6 gennaio le prime pagine in edicola
come funziona il Rosatellum
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Un candidato di coalizione e un listino bloccato legato a ciascuna lista, nessun voto disgiunto e una ripartizione dei seggi sul quale peseranno anche le cosiddette “quote rosa”: il prossimo 4 marzo gli italiani troveranno nelle urne una scheda un po’ più complessa di quella che, nel 2013, vigeva con il Porcellum. Il Rosatellum è infatti un sistema misto maggioritario e proporzionale che prevede 232 collegi uninominali per la Camera e 116 per il Senato, ciascuno dei quali avrà il proprio vincitore. A questi vanno aggiunti i collegi proporzionali – 63 per la Camera, 34 per il Senato – che eleggeranno i restanti parlamentari. Diciotto, infine, i deputati e senatori eletti nella circoscrizione Estero.
Sulla (unica) scheda figureranno i candidati delle coalizioni per i collegi uninominali. Sotto il loro nome ci saranno i simboli delle liste che li sostengono. A fianco a ciascun simbolo, invece, compariranno i listini proporzionali bloccati che potranno avere dai 2 ai 4 nomi. L’elettore avrà un solo voto a disposizione. Due le modalità a disposizione: mettendo un segno sulla lista il voto andrà alla lista stessa e al candidato sostenuto all’uninominale; mettendo un segno sul candidato all’uninominale il voto viene esteso automaticamente alla lista e, nel caso di coalizione, sarà distribuito tra le liste che lo sostengono proporzionalmente ai risultati delle liste stesse in quella circoscrizione elettorale. Ammesse le pluricandidature: ciascuna lista può presentare il suo candidato in un collegio uninominale e in massimo 5 plurimoninali. Nel caso il candidato sia eletto al collegio maggioritario sarà questo risultato a prevalere su quelli ottenuti con il listino proporzionale.
Soglie di sbarramento
Il Rosatellum per ogni lista prevede, su base nazionale, una soglia di sbarramento del 3% per accedere al Parlamento. Per le liste apparentate si prevede, in aggiunta, anche una soglia del 10% per l’intera coalizione. Se una lista non raggiunge il 3% ed è parte di una coalizione i voti vengono, a quel punto, “dirottati” al partito prevalente all’interno dell’alleanza. Il candidato eletto in un collegio maggioritario (vince chi ha un voto in più) mantiene il seggio anche se il partito a cui appartiene viene escluso dalla ripartizione proporzionale.
Nessun premio di maggioranza
La legge non ha alcun premio di maggioranza né alcun vincolo che impedisca, nel post-voto, ai partiti di “cambiare” alleati. Secondo un calcolo sommario, alla coalizione o alla lista vincente servirebbe il 42% circa dei voti per ottenere una maggioranza assoluta. Da qui la possibilità che il partito o la coalizione vincente non abbia i “numeri” per fare un governo in autonomia. La ripartizione dei seggi tra le liste nei collegi proporzionali avviene su base nazionale per la Camera, su base regionale per il Senato.
Quote rosa e candidature all’estero
Il Rosatellum prevede inoltre le quote rosa ovvero vieta che uno dei due sessi possa rappresentare più del 60% dei candidati di un listino e dei capilista di un singolo partito in tutto il Paese. Di fatto, su un listino proporzionale di tre nomi il rapporto deve essere 2 a 1 o favore degli uomini o a favore delle donne. Ultima novità del Rosatellum, la candidatura all’Estero: nel 2018 sarà permessa anche a chi è residente in Italia.
Neanche questa volta il popolo eleggerà il Presidente del Consiglio e i singoli ministri: ecco perché.
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La nostra Costituzione, tanto difesa (e ripetuta a memoria) quando si è trattato di modificarne il contenuto in relazione alla composizione delle Camere, va rispettata in ogni parte. Così è bene ricordare che, nel testo attualmente in vigore, la nomina del Capo dello Stato, del Capo del Governo e dei singoli ministri non avviene tramite elezione diretta, ossia per votazione del popolo. Il Presidente della Repubblica viene eletto dalle due Camere. Quest’ultimo poi, ogni volta che cade il governo o che le camere si sciolgono (per fine mandato o per impossibilità a funzionare) nomina un nuovo Presidente del Consiglio. Dopo aver sentito quest’ultimo, il capo dello Stato passa poi a nominare anche i singoli ministri. In tutto ciò il cittadino non c’entra affatto; quest’ultimo può solo scegliere – con il voto nell’urna – i suoi rappresentanti alla Camera dei deputati e dei senatori.
