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come funziona il Rosatellum
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Un candidato di coalizione e un listino bloccato legato a ciascuna lista, nessun voto disgiunto e una ripartizione dei seggi sul quale peseranno anche le cosiddette “quote rosa”: il prossimo 4 marzo gli italiani troveranno nelle urne una scheda un po’ più complessa di quella che, nel 2013, vigeva con il Porcellum. Il Rosatellum è infatti un sistema misto maggioritario e proporzionale che prevede 232 collegi uninominali per la Camera e 116 per il Senato, ciascuno dei quali avrà il proprio vincitore. A questi vanno aggiunti i collegi proporzionali – 63 per la Camera, 34 per il Senato – che eleggeranno i restanti parlamentari. Diciotto, infine, i deputati e senatori eletti nella circoscrizione Estero.
Sulla (unica) scheda figureranno i candidati delle coalizioni per i collegi uninominali. Sotto il loro nome ci saranno i simboli delle liste che li sostengono. A fianco a ciascun simbolo, invece, compariranno i listini proporzionali bloccati che potranno avere dai 2 ai 4 nomi. L’elettore avrà un solo voto a disposizione. Due le modalità a disposizione: mettendo un segno sulla lista il voto andrà alla lista stessa e al candidato sostenuto all’uninominale; mettendo un segno sul candidato all’uninominale il voto viene esteso automaticamente alla lista e, nel caso di coalizione, sarà distribuito tra le liste che lo sostengono proporzionalmente ai risultati delle liste stesse in quella circoscrizione elettorale. Ammesse le pluricandidature: ciascuna lista può presentare il suo candidato in un collegio uninominale e in massimo 5 plurimoninali. Nel caso il candidato sia eletto al collegio maggioritario sarà questo risultato a prevalere su quelli ottenuti con il listino proporzionale.
Soglie di sbarramento
Il Rosatellum per ogni lista prevede, su base nazionale, una soglia di sbarramento del 3% per accedere al Parlamento. Per le liste apparentate si prevede, in aggiunta, anche una soglia del 10% per l’intera coalizione. Se una lista non raggiunge il 3% ed è parte di una coalizione i voti vengono, a quel punto, “dirottati” al partito prevalente all’interno dell’alleanza. Il candidato eletto in un collegio maggioritario (vince chi ha un voto in più) mantiene il seggio anche se il partito a cui appartiene viene escluso dalla ripartizione proporzionale.
Nessun premio di maggioranza
La legge non ha alcun premio di maggioranza né alcun vincolo che impedisca, nel post-voto, ai partiti di “cambiare” alleati. Secondo un calcolo sommario, alla coalizione o alla lista vincente servirebbe il 42% circa dei voti per ottenere una maggioranza assoluta. Da qui la possibilità che il partito o la coalizione vincente non abbia i “numeri” per fare un governo in autonomia. La ripartizione dei seggi tra le liste nei collegi proporzionali avviene su base nazionale per la Camera, su base regionale per il Senato.
Quote rosa e candidature all’estero
Il Rosatellum prevede inoltre le quote rosa ovvero vieta che uno dei due sessi possa rappresentare più del 60% dei candidati di un listino e dei capilista di un singolo partito in tutto il Paese. Di fatto, su un listino proporzionale di tre nomi il rapporto deve essere 2 a 1 o favore degli uomini o a favore delle donne. Ultima novità del Rosatellum, la candidatura all’Estero: nel 2018 sarà permessa anche a chi è residente in Italia.
Neanche questa volta il popolo eleggerà il Presidente del Consiglio e i singoli ministri: ecco perché.
