sia più dovuto all’Agente della riscossione. Per poter essere sicuro di ciò devi però fare un semplice conteggio che ti spiegheremo in questo articolo: il calcolo ti evidenzierà se sussiste la prescrizione delle cartelle di pagamento che ti sono state notificate oppure se queste devono essere ancora pagate. Con una importantissima precisazione: di recente le Sezioni Unite della Cassazione [1]sono intervenute per chiarire un aspetto determinate della questione, aspetto che, in passato, ha creato non pochi problemi interpretativi e che ora, invece, deve ritenersi definitivamente superato (con una interpretazione a favore del contribuente): se la cartella di pagamento non viene impugnata nei termini di legge, e pertanto diventa definitiva, il termine di prescrizione non cambia e resta quello proprio del tributo o della sanzione in essa pretesa. Questo perché, in passato, l’Agente della riscossione ha fatto valere in tribunale – e qualche giudice gli ha anche dato ragione – la seguente interpretazione (ritenuta oggi però non più corretta): se non contestata nei termini, la cartella esattoriale sarebbe equiparabile a una sentenza definitiva e, come quest’ultima, si prescriverebbe sempre in 10 anni. La tesi, dicevamo, è stata bocciata e, pertanto, la prescrizione della cartella di pagamento segue il suo normale corso, che dipende dalla natura del credito (si vedrà a breve che la legge stabilisce una prescrizione diversa per ogni tassa o tributo o sanzione).

Prima di entrare nel vivo del discorso e di parlare della prescrizione della cartella di pagamento, dobbiamo fare due chiarimenti importanti.

Il primo: quando parliamo di Agente della Riscossione ci riferiamo alla società delegata dallo Stato o dagli enti locali al recupero dei propri crediti. Per quanto riguarda lo Stato l’Agente della riscossione è, fino al 1° luglio 2017, Equitalia e, successivamente, Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Il secondo: la cartella di pagamento diventa definitiva non sempre negli stessi termini. Anche in questo caso, la disciplina varia a seconda del tipo di credito in essa riportata. In particolare:

  • cartelle di pagamento per tasse e tributi: diventa definitiva dopo 60 giorni dalla sua notifica. Entro questo termine il contribuente può impugnarla alla Commissione Tributaria Provinciale. Se all’arrivo del postino il destinatario non è a casa, la cartella si considera notificata (e il termine inizia a decorrere) dal giorno in cui il destinatario la ritira all’ufficio postale, ma se vi si reca a partire dall’11° giorno successivo al deposito dell’avviso di giacenza, la notifica si considera comunque eseguita il 10° giorno;
  • cartelle di pagamento per multe: diventa definitiva dopo 30 giorni dalla sua notifica (con la medesima precisazione fatta sopra per i casi di temporanea irreperibilità). Quindi, il contribuente può impugnare la cartella entro tale termine al giudice di pace;
  • cartelle di pagamento per contributi Inps e Inail: diventa definitiva dopo 40 giorni. In tale ipotesi, l’impugnazione che serve per contestare la cartella e non renderla definitiva va presentata alla sezione lavoro del tribunale ordinario.

I termini di prescrizione delle cartelle di pagamento

Passiamo ora a vedere qual è la prescrizione delle cartelle di pagamento. Come abbiamo detto in apertura, con il chiarimento delle Sezioni Unite della Cassazione, oggi si ritiene che le cartelle esattoriali non cadono in prescrizione tutte nello stesso termine. Ecco i termini che si applicano alle cartelle esattoriali:

  • crediti Inps e Inail per contributi previdenziali: prescrizione in 5 anni;
  • crediti dell’Agenzia delle Entrate per Irpef, Irap, Iva e altre imposte erariali: prescrizione in 10 anni (con qualche precedente che pala di 5 anni);
  • crediti del Comune per multe stradali: prescrizione in 5 anni;
  • crediti dello Stato per canone Rai: prescrizione in 10 anni;
  • crediti della Regione per bollo auto: prescrizione in 3 anni;
  • crediti del Comune per Imu, Tasi, Tari, Tarsu, Ici: prescrizione in 5 anni.

Come si calcola la prescrizione

Veniamo ora a definire come si calcola la prescrizione delle cartelle di pagamento. È un calcolo molto semplice, che puoi fare anche tu a casa. Tutto ciò che devi fare è prendere la cartella di pagamento e tutti i successivi atti che l’Agente della riscossione ti ha notificato per sollecitarti il pagamento.

Prima verifica

A questo punto, sulla prima delle cartelle che ti è stata spedita devi innanzitutto verificare la data a cui si riferisce il credito. Ad esempio, se ti è stata notificata nel 2000 una cartella che si riferisce al bollo auto, il credito è caduto in prescrizione perché sono passati 3 anni da quando il pagamento doveva essere effettuato.

Se però il termine è stato rispettato puoi passare alla seconda verifica.

Seconda verifica

A questo punto verifica quanto tempo è passato tra la prima cartella che ti è stata notificata e il successivo atto che l’Agente della Riscossione ti ha spedito per “ricordarti” di pagare (sia esso un preavviso di fermo, un preavviso di ipoteca, una cartella riepilogativa, un sollecito di pagamento, un’intimazione di pagamento, ecc.): se è decorso il termine di prescrizione che abbiamo indicato sopra, allora anche in questo caso nulla è dovuto e la cartella non va pagata.

Non è detto che l’Agente della riscossione ti abbia necessariamente inviato un successivo atto e la cartella potrebbe essere stata l’unica comunicazione che hai ricevuto. In questo caso è ancora più chiaro che la prescrizione è indiscutibile.

Riepilogando: se dopo la notifica della cartella di pagamento sono decorsi i termini di prescrizione senza che, nel frattempo, ti sia mai stata consegnata un’altra raccomandata, allora non devi pagare.

Prescrizione cartella di pagamento