Il Governo non è dunque espressione della volontà degli elettori, ma dei rappresentati degli elettori, ossia dei parlamentari (deputati e senatori): formalmente è eletto dal Presidente della Repubblica sulla base di prassi non scritte nella Costituzione.
Solo indirettamente il popolo partecipa alla nomina del Governo formando la maggioranza parlamentare alla quale l’esecutivo deve chiedere la fiducia. Per cui se i rappresentanti degli elettori (deputati e senatori) decidono di dare la fiducia a un Governo, quest’ultimo resta in carica. Il Capo dello Stato non ha il potere di imporre il proprio uomo se questo poi non è appoggiato dai parlamentari. Allo stesso modo vale per i ministri, la cui scelta avviene a seguito dell’indicazione al Presidente della Repubblica da parte del neo nominato Presidente del Consiglio.
Il Governo viene eletto dal popolo solo nelle Repubbliche presidenziali come gli Stati Uniti (anche se il Presidente non viene eletto a suffragio universale dal popolo); l’Italia invece è una repubblica parlamentare dove il popolo elegge solo i deputati e i senatori.
Chi nomina il Governo?
Dando una rapida lettura all’articolo 92 della Costituzione scopriamo che il Governo è un organo che non viene eletto dal popolo – come invece comunemente si dice – ma dal Capo dello Stato, ossia il Presidente della Repubblica. La norma recita testualmente:
«Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri».
Una volta nominato il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri, questi prestano giuramento nelle mani del Capo dello Stato e poi presentano il proprio programma alle Camere che votano la fiducia. In particolare, il Governo deve, entro dieci giorni dalla formazione, presentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, vale a dire l’atto di gradimento politico con cui il Parlamento aderisce al programma dell’esecutivo.
L’articolo 94 della Costituzione recita così:
«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».
Anche qualora dovesse ricorrere una crisi di Governo, non è detto che si debba procedere a nuove elezioni politiche. Se il Presidente della Repubblica dovesse ritenere che sussiste ancora una maggioranza solida, potrebbe decidere di scegliere un nuovo Presidente del Consiglio a cui dare il mandato di formare un nuovo Governo. In assenza di una maggioranza in grado di supportare il Governo, il Presidente scioglie le Camere e indice le elezioni anticipate. Per questo, prima della nomina del Capo del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica è solito procedere alle cosiddette consultazioni: sente, cioè, gli esponenti dei principali partiti e gruppi parlamentari, di modo da verificare – onde non perdere successivamente tempo – l’esistenza di una maggioranza per il voto di fiducia.
Completa il quadro di norme dedicato alla formazione del Governo l’articolo 88 della Costituzione, che stabilisce:
«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura».
In sintesi
Sintetizziamo tutto ciò che è stato appena detto per chiarire nuovamente il quadro e ricordare perché, anche per le elezioni politiche 2018, il popolo non eleggerà il governo.
Per quanto riguarda la formazione del Governo, la Costituzione si limita ad affermare che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri. Nulla dice, invece, in merito alla procedura da seguire. Il Capo dello Stato non è quindi tenuto a indire elezioni anticipate ad ogni crisi di Governo, prima della nomina del capo del Consiglio dei Ministri. Se il Governo scelto dal Capo dello Stato non dovesse essere munito di appoggio parlamentare – appoggio necessario per il voto di fiducia – il Presidente della Repubblica può dare il mandato a un altro soggetto. Solo in ultima analisi è tenuto a indire elezioni anticipate.
UNA BIMBA DI 18 MESI MANGIA HASHISH
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Grave episodio di cronaca a Palermo, dove una piccola bimba di un anno e mezzo è stata ricoverata dopo aver ingerito una piccola quantità di hashish. La piccina era a casa quando inavvertitamente ha trovato la sostanza e l’ha portata alla bocca. Immediata la corsa in ospedale dei genitori, qui i sanitari hanno visitato la piccola e dopo aver dato disposizioni per una lavanda gastrica l’hanno ricoverata in osservazione. Immediatamente allertati gli uomini della polizia stanno svolgendo indagini per capire perché l’hashish fosse in casa, e soprattutto perché esso era nella disponibilità della neonata. La bambina fanno sapere i sanitari non rischia comunque la vita.