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La nostra Costituzione, tanto difesa (e ripetuta a memoria) quando si è trattato di modificarne il contenuto in relazione alla composizione delle Camere, va rispettata in ogni parte. Così è bene ricordare che, nel testo attualmente in vigore, la nomina del Capo dello Stato, del Capo del Governo e dei singoli ministri non avviene tramite elezione diretta, ossia per votazione del popolo. Il Presidente della Repubblica viene eletto dalle due Camere. Quest’ultimo poi, ogni volta che cade il governo o che le camere si sciolgono (per fine mandato o per impossibilità a funzionare) nomina un nuovo Presidente del Consiglio. Dopo aver sentito quest’ultimo, il capo dello Stato passa poi a nominare anche i singoli ministri. In tutto ciò il cittadino non c’entra affatto; quest’ultimo può solo scegliere – con il voto nell’urna – i suoi rappresentanti alla Camera dei deputati e dei senatori.
Il Governo non è dunque espressione della volontà degli elettori, ma dei rappresentati degli elettori, ossia dei parlamentari (deputati e senatori): formalmente è eletto dal Presidente della Repubblica sulla base di prassi non scritte nella Costituzione.
Solo indirettamente il popolo partecipa alla nomina del Governo formando la maggioranza parlamentare alla quale l’esecutivo deve chiedere la fiducia. Per cui se i rappresentanti degli elettori (deputati e senatori) decidono di dare la fiducia a un Governo, quest’ultimo resta in carica. Il Capo dello Stato non ha il potere di imporre il proprio uomo se questo poi non è appoggiato dai parlamentari. Allo stesso modo vale per i ministri, la cui scelta avviene a seguito dell’indicazione al Presidente della Repubblica da parte del neo nominato Presidente del Consiglio.
Il Governo viene eletto dal popolo solo nelle Repubbliche presidenziali come gli Stati Uniti (anche se il Presidente non viene eletto a suffragio universale dal popolo); l’Italia invece è una repubblica parlamentare dove il popolo elegge solo i deputati e i senatori.
Chi nomina il Governo?
Dando una rapida lettura all’articolo 92 della Costituzione scopriamo che il Governo è un organo che non viene eletto dal popolo – come invece comunemente si dice – ma dal Capo dello Stato, ossia il Presidente della Repubblica. La norma recita testualmente:
«Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri».
Una volta nominato il Presidente del Consiglio e i suoi Ministri, questi prestano giuramento nelle mani del Capo dello Stato e poi presentano il proprio programma alle Camere che votano la fiducia. In particolare, il Governo deve, entro dieci giorni dalla formazione, presentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, vale a dire l’atto di gradimento politico con cui il Parlamento aderisce al programma dell’esecutivo.
L’articolo 94 della Costituzione recita così:
«Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».
Anche qualora dovesse ricorrere una crisi di Governo, non è detto che si debba procedere a nuove elezioni politiche. Se il Presidente della Repubblica dovesse ritenere che sussiste ancora una maggioranza solida, potrebbe decidere di scegliere un nuovo Presidente del Consiglio a cui dare il mandato di formare un nuovo Governo. In assenza di una maggioranza in grado di supportare il Governo, il Presidente scioglie le Camere e indice le elezioni anticipate. Per questo, prima della nomina del Capo del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica è solito procedere alle cosiddette consultazioni: sente, cioè, gli esponenti dei principali partiti e gruppi parlamentari, di modo da verificare – onde non perdere successivamente tempo – l’esistenza di una maggioranza per il voto di fiducia.
Completa il quadro di norme dedicato alla formazione del Governo l’articolo 88 della Costituzione, che stabilisce:
«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura».
In sintesi
Sintetizziamo tutto ciò che è stato appena detto per chiarire nuovamente il quadro e ricordare perché, anche per le elezioni politiche 2018, il popolo non eleggerà il governo.
Per quanto riguarda la formazione del Governo, la Costituzione si limita ad affermare che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri. Nulla dice, invece, in merito alla procedura da seguire. Il Capo dello Stato non è quindi tenuto a indire elezioni anticipate ad ogni crisi di Governo, prima della nomina del capo del Consiglio dei Ministri. Se il Governo scelto dal Capo dello Stato non dovesse essere munito di appoggio parlamentare – appoggio necessario per il voto di fiducia – il Presidente della Repubblica può dare il mandato a un altro soggetto. Solo in ultima analisi è tenuto a indire elezioni anticipate.