Vergogna tifosi Atalanta, al San Paolo sbuca la foto dello scienziato Lombroso: fu ideatore di teorie razziste anti-meridionali
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Atto vergognoso da parte dei tifosi dell’Atalanta presenti al San Paolo. Tocco razzista, immancabile, da parte dei supporters nerazzurri che, nel settore ospiti, hanno esposto la foto di Cesare Lombroso, scienziato folle che ideo teorie razziste anti-meridionali, come spiega il meridionalista Gennaro De Crescenzo su Facebook: “IL RAZZISMO (SOTTILE E VERGOGNOSO) DEI BERGAMASCHI CON LOMBROSO SULLO STADIO E SULLE BANDIERE. E QUALCUNO DICE ANCORA CHE “E’ SOLO CALCIO”… RICHIESTO (INUTILMENTE) L’INTERVENTO DELLA FIGC. Durante la partita Napoli-Atalanta, i tifosi bergamaschi sono andati oltre i soliti cori e i soliti striscioni: hanno esposto una bandiera con l’immagine dello scienziato folle veneto-sabaudo Cesare Lombroso sintetizzando in maniera efficace tutto il loro razzismo: Lombroso fu l’ideatore di teorie razziste anti-calabresi e anti-meridionali durante il periodo del cosiddetto “brigantaggio”. Da lì a (evidentemente) ad oggi il filo rosso che lega il passato al presente: da Lombroso partì l’idea dei meridionali “nati per delinquere”, di una razza che non si poteva redimere e salvare e che meritava i massacri durante l’unificazione e (in fondo) le mancate risoluzione delle questioni meridionali da oltre 150 anni. Quell’immagine orribile dell’inventore del razzismo antimeridionale dimostra (ovviamente) che non si tratta solo di calcio, che i razzisti dei cori sono razzisti davvero,che la battaglia del Comitato No Lombroso e del Comune di Motta Santa Lucia contro il museo torinese che conserva i resti e i crani di molti dei cosiddetti “briganti” è una battaglia giusta e attuale (se quelle teorie arrivano fino ad una curva di uno stadio e fino ai tanti idioti razzisti che la occupano), che noi tutti non possiamo e non dobbiamo smettere di denunciare chi volle e continua a volere due Italie con una delle due ridotta a colonia. Il Movimento Neoborbonico ha inviato una richiesta di intervento urgente presso gli organi della Federcalcio anche se ormai le discriminazioni antinapoletane sistematicamente sottolineate (recentemente anche da calciatori e allenatore del Napoli) sono sempre più ignorate e tollerate. Copia della denuncia sarà inviata anche alla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI) presso il Consiglio d’Europa che (su sollecitazione del Movimento Neoborbonico) sta vagliando da tempo il caso in un apposito dossier (si tratta, ormai, di un vero e proprio reato: “istigazione all’odio razziale”)”.
Se il tuo vecchio iPhone non è più veloce come prima, potrebbe essere Apple a causarlo. Ecco come scoprirlo e come risolvere il problema.
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In modo del tutto casuale alcuni utenti si sono accorti che sostituendo la vecchia batteria del loro iPhone le prestazioni aumentavano. La notizia è subito circolata in rete e in seguito si è scoperto che è la stessa Apple a causare volutamente questo rallentamento. [1]
Non si tratta di una pratica scorretta per spingere le persone ad acquistare un nuovo iPhone, ma una soluzione tecnica per evitare che la perdita di efficienza della batteria possa causare problemi di funzionamento come arresti improvvisi.
Col tempo, infatti, la batteria al litio perde un po’ della sua efficienza e non è più in grado di garantire una carica adeguata. Per evitare, quindi, malfunzionamenti, Apple ha adottato la soluzione di rallentare la velocità del processore sugli iPhone più vecchi.
I modelli di iPhone interessati dal rallentamento del processore sono: iPhone 6, iPhone 6S, iPhone SE e iPhone 7. Questa soluzione è stata introdotta inizialmente con iOS 10.2.1 per iPhone 6, iPhone 6S e iPhone SE, e poi estesa all’iPhone 7 con iOS 11.2. Per verificare la versione di iOS del proprio iPhone basta andare in Impostazioni/Generali/Info.
Come premesso, Apple diminuisce le prestazioni del processore solo sugli iPhone la cui batteria ha iniziato a perdere la capacità di carica. Col tempo la durata della batteria può ridursi anche del 50-60%. Questo può avvenire anche dopo un anno dal suo acquisto se non si adottano le pratiche corrette per preservarne la durata.
Sull’App Store ci sono diverse applicazioni che consentono di controllare lo stato della batteria dell’iPhone come ad esempio Battery Life. Per verificare se il proprio iPhone è stato rallentato a causa del decadimento della batteria, si può utilizzare un benchmark Geekbench.
Geekbench consente di testare le prestazioni del processore dell’iPhone. In un post sul suo blog [2] sono riportati alcuni dati relativi al problema del rallentamento dell’iPhone. In pratica il punteggio di un nuovo iPhone 6S dovrebbe essere di 2500 mentre quello di un iPhone 7 dovrebbe essere di 3500. Un punteggio molto più basso potrebbe voler dire che il proprio iPhone è stato rallentato a causa del decadimento delle prestazioni della batteria.
Per ripristinare le prestazioni del proprio iPhone potrebbe essere sufficiente sostituire la batteria con una nuova. Il costo ufficiale per sostituire la batteria di un iPhone è di € 89, non poco ma comunque molto meno rispetto all’acquisto di un nuovo iPhone.
note
[1] http://appleinsider.com/articles/17/12/20/apple-responds-to-reports-of-worn-battery-forcing-iphone-cpu-slowdown
[2] https://www.geekbench.com/blog/2017/12/iphone-performance-and-battery-age/
Indennità, diaria, rimborsi: quanto ci costano deputati e senatori? E quali sanzioni sono previste se non vanno in aula e fanno saltare una legge?
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Che succede ad un lavoratore se un giorno decide di non presentarsi in ufficio senza un motivo valido mandando in crisi l’organizzazione aziendale? Che può essere licenziato, come ha stabilito la Cassazione [1]. Che succede ad un parlamentare se un giorno decide di non presentarsi in aula senza un giustificato motivo mandando all’aria una proposta di legge? Che non viene licenziato, come si è visto prima di Natale al Senato con la mancata approvazione dello ius soli. Alla peggio, perde la cosiddetta «diaria», cioè i soldi che gli sarebbero entrati se avesse fatto il suo dovere. Ma con quello che guadagna un parlamentare (e con quello che non spende, a differenza dei comuni mortali) probabilmente il deputato o il senatore non ne avverte la mancanza.
È soltanto uno dei privilegi di cui godono i nostri politici che sono riusciti ad arrivare in Parlamento dopo aver promesso ai loro elettori che si sarebbero dati da fare per questo o per quell’altro. Ed è anche una delle cose che più indispongono i cittadini onesti e lavoratori, specialmente quando, alla fine del mese, guardano la loro busta paga e vedono che per guadagnare quella manciata di euro (ammesso che abbiano un lavoro) devono sacrificarsi ogni giorno e rispettare le regole.
Guardano la busta paga e pensano, vedendo i banchi vuoti del Parlamento durante il telegiornale: «Chissà quanto si pigliano per nemmeno presentarsi in aula». Volete sapere quanto guadagna un parlamentare? E quanti soldi perde quando non va al lavoro? Continuate a leggere, ma prima prendetevi qualcosa per lo stomaco: potrebbe esservi utile.
Quanto guadagna un deputato
Partiamo da Montecitorio. Quanto guadagna un parlamentare che siede alla Camera dei Deputati? Ogni singolo eletto ha diritto ad un’indennità lorda di 11.703 euro, pari a 5.346,54 euro netti. Pensavate guadagnassero di più? Infatti, è così.
All’indennità bisogna aggiungere la diaria, i rimborsi spese, i rimborsi telefonici ed i rimborsi per le spese di trasporto. Senza contare l’assegno di fine mandato e la pensione (alla quale certamente non accedono con 40 e passa anni di contributi e quasi 70 di età anagrafica). Nello specifico, oltre all’indennità netta sopra citata, ogni deputato percepisce:
- 3.503,11 euro di diaria;
- 3.690 euro di rimborso spese di mandato;
- 1.200 euro all’anno di spese telefoniche (sarebbero 100 euro al mese facendo due conti);
- 3.995,10 euro ogni tre mesi per le spese di trasporto.
Calcolatrice alla mano, quanto guadagna un parlamentare a Montecitorio? 13.971,35euro al mese. Tenuto conto che spese telefoniche e di trasporto sono comprese nel prezzo, quindi non dovranno spendere un euro per una chiamata o per prendere un aereo. Soprattutto se abitano a Roma e dintorni (il rimborso per il trasporto lo prendono lo stesso).
Quanto guadagna un senatore
Quanto guadagna un parlamentare che siede su uno dei banchi di Palazzo Madama? Un senatore prende un’indennità mensile lorda appena più bassa di quella del deputato, «appena» 10.385,31 euro, vale a dire 5.304,89 euro netti (circa 200 euro in meno per i senatori che hanno un’attività lavorativa). In più:
- 3.500 euro di diaria;
- 4.180 euro di rimborso spese di mandato;
- 1.650 euro al mese di rimborso forfettario telefonico e di trasporto.
Totale: 14.634,89 euro al mese.
Stipendi dei parlamentari: cosa sono i rimborsi per esercizio del mandato
Come abbiamo visto, tra le voci che stabiliscono quanto guadagna un parlamentare c’è quella del rimborso delle spese per l’esercizio del mandato (3.690 euro per i deputati e 4.280 euro per i senatori).
Dove finiscono quei soldi? Il 50% viene erogato a titolo forfettario, mentre il restante 50% viene corrisposto a titolo di rimborso con tanto di attestazione (devono, cioè, presentare una distinta in cui dimostrano di averli spesi) per i costi sostenuti in:
- collaboratori (tra cui il famoso «portaborse»). Ci deve essere, comunque, una dichiarazione di assolvimento degli obblighi previsti dalla legge e la copia del contratto del collaboratore con attestazione di conformità);
- consulenze;
- ricerche;
- gestione dell’ufficio;
- uso di banche dati pubbliche;
- convegni;
- sostegno dell’attività politica.
Stipendi dei parlamentari: le spese di trasporto dei deputati
Ma quanto viaggia un deputato per vedersi riconosciuti tutti quei soldi come rimborso delle spese di trasporto? Dipende, tra le altre cose, dalla frequenza con cui torna nel territorio in cui è stato eletto (dove farsi vedere ogni tanto, così, giusto per vedere come vanno le cose, non guasterebbe).
Un parlamentare ha diritto (fuori dal rimborso per le spese di trasporto) alle tessere autostradali sul territorio nazionale (Viacard o Telepass) ed a quelle per viaggiare con l’aereo, con il treno o con la nave. Inoltre, ogni deputato percepisce ogni trimestre 3.323,70 euro per andare da Montecitorio a Fiumicino o viceversa e per recarsi dal suo luogo di residenza all’aeroporto più vicino se deve percorrere fino a 100 km. Se la distanza tra casa sua e lo scalo è superiore ai 100 km, la cifra trimestrale aumenta a 3.995,10 euro. Il paradosso è che c’è chi abita a 5 minuti a piedi dalla Camera dei Deputati ma prende questi soldi lo stesso.
Stipendi dei parlamentari: l’assegno di fine mandato
I deputati versano ogni mese ad un fondo creato appositamente per loro una quota della loro indennità lorda, pari a 784,14 euro. Quando abbandonano Montecitorio perché non vengono più eletti o perché non si presentano più alle elezioni, ricevono un assegno di fine mandato equivalente all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni legislatura o frazione di mandato non inferiore a 6 mesi.
L’importo versato dai senatori è del 4,5% dell’indennità lorda (quindi, 467,33 euro).
Stipendi dei parlamentari: la pensione
I parlamentari eletti dopo il 1 gennaio 2012 hanno un trattamento pensionistico basato sul sistema contributivo simile a quello dei dipendenti pubblici (in teoria lo sarebbero). A quelli eletti prima di quella data (ce ne sono eccome) ed a quelli cessati ma poi rieletti viene applicato un sistema pro rata basato sulla somma della quota assegno vitalizio maturata al 31 dicembre 2011 e una quota relativa all’incremento contributivo che riguarda gli ultimi anni di mandato.
I parlamentari hanno diritto alla pensione dopo aver compiuto i 65 anni ed avere avuto un mandato di almeno 5 anni. Per ogni anno di mandato in più si scala un anno anagrafico: 6 anni in Parlamento, pensione a 64 anni; 7 anni in Parlamento, pensione a 63 anni e così via fino al minimo di 60 anni di età. Chi viene eletto a 50 anni, insomma, può smettere dopo un paio di legislature.
Stipendi dei parlamentari: che succede se non vanno in aula?
Si diceva all’inizio che se un lavoratore non si presenta in ufficio senza un valido motivo può essere licenziato. Un parlamentare, però, può permettersi di non presentarsi in aula (anche se, così facendo, fa saltare l’approvazione di una legge) rinunciando a qualche soldo. E basta: non è che deve rinunciare alla sua carica, ci mancherebbe.
In caso di assenza non giustificata ai lavori dell’Assemblea, la diaria può essere ridotta di 206,58 euro al giorno quando il parlamentare non risponde ad almeno il 30% delle chiamate al voto. Se l’assenza interessa le sedute delle Giunte, delle Commissioni permanenti o speciali, del Comitato per la legislazione o di altre commissioni o organismi interni al Parlamento, la decurtazione è di 500 euro al mese sulla diaria in base alla percentuale di assenze. Attenzione: sulla diaria. Significa che lo stipendio base, cioè l’indennità, arriva comunque intatto.
note
[1] Cass. sent. n. 17897/2